1. Il Comune di Milano, con provvedimento del 1° marzo 2018, ha respinto l’istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 ed artt. 63, 64 e 65 L.R. Lombardia n. 12 del 2005, presentata in data 10 febbraio 2017 dalla Luisa Santina Caporali in relazione ad opere abusivamente realizzate in un immobile sito in Milano, via Cesare da Sesto n. 15, consistenti in: trasformazione ad uso abitativo della soffitta con modifica alle finestre, bagno e cucina, due terrazzini in tasca, frazionamenti e tavolati interni.
Con lo stesso provvedimento, l’Amministrazione comunale ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi.
L’interessata ha impugnato l’atto dinanzi al Tar per la Lombardia che, con l’ordinanza della Sezione seconda n. 721 del 17 maggio 2018, ha accolto la domanda cautelare ed ha ordinato al Comune di riesaminare l’istanza.
L’Amministrazione comunale, con il successivo provvedimento del 18 febbraio 2019, ha riesaminato l’istanza, svolgendo gli approfondimenti tecnici, ed ha confermato il provvedimento di diniego e ripristino dei luoghi emesso il 1° marzo 2018.
Di talché, la signora Caporali, con motivi aggiunti, ha esteso l’impugnazione a tale atto.
Il Tar per la Lombardia, Sezione seconda, con la sentenza n. 178 del 24 gennaio 2020, ha dichiarato in parte improcedibile ed in parte ha respinto il ricorso introduttivo del giudizio ed ha respinto i motivi aggiunti.
La signora Caporali ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi:
1. Con riguardo al capo I della sentenza, relativo alla improcedibilità del ricorso principale. Erroneità della decisione per travisamento.
Non vi sarebbe stata nuova istruttoria e nuova motivazione circa l’ordine di ripristino, che verrebbe meramente confermato, così come declinato nel provvedimento originario di diniego del 1° marzo 2018.
In particolare, nulla verrebbe aggiunto in ordine al profilo della consistenza del preteso abuso riguardante l’innalzamento della copertura verso il cortile interno dell’edificio: opera evidenziata unicamente nel provvedimento del 1° Marzo 2018, senza peraltro alcuna puntuale descrizione della stessa.
Sul punto, pertanto, sarebbe sussistente l’interesse all’annullamento del provvedimento del 1° marzo 2018, rispetto al quale il provvedimento successivo del 18 Febbraio 2019 risulterebbe in parte solo meramente confermativo.
Ne seguirebbe la procedibilità dell’azione di annullamento avverso il provvedimento del Comune di Milano del 1° marzo 2018, con riproposizione dei relativi motivi, idonei a viziare in via derivata anche il provvedimento comunale del 18 febbraio 2019.
“1. – Violazione e falsa applicazione artt. 33 e 36 dpr 380/01 – l.r. 12/05 – l. 241/90 – eccesso di potere per errore sui presupposti – carenza di istruttoria – illogicità manifesta – contraddittorietà.
Il provvedimento sanzionatorio del Comune di Milano muove dall’assunto che l’unità immobiliare posta al piano sesto fuori terra dell’edificio di via Cesare da Sesto n. 15 costituisca una “trasformazione di sottotetto senza permanenza di persone in abitazione”, tale da integrare un’ipotesi di ristrutturazione edilizia abusiva ai sensi dell’art. 33 DPR 380/01, non regolarizzabile
attraverso la procedura prevista dall’art. 36 dello stesso DPR.
Tale assunto sarebbe fondato su un travisamento della situazione in fatto, in quanto non risponderebbe al vero né il fatto che lo stato dei luoghi sia stato “trasformato” nel 1991, perché in tale data i luoghi erano già nella condizione attuale e le modifiche previste non incidevano
sulla conformazione del sottotetto, né soprattutto che il sottotetto fosse “senza permanenza di
persone”; in corrispondenza dei locali destinati a camera, bagno e cucina con il relativo corridoio, infatti, vi sarebbe già dai primi anni ’50 un ampio locale dotato di una copertura pressoché piana, realizzata innalzando il fronte interno per creare delle finestre.
2. – Eccesso di potere per insufficienza e contraddittorietà della motivazione – violazione e falsa applicazione l. 241/90.
Non sarebbe neppure comprensibile nell’ordine di ripristino la consistenza delle opere da eseguire nel termine assegnato.
Non solo, quindi, il diniego di sanatoria muoverebbe dall’errato assunto che sia stato trasformato uno spazio interamente senza permanenza di persone in uno spazio utile, ma non conterrebbe neppure una descrizione chiara delle opere censurate, rendendo così impossibile al destinatario del
provvedimento comprendere la reale consistenza dell’ordine di ripristino irrogato.
3. – Violazione e falsa applicazione art.33 dpr.380/01 e l. 241/90 – eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione ed irragionevolezza.
L’intervento sanzionatorio del Comune di Milano sarebbe avvenuto a distanza di decenni dalla esecuzione del preteso abuso, del quale neppure sarebbe ricostruita con certezza l’epoca di realizzazione, ed ha come destinatario l’attuale proprietario, che pacificamente non sarebbe responsabile di alcuna alterazione dei luoghi.
Nel caso in esame, non si sarebbe in presenza di una mera inerzia dell’Amministrazione protratta nel tempo, ma vi sarebbe una condivisione da parte del Comune della regolarità di un determinato
assetto dei luoghi, atteso che la comunicazione ex art. 26 L. 47/85 riprodurrebbe esattamente lo stato attuale dell’unità immobiliare e ne evidenzierebbe la destinazione abitativa, che sarebbe stata accettata dall’Amministrazione senza che fosse sollevata nessuna contestazione in merito.
In un simile contesto, negare l’onere dell’Amministrazione di chiarire quali siano le prevalenti ragioni di interesse pubblico che giustificano – a distanza di decenni – un provvedimento di diniego ad una richiesta di sanatoria, e per giunta per opere che possono essere realizzate identiche immediatamente dopo l’ingiunto ripristino, sarebbe contrario ai principi fondamentali di buon andamento e di ragionevolezza dell’azione amministrativa e violerebbe l’art. 10 bis ultimo capoverso L. 241/90, che vieta che siano “addotti fra i motivi che ostano all’accoglimento della
domanda inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione”.
Nè varrebbe opporre il fatto che l’illecito edilizio ha carattere di permanenza, perché a norma dell’art. 33 DPR 380/01, richiamato dal Comune nel provvedimento impugnato, l’Amministrazione avrebbe comunque la possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.
4.- Violazione e falsa applicazione art. 33 comma secondo DPR 380/01 – Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione.
Un eventuale ripristino dei luoghi non sarebbe possibile, perché inciderebbe anche strutturalmente con i sottotetti di terzi confinanti con quello della ricorrente, che il Comune di Milano ha negli anni tutti autorizzati a sanatoria.
La falda del tetto, inoltre, così come la facciata interna dell’edificio sono parti comuni condominiali
e su di essa la ricorrente non potrebbe effettuare opere modificative.
2. – Con riguardo al capo 2.1. della sentenza.
2. a) Violazione art. 3 e art. 10 l. 241/90 – travisamento dei fatti.
Con il diniego di sanatoria, è stato ordinato il ripristino dei luoghi contestando un preteso
illegittimo innalzamento della falda del tetto, del quale non è stata fornita alcuna puntuale descrizione.
Pertanto, non si comprenderebbe dagli atti a quale quota dovrebbe essere ricondotta la falda del tetto e a quale quota dovrebbero posizionarsi i serramenti, posto che la quota di impianto della falda è risultata obbligata dalla posizione dei serramenti già risultanti nello stato di fatto del verbale di visita del 1954.
2.b) Violazione art. 10 bis l. 241/90 – travisamento dei fatti.
Il Comune di Milano, come detto, avrebbe ricevuto, in data 10 ottobre 1991, una comunicazione di opere interne ex art. 26 L. 47/85 nella quale era esattamente documentato lo stato attuale dei luoghi oggetto di richiesta di sanatoria e la destinazione abitativa del sottotetto.
Da tale data, dunque, l’Amministrazione è stata posta nella condizione di “rendersi conto dell’abusività delle opere”, ma per 16 anni non ha svolto alcuna attività di vigilanza, né ha assunto
alcun provvedimento: ove tale attività fosse stata condotta, la situazione oggi contestata all’appellante avrebbe avuto altra evidenza e l’immobile non sarebbe stato fatto oggetto di ripetute negoziazioni negli anni, fino ad essere venduto alla Signora Caporali, del tutto ignara della situazione.
Vi sarebbe quindi ampia dimostrazione di una situazione di inadempienza e ritardo imputabile alla PA, che non potrebbe ora essere riversata, in modo aprioristico, ai danni del richiedente la sanatoria, contrariamente a quanto allegato dal giudice di prima cura.
2.c) Violazione art. 33 comma 2 dPR 380/01 e art. 97 Cost.
L’intervento di eventuale ripristino dei luoghi – della falda del tetto in corrispondenza della parte centrale dell’unità immobiliare – comporterebbe la demolizione di parti strutturali della copertura, interferendo con parti comuni condominiali e con unità immobiliari di terzi, poste a confine con la proprietà dell’appellante.
Tale circostanza avrebbe dovuto spingere il Comune di Milano a valutare l’ipotesi di applicazione
della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione prevista dall’art. 33 dPR 380/01.
3. – Con riguardo al capo 2.2. della sentenza
3. a.) Erroneità della sentenza per travisamento.
Il Tar per la Lombardia ha dichiarato l’opera di “datazione incerta” ritenendo esclusa la prova di un originario uso abitativo.
Peraltro, sarebbe stato dimostrato come il sottotetto fosse utilizzato dalla casa editrice Vallardi e, quindi, con uso con permanenza di persone, e come si fosse in presenza di spazio rilevante quale “cubatura” in base alla disciplina urbanistica dell’epoca. La prova della preesistenza dello spazio al 1954 sarebbe stata ampiamente fornita.
Il Comune di Milano ha analiticamente controdedotto, concludendo per il rigetto del gravame.
Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno delle rispettive difese.
La signora Caporali, con memoria del 12 maggio 2025, ha rappresentato che il Comune di Milano, con provvedimento del 29 aprile 2025, ha negato ancora la sanatoria su istanza presentata dall’interessata e, in relazione a tale provvedimento, ha formulato riserva di impugnazione dinanzi al Tar Lombardia. Allo stato, peraltro, ha insistito per l’integrale accoglimento del gravame.
All’udienza pubblica del 12 giugno 2025, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. L’appellante ha rilevato l’inammissibilità, ex art. 104 c.p.a., del deposito per la prima volta in appello di copia del Regolamento edilizio comunale del 1921.
Il Comune di Milano, nella memoria di replica, ha evidenziato di aver ritenuto opportuna la produzione del Regolamento, in quanto l’appellante ha depositato il solo art. 4 dello stesso.
In proposito, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a., è preclusa la produzione in appello di «nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non avere potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile».
Il Collegio – in disparte la considerazione che l’art. 104 c.p.a. sembra riferirsi al ricorrente che, soccombente in primo grado, propone appello, il quale non può ampliare il thema decidendum del giudizio dallo stesso instaurato, piuttosto che all’amministrazione appellante, la quale potrebbe anche non essere costituita in primo grado, se non nel caso in cui quest’ultima abbia già proposto in primo grado un’eccezione non rilevabile d’ufficio senza produrre un adeguato corredo probatorio – condivide l’orientamento giurisprudenziale ampiamente prevalente, secondo cui la citata norma detta criteri alternativi e non cumulativi, destinati a essere analizzati separatamente, nel riferirsi all’ammissibilità di “nuovi documenti” (cfr. ex multis Cons. Stato, VI, 10 settembre 2024, n. 7505, che richiama Cons. Stato, VI, 2 gennaio 2024, n. 64; Cons. Stato, V, 13 settembre 2023, n. 8301; Cons. Stato, VI 9 giugno 2023, n. 5670).
Di talché, la produzione di nuovi documenti nel processo amministrativo è ammissibile in due ipotesi alternative: a) la loro indispensabilità ai fini della decisione della causa; b) la impossibilità di produzione nel giudizio di primo grado per causa non imputabile.
D’altra parte, “ovvero” è una forma rinforzata della congiunzione disgiuntiva semplice “o”, con lo stesso valore di “oppure”, sicché anche da un punto lessicale, nessun dubbio può sorgere sulla corretta esegesi della norma.
In definitiva, la norma de qua, a differenza del gemello del codice civile, permette l’ingresso nel grado di appello anche di documenti che non siano nuovi in senso stretto, in quanto materialmente sopravvenuti, e anche al di là del caso in cui la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, purché si tratti di documenti “indispensabili ai fini della decisione della causa”.
Ne consegue che, ove si rivelasse indispensabile, il documento depositato in appello dal Comune di Milano sarebbe ammissibile.
3. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto.
4. Il primo giudice ha ritenuto il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione nella parte in cui contiene il diniego di accertamento di conformità, in quanto:
“… con il successivo provvedimento dello Sportello Unico per l’Edilizia assunto in data 18.02.2019 ed impugnato con motivi aggiunti, il Comune ha provveduto ad un riesame dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria inizialmente rigettata (diniego espresso in data 1 Marzo 2018 PG. 117045), in contraddittorio con la controparte ed adottando una motivazione nuova rispetto a quella espressa con l’atto impugnato con il ricorso introduttivo. Pertanto il diniego di sanatoria, alla luce delle autonome determinazioni assunte dall’Amministrazione, si fonda oramai sul solo provvedimento sopraggiunto”.
5. Le doglianze articolate in proposito non sono condivisibili.
5.1. Il provvedimento del Comune di Milano in data 18 febbraio 2019 è stato adottato in seguito all’ordinanza cautelare del Tar per la Lombardia, Sezione seconda, n. 712 del 17 maggio 2018, che ha ordinato il riesame dell’istanza proposta dalla ricorrente.
5.2. Il provvedimento cautelare è ontologicamente caratterizzato dalla strumentalità e dalla interinalità (o provvisorietà).
L’interinalità, in particolare, è la naturale provvisorietà della misura cautelare, destinata a perdere ogni effetto con la definizione del giudizio, qualunque sia la tipologia di sentenza adottata e cioè sia che si tratti di una sentenza di merito, di accoglimento o rigetto, sia che si tratti di una sentenza di cessazione della materia del contendere o di una sentenza in rito di improcedibilità.
L’efficacia della pronuncia cautelare, quindi, è destinata inevitabilmente a venire meno al momento della pubblicazione della sentenza, che definisce il merito della controversia.
Peraltro, nel caso in cui l’Amministrazione, con un nuovo atto, sia pure a seguito di una pronuncia cautelare, ma non in mera esecuzione di quest’ultima, provvede nuovamente sul rapporto, può determinarsi la cessata materia del contendere, ove l’ulteriore provvedimento sia satisfattivo della pretesa azionata in giudizio, ovvero, in caso contrario, può determinarsi l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (cfr., da ultimo, Cons. Stato, VI, 29 maggio 2025, n. 4707).
In sostanza, se è adottato un nuovo provvedimento, espressione di una rinnovata istruttoria e basato su una nuova motivazione, si ritiene che il rapporto non sia più disciplinato dal provvedimento oggetto di impugnazione, ma dal nuovo atto, che potrà essere ancora una volta lesivo, con conseguente traslazione dell’interesse sull’eventuale impugnazione di quest’ultimo, con motivi aggiunti o con ricorso autonomo, e sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione del primo, ovvero pienamente satisfattivo dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio dal ricorrente, con conseguente cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 34, comma 5, c.p.a.
5.3. Il Collegio ritiene che il nuovo provvedimento, in data 18 febbraio 2019, adottato in seguito all’ordinanza cautelare del Tar Lombardia, costituisca l’espressione di una rinnovata istruttoria e di una conseguente ulteriore motivazione, sicché sussiste la sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento dell’atto impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio, con traslazione dell’interesse dedotto in giudizio dalla ricorrente sul nuovo atto che, in quanto espressione di una attività amministrativa che si è concretata in una nuova istruttoria ed in una ulteriore motivazione, assume natura di conferma provvedimentale e non di atto meramente confermativo, ponendosi come esaustiva disciplina del rapporto controverso sia pure con richiamo al contenuto dispositivo dell’atto confermato.
5.4. Con il provvedimento del 18 febbraio 2019, infatti, l’Amministrazione comunale, “considerato che gli uffici hanno riesaminato l’istanza svolgendo gli opportuni approfondimenti istruttori, anche in contraddittorio con il legale dei ricorrenti … come da atto che si allega”, ha confermato il provvedimento di diniego e ripristino dei luoghi emesso in data 1° marzo 2018.
Lo Sportello Unico dell’Edilizia del Comune, con atto del 14 febbraio 2019, allegato al provvedimento, ha comunicato gli approfondimenti richiesti.
Di talché, non può esservi dubbio sul fatto che il nuovo provvedimento costituisca espressione di una rinnovata istruttoria e di una conseguente ulteriore motivazione.
6. Le doglianze di merito, anche quelle riproposte in quanto dedotte in relazione all’atto confermato, sono comunque infondate.
Le censure, i cui profili emergono attraverso plurimi motivi, sono trattate in ragione della loro connessione.
6.1. Il permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, è subordinato alla c.d. doppia conformità, vale a dire la conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della presentazione della domanda.
Gli approfondimenti istruttori svolti dall’Amministrazione comunale, anche in contraddittorio, confluiti nell’atto del 14 febbraio 2019, allegato al provvedimento di conferma provvedimentale del 18 febbraio 2019 hanno escluso la sussistenza della c.d. doppia conformità.
In particolare, dall’analisi degli strumenti urbanistici e regolamentari, gli interventi volumetrici attuati, di cui è chiesta la sanatoria, non sarebbero stati ammissibili né nel 1982 né, successivamente, sino al 1996.
L’art. 45.3 del Regolamento edilizio adottato con delibera di Consiglio Comunale in data 21 aprile 2025 ed approvato dalla Giunta Regionale della Lombardia con deliberazione del 6 settembre 1977, entrato in vigore a seguito di pubblicazione nell’Albo Pretorio in data 15 dicembre 1977, dispone che “l’altezza media di ciascun locale non deve essere inferiore a mt 2,70; la distanza tra pavimenti e soffitto non deve comunque scendere al di sotto di mt 2,40”.
L’Amministrazione ha rilevato che, dai dati riportati nelle tavole grafiche, tale requisito non è assolto, essendo alcune altezze minime pari a mt 1,50 e 2,04.
Con riferimento alla data di presentazione dell’istanza, sempre nell’atto del 14 febbraio 2019, è evidenziato il contrasto tra il progetto e la normativa urbanistico-edilizia vigente, in quanto:
Piano delle regole del PGT vigente, art. 6 NTA del PdR, consente indice di utilizzazione pari a mq 0,39/mq (con possibilità di raggiungimento di un indice massimo pari a mq1/mq solo mediante acquisto di diritti edificatori).
Sul punto, è evidenziato che lo stato di fatto dell’immobile, ad esclusione degli ampliamenti di cui trattasi, è già in esubero rispetto alla capacità edificatoria offerta dall’attuale PGR sia per quanto relativo all’indice di mq 0,35/mq, sia nel caso ipotetico di acquisto di diritti edificatori (con raggiungimento di 1mq/mq).
Con riferimento all’applicazione della norma sul recupero abitativo del sottotetto, ai sensi degli artt. 63, 64, 65 L.R. 12/2005, l’atto indica che la sanatoria degli interventi edilizi ai sensi della L.R. 12/2005, artt. 63, 64, 65, manca di uno dei presupposti previsti dalla normativa per l’applicazione della L.R. 12/05, e cioè è assente la dimostrazione di conformità dello “stato di fatto”, ante recupero; il sottotetto non abitabile così come rappresentato nello stato preesistente (con falda modificata ed innalzata rispetto al resto della copertura) non è legittimato da alcun titolo edilizio. La parte non ha prodotto, anche successivamente all’ordinanza del Tar, documentazione in proposito.
6.2. La trasformazione ad uso abitativo del sottotetto senza permanenza di persone è stata realizzata in data antecedente all’entrata in vigore della L.R. n. 15 del 1996 che, al titolo IV, capo I, ha previsto il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti.
In tal senso, depone non soltanto quanto evidenziato dal Comune di Milano nella propria memoria circa il fatto che l’uso del sottotetto a fini abitativi, secondo le risultanze catastali, risale al 1982, e che la proprietà dell’epoca ha presentato al Comune, in data 10 ottobre 1991, ai sensi dell’art. 26 della legge n. 47 del 1985, una comunicazione in cui tale uso abitativo sarebbe riportato, ma anche il fatto che, nella relazione tecnica presentata al Comune in data 8 febbraio 2017 a corredo della istanza di sanatoria del 10 febbraio 2017, sottoscritta dall’appellante e dal tecnico, emerge che, almeno dal 1982, il sottotetto è stato trasformato in uso abitativo (nella relazione è indicato che la scheda n. 5768 del 1982 evidenzia la destinazione d’uso abitazione di tutta la unità immobiliare oggetto della proprietà della signora Caporali, in assenza di titolo edilizio abilitativo (nella stessa relazione è evidenziato che ad oggi “l’immobile risulta essere urbanisticamente a destinazione d’uso solaio/deposito non vi è traccia del titolo edilizio che lo abbia trasformato in abitazione”.
D’altra parte, la stessa signora Caporali, nei propri atti difensivi, ha esposto come nella comunicazione ex art. 26 legge n. 47 del 1985, del 10 ottobre 1991, dell’allora proprietaria era riportata l’attuale conformazione dell’unità immobiliare ed era dichiarata la destinazione abitativa.
Né le doglianze di parte sono idonee a sovvertire le statuizioni del primo giudice in ordine all’insussistenza di prove sul fatto che l’opera, sia pure di incerta datazione, sia stata realizzata, in uno con il suo uso abitativo, in epoca anteriore al periodo in cui è sorto l’obbligo di munirsi del titolo edilizio.
Tale corredo probatorio, infatti, anche in sede di appello non è idoneo a dimostrare tale assunto.
Pertanto, non può ritenersi sussistere la conformità urbanistica-edilizia dell’intervento al momento della sua realizzazione, in quanto, come riportato nell’atto allegato al provvedimento del 18 febbraio 2019, non efficacemente contestato dall’appellante, la trasformazione in abitabile di un sottotetto comportante un incremento di superficie lorda era assoggettata alla disciplina ordinaria, vale a dire le disposizioni del PRG, e lo stato di fatto dell’immobile, ad esclusione degli ampliamenti di cui trattasi, era già in esubero rispetto alla capacità edificatoria offerta dall’attuale PRG.
Le altezze, inoltre, come ancora risulta dall’atto dello Sportello Unico dell’Edilizia del 14 febbraio 2019, risultavano inferiori a quelle previste dall’art. 45.3 del Regolamento edilizio, sicché l’abitabilità non avrebbe potuto essere legittimata neppure ai sensi del detto Regolamento.
La conformità urbanistico edilizia neppure sussiste con riferimento alla data di presentazione dell’istanza di sanatoria, in quanto la normativa regionale lombarda del 2005 in materia di governo del territorio ammette il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti (per sottotetto si intende il volume sovrastante l’ultimo piano dell’edificio del quale sia stato eseguito il rustico e completata la copertura) presupponendo uno stato di fatto legittimo del sottotetto da recuperare, presupposto che non ricorre nella fattispecie perché la falda è stata modificata ed innalzata rispetto al resto della copertura in assenza di un titolo edilizio.
6.3. L’evoluzione giurisprudenziale, inoltre, ha ritenuto che, in assenza di espressa previsione legislativa, non possa trovare spazio la c.d. sanatoria giurisprudenziale, così denominata perché riguarda casi non esplicitamente considerati dalla legge.
La giurisprudenza, infatti, ha avuto modo di evidenziare che la c.d. sanatoria giurisprudenziale risulta superata (id est: Cons, Stato, VII, 9 giugno 2025, n. 4980, che richiama Cons. Stato, II, 19 agosto 2024, n. 7167.
In particolare, in materia di abusi edilizi, la sanatoria di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 attiene espressamente soltanto agli abusi formali, ovverosia a quelli relativi a interventi doppiamente conformi agli strumenti urbanistici vigenti alla data della realizzazione e alla data di presentazione dell’ istanza, mentre va esclusa, siccome sprovvista di copertura normativa, la possibilità della cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, ovverosia “una sorta di conformità ex post, condizionata all’esecuzione delle prescrizioni e, dunque, non esistente né al momento della realizzazione delle opere, né al tempo della presentazione della domanda di sanatoria, bensì eventualmente solo alla data futura e incerta in cui il ricorrente abbia ottemperato a tali prescrizioni”.
6.4. In definitiva, i presupposti per l’applicazione dell’istituto della sanatoria ex art. 36 del d.P.R: n. 380 del 2001, nella fattispecie, non sussistono.
7. Né, la mancata attivazione di poteri amministrativi di vigilanza sulla comunicazione dell’allora proprietaria dell’immobile ai sensi dell’art. 26 della legge n. 47 del 1985, in data 10 ottobre 1991, può assumere alcun rilievo, neppure in tema di affidamento, trattandosi di una mera comunicazione e non di una istanza pretensiva, per cui nessun obbligo o onere l’Amministrazione aveva di attivarsi (se non d’ufficio), e non essendovi alcuna norma di legge attributiva di significato giuridico al comportamento dell’Amministrazione.
Di talché, è senz’altro infondato l’assunto per il quale l’Amministrazione avrebbe in qualche modo prestato acquiescenza alle opere interne comunicate nel 1991.
8. Il provvedimento del 18 febbraio 2019 ha confermato il provvedimento del 1° marzo 2018 che ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi, comprensivo del ripristino dell’andamento della falda di copertura secondo la pendenza originaria, eliminando la superfetazione (sopralzo) esistente.
Pertanto, essendo indicati nell’atto gli interventi abusivi nella loro materialità, deve essere disattesa la censura secondo cui l’ordine di ripristino non sarebbe comprensibile.
9. Il Comune di Milano ha riscontrato un’ipotesi di ristrutturazione edilizia abusiva ai sensi dell’art. 33 d.P.R: n. 380 del 2001.
La consolidata e condivisa giurisprudenza amministrativa, formatasi prevalentemente sull’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha posto in rilievo che, in materia di abusi edilizi, l’omessa valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento all’ordinanza di demolizione (cfr. da ultimo Cons Stato, VI, 28 febbraio 2025, n. 1744; Cons. Stato, VII, n. 9966 del 10 dicembre 2024)..
Ne deriva che, ferma restando la natura abusiva delle opere edilizie in questione, con conseguente legittimità dell’ordine che ne ha ingiunto l’esecuzione delle opere necessarie alla reintegrazione dello stato originario, la verifica della oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere sul piano delle conseguenze materiali e sulla stabilità di altre parti dell’edificio, potrà, se del caso, essere compiuta su segnalazione della parte privata durante la eventuale fase esecutiva del provvedimento.
10. Per quanto concerne, infine, le doglianze con cui l’appellante ha ravvisato – in ragione del tempo trascorso dall’avvenuto abuso, dell’inerzia dell’Amministrazione sulla comunicazione di opere interne del 10 ottobre 1991 e del fatto che l’abuso non è stato posto in essere dall’attuale proprietaria – la necessità di una motivazione più cospicua sull’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, è sufficiente richiamare il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 9 del 2017 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
In proposito, ribadito che nessun affidamento legittimo e, quindi, meritevole di tutela può essere maturato a seguito della comunicazione del 10 ottobre 1991, infatti, viene in rilievo il principio secondo cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
11. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
12. Va da sé che, in relazione alle molteplici specificazioni e puntualizzazioni delle doglianze contenute nel ricorso in appello e nelle successive memorie, il Collegio ha preso in considerazione, nella motivazione della presente sentenza, solo quelle ritenute pertinenti ai fini della definizione del giudizio, per cui i profili eventualmente non menzionati si intendono ritenuti privi di sostanziale interesse.
13. Le spese del giudizio, considerata la peculiarità e la risalenza nel tempo dei fatti a base della controversia, possono essere eccezionalmente compensate tra le parti.
CONSIGLIO DI STATO, VI – sentenza 08.08.2025 n. 6979