1. In data 1.4.2019, il ricorrente presentava al Comune di Ascoli Piceno una SCIA in sanatoria relativamente ad un immobile di sua proprietà, assentito con licenza edilizia n. 246/1974. Successivamente, e precisamente in data 15.5.2020, il medesimo presentava una SCIA per lavori di rafforzamento dei locali, da effettuare sul medesimo immobile e resisi necessari a seguito del sisma del 2016, sulla base del progetto redatto dal geom. Perotti Daniele, allegato alla segnalazione insieme ad altri documenti. Espletata l’istruttoria ed effettuate le dovute integrazioni documentali, con nota prot. 37518 del 4.6.2020 il SUE comunicava l’insussistenza di condizioni ostative agli interventi di cui alla richiesta di contributo.
A distanza di circa due anni, ossia in data 12.7.2022, perveniva al Comune un esposto da parte dei vicini, con cui si chiedeva all’Amministrazione di verificare l’illegittimo aumento dell’altezza dovuto all’innalzamento della quota dell’estradosso del tetto dell’immobile in questione, tale da occultare quasi interamente la vista di finestre che prima si fronteggiavano.
Il Comune, quindi, con nota prot. 90761 del 12.10.2022, chiedeva al tecnico del ricorrente integrazione documentale, richiesta che veniva riscontrata con nota prot. n. 93065 del 18.10.2022, in cui si evidenziava che “non sono state realizzate opere diverse da quanto regolarmente depositato nei vari enti preposti al controllo, senza nulla eccepire, sul progetto di cui all’oggetto e quindi conformi”.
All’esito dell’istruttoria, il SUE comunicava l’avvio del procedimento amministrativo sanzionatorio per “opere non conformi alla disciplina urbanistica, così come disciplinate dall’art. 27, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001”, con particolare riferimento all’art. 65 della Guida degli interventi del PPE delCentro storico della città, nella parte in cui detta prescrizioni in materia di coibentazione ed impermeabilizzazione delle coperture (cfr., nota prot. 37839 del 4.5.2023).
Infine, acquisite le controdeduzioni di controparte, veniva emanata l’impugnata ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, prot. n. 44181 del 22.5.2024, ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. 380/2001, con cui si intimava di ripristinare la falda del tetto nel rispetto delle tipologie di intervento indicate dall’art. 38 del PPE Centro storico ovvero nel rispetto dell’altezza massima e della sagoma preesistenti.
Avverso tale provvedimento è insorto il ricorrente con il presente ricorso, lamentandone l’illegittimità per i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 12 del D.L. n. 189/2016, nel combinato 5 disposto con l’art. 3 bis del D.L. n. 123/2019, nonché dell’art. 5 dell’O.C.S.R. n. 107/2020 e dell’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 102/2014, dal momento che il Comune non avrebbe tenuto conto della disciplina derogatoria con finalità acceleratorie contenuta nelle citate disposizioni, per gli interventi di ricostruzione post sisma da realizzarsi sugli immobili situati nel cosiddetto “cratere”, che sostanzialmente considererebbe conformi gli interventi che comportano variazioni dei parametri per fini di efficientamento energetico e sismico, anche in deroga agli strumenti urbanistici comunali, e pertanto immediatamente attuabili con SCIA. Nel caso di specie, peraltro, si tratterebbe di una variazione minima dell’altezza, pari a 15 cm, che coincide esattamente con lo spessore del pannello isolante termico posto sull’estradosso del manto di copertura, applicato al solo fine di coibentare il locale sottostante e di conseguire l’efficientamento energetico in termini di riscaldamento e raffrescamento dell’immobile. Non si applicherebbero, all’intervento in questione, i limiti previsti dall’art. 38 delle NTA del Piano Particolareggiato Esecutivo del Centro Storico di Ascoli Piceno, in quanto espressamente derogati dalla disciplina emergenziale;
– violazione dell’art. 34 bis del D.P.R. 380/2001, come modificato dal D.L. n. 69/2024 con effetto retroattivo, dal momento che la variazione è comunque contenuta nei limiti delle tolleranze di legge;
– violazione degli artt. 19 e 21 nonies della legge n. 241/1990 e dell’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, che impongono l’esercizio del potere di autotutela entro un termine perentorio, e difetto dei presupposti per l’emanazione dell’ordinanza di ripristino, nonché difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi. Invero, poiché l’intervento sarebbe stato realizzato sulla base di un titolo edilizio ormai consolidato, il Comune non avrebbe potuto intervenire se non in autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 24171990, essendo ormai decorso il termine per l’esercizio dei poteri di controllo di cui all’art. 19 della medesima legge. In ogni caso, difetterebbe la motivazione circa l’interesse pubblico al ripristino, tanto più necessaria trattandosi di intervento realizzato nell’ambito della ricostruzione post sisma e determinante un aumento irrilevante dell’altezza, anche in base ai parametri della legge regionale n. 17/2015, art. 8.
Si è costituito in giudizio, per resistere, il Comune di Ascoli Piceno, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del gravame per omessa notifica dello stesso ad almeno un controinteressato. Nel merito, ha dedotto l’infondatezza delle avverse censure e ha chiesto il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 29 maggio 2025, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. In via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica ai controinteressati, ovvero ai soggetti autori dell’esposto che ha originato l’accertamento da parte del Comune e l’emanazione del conseguente ordine di demolizione.
Al riguardo giova richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale “di norma nell’impugnazione di un’ordinanza di demolizione non sono configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio “anche nel caso in cui sia palese la posizione di vantaggio che scaturirebbe per il terzo dall’esecuzione della misura repressiva ed anche quando il terzo avesse provveduto a segnalare all’amministrazione l’illecito edilizio da altri commesso” (Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2011, n. 3380; Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017 n. 4174, vedi anche Cons. Stato, IV, 11.3.2013, n. 1473: “nel caso di impugnazione di un diniego di permesso di costruire o di una ordinanza di demolizione non sono configurabili controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contradditorio, atteso che la qualifica di controinteressato va riconosciuta non già a chi abbia un interesse anche legittimo, a mantenere in vita il provvedimento impugnato (e tanto meno a che ne subisca conseguenze soltanto indirette o riflesse), ma solo a chi dal provvedimento stesso riceva un vantaggio diretto ed immediato, ossia un positivo ampliamento della propria sfera giuridica”)” (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2021, n. 5257; in termini, TAR Umbria Perugia, sez. I, 21 ottobre 2024, n. 698; TAR Campania Salerno, sez. II, 4 settembre 2024, n. 1612; TAR Sicilia Catania, sez. IV, 6 settembre 2023, n. 2633).
Il riconoscimento della qualifica di controinteressato in senso tecnico (ossia di litisconsorte necessario) è subordinato alla sussistenza di due elementi: uno di carattere formale ossia, ai sensi dell’art. 41 c.p.a., la sua espressa menzione nel provvedimento impugnato, e uno di carattere sostanziale, ossia la titolarità di un interesse qualificato alla conservazione del provvedimento impugnato; quest’ultima è da intendersi non già come interesse, anche legittimo, a mantenere in vita detto provvedimento e a non subirne conseguenze (soltanto) indirette o riflesse, ma è controinteressato in senso tecnico solo chi dal provvedimento stesso riceva un vantaggio diretto e immediato rispetto ad un proprio diritto reale dal diniego del titolo abilitativo o dall’attività repressiva dell’Amministrazione.
Nel caso in questione, sebbene sussista, in capo agli autori dell’esposto, il requisito di carattere formale per rivestire la qualifica di controinteressati, essendo essi stati menzionati nell’ordinanza di demolizione anche per relationem agli altri atti del procedimento, non altrettanto può dirsi sussistente il requisito di carattere sostanziale, dal momento che il fatto che le opere oggetto di demolizione si pongano anche in violazione del diritto di proprietà degli esponenti non trova immediato riscontro nell’ordine di demolizione medesimo, quest’ultimo basato su rilievi di carattere essenzialmente edilizio e urbanistico (difformità dal titolo rilasciato e dall’art. 38 del PPE Centro storico). Né risulta che l’Amministrazione abbia svolto uno specifico accertamento sulla lesione della limitrofa proprietà per effetto dell’intervento realizzato dal ricorrente, avendo il Comune, si ribadisce, giustificato il provvedimento rilevando un altro genere di difformità.
Resta ovviamente salva ogni eventuale valutazione da parte del giudice competente circa la supposta violazione della disciplina sulle luci e/o vedute e/o distanze e su ogni eventuale ulteriore violazione del diritto di proprietà (o altro diritto reale) dei vicini.
Per tutto quanto precede, l’eccezione in esame va respinta.
3. Nel merito, il ricorso è fondato e va accolto nei termini che seguono.
3.1. Il Collegio, in applicazione del principio della ragione più liquida (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 5/2015), ritiene meritevole di positiva considerazione il terzo mezzo di gravame.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune sia nei provvedimenti adottati sia negli scritti difensivi, l’intervento in parola è stato realizzato dal ricorrente sulla base di un titolo edilizio e in conformità ad esso. Invero, dalla documentazione in atti può ricavarsi che, tra gli allegati alla SCIA (documenti nn. 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater prodotti dal Comune), il ricorrente ha depositato all’Ente le tavole progettuali riportanti lo stato ante operam e post operam, da cui è agevole ricavare l’innalzamento della quota dell’estradosso del tetto dell’immobile principale e dell’accessorio, dovuto all’alloggiamento della coibentazione. E’ anche sulla base di tali elementi, che dunque sono stati portati a conoscenza dell’Amministrazione, che il Comune ha rilasciato il proprio nulla osta all’intervento (cfr., allegati nn. 2 e 3 al ricorso).
Per consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale:
– è illegittimo l’operato dell’Amministrazione che, in presenza di una SCIA per la realizzazione di un intervento edilizio, adotti provvedimenti di diffida, di sospensione dell’efficacia o di demolizione dopo che sia decorso il termine di trenta giorni di cui all’art. 19, commi 3 e 6 bis, della legge n. 241/1990, previsto per il consolidamento del titolo edilizio, senza fare previo ricorso all’adozione di poteri di autotutela e senza alcuna motivazione in punto di interesse pubblico alla rimozione del titolo dichiarato inefficace nonché di necessaria comparazione tra interesse pubblico e interesse privato e di prevalenza del primo sul secondo nel caso in specie. Infatti, costituisce jus receptum il principio per cui, affinché il potere di intervento “tardivo” sulla SCIA possa dirsi legittimamente esercitato, è indispensabile che, ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. I, n. 157/2024; TAR Puglia Bari, sez. III, n. 1369/2023; TAR Puglia Lecce, sez. I, 1008/2022; TAR Campania Salerno, sez. II, n. 3499/2022; TAR Venezia Veneto, sez. II, n. 1092/2019);
– è altresì illegittimo, per difetto di motivazione, il provvedimento inibitorio della SCIA che rechi soltanto le ragioni (sostanziali) del divieto, ma non rispetti le condizioni previste dall’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, in quanto non indica le ragioni di interesse pubblico e non contempla alcuna valutazione degli interessi dei destinatari (cfr. ex multis, TAR Lazio Roma, sez. II, n. 10212/2019).
Ebbene, nel caso in esame, a differenza di quanto sostenuto dal Comune nell’ordinanza impugnata, il ricorrente ha realizzato l’intervento in conformità al titolo edilizio posseduto, che si è consolidato a seguito delle integrazioni documentali e del decorso del tempo senza che alcuna attività dell’Amministrazione sia tempestivamente seguita. Non possono condividersi i rilievi del Comune secondo cui la fattispecie si sottrarrebbe al limite temporale invocato dal ricorrente per il fatto che il titolo edilizio si sarebbe formato in seguito ad una condotta dello stesso non conforme ai canoni di correttezza e buona fede (ossia per avere il tecnico incaricato asseverato la conformità urbanistica ed edilizia delle opere realizzate, in realtà non sussistente). Ciò in quanto, si ribadisce, l’intervento è stato compiutamente rappresentato negli allegati alla SCIA e, a quanto consta, è stato realizzato in conformità al progetto esaminato dall’Amministrazione (quest’ultima contesta, infatti, l’avvenuto innalzamento della quota e la difformità dal titolo edilizio – che, a suo dire, non prevedeva la possibilità di aumenti di altezza/volume e/o variazioni della sagoma proprio perché rilasciato in dichiarata conformità agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti, che tali variazioni non consentono – ma non contesta che le opere realizzate siano difformi rispetto a quanto riportato negli elaborati progettuali allegati alla SCIA). Inoltre, l’affermazione del tecnico incaricato, secondo la quale l’intervento è conforme alla normativa urbanistico-edilizia, è frutto di una valutazione di natura tecnica influenzata dalla ritenuta applicabilità, alla fattispecie, delle previsioni derogatorie della disciplina emergenziale; in quanto tale, siffatta dichiarazione non può atteggiarsi alla stregua di una falsa rappresentazione.
Ne discende che l’ordinanza di demolizione gravata, poiché ha ad oggetto le stesse opere già oggetto di SCIA (già consolidatasi), è stata illegittimamente adottata oltre i termini per l’esercizio del potere inibitorio – repressivo, costituendo essa un titolo abilitativo valido ed efficace, che avrebbe potuto essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso un atto di autotutela decisoria e con le garanzie e i presupposti propri di quest’ultima, potere che nella specie non è stato esercitato.
3.2. Per completezza, si osserva che non può condividersi quanto sostenuto dall’Amministrazione nell’ordinanza di demolizione circa il fatto che l’intervento realizzato, in quanto idoneo ad incidere sui parametri edilizi ed urbanistici dell’immobile in ragione dell’incremento dell’altezza e della modifica della sagoma, sarebbe tra quelli annoverati dall’art. 10 del DPR n. 380/2001 e subordinati al rilascio del permesso di costruire.
Posto che trattasi di intervento di ricostruzione privata post sisma 2016 a cui si applica la legislazione speciale emergenziale richiamata dal ricorrente, va considerato che la variazione determinata dallo stesso è di modesta entità, trattandosi di un aumento di altezza di 15 centimetri, pari allo spessore del pannello isolante applicato sulla copertura e realizzato per finalità di efficientamento energetico, con sostanziale invarianza della sagoma e dei prospetti dell’edificio, nonché dei volumi interni. Come allegato dal ricorrente, la scelta di procedere con l’applicazione della coibentazione esterna anziché interna è dipesa dalla necessità di mantenere i requisiti sanitari e abitativi minimi dei locali, che altrimenti avrebbero subito un abbassamento delle altezze interne con essi non compatibile. Rispetto a tale circostanza, nulla è stato controdedotto dal Comune, che non ha neppure eseguito accertamenti in loco.
L’assunto dell’Amministrazione secondo cui l’applicazione della disciplina emergenziale incontri necessariamente il limite della conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia è in astratto condivisibile, ma non si attaglia al caso concreto, dal momento che, come pure si legge nella circolare prot. CGRTS 0002594 del 27 gennaio 2021 del Commissario Straordinario del Governo (cfr., allegato n. 10 al ricorso), “… La disciplina ora introdotta dal legislatore, che conferma pienamente i principi dell’ordinanza commissariale 100/2020, consente la realizzazione con SCIA di tutti gli interventi edilizi che siano conformi all’edificio preesistente ossia che non aumentino le volumetrie, salvo che per le parziali modifiche per ragioni sismiche o di efficientamento energetico, a condizione che l’edificio preesistente sia “legittimo”, fatti salvi gli abusi per difformità parziali comunque sanabili ai sensi dell’art 1 sexies del decreto legge n. 55 del 2018. E’ sempre ammessa la ricostruzione con totale demolizione, nei limiti di cui sopra, anche nei centri storici.
Se l’intervento è conforme e non vi sono sostanziali alterazioni dello stato esteriore non è dovuta l’autorizzazione paesaggistica ed è comunque ammessa la modifica dei prospetti. La modifica della sagoma è ammessa con SCIA solo nei limiti degli ingombri planivolumetrici esistenti mentre, nei casi diversi, sarà necessario il permesso di costruire. Il permesso di costruire è altresì necessario per le nuove costruzioni, le ristrutturazioni edilizie con aumenti di volumetria nonché per le delocalizzazioni volontarie”.
Ebbene, è evidente che l’intervento realizzato dal ricorrente rientra nell’ipotesi descritta al primo capoverso del testo della circolare sopra citato, dal momento che l’innalzamento della quota del tetto di soli 15 centimetri – corrispondenti, si ribadisce, allo spessore della coibentazione – va ricondotto al novero delle “modeste variazioni” necessarie per l’efficientamento energetico dell’edificio. Non si è, infatti, al cospetto di un intervento che ha determinato rilevanti alterazioni dello stato esteriore e neppure una importante modifica della sagoma e del volume, che sono rimasti sostanzialmente invariati, sicché, ad avviso del Collegio esso è stato correttamente assentito mediante SCIA.
Quanto appena chiarito vale a sostenere, nei termini esposti, anche la fondatezza del primo motivo di ricorso.
3.3. In conclusione, ogni altra censura assorbita, il ricorso è fondato e va accolto; per l’effetto, l’impugnata ordinanza va annullata.
4. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti, stanti la novità delle questioni trattate e i profili peculiari della vicenda.
TAR MARCHE, II – sentenza 18.10.2025 n. 789