Urbanistica e edilizia – Realizzazione di un’opra in contrasto con i vincoli paesaggistici e sanatoria

Urbanistica e edilizia – Realizzazione di un’opra in contrasto con i vincoli paesaggistici e sanatoria

Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica – poi trasposto innanzi all’intestato TAR, ed ivi iscritto al R.g. n. 12293/2019, giusta rituale opposizione ex art. 10, d.P.R. n. 1191/1971, di Roma Capitale – l’odierna ricorrente ha chiesto l’annullamento della nota Mi.B.A.C.T., Parco Archeologico dell’Appia Antica, 13 marzo 2018, prot. n. 654, recante parere negativo, ex art. 32 della legge n. 47/1985, al rilascio di talune sanatorie edilizie, ivi meglio specificate, ritenute non concedibili in ragione dell’asserita esistenza, sull’area in questione, di un vincolo di inedificabilità assoluta.

L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi di diritto:

I. Violazione per falsa od omessa applicazione degli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241/1990, in relazione all’art. 32 della legge n. 47/1985 ed agli artt. 135, 136, 142 e 146 del d.lgs. n. 42/2004, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento dei fatti e dei presupposti, manifesta irragionevolezza ed illogicità della motivazione, violazione del giusto procedimento e sviamento di potere, non essendo stati resi alla ricorrente né l’avviso di avvio del procedimento preordinato all’adozione del parere impugnato né il preavviso di adozione di parere negativo, rispettivamente richiesti dagli artt. 7 e 10-bis della legge n. 241/1990.

II. Violazione per falsa od omessa applicazione del combinato disposto dell’art. 1 della legge regionale n. 59/1995 e degli artt. 146 e 159 del d.lgs. n. 42/2004 in relazione alla violazione dell’art. 32 della legge n. 47/1985, nonché eccesso di potere per incompetenza, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento dei fatti e dei presupposti, manifesta irragionevolezza ed illogicità della motivazione, violazione del giusto procedimento e sviamento di potere, atteso che l’art. 1, comma 6, della legge regionale n. 59/1995 affida al Comune territorialmente competente – e non all’Amministrazione ministeriale – la potestà di emanare il parere richiesto, a fini di sanatoria edilizia, dall’art. 32 della legge n. 47/1985, in ordine alle istanze di condono per opere realizzate entro il 31 dicembre 1993 (e, quindi, oggetto di istanze di sanatoria edilizi ai sensi delle leggi nn. 47/1985 e 724/1994), riservando, invece, alla competente Soprintendenza ministeriale il potere di annullamento del parere paesaggistico subdelegato, reso dal Comune competente, da esercitarsi entro 90 giorni dal suo ricevimento.

III. Violazione per falsa od omessa applicazione dell’art. 32 della legge n. 47/1985, in relazione all’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, all’art. 2 della legge n. 1187/1968, all’art. 9 del d.P.R. n. n. 327/2001, all’art. 4, ult. comma della legge n. 10/1977, ed all’art. del d.P.R. n. 380/2001, oltre che in sviata od elusa applicazione delle conferenti previsioni dettate dai d.m. 14 dicembre 1953 e 11 febbraio 1960, e dal P.T.P. n. 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica e Acquedotti”, approvato con delibera del Consiglio regionale n. 70/2010, con conseguente eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà manifeste, violazione del giusto procedimento e sviamento, emergendo evidente l’abnorme erroneità che connota l’unica motivazione resa a sostegno del parere impugnato, secondo cui “gli abusi risultano ultimati al 31/12/1993, e pertanto risultano successivi all’adozione del PRG (1965), che ha sancito definitivamente l’inedificabilità dell’area, già peraltro riferibile al vincolo paesaggistico ex lege 1-OMISSIS-7/39 (DM 14/12/1953)”.

IV. Violazione per falsa od omessa applicazione dell’art. 32 della legge n. 47/1985, in relazione agli artt. 142 e 146 del d.lgs. n. 42/2004, ed all’art 3 della legge n. 241/1990, nonché dell’art. 40, comma 1, lett. C4), N.T.A., P.T.P. n. 15/12, con conseguente eccesso di potere per difetto di istruttoria, manifesta carenza, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, travisamento dei fatti e dei presupposti, violazione del giusto procedimento e sviamento, emergendo ictu oculi l’assenza, nel parere impugnato, di qualsiasi motivazione che – oltre la mera elencazione dei reperti presenti in zona – espliciti, e lasci cogliere, quali impedimenti – cagionati dagli interventi richiesti di sanatoria dalla ricorrente – pregiudicherebbero la visibilità di quei reperti, o ridurrebbero l’ampiezza del luogo che li ospita, compromettendone la godibilità e ponendosi in contrasto con le previsioni di tutela paesistica ivi dettate dal P.T.P. n. 15/12; ciò, dato pure che interventi di cui è causa – oltre ad essere di minima entità ed in larga parte interrati – sono comunque tutti interni al muro di recinzione della proprietà privata della ricorrente, con l’effetto di non interferire affatto con l’ampiezza dell’intorno di quei reperti, accessibile alla collettività, né con la loro fruibilità.

V. Violazione per falsa od omessa applicazione dell’art. 32 della legge n. 47/1985, in relazione agli artt. 136, 142 e 146 del d.lgs. n. 42/2004, ed agli artt. 2 e 4 del d.P.R. n. 31/2017, in derivata violazione delle conferenti prescrizioni di zona del P.T.P. n. 15/12, con eccesso di potere con conseguente eccesso di potere per difetto di istruttoria, manifesta carenza, illogicità ed irragionevolezza della motivazione, travisamento dei fatti e dei presupposti, violazione del giusto procedimento e sviamento, nella parte in cui il parere ministeriale impugnato estende indistintamente, in modo del tutto apodittico ed immotivato, un unico negativo giudizio di compatibilità ad un ampio ed eterogeneo novero di interventi, assai diversi tra loro e fatti oggetto di ben cinque distinte istanze di sanatoria edilizia.

Roma Capitale e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali si sono costituiti in giudizio con atto di mera forma.

Con ordinanza istruttoria n. 4344 del 27 febbraio 2025, rimasta senza riscontro, è stato chiesto alle Amministrazioni intimate di produrre in giudizio la documentazione del fascicolo del procedimento, in particolare gli atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato, quelli in esso citati e quelli che la p.a. ritiene utili al giudizio, unitamente ad una dettagliata relazione in ordine ai fatti di causa.

All’udienza di smaltimento dell’arretrato del giorno 26 settembre 2025, all’esito della discussione orale, la causa è passata in decisione.

Nel merito il ricorso è fondato e va accolto avuto riguardo all’assorbente vizio inerente la violazione delle garanzie partecipative di cui agli artt. artt. 7 e 10-bis, della legge n. 241/1990.

Non risultano infatti mai comunicati alla ricorrente né l’avviso di avvio del procedimento preordinato all’adozione del parere impugnato, avviso imposto dall’art. 7 della legge n. 241/1990, né il preavviso di adozione di parere negativo, richiesto dall’art. 10-bis della stessa legge n. 241/1990 e confermato dall’art. 146, comma 8, d.lgs. n. 42/2004, a tenore del quale “Il soprintendente, in caso di parere negativo, comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo ai sensi dell’articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

Trattasi a ben vedere di omissioni particolarmente rilevanti rispetto al caso di specie, posto e considerato l’adozione del gravato parere negativo ha precluso in radice la sanabilità dei manufatti fatti oggetto delle richieste di condono, senza consentire alla ricorrente di poter eventualmente contro dedurre alle osservazioni negative che avrebbero dovuto essere svolte in via interinale dalla P.A. nell’ambito del relativo sub-procedimento.

Può in altri termini affermarsi che, l’omissione delle suddette comunicazioni, peraltro non giustificata da alcuna esigenza di particolare celerità del procedimento, ha illegittimamente estromesso la ricorrente dal partecipare all’istruttoria, impedendole di interloquire col responsabile del procedimento, onde fornire i possibili apporti conoscitivi utili alla migliore definizione del provvedimento finale, quanto meno con riferimento al fatto che al momento dell’adozione dell’impugnato parere negativo, il decreto ministeriale 14 dicembre 1953, impositivo del vincolo d’interesse paesaggistico sull’intero comprensorio dell’Appia Antica, era stato superato e sostituito dal Piano Territoriale Paesistico n. 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica e Acquedotti” (approvato con delibera del Consiglio regionale 10 febbraio 2010, n. 70) annullato in parte qua, proprio per la proprietà della ricorrente, con sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-Bis, n. 8192 del 9 luglio 2021, passata in giudicato, nella quale si statuito che, “con riferimento a parte del motivo sub 5, laddove vengono censurate le previsioni del PTP di sottoporre al regime vincolistico meno rigoroso (T.O) l’area a giardino e più severo (T.I.) l’area di sedime su cui poggia il fabbricato in proprietà la censura appare fondata.

È ben vero che gli strumenti di pianificazione sono considerati atti amministrativi assunti sulla base di valutazioni tecnico-discrezionali e con scelte localizzative dettate dalla più ampia discrezionalità amministrativa – anche se di tipo settoriale e per aree non troppo estese – come tali richiedenti un onere motivazionale attenuato (cfr. in ultimo Cons. Stato, II, n. 2056 del 2021).

Tuttavia necessitano di una motivazione quelle previsioni vincolistiche, di stringente tenore, in relazione alle finalità prefissate, tenuto conto del contesto circostante (cfr. TAR Sardegna, II, n. 584 del 2018).

Al riguardo occorre dunque rilevare che laddove l’aspetto di abuso è circoscritto unicamente all’accorpamento di due preesistenti unità immobiliari legittime, per complessivi mq. 60, l’includere la relativa area di sedime nella zona di massima tutela, con il corrispondente art. 30 delle NTA del PTP che fa riferimento al valore e interesse archeologico e storico-monumentale, a fronte poi di un regime di tutela attenuato cui è stata sottoposta l’adiacente area a giardino inedificata, appare immotivato”.

L’Amministrazione dovrà pertanto rivedere le proprie disposizioni, con limitato riferimento ai suddetti specifici profili, attinenti alla costruzione in argomento, fornendone adeguata motivazione.”.

Appare pertanto evidente il difetto della motivazione a sostegno del gravato parere – laddove si afferma che “gli abusi risultano ultimati al 31/12/1993, e pertanto risultano successivi all’adozione del PRG (1965), che ha sancito definitivamente l’inedificabilità dell’area, già peraltro riferibile al vincolo paesaggistico ex lege 1-OMISSIS-7/39 (DM 14/12/1953)” – che non consente di ritenere applicabile al caso di specie l’esimente di annullabilità prevista dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990.

Alla luce delle suesposte considerazione il ricorso va accolto con conseguente annullamento del parere impugnato, fermo comunque restando il potere-dovere dell’Amministrazione ministeriale di rideterminarsi sulle istanze di condono per cui è causa nel pieno rispetto delle garanzie di cui agli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241/1990, onde consentire alla parte ricorrente di partecipare attivamente al relativo procedimento.

In considerazione dei fatti di causa e dell’esito della controversia, sussistono giuste ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti.

TAR LAZIO, II QUATER – sentenza 06.10.2025 n. 17109

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