I. Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione contenuta nella memoria di M.F. di inammissibilità del ricorso incidentale di O.A. in quanto non notificato a parte ricorrente: infatti, il ricorrente incidentale, al quale il ricorso principale è stato notificato mediante posta elettronica certificata il 25/06/2019, a sua volta, attenendosi alle disposizioni di cui agli artt. 370,371 c.c., nella versione temporalmente applicabile, ha notificato alla controparte il controricorso contenente ricorso incidentale, mediante PEC, in data 15/07/2019.
Sempre in via preliminare, al contrario di quanto viene eccepito nella memoria di parte ricorrente, gli atti difensivi del controricorrente non violano il requisito dell’autosufficienza.
1. Il primo motivo di ricorso principale, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 163 comma 3 nn. 3 e 4, 164 commi 4 e 5, 99, 101, 112 c.p.c., artt. 8 par. 1 CEDU, artt. 24, 111 primo e secondo comma Cost., censura l’error in procedendo commesso dalla Corte d’appello consistito nell’avere ravvisato d’ufficio un rapporto di subordinazione, che parte attrice non aveva posto, tra la domanda negatoria ex art. 1127 comma 2 c.c. e la domanda di corresponsione dell’indennità di sopraelevazione di cui all’art. 1127 comma 4 c.c., e nell’avere, quindi, implicitamente respinto l’eccezione proposta da M.F. di nullità dell’originario atto di citazione per incertezza del suo contenuto “volitivo ed oggettuale”, che traeva argomento dall’incompatibilità delle due domande – proposte senza ordine di subordinazione, ma contestualmente in via principale – di cui rispettivamente al secondo e al quarto comma dell’art. 1127 c.c.
2. Il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 111 sesto comma Cost. e all’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., censura la nullità della sentenza per un difetto strutturale della motivazione.
Si sostiene che la sentenza sarebbe viziata da intrinseca contraddittorietà in quanto, da un lato, afferma che le sopraelevazioni sono state realizzate in assenza di un titolo abilitativo, e che quindi si è in presenza di un illecito urbanistico e che non vale a vincere la presunzione di pericolosità l’eventuale conseguimento della concessione in sanatoria; dall’altro, riconosce che le stesse sopraelevazioni sono state regolarmente assentite dalla P.A. e sono conformi alla normativa antisismica vigente all’epoca della loro realizzazione.
3. Il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., censura l’“errata riconduzione della fattispecie concreta alla disciplina di cui all’art. 36 T.U. Edilizia, già art. 13 legge n. 47/1985, ed alla consequenziale errata interpretazione ed applicazione dell’art. 1127, co. 2, c.c. in combinato ed integrato disposto con gli artt. 1,3,4,8,9,14,17,18,20 e 25 della legge n. 64/1974, nonché in relazione all’art. 2728 c.c. all’art. 11 disp. prel. c.c. ed ai principi generali della certezza del diritto e del legittimo affidamento”.
In subordine rispetto al precedente motivo, si lamenta che la sentenza avrebbe erroneamente sussunto le sopraelevazioni, autorizzate dalla P.A. e conformi alla normativa antisismica vigente all’epoca in cui sono state realizzate, nella disciplina dell’art. 36 TU edilizia, che invece si applica alla diversa fattispecie delle attività edificatorie non regolarmente assentite, e che avrebbe erroneamente ritenuto che l’art. 1127 comma 2 c.c. imponga la prova della cosiddetta doppia conformità della sopraelevazione alla normativa vigente all’epoca della realizzazione e a quella vigente all’epoca della contestazione giudiziale o della decisione, senza considerare che il preventivo conseguimento delle autorizzazioni ed attestazioni del Genio civile ha portata di presunzione assoluta di legittimità della sopraelevazione ai sensi dell’art. 2728 c.c.
Si lamenta, ancora, che l’enunciato della Corte d’appello secondo cui la conformità alla normativa antisismica di una sopraelevazione di un condominio edilizio deve essere verificata nuovamente al sopraggiungere della nuova normativa di settore sarebbe in contrasto con il principio generale di cui all’art. 11 disp. prel. c.c. di irretroattività delle norme di legge, e con i principi generali di certezza del diritto e di legittimo affidamento.
4. Il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., censura l’omessa pronuncia sul terzo motivo di appello, che la sentenza dichiara erroneamente assorbito, con il quale si faceva valere l’invalidità della consulenza tecnica d’ufficio di primo grado per essere stata redatta da un ingegnere privo della prescritta anzianità decennale.
5. Il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., censura l’omessa pronuncia sull’undicesimo motivo di appello, che la sentenza dichiara erroneamente assorbito, in punto di compensazione, da parte del Tribunale di Vibo Valentia, di un terzo delle spese del giudizio con condanna di M.F. al pagamento dei restanti due terzi e al pagamento di due terzi delle spese di CTU sull’assunto (erroneo) che queste fossero già state liquidate ed anticipate dall’attore.
6. Il sesto motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 101, comma 2, 112 e 99 c.p.c., nonché in relazione all’art. 6 par. 1 CEDU e agli artt. 24 e 111 primo e secondo comma Cost., censura il vizio di extrapetizione della sentenza che, lì dove (a pag. 13) afferma che “non è possibile prendere in considerazione alcuna soluzione alternativa alla riduzione in pristino” perché “ciò determinerebbe, in maniera inevitabile, un allungamento dei tempi, che non appare assolutamente compatibile con la situazione di pericolo in atto”, reiterando l’errore commesso dal primo giudice, opera d’ufficio e in maniera non consentita (tra l’altro senza provocare il contraddittorio e ledendo il diritto di difesa dell’appellante) una mutatio libelli giacché la domanda giudiziale ex art. 1127 comma 2 c.c. non presuppone una situazione di pericolo attuale e concreto di crollo o di immediato pericolo di rovina.
7. Il settimo motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., censura l’inesistenza della motivazione della sentenza d’appello con riferimento alla ravvisata validità della consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado, validità che era stata contestata da M.F. con il primo motivo di appello.
8. L’ottavo motivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 10.1 e 10.2 del d.m. 14 gennaio 2008, lamenta che la sentenza sarebbe viziata per avere condiviso i risultati della seconda CTU (quella svolta, nel giudizio di appello, dall’ing. D.), nella quale il calcolo strutturale non è corredato né della documentazione idonea a garantire l’attendibilità dei risultati, né del necessario “giudizio motivato di accettabilità dei risultati”, prescritti dalla normativa (in particolare, dall’art. 10.1 10.2 del d.m. 14 gennaio 2008) vigente nel 2016, al tempo cioè del deposito della “nuova” CTU.
9. L’unico motivo di ricorso incidentale di O.A., ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.: la sentenza sarebbe viziata nella parte in cui pone le spese delle CTU per metà a carico di ciascuna parte e compensa per metà le spese del giudizio ponendo a carico di M.F. la metà residua.
La complessiva statuizione, nell’ottica del ricorrente incidentale, non è conforme al principio della soccombenza in ragione del fatto che, visto l’esito del giudizio di secondo grado, l’appellante M.F. è risultato soccombente su tutte le questioni di merito impugnate, in ragione del fatto che l’unico motivo accolto, tra gli undici motivi di appello, riguarda la penale posta dal Tribunale di Vibo Valentia a carico del convenuto per ogni giorno di ritardo nel completamento dei lavori di demolizione, mentre le restanti dieci censure, relative alla legittimità delle due sopraelevazioni, erano state esaminate nel merito ed erano state respinte.
10. Il primo motivo di ricorso principale è manifestamente infondato.
Il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Sez. 3, Ordinanza n. 13602 del 21/05/2019, Rv. 653921 – 01).
A questo primo principio si aggiunge quello secondo cui (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 31546 del 03/12/2019, Rv. 656493 – 01), in tema di ricorso per cassazione, l’erronea interpretazione delle domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
Nella fattispecie concreta all’attenzione del Collegio, la Corte d’appello, illustrando in maniera chiara e approfondita le ragioni del proprio convincimento – e quindi sottraendosi al sindacato di legittimità – mettendo l’accento sull’univoca struttura lessicale delle pretese degli attori, i quali chiedevano il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 872 c.c. e di vedersi riconoscere l’indennità da sopraelevazione prevista dall’art. 1127 comma 4 c.c. (v. pag. 9 della sentenza) “qualora non sia possibile la riduzione in pristino”, ha ritenuto la domanda di riduzione in pristino prioritaria rispetto alle altre due formulate in maniera “logicamente” subordinata e, con stringente coerenza, ha disatteso l’eccezione dell’appellante di nullità dell’originario atto di citazione per indeterminatezza del petitum e mancanza di esposizione, chiara e specifica, dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda.
11. Il secondo motivo è infondato.
Non ricorre il vizio di nullità della pronuncia per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, giacché la sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e non è perciò affatto “apparente”, consentendo un «effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023).
In particolare, il fulcro della motivazione sta nella considerazione che, come si trae dalla CTU svolta in appello, le sopraelevazioni non erano conformi alla normativa antisismica e non garantivano le condizioni statiche dell’intero fabbricato.
12. Il terzo motivo è infondato.
Il divieto di sopraelevazione per inidoneità delle condizioni statiche dell’edificio, previsto dall’art. 1127 comma 2 c.c., va interpretato non nel senso che la sopraelevazione è vietata soltanto se le strutture dell’edificio non consentono di sopportarne il peso, ma nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui le strutture sono tali che, una volta elevata la nuova fabbrica, non consentano di sopportare l’urto di forze in movimento quali le sollecitazioni di origine sismica. Pertanto, qualora le leggi antisismiche prescrivano particolari cautele tecniche da adottarsi, in ragione delle caratteristiche del territorio, nella sopraelevazione degli edifici, esse sono da considerarsi integrative dell’art. 1127 comma 2 c.c., e la loro inosservanza determina una presunzione di pericolosità della sopraelevazione che può essere vinta esclusivamente mediante la prova, incombente sull’autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a fronteggiare il rischio sismico.
La giurisprudenza di questa Corte ha anche puntualizzato che il limite delle condizioni statiche dell’edificio, cui l’art. 1127 c.c. sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano, è espressione di un divieto assoluto, al quale è possibile ovviare soltanto se, con il consenso unanime dei condomini, il proprietario sia autorizzato all’esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo il fabbricato a sopportare il peso della nuova costruzione. Ne consegue che le condizioni statiche dell’edificio rappresentano un limite all’esistenza stessa del diritto di sopraelevazione, e non già l’oggetto di verificazione e di consolidamento per il futuro esercizio dello stesso, limite che si sostanzia nel potenziale pericolo per la stabilità del fabbricato derivante dalla sopraelevazione, il cui accertamento costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Sez. 2, Ordinanza n. 2000 del 29/01/2020, Rv. 656854 – 02, in continuità con Sez. 2, Sentenza n. 21491 del 30/11/2012, Rv. 624235 – 01; in termini: Sez. 2, Sentenza n. 10082 del 26/04/2013, Rv. 625956 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2115 del 29/01/2018, Rv. 647154 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 31032 del 04/12/2024, Rv. 673240 – 02).
Entro questa cornice giurisprudenziale, è adesso possibile rispondere al motivo: la Corte d’appello, con giudizio di fatto estraneo al perimetro del sindacato di legittimità, ha condiviso le conclusioni del CTU, nella relazione depositata nel giudizio di appello, secondo cui (v. pag. 12 della sentenza), sulla scorta dei risultati ottenuti a seguito delle verifiche effettuate (non soddisfatte in alcuni elementi resistenti), ai sensi del d.m. 24 gennaio 1986, sarebbe stato necessario eseguire gli interventi di adeguamento sismico anche sulla struttura sottostante (già esistente) dell’edificio oggetto della controversia. Sicché, in relazione alla sopraelevazione dell’edificio avvenuta nel 1993, “è (era) necessario adeguare sismicamente (mediante appositi interventi di rinforzo strutturale) gli elementi della struttura sottostante, ai sensi del decreto ministeriale 24 gennaio 1986”.
In altre parole, la sentenza ha insindacabilmente verificato che le strutture dell’edificio non erano predisposte per l’ulteriore carico. Questa conclusione, coerente agli esiti della CTU, al quale la Corte d’appello ha motivatamente aderito, soddisfa l’oggetto dell’indagine richiesta al giudice di merito in relazione all’inidoneità del fabbricato a fronteggiare il rischio sismico.
In linea con i principi di diritto sopra enunciati, la sentenza mette in risalto, senza ombra di dubbio, la conclamata situazione di pericolo, per la staticità dell’edificio, determinata dalla realizzazione delle sopraelevazioni. Ed infatti la Corte d’appello puntualizza (v. pag. 13 della sentenza) che non è possibile prendere in considerazione alcuna soluzione alternativa alla riduzione in pristino in quanto anche eventuali opere di adeguamento sismico sarebbero incompatibili con la situazione di pericolo in atto.
Da questo punto di vista, occorre tenere presente che l’attualità del pericolo di danno deve valutarsi non già in riferimento allo stato asismico, bensì in relazione alla possibilità, sempre incombente nelle zone sismiche, di un movimento tellurico, sicché dall’inosservanza delle prescrizioni tecniche dettate per prevenire le conseguenze dannose del sisma deve desumersi una presunzione di instabilità della costruzione realizzata, e, quindi, una situazione di pericolo permanente, da rimuovere senza indugio alcuno (Cass. n. 2115/2018, cit., la quale, in motivazione, menziona Cass. nn. 2335/1981, 5024/1991, 24141/2007).
In rapporto al divieto assoluto di sopraelevazione per il proprietario dell’ultimo piano nel caso in cui (come nella specie) le condizioni statiche dell’edificio non lo consentano, quando ricorra cioè un’ipotesi di pericolosità della sopraelevazione in presenza del rischio sismico, l’autore della nuova fabbrica non può fondatamente invocare la certezza del diritto o il legittimo affidamento, facendo leva sui titoli abilitativi che gli erano stati rilasciati dall’ente territoriale o dal Genio civile, poiché si tratta di atti che attengono all’àmbito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, i quali non sono invece di per sé risolutivi del conflitto tra i proprietari privati interessati in senso opposto alla costruzione, conflitto da dirimere necessariamente in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e i limiti posti dall’art. 1127 c.c. (Cass. n. 2000/2020, cit.).
L’apprezzamento al quale era chiamato il giudice di merito (che, nella specie, è stato compiutamente svolto) non riguardava la verifica circa la conformità o meno delle sopraelevazioni alla normativa antisismica esistente all’epoca della loro realizzazione, ma se esse fossero o no compatibili con le condizioni statiche dell’edificio. E a questo dirimente interrogativo i giudici di merito hanno dato risposta negativa, ravvisando, in ultima analisi, la pericolosità delle nuove fabbriche, le quali, tra l’altro, non erano conformi alla normativa antisismica sopravvenuta.
13. Il quarto, il sesto e il settimo motivo, suscettibili di essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri una argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e non costituente, pertanto, una ratio decidendi della medesima. Un’affermazione, infatti, contenuta nella motivazione della sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Sez. 1, Ordinanza n. 8755 del 10/04/2018, Rv. 648883 – 01, in continuità con Cass. n. 23635/2010; in termini: Sez. 1, Ordinanza n. 18429 del 08/06/2022, Rv. 665300 – 02).
In applicazione di questo principio di diritto sono inammissibili per carenza di interesse, rispettivamente: il quarto motivo e il settimo motivo, sugli asseriti vizi della CTU disposta dal Tribunale, dato che, in appello, è stata svolta una “nuova” consulenza tecnica d’ufficio sulla quale, come in precedenza osservato, è stata fondata la decisione della Corte di merito; il sesto motivo, sull’impossibilità di soluzioni alternative all’ordine di demolizione delle sopraelevazioni, poiché sul punto la sentenza d’appello svolge una valutazione, meritale (e anche per questo estranea al giudizio della Cassazione), a margine delle statuizioni attinenti all’oggetto del contendere delimitato dalle pretese degli attori.
14. Il quinto motivo di ricorso principale e l’unico motivo di ricorso incidentale, che si prestano ad un esame congiunto per la loro connessione, sono inammissibili.
Entrambi i motivi si appuntano contro il capo della sentenza d’appello che regola le spese del giudizio.
Nel dettaglio, la sentenza ha compensato per metà le spese di lite e ha posto la metà residua a carico dell’appellante M.F. e, quanto agli oneri connessi alle CTU svolte nei due gradi di merito, ferma la solidarietà delle parti rispetto alla pretesa creditoria degli ausiliari del giudice, sul piano interno, ha ripartito in misura uguale tali oneri tra tutte le parti del giudizio. E questo perché, spiega la Corte di Catanzaro, M.F. era prevalentemente soccombente, avendo visto accogliere la domanda riconvenzionale proposta in primo grado (domanda sulla quale si era poi formato il giudicato) e uno soltanto degli undici motivi di impugnazione della decisione del Tribunale.
Il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (tra le altre, Sez. 3, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018, Rv. 648466 – 01).
Le spese della consulenza tecnica d’ufficio sono liquidate dal giudice nel corso del giudizio e poste a carico della parte che ha l’onere di anticiparle, ai sensi dell’art. 8 comma 1 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Tale ordine di anticipazione provvisorio è destinato ad essere superato dalla statuizione della “sentenza che chiude il processo” condannando al rimborso la parte soccombente nella controversia (art. 91 comma 1 c.p.c.) (tra le altre, Cass. n. 1753 del 1984; n. 8454 del 1990; n. 12110 del 2003).
È solo il caso di rimarcare che è incensurabile, in questa sede di legittimità, la statuizione della Corte d’appello che, attenendosi ai principi sopra richiamati, ha regolato le spese dei due gradi di merito e quelle delle CTU tenendo conto dell’esito complessivo della controversia ed in base al principio della soccombenza, attribuibile in via largamente prevalente (ma non in via esclusiva, diversamente da quanto sostiene il ricorso incidentale) all’originario convenuto.
A questa considerazione se ne affianca un’altra, recentemente ribadita da Cass. Ord. Sez. 2 n. 12697/2024, per la quale, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass. Sez. 1, 4 agosto 2017, n. 19613). Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti.
15. L’ottavo motivo di ricorso principale è manifestamente infondato.
La tesi del ricorrente è che la sentenza sarebbe viziata per avere aderito alle conclusioni della “nuova” CTU (quella effettuata in appello), la quale non avrebbe rispettato le prescrizioni (art. 10.1 e 10.2) del decreto del ministero delle infrastrutture del 14 gennaio 2008, il quale, nella sostanza, prevede che, nell’ipotesi di “analisi e verifiche svolte con l’ausilio di codici di calcolo”, spetta al “progettista” il compito di sottoporre i risultati delle elaborazioni a controlli che ne comprovino l’attendibilità (cosiddetto “giudizio motivato di accettabilità dei risultati”). Attività, questa, che nella specie sarebbe stata omessa.
La censura è priva di pregio per il suo evidente errore prospettico: la premessa giuridica è che non è corretto ricondurre entro il paradigma dell’error in iudicando di cui all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. l’asserita inosservanza delle disposizioni tecniche che regolano lo svolgimento dell’attività del CTU.
Inoltre, per la giurisprudenza costante di questa Corte (v. Sez. 1, Sentenza n. 15804 del 06/06/2024, R0v. 671534 – 01, e precedenti ivi indicati), se, in via generale, il giudice di merito che aderisce alle conclusioni del consulente tecnico esaurisce l’obbligo di motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, non dovendo necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, ove, invece, le censure all’elaborato peritale si rivelino non solo puntuali e specifiche, ma evidenzino anche la totale assenza di giustificazioni delle conclusioni dell’elaborato, la sentenza che ometta di motivare la propria adesione acritica alle predette conclusioni risulta affetta da nullità.
In linea teorica, dunque, il vizio configurabile in questa sede sarebbe quello di motivazione apparente della sentenza che, come osservato in precedenza (v. punto 11), ricorre quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6 – 1, n. 6758 del 01/03/2022); il vizio sussiste quando la pronuncia riveli un’obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Sez. L, n. 3819 del 14/02/2020).
Nella fattispecie concreta in esame, tuttavia, non soltanto non è stata dedotta la nullità della sentenza a causa di un’acritica adesione alle conclusione della CTU, ma la stessa consulenza tecnica d’ufficio è stata sottoposta a un rilievo formale (la mancanza, a corredo di essa, della documentazione comprovante l’accettabilità dei risultati dei calcoli strutturali), ma non a censure puntuali e specifiche, tant’è vero che, in ricorso, nemmeno si adombra un ipotetico errore commesso dal consulente del giudice nell’esecuzione dei calcoli strutturali.
Più in generale, con riferimento alle epidermiche contestazioni mosse alla CTU, si sottolinea che il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma può soltanto controllare le argomentazioni svolte nel precedente grado di giudizio, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale. Ne consegue che il vizio di motivazione può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, o quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 32032/2024).
16. Ne discende il rigetto del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale.
17. Le spese del giudizio di cassazione vanno compensate nella misura di un quinto; le spese residue, liquidate in dispositivo, sono a carico di M.F. per la sua prevalente soccombenza.
18. Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cass. civ., II, sent., 30.08.2025, n. 24235