6. L’appello è infondato.
7. Deve essere innanzitutto respinto in quanto infondato il primo motivo di appello con il quale sono state reiterate le censure di illegittimità del diniego di condono edilizio per violazione ed erronea applicazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90.
7.1. Si osserva, in contrario, che la sentenza appellata non ha trascurato l’indicazione, nel provvedimento gravato, dell’erroneo limite di cubatura per la condonabilità delle opere destinate a prima abitazione, tant’è che ha espressamente rilevato la fondatezza della censura limitatamente alla dedotta erroneità dell’indicazione in 300 mc in luogo del diverso limite di 450 mc previsto dall’art. 2, comma 1, lett. b), n. 1, a fronte di un abuso consistente nella realizzazione di 449,06 mc. Solo la sentenza ha correttamente escluso la rilevanza di una siffatta erronea indicazione, dal momento che radicalmente ostativa al rilascio del condono è la sottoposizione dell’area su cui insiste l’abuso a vincoli di natura paesaggistica e la non riconducibilità delle opere realizzate senza titolo nelle aree soggette a vincolo alle tipologie degli abusi sanabili.
7.2. Da ciò discende infatti che, in base ai consolidati principi in materia di atto plurimotivato, la fondatezza delle censure proposte avverso tale ulteriore motivazione, che si aggiunge a quella, avente carattere assorbente, della non condonabilità dell’opera in quanto comportante aumento di superficie e di cubatura in zona soggetta a vincoli, non può in alcun modo comportare l’annullamento del diniego di sanatoria, residuando ragioni immuni da vizi, egualmente poste a sostegno del provvedimento impugnato.
7.3. Parimenti il Tribunale ha correttamente rilevato che le osservazioni del ricorrente inerenti l’assetto vincolistico dell’area – quanto, in particolare, all’insussistenza di un vincolo anteriore alla realizzazione dell’abuso e all’assenza di vincoli di inedificabilità assoluta – sono state, invece, esaminate puntualmente nella relazione di controdeduzioni dell’8 luglio 2013, con la quale è stata confermata la vigenza e cogenza dei vincoli paesaggistici.
7.4. Ed infatti, nel caso in esame, l’Amministrazione comunale aveva già preannunciato il diniego all’istanza di condono per i vincoli urbanistici «imposti sulla base di leggi statali e regionali» (parte motiva della comunicazione ex art. 10-bis del 20 novembre 2012) e, a seguito delle osservazioni proposte dal ricorrente e dell’istruttoria ricognitiva condotta dagli Uffici competenti, ha adottato il provvedimento di rigetto dell’istanza di condono, specificando i contestati vincoli urbanistici apposti sull’area su cui insiste l’opera abusiva.
7.5. Ad ogni modo, deve pure rilevarsi che non sussiste alcun obbligo di diffusa confutazione di tutte le osservazioni presentate dagli interessati, essendo sufficiente che dal tenore del provvedimento risulti l’avvenuto esame degli elementi offerti in valutazione dall’interessato e che delle acquisizioni procedimentali, così come anche introdotte dagli interessati, si dia adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento finale.
7.6. La sentenza ha poi correttamente escluso che il provvedimento impugnato sia basato su motivazioni nuove rispetto ai motivi ostativi contenuti nel preavviso di diniego, come dedotto dal ricorrente (per il fatto che l’amministrazione avrebbe indicato vincoli non menzionati nel preavviso e rinviato alla determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 14 del 29 marzo 2012 prima non richiamata).
7.7. Infatti, la specificazione dei vincoli non costituisce motivazione nuova, quanto puntualizzazione, in concreto, delle ragioni ostative contenute nel preavviso – riferito alla sussistenza di vincoli paesaggistici ex art. 134 del D.Lgs. n. 42 del 2004 – che ha pienamente posto il ricorrente nella condizione di fornire le proprie controdeduzioni, come avvenuto.
7.8. In ogni caso, come pure correttamente rilevato dal primo giudice, non doveva esservi piena coincidenza tra il preavviso di rigetto e il provvedimento finale, ben potendo l’amministrazione sulla base delle osservazioni del privato, ma anche in via autonoma, precisare meglio le proprie posizioni giuridiche e così ulteriormente delineare il contenuto del provvedimento finale, che assume esso solo natura di atto lesivo.
Ne consegue che, esclusa ogni possibilità di fondare il provvedimento conclusivo del procedimento su ragioni del tutto nuove rispetto a quelle rappresentate nella comunicazione ex art. 10- bis, l. n. 241 del 1990, pena la violazione del diritto dell’interessato di effettiva partecipazione al procedimento, che si estrinseca nella possibilità di presentare le proprie controdeduzioni utili all’assunzione della determinazione conclusiva dell’ufficio, non può essere ritenuto illegittimo per violazione di tale norma il provvedimento di diniego la cui motivazione sia semplicemente meglio specificata e arricchita di ragioni giustificative, comunque coerenti rispetto a quelle preventivamente sottoposte al contraddittorio procedimentale attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del privato.
7.8.1. Come detto, non deve, infatti, sussistere un rapporto di identità tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti – che si risolverebbe in una sorta di integrale anticipazione del contenuto motivazionale del futuro ed eventuale provvedimento di diniego – ben potendo, invece, la pubblica amministrazione meglio precisare nel provvedimento finale le proprie posizioni giuridiche, purché il contenuto sostanziale del provvedimento conclusivo di diniego si inscriva nello schema delineato dalla comunicazione ex art. 10- bis citato.
Del resto, proprio perché rispondono ad esigenze differenziate e attingono ad interessi aventi distinta valenza, la diversa calibratura dell’onere motivazionale con riferimento alla comunicazione dei motivi ostativi, da un lato, e al provvedimento conclusivo, dall’altro, si spiega con la finalità meramente dialettico-partecipativa della prima e con l’incidenza definitiva, propria solo del secondo, nella sfera giuridica dell’interessato (ex plurimis: Consiglio di Stato, Sez. III, 1 giugno 2020, n. 3438; Consiglio di Stato, Sez. V, 15 marzo 2019, n. 1705; Consiglio di Stato, Sez. II, 21 luglio 2023, n. 7158).
7.9. Deve poi aggiungersi che neanche sussiste la dedotta integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti impugnati in sede giudiziale, mediante atti processuali o scritti difensivi, atteso che, per le ragioni che saranno di seguito evidenziate, i documenti dell’istruttoria offrono elementi sufficienti e univoci dai quali possono concretamente ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione sfavorevole assunta (chiaramente intuibili anche in considerazione della sua natura vincolata, stante la non condonabilità delle opere realizzate), mentre il richiamo ad atti sopravvenuti al provvedimento impugnato ad opera delle memorie difensive costituisce mera argomentazione a supporto delle tesi prospettate dall’Amministrazione resistente (si veda in termini Cons. Stato, V, 29 aprile 2025 n. 3632 e giurisprudenza ivi richiamata).
8. Sono del pari infondati e vanno respinti gli ulteriori motivi di appello mediante i quali sono reiterate le censure di carattere sostanziale, contestandone il complessivo rigetto da parte della sentenza di primo grado.
9. In particolare, non possono accogliersi le doglianze di violazione degli articoli 35, comma 18 L. n. 47/85 e 6, comma 3, L.R. Lazio n. 12/2004, articolate con il secondo motivo di gravame, mediante il quale l’appellante, premessa l’insussistenza di vincoli alla data di presentazione dell’istanza di condono, critica la sentenza per aver negato rilievo al prodursi del silenzio-assenso sull’istanza di sanatoria, ritenendo la questione assorbita dalla non condonabilità delle opere abusive.
9.1. Rileva, al riguardo, il Collegio che, come correttamente statuito dalla sentenza appellata, deve escludersi l’intervenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono in un momento anteriore all’apposizione del vincolo, a seguito del D.M. 25 gennaio 2010, per effetto della già intervenuta maturazione, a tale data, del termine di trentasei mesi previsto dall’art. 6 della legge regionale n. 12 del 2004.
9.2. Infatti, la preclusione normativa alla condonabilità dell’opera in questione – per le ragioni che saranno esplicitate nell’esame dei successivi motivi di appello – impedisce che la formazione del provvedimento favorevole possa intervenire a seguito del mero decorso del tempo, stante la radicale assenza dei presupposti e dei requisiti per il condono e la presenza, invece, di profili legislativamente qualificati come ostativi al condono, valevoli anche per i casi di formazione tacita del titolo.
9.3. Come evidenziato, infatti, dalla costante giurisprudenza amministrativa, la formazione del silenzio – assenso sulle istanze di condono edilizio dei privati postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di legge, non determinandosi ope legis l’accoglimento della richiesta con conseguente regolarizzazione dell’abuso ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma.
9.4. Al riguardo, va precisato che il silenzio equivale al provvedimento amministrativo, ma non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio, che rimane inalterato, trattandosi di una modalità semplificata di conseguimento del provvedimento, ai cui fini è indispensabile che ricorrano tutti i requisiti, sia oggettivi che soggettivi.
9.5. L’ art. 32, comma 37, della legge n. 326 del 2003 ha introdotto un istituto particolare che differisce da quello generale previsto dall’ art. 18 della legge n. 241/1990; infatti, in base al citato art. 32, il decorso del tempo è mero coelemento costitutivo della fattispecie autorizzativa, occorrendo cioè che il procedimento sia stato avviato da un’istanza conforme al modello legale previsto dalla norma che regola il procedimento di condono, e quindi, che la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi e oggettivi indicati dalla stessa, non potendo pertanto formarsi nel caso in cui, come quello per cui è causa, riguardi un manufatto non riconducibile alle tipologie condonabili e ricadente in una zona soggetta a vincolo paesaggistico (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4749).
9.6. Pertanto, in mancanza dei presupposti legittimanti la domanda di condono, a nulla rileva l’avvenuto decorso dei termini fissati dalle norme richiamate da parte appellante.
10. Devono essere respinte anche le doglianze articolate con i restanti mezzi (terzo, quarto e quinto motivo di appello), che sono suscettibili di trattazione unitaria stante la loro connessione.
11. Con tali mezzi l’appellante deduce vizi di violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e contraddittorietà, sostenendo l’inapplicabilità dei vincoli paesaggistici individuati nel provvedimento di diniego come ostativi alla condonabilità delle opere, che non potrebbe, invece, escludersi sia per l’intervenuta formazione del silenzio – assenso (a seguito del decorso del termine ex lege, prima della imposizione del vincolo per effetto del D.M. 25 gennaio 2010), sia per la tipologia di abuso.
11.1. Inoltre, parte appellante sostiene che, non sussistendo alcun vincolo di inedificabilità assoluta sull’area, l’Amministrazione avrebbe dovuto comunque richiedere il parere di compatibilità paesaggistica dell’opera ai sensi della legge n. 326 del 2003, risultando erroneo il rinvio all’art. 3, comma 1, lett. b) della legge della Regione Lazio n. 12 del 2004 contenuto nel gravato provvedimento circa la non sanabilità dell’opera anche se realizzata prima dell’imposizione del vincolo.
11.2. Anche tali censure sono infondate.
11.3. Giova riepilogare il quadro normativo di riferimento, che anche la sentenza appellata ha correttamente ricostruito, traendone le dovute conseguenze sul piano applicativo, alla luce degli elementi in fatto che connotano la fattispecie concreta.
11.4. Il decreto – legge n. 269 del 30 settembre 2003 – convertito dalla legge n. 326 del 24 novembre 2003 – ha previsto un condono edilizio per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003 (c.d. terzo condono), ma, diversamente dalle discipline dettate dalla legge n. 47 del 1985 e dalla legge n. 724 del 1994, ha specificamente individuato le tipologie di opere condonabili ed ha limitato la possibilità di sanatoria in presenza di vincoli.
11.5. Difatti, in base alla richiamata disciplina, solo determinate tipologie di interventi – c.d. abusi formali – risultano condonabili se realizzati in aree sottoposte a vincolo.
In particolare, l’art 32, comma 26, lettera a) della legge n. 326 del 2003 ha previsto espressamente la sanatoria edilizia nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo solo per le opere di restauro e risanamento conservativo, opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume.
Ne consegue che, come evidenziato dal primo giudice, la realizzazione di nuovi volumi e superfici in aree vincolate, indipendentemente dalla data di imposizione del vincolo e dalla natura di vincolo assoluto o relativo alla edificabilità, è estranea all’ambito di applicazione della disciplina dettata sul terzo condono, come recata, congiuntamente, dalla legge n. 326 del 2003 e dalla citata legge regionale n. 12 del 2004 e come costantemente applicata dalla giurisprudenza amministrativa, nonché secondo le coordinate interpretative individuate dalla Corte Costituzionale, investita della verifica di tenuta costituzionale delle relative disposizioni.
Infatti, la norma di cui all’art. 32, comma 27, del decreto legge n. 269 del 2003 è chiara nell’indicare come ostativa alla possibilità di rilascio del condono la realizzazione di opere recanti nuove superfici e nuovi volumi su aree soggette a vincoli posti a tutela dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, declinando la condonabilità degli abusi su aree vincolate in ragione della loro tipologia.
La non condonabilità degli abusi realizzati in una zona soggetta a vincoli paesaggistici e che non siano riconducibili ai cd. “abusi minori” di cui alle tipologie 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 al decreto legge n. 269 del 2003, e quindi la preclusione ex lege alla sanatoria per opere che abbiano comportato un aumento di superficie o di volume, è stata confermata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 196 del 2004, che ha precisato i limiti di applicabilità del c.d. terzo condono, circoscritto ai soli “abusi formali”, ovvero realizzati in mancanza del previo titolo a costruire ma non in contrasto con la vigente disciplina urbanistica e che siano al contempo riconducibili ad abusi minori.
11.6. Inoltre, anche la legge della Regione Lazio n. 12 del 2004 all’art. 3, comma 1, lett. b) prevede che “non sono comunque suscettibili di sanatoria le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali”.
Pertanto, la legge regionale esclude “comunque” dalla possibilità di condono quelle opere abusive che, anche se realizzate prima dell’apposizione del vincolo, hanno comportato un aumento di superficie e di volume.
Dunque, mentre la legge statale (v. comma 26 dell’art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003), sotto il profilo generale, ammette a sanatoria solo determinate tipologie di abusi, e dà rilievo, ai fini della condonabilità delle opere, alla data di apposizione del vincolo – che deve essere successiva rispetto alla data di realizzazione delle opere abusive – e alla conformità alle norme e agli strumenti urbanistici, per la legge regionale del Lazio n. 12 del 2004 è irrilevante che il vincolo sia stato apposto in data successiva alla realizzazione delle opere abusive, essendo le stesse – in relazione a talune tipologie di interventi – ritenute “comunque” non condonabili anche se realizzate prima della apposizione di vincoli.
In ogni caso, rispetto alla previgente disciplina generale in materia di condono sia la citata legge statale che quella regionale hanno limitato le tipologie di opere condonabili, con scelta legislativa ritenuta immune dalla Corte Costituzionale, anche nella recente sentenza n. 181 del 30 luglio 2021, pronunciata con riferimento alla citata legge regionale.
Ne consegue che, alla luce delle richiamate disposizioni della legge statale, da coniugarsi con gli artt. 2 e 3, comma 1, lettera b), della legge regionale Lazio n.12 del 2004, nelle aree soggette a vincoli possono essere suscettibili di sanatoria solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 del decreto legge n. 269 del 2003, ovvero opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, mentre per le altre tipologie di abusi la sanabilità risulta preclusa ex lege (ex plurimis: Consiglio di Stato, sez. VI, 2 agosto 2016, n. 3487; sez. IV, 16 agosto 2017, n. 4007).
In particolare, non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (in tal senso è consolidata anche la giurisprudenza penale: cfr. Cass. pen., sez. III, 20 maggio 2016 n. 40676; così Cassazione penale, sez. III, 24 giugno 2020 n. 26524).
11.7. A fronte di tale ricostruzione dell’ambito di applicabilità del terzo condono, emerge chiaramente l’estraneità, rispetto ad esso, dell’abuso oggetto di istanza di sanatoria – consistente in una sopraelevazione destinata ad abitazione di superficie complessiva pari a mq 119,42 – che, in quanto comportante aumento di superficie e di volume in area sottoposta a vincoli, risulta ex lege non condonabile.
Consegue, dalle considerazioni sin qui illustrate, che l’accertata estraneità delle opere con riferimento alle quali è stato adottato il gravato diniego di condono dall’ambito applicativo del c.d. terzo condono costituisce valido fondamento del diniego impugnato, che la sentenza appellata ha correttamente ritenuto adottato in corretta applicazione della disciplina di riferimento e, pertanto, immune dalle censure proposte.
11.8. Né è fondato l’assunto secondo il quale l’area sarebbe estranea al vincolo: l’istruttoria richiamata nella motivazione a corredo dell’atto impugnato e seguita alle osservazioni dell’interessato ha consentito all’Amministrazione di verificare l’insistenza dei vincoli paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. a) e lett. b) del Codice.
11.9. La sentenza merita di essere confermata anche nella parte in cui ha disatteso la censura di parte ricorrente che, muovendo dalla natura relativa del vincolo gravante sull’area, ha affermato la necessità della previa acquisizione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo ai fini della verifica in concreto della compatibilità dell’opera con l’assetto vincolistico.
Al riguardo, il Tribunale ha infatti correttamente evidenziato che la tesi attorea è smentita sia dalle chiare previsioni della disciplina normativa statale e regionale sul terzo condono – circoscritta ai soli abusi minori – sia alla luce della interpretazione che la Corte Costituzionale ha dato a tale disciplina.
Non possono, infatti, essere sanate quelle opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa (Cons. Stato, sez. II, 15 ottobre 2019 n. 703; sez. VI, 5 agosto 2020 n. 4933; sez. VI, 21 febbraio 2017 n. 813; id. 27 aprile 2017 n. 1935).
In particolare, ai sensi dell’art. 32 comma 27 lett. d) del decreto legge su menzionato, come convertito, sul terzo condono, sono sanabili le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima della imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria), essendo nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo consentita la sanatoria dei soli abusi formali.
Non è quindi necessaria, laddove l’abuso ricada in zona vincolata e non rientri tra gli abusi minori, l’acquisizione del parere dell’Autorità preposta al vincolo, in linea con l’esigenza di economicità dell’azione amministrativa, essendo superflua, in acclarata mancanza dei presupposti di legge per la condonabilità delle opere, l’effettuazione di un inutile vaglio di compatibilità paesaggistica (Consiglio di Stato, sez. VI, 18 maggio 2015 n. 2518; id. 1 dicembre 2021, n. 8004; 17 gennaio 2020, n. 425; 28 ottobre 2019, n.7341; 17 settembre 2019, n. 6182).
Non hanno pertanto rilievo le argomentazioni dell’appellante volte ad affermare la natura relativa del vincolo, non comportante un divieto assoluto di edificabilità.
Infatti, né la legge statale né quella regionale consentono distinzioni, ai fini all’ammissione al condono, sulla base della natura del vincolo, posto che anche vincoli di carattere relativo, in presenza di opere comportanti la creazione di nuove superfici e nuovi volumi, precludono il condono, senza necessità dell’acquisizione del parere di compatibilità paesaggistica.
Ne consegue che nella fattispecie in esame, venendo in rilievo una ipotesi di preclusione normativa al condono per determinate tipologie di opere – cui sono riconducibili quelle abusive oggetto dell’istanza di sanatoria – non vi è alcuna necessità di procedere all’accertamento di compatibilità delle opere con il vincolo paesaggistico tramite acquisizione del parere.
12. In ragione della natura eccezionale e derogatoria – e quindi non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica – della normativa condonistica incentrata sulla previsione, da parte del legislatore statale, di una procedura di regolarizzazione degli abusi edilizi volta a sanare un illecito rilevante sia sul piano penale che amministrativo e, pertanto, limitata alle ipotesi tassativamente previste dalla legge, la sentenza appellata ha correttamente ritenuto non irragionevole che il legislatore, anche regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo – quello regionale – l’ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni.
Infatti, deve rilevarsi che la portata più restrittiva del condono, come introdotto dalla legge n. 236 del 2003 – che lo limita alle sole opere di minore rilevanza ed impatto sul territorio – e dalla legge Regione Lazio n. 12 del 2004 – che riconnette valenza ostativa anche ai vincoli imposti successivamente alla realizzazione delle opere – risponde all’obiettivo di tutela di valori che presentano rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici.
12.1. A tale proposito, va altresì ricordato che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 181 del 30 luglio 2021, ha dichiarato legittima la scelta del legislatore regionale del Lazio, il quale, prevedendo all’art. 3, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 12 del 2004, che anche il vincolo sopravvenuto determina la non condonabilità dell’opera abusiva, ha adottato un regime più restrittivo di quello previsto dalla normativa statale sul condono, la quale in caso di vincolo sopravvenuto delle opere insistenti su aree vincolate ammette la condonabilità delle opere soltanto in presenza di determinate condizioni.
Deve, al riguardo rilevarsi, su un piano più generale, che nei settori dell’urbanistica e dell’edilizia, i poteri legislativi regionali sono ascrivibili alla competenza di tipo concorrente in tema di “governo del territorio”, e, avuto riguardo alla disciplina del condono edilizio – per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale – solo alcuni limitati contenuti di principio possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori.
12.2. Devono poi richiamarsi al riguardo anche le statuizioni contenute nella decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20 del 1999, ai sensi della quale deve darsi applicazione alla normativa vigente al momento dell’esame dell’istanza, stante l’irrilevanza dell’incertezza e della variabilità degli esiti in relazione alle diverse tempistiche di definizione delle istanze con riguardo alla sopravvenienza del vincolo rispetto alla realizzazione delle opere, tenuto conto che l’ordinamento appresta rimedi di carattere procedimentale, mediante strumenti di sollecitazione e, se del caso, di sostituzione dell’amministrazione inerte, idonei in particolare a tutelare il cittadino contro ritardi ingiustificati dell’azione amministrativa.
13. All’infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto dell’appello.
14. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 08.09.2025 n. 7247