Il ricorso, così articolato deve essere respinto.
Parte ricorrente sostiene, in sintesi, che non vi sarebbe stata alcuna modifica dell’andamento del terreno e che, conseguentemente, le opere realizzate non avrebbero dovuto formare oggetto del rilascio di un permesso di costruire, in quanto riconducibili all’attività edilizia libera della pavimentazione e sistemazione di spazi esterni di cui all’art. 6, lett. e-ter del D.P.R. n. 380 del 2001.
A tale scopo, la proprietaria sostiene che graverebbe sul Comune, che ne contesta la modifica, la dimostrazione dell’originario andamento del terreno.
Ciò comporterebbe, però, un’inaccettabile inversione dell’onere della prova gravante sulla medesima, che avrebbe dovuto documentare e provare lo scopo della realizzazione di quelle stesse opere di contenimento che ammette di aver eseguito e che deve presumersi, per la loro natura, essere strumentali proprio alla modifica dell’andamento del terreno, così come previsto dall’art. 64 comma 1, del c.p.a., che è così formulato: “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”.
Dunque, come da tempo chiarito dalla giurisprudenza, “l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza dell’immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l’abuso, mentre solo la deduzione da parte di quest’ultimo” (del Comune, n.d.r.) “di concreti elementi di riscontro trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione” (così Cons. Stato, Sez. VI, n. 1222/2022, richiamata nella sentenza dello stesso giudice n. 5851/2025; sul punto cfr. anche, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, n. 309/2025; n. 10382/2023, n. 2523/2023; sez. II, n. 6181/2024 e l’ulteriore giurisprudenza ivi richiamata).
In altre parole, a fronte della realizzazione di interventi edilizi in assenza di ogni titolo, spetta al soggetto che vi ha provveduto dimostrare l’infondatezza delle contestazioni dell’ente preposto alla sorveglianza dell’attività edilizia (nel caso di specie correlate alla presunzione dell’intervenuta modifica del terreno in assenza del necessario titolo edilizio) in ragione dell’operare del c.d. principio della “vicinanza della prova”, che informa di sé il citato art. 64 c.p.a. e che, con riferimento all’attività edilizia abusiva, si giustifica con la circostanza per cui è il proprietario l’unico soggetto che può essere in grado di provare la consistenza del proprio bene prima degli interventi contestati e non anche il Comune.
Legittimamente, dunque, l’ente resistente ha ordinato il ripristino dei luoghi trasformati a fronte della constatazione dell’assenza del titolo, essendo comunque onere della proprietà evitare tale effetto chiedendo e ottenendo, laddove ne ricorressero i presupposti, una sanatoria.
Peraltro, fermo restando che l’ordine di ripristino appare giustificato dal fatto che parte ricorrente non ha in alcun modo dimostrato che sia stato conservato l’andamento originario del terreno, in ogni caso, ad abundantiam, la qualificazione degli abusi contestati come opere di edilizia libera deve ritenersi esclusa in ragione della loro realizzazione mediante il posizionamento di traversine in legno e cemento, atte a sostenere la modifica imposta all’andamento del terreno e comunque “permanenti”, con la conseguenza che non si può configurare una mera “pavimentazione e finitura di spazi esterni”.
Ciò anche alla luce dei chiarimenti forniti dal giudice amministrativo di secondo grado con la sentenza n. 1659 del 2024, secondo cui gli interventi di pavimentazione esterna, anche ove contenuti entro i limiti di permeabilità del fondo, sono realizzabili in regime di edilizia libera soltanto laddove presentino una entità minima, sia in termini assoluti, che in rapporto al contesto in cui si collocano e all’edificio cui accedono (cfr. T.A.R. Milano, sentenza n. 2019/2018).
Tali condizioni non paiono ravvisabili nella fattispecie, in quanto non risulta rispettata l’essenziale condizioni individuata anche, tra le tante, nella sentenza del TAR Piemonte, n. 106/2023, nella quale si legge che “Ne deriva che le opere di pavimentazione o di finitura di spazi esterni rientrano nella previsione normativa soltanto laddove, per le loro caratteristiche in concreto, siano inidonee a influire in modo rilevante sullo stato dei luoghi, e quindi non determinino una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia. ”. Dunque, sempre in conformità alla sopra citata pronuncia, il Collegio ritiene che la realizzazione di interventi di pavimentazione esterna non possa comunque essere considerata come assoggettata al regime dell’edilizia libera ogni volta che, come nel caso in esame, sia percepibile esteriormente, per cui presenti una potenziale rilevanza sotto il profilo dell’inserimento delle opere nel contesto urbano e determini la creazione di una superficie utile, benché non di nuova volumetria.
Caratteristiche che ricorrono anche nella fattispecie, per cui, in linea con la giurisprudenza ora richiamata, gli interventi realizzati non possono essere qualificati come riconducibili all’attività libera e il provvedimento impugnato deve ritenersi immune dai vizi lamentati, anche in considerazione del fatto che, come ribadito nella recente sentenza del Consiglio di Stato n. 1924/2025, il Comune è tenuto a guardare all’edificazione nel suo complesso e alla sua idoneità a dar luogo ad una trasformazione del territorio nell’accezione di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001. Ne consegue che la circostanza per cui alcuni interventi singolarmente considerati avrebbero potuto essere assoggettati ad un regime abilitativo più ‘leggero’ rispetto all’obbligo di conseguimento del permesso di costruire, non poteva esimere il Comune, così come è stato, dal considerare nella loro globalità le opere realizzate, e ritenerle, altrettanto correttamente, soggette a provvedimento concessorio in ragione della trasformazione edilizia che esse hanno integrato.
Né può rilevare, in senso contrario, la dedotta impossibilità del ripristino che, lungi dall’influire sulla legittimità del provvedimento, potrà semmai giustificare un accordo in fase esecutiva circa le modalità per realizzarlo.
Così respinto il ricorso, le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la particolarità della questione dedotta.
TAR LOMBARDIA – MILANO, IV – sentenza 21.10.2025 n. 3342