*Urbanistica e edilizia – Realizzazione di un fabbricato abusivo, criteri distintivi dell’autonomia funzionale rispetto a quella strutturale e legittimità dell’ordine di demolizione per l’incidenza del servizio dell’opera principale sul paesaggio

*Urbanistica e edilizia – Realizzazione di un fabbricato abusivo, criteri distintivi dell’autonomia funzionale rispetto a quella strutturale e legittimità dell’ordine di demolizione per l’incidenza del servizio dell’opera principale sul paesaggio

1. I signori -OMISSIS- e -OMISSIS- hanno impugnato innanzi al TAR Campania, Sezione staccata di Salerno, l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 8/17 e la successiva ordinanza di demolizione m.-OMISSIS-, emesse dal Comune di Pisciotta con riferimento alle seguenti opere, realizzate senza titolo in località Mafiola, su un terreno distinto in catasto al fg. 34, p.lla 429: a) fabbricato ad un piano con l’utilizzo di mattoni forati portanti e copertura costituita da travi portanti in legno lamellare; b) cancello in ferro in corrispondenza del lato est del confine di proprietà; c) due muri di contenimento in cemento rivestiti in pietra locale.

A sostegno del ricorso, essi hanno articolato i seguenti motivi di gravame: 1) omessa notifica dell’ordinanza di sospensione; 2) mancata instaurazione del contraddittorio preventivo; 3) applicabilità della sanzione pecuniaria per le opere sub b) e c); 4) assenza di responsabilità per la realizzazione del fabbricato, costruito dieci anni prima dai loro danti causa; 5) mancata valutazione del pregiudizio che la demolizione arreca alle opere legittimamente eseguite.

Hanno chiesto pertanto l’annullamento degli atti impugnati, con vittoria delle spese di lite.

Nessuno si è costituito per l’Amministrazione intimata.

Con sentenza n. 878/22 il TAR Campania, Sezione staccata Salerno, ha rigettato il ricorso.

Avverso tale statuizione giudiziale i signori -OMISSIS- e -OMISSIS- hanno interposto appello, affidato ai seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati: 1) error in iudicando; omessa pronuncia; violazione dell’art. 112 c.p.c; 2) error in iudicando; omesso esame della dedotta violazione dell’art. 7 l. n. 241/90; 3) error in iudicando; violazione degli artt. 3, 10, 31, 34, 37 d.P.R. n. 380/01; 4) error in iudicando; difetto di istruttoria e di motivazione.

Hanno chiesto pertanto, in accoglimento dell’appello, e in riforma dell’impugnata ordinanza, l’annullamento degli atti impugnati in primo grado. Il tutto con vittoria delle spese di lite.

Nessuno si è costituito per l’Amministrazione intimata.

All’udienza di smaltimento del 23.10.2025 – tenutasi con modalità di collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 87 co. 4-bis c.p.a. – l’appello è stato trattenuto in decisione.

2. L’appello è infondato.

3. Con il primo e secondo motivo di gravame gli appellanti censurano la pronuncia impugnata per avere il giudice di prime cure “ integralmente omesso di considerare il primo motivo proposto nel ricorso introduttivo relativo all’illegittimità del provvedimento sanzionatorio per violazione del procedimento legale tipico, previsto dalla l. n. 241/90. Come detto, con tale motivo si evidenziava che l’ordinanza di demolizione non era stata preceduta dalla necessaria comunicazione ai destinatari di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/90” (atto di appello, pp. 7-8).

Le censure sono infondate.

La giurisprudenza amministrativa è pacifica nel ritenere che: “L’ordine di demolizione di un abuso edilizio costituisce un atto dovuto e vincolato e, in quanto tale, il mancato avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990 non può assumere rilievo qualora sia palese che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente ordinato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge” (C.d.S, VII, 14.4.2025, n. 3168).

Per tali ragioni, nessun vulnus alle garanzie partecipative degli odierni appellanti risulta essersi verificato nel caso di specie, avuto riguardo al carattere rigidamente vincolato dell’impugnata ordinanza di demolizione.

Ne consegue il rigetto delle relative censure.

4. Con il terzo motivo di gravame gli appellanti lamentano il difetto di motivazione, da parte del giudice di prime cure, in ordine alla circostanza che: “… alcuni dei presunti abusi contestati agli odierni appellanti (un cancello di ferro e due muri di cinta in cemento rivestiti in pietra locale, n.d.a.) non erano annoverati tra gli interventi subordinati a permesso di costruire, come previsto dal D.P.R. n. 380/2001. Con la ovvia conseguenza che, se le opere contestate non rientravano tra quelle per cui era necessario produrre istanza edificatoria, non era possibile ricorrere alla sanzione della demolizione, potendo, il Comune di Pisciotta, al più applicare una sanzione pecuniaria” (atto di appello, p. 8).

L’assunto è infondato.

Premette anzitutto il Collegio che, ai fini della valutazione del carattere abusivo dell’opera, il relativo accertamento riveste carattere sintetico e globale, potendo investire anche singoli beni privi di autonomia economica e/o strutturale, e posti invece a servizio dell’opera principale.

Ciò premesso, rileva il Collegio che i beni dei quali gli appellanti lamentano l’illegittimità dell’emanato ordine demolitorio – il cancello in ferro, e i due muri di cinta – difettano di autonomia strutturale e funzionale, essendo posti a servizio del fabbricato abusivamente realizzato dagli appellanti.

Per tali ragioni, del tutto legittimamente l’ordine demolitorio è stato rivolto anche all’indirizzo di tali opere, avuto altresì riguardo alla circostanza che, insistendo tali opere in area vincolata, nessun intervento di nuova costruzione era possibile, soprattutto in assenza della competente valutazione ad opera dell’Autorità paesaggistica.

5. Alla stessa stregua, deve ritenersi infondata l’ulteriore censura di parte appellante, secondo cui la realizzazione di siffatte opere non imponeva l’adozione dell’ordine di demolizione “… potendo

l’Amministrazione al più applicare una sanzione pecuniaria” (atto di appello, p. 12), avendo da tempo questo Consiglio di Stato chiarito che la relativa verifica va compiuta su segnalazione della parte privata durante la fase esecutiva, e non d’ufficio dall’Amministrazione procedente all’atto dell’adozione del provvedimento sanzionatorio (cfr. C.d.S, VI, 24 novembre 2021, n. 7889, Id, 10 gennaio 2020, n. 254).

Per tali ragioni, i relativi motivi di gravame sono infondati, e vanno dunque disattesi.

6. Con l’ultimo motivo di gravame gli appellanti deducono il difetto di istruttoria e di motivazione dell’ordine di demolizione.

Il rilievo è infondato, e va dunque disatteso, avendo questo Consiglio di Stato da tempo chiarito, e di recente ribadito, che: “L’ingiunzione di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato e risulta sufficientemente motivato se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività, non richiedendo alcuna ulteriore motivazione, basata su un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata; il decorso del tempo non implica (infatti) un affidamento legittimo da parte dei proprietari dell’abuso, poiché la tutela del legittimo affidamento si riferisce a provvedimenti amministrativi che generano aspettative stabilite e rapporti giuridici certi, cosa che non si verifica nel caso in cui le opere abusive non abbiano i titoli prescritti” (C.d.S, III, 30.4.2025, n. 3695).

Per tali ragioni, unico requisito dell’adottato ordine di demolizione consiste nell’indicazione degli abusi realizzati dai ricorrenti. E poiché l’atto impugnato contiene analitica indicazione di dette opere abusive, esso deve ritenersi immune dalle lamentate censure, costituendo espressione di un potere correttamente esercitato.

7. Conclusivamente, l’appello è infondato.

Ne consegue il suo rigetto.

8. Nulla va dichiarato quanto alle spese di lite, stante la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata.

CONSIGLIO DI STATO, V – sentenza 03.11.2025 n. 8533

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