1. Il ricorrente, proprietario di un immobile sito in San Leucio del Sannio (BN), alla via Ariarelle, impugna i provvedimenti, indicati in epigrafe, adottati dal Comune di San Leucio del Sannio a favore dei coniugi Verdino Domenico e Ranauro Giuseppina, proprietari del fondo confinante, odierni controinteressati.
2. In fatto, rappresenta che, nel 2011 il Comune resistente aveva adottato l’ordinanza di demolizione n. 28/2011 nei confronti dei predetti controinteressati per una serie di opere edilizie realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo, tra cui una scala esterna, balconi, un porticato ed interventi di modifica della sagoma dell’edificio, in violazione della normativa edilizia.
2.1 A seguito di istanza di sanatoria proposta ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001, il Comune ha adottato a favore dei controinteressati il permesso di costruire in sanatoria n. 3228/2014 e, con atto separato, ha revocato l’ordinanza di demolizione, provvedimenti successivamente annullati dal TAR Campania – Napoli con sentenza n. 2708/2020, su ricorso dello stesso Sig. Tranfa.
2.2 Successivamente, il Comune, con provvedimento n. 06 del 06.12.2021, ha rilasciato a favore dei medesimi l’autorizzazione sismica in sanatoria e, in data 16.12.2021, ha concesso un nuovo titolo abilitativo edilizio in sanatoria (n. 4, prot. 7560/2021).
3. Con il ricorso in esame, tali provvedimenti sono impugnati con articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
3.1 Secondo la prospettiva del ricorrente, gli atti del Comune sarebbero illegittimi per violazione degli artt. 94 e seguenti del D.P.R. 380/2001, nonché degli artt. 2 e ss. della L.R. Campania n. 9/1983, in quanto l’autorizzazione sismica n. 06/2021 è stata rilasciata dalla Commissione comunale per le autorizzazioni sismiche in luogo del Genio Civile, competente ex lege in caso di opere realizzate in zona sismica 1, come San Leucio del Sannio; inoltre, in mancanza di una specifica previsione normativa analoga all’art. 36 del D.P.R. 380/2001, l’autorizzazione sismica non potrebbe essere rilasciata in sanatoria.
3.2 Con ulteriori censure, il ricorrente deduce che il titolo abilitativo edilizio in sanatoria sarebbe stato rilasciato in pendenza di una controversia, connessa a quella amministrativa, pendente tra le parti e che l’Amministrazione avrebbe dovuto astenersi dal rilascio del titolo o svolgere approfondita istruttoria in ordine alla sussistenza del titolo di legittimazione del richiedente.
3.3 Il ricorrente deduce, inoltre, che l’istanza di condono edilizio presentata nel 2004 sia stata erroneamente inquadrata nella “tipologia 2” (opere conformi), mentre le opere, non conformi agli strumenti urbanistici, avrebbero dovuto essere classificate nella “tipologia 1”, precludente l’accoglimento della sanatoria.
Inoltre, molte opere realizzate (scala esterna, balconi, variazioni di sagoma) non rientrerebbero nell’oggetto dell’istanza di condono e risulterebbero, quindi, comunque estranee alla richiesta di regolarizzazione.
4. Si sono costituiti il Comune intimato ed i controinteressati eccependo la tardività del ricorso e chiedendone nel merito il rigetto.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 10 giugno 2025.
5. L’eccezione di tardività del ricorso è fondata.
Gli atti impugnati sono stati trasmessi a mezzo pec del 23.12.2021 con nota prot. n. 7514 a firma del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di San Leucio del Sannio, Ing. Stanislao Giardiello, sia all’avv. Stefano Tangredi sia al Geom. Antonio Catalano, rispettivamente procuratore domiciliatario del ricorrente ed il secondo consulente in altra controversia connessa a quella oggetto di esame.
5.1 Parte ricorrente ha sul punto dedotto che in data 23 dicembre 2021 sarebbe stata data la mera comunicazione del rilascio a favore dei controinteressati del titolo edilizio ma che lo stesso sarebbe stato integralmente conosciuto solo nel successivo mese di febbraio 2022, a seguito di accesso agli atti.
6. Ritiene il Collegio che vadano, nel caso di specie, applicati i principi affermati dalla giurisprudenza secondo cui ciò che rileva, ai fini della determinazione della “piena conoscenza”, di cui all’art. 41, co. 2, c.p.a., non è la integrale conoscenza dell’atto che si intende impugnare (ben potendo questa essere conseguita attraverso l’accesso o altra eventuale modalità, con conseguente proposizione di motivi aggiunti), bensì la conoscenza della lesività dell’atto per le posizioni giuridiche per le quali si intende chiedere tutela in sede giurisdizionale.
6.1 In ordine al concetto stesso di “piena conoscenza” (ed alla sua idoneità a costituire il dies a quo di decorrenza del termine per l’impugnazione dell’atto), infatti, occorre ricordare che (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 6 ottobre 2015 n. 6242; 28 maggio 2012 n. 3159) essa “non deve essere intesa quale conoscenza piena ed integrale” del provvedimento stesso, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale, dovendosi invece ritenere che sia sufficiente ad integrare il concetto la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso.
Ed infatti, mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella “piena conoscenza” indicata dalla norma), la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi.
6.2 La previsione dell’istituto dei “motivi aggiunti” – per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento di proposizione ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta – comprova la fondatezza dell’interpretazione resa in ordine al significato della “piena conoscenza”. Ciò significa che la “piena conoscenza”, nei sensi innanzi esposti, può essere desunta dal grado di sviluppo dei lavori, ma anche da ulteriori elementi presuntivi che evidenzino la potenziale lesione portata all’interesse del ricorrente (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 5 marzo 2024, n. 3147).
6.3 Deve, infine, aggiungersi che nemmeno la richiesta di accesso presentata dal ricorrente nel mese di febbraio 2022, poteva procrastinare i termini di proposizione del ricorso (cfr., al proposito, Cons. Stato, Sez. II, 26 giugno 2019, n. 4390): il terzo ha l’onere di attivare il diritto alla piena conoscenza della documentazione amministrativa non appena abbia contezza dell’esistenza di un titolo edilizio che pregiudichi i suoi diritti o interessi, rilasciato a favore di terzi, non conosciuto o non conosciuto sufficientemente (cfr. Cons. Stato, Sezione IV, 21 gennaio 2013, n. 322). Era, quindi, onere del ricorrente attivarsi immediatamente al fine di impugnare tempestivamente il titolo stesso e ciò è tanto più vero, ove si consideri che gli atti impugnati sono stati emanati dal Comune all’esito di una controversia
6.4 Dunque, deve ritenersi che il ricorrente ha avuto piena e totale conoscenza degli atti sin dalla data del 23.12.2021 e, per tale ragione, il termine per la proposizione dell’eventuale ricorso è scaduto il 22.02.2022 ed invece, l’atto introduttivo del presente giudizio risulta essere stato consegnato per la notifica solo in data 23.02.2022 e, quindi, il giorno successivo alla scadenza del termine di legge.
Il ricorso, dunque, è irricevibile.
7. Per altri versi, il ricorso presenta profili di inammissibilità per carenza d’interesse.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 22 del 2021, ribadita la distinzione tra legittimazione e interesse al ricorso quali autonome condizioni dell’azione, è giunta alla conclusione che il giudice deve necessariamente accertare la sussistenza di entrambe e che, quindi, il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, non può valere «da solo ed in automatico» a dimostrare anche la sussistenza dell’interesse al ricorso, «che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato».
Nel caso in esame, il ricorrente non ha dedotto, né nel ricorso né nelle successive difese, alcun pregiudizio ai suoi diritti ed interessi determinato dall’esistenza sul fondo limitrofo di opere realizzate senza titolo e, pertanto, non si ravvede l’esistenza dell’interesse al ricorso, quale condizione dell’azione.
8. La definizione in rito della controversia consente di compensare tra le parti le spese del giudizio.
TAR CAMPANIA – NAPOLI, VIII – sentenza 10.09.2025 n. 6106