Le ricorrenti hanno venduto in data 25.8.2022 un appartamento che il loro dante causa aveva modificato con opere edilizie, poi sanate con permesso di costruire n. 31326 rilasciato dal Comune di Avezzano il 23.8.2004.
Con il ricorso introduttivo impugnano il provvedimento prot. n. 21964/2025 di annullamento in autotutela del permesso in sanatoria adottato dal Comune in ragione:
– delle “discordanze” emerse dai documenti tecnici allegati alla domanda di condono, riconducibili a una “non veritiera rappresentazione della realtà di fatto e di diritto”;
– della “carenza di un adeguato titolo valido che attesti la proprietà esclusiva della porzione di fabbricato originariamente interessata da una scala di accesso ai vari livelli successivamente rimossa per la realizzazione dell’ampliamento dell’unità immobiliare, eseguito in assenza di titolo abilitativo, e pertanto oggetto della domanda di condono”.
Con sette articolati motivi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, le ricorrenti deducono:
1) che il provvedimento impugnato è stato adottato a distanza di oltre vent’anni dal rilascio del permesso in sanatoria, in carenza dei presupposti che giustifichino il superamento del termine di dodici mesi ex art. 21 nonies l. n. 241/1990 in quanto il riferimento a una “non veritiera rappresentazione della realtà di fatto e di diritto” non trova alcun riscontro documentale, né potrebbe dedursi dall’aumentato numero di vani risultante dalla variazione catastale conseguente alla redistribuzione degli ambienti;
2) che il Comune avrebbe omesso il bilanciamento dell’interesse pubblico con la buona fede delle ricorrenti, estranee al procedimento di condono;
3) che non hanno ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento;
4) che il loro dante causa aveva la piena ed esclusiva disponibilità del vano scala interessato dai lavori condonati e legittimamente ne ha chiesto la sanatoria ex art. 11 d.P.R. n. 380/2001;
5) che l’annullamento richiesto con diffida di un confinante il quale sosteneva che la scala interna demolita era “condominiale”, non persegue l’interesse pubblico, ma mira a risolvere una controversia fra privati;
6) che l’autore della diffida, avendo acquistato nel 2008 l’appartamento confinante con quello appartenuto al loro dante causa, non era legittimato a presentare esposti perché il suo titolo d’acquisto è successivo al permesso in sanatoria e non menziona il vano scala;
7) l’autore della diffida, se convinto di aver subito una lesione, avrebbe dovuto agire in revindica davanti al giudice ordinario.
Con i primi motivi aggiunti le ricorrenti sottopongono ad ulteriori censure agli atti già impugnati:
8) il provvedimento sarebbe tardivo perché il Comune ha ricevuto il 12.6.2023 la diffida del confinante contenente circostanziate affermazioni sulle “dichiarazioni non veritiere” che il dante causa delle ricorrenti avrebbe reso nel procedimento di condono;
9) il Comune non avrebbe potuto annullare il provvedimento perché ognuno dei termini previsti ab origine e dalla normativa intervenuta successivamente al rilascio del permesso in sanatoria sarebbe comunque scaduto, sia che lo si faccia decorrere dall’adozione del provvedimento di primo grado o dall’entrata in vigore delle modifiche all’art. 21 nonies (riconoscendo fondato il motivo che nega ci sia stata falsa rappresentazione), sia che lo si faccia decorrere dalla conoscenza delle “dichiarazioni non veritiere”, se provate.
Resiste il Comune di Avezzano che preliminarmente eccepisce il difetto di legittimazione e interesse delle ricorrenti.
Con i secondi motivi aggiunti le ricorrenti ribadiscono i motivi già esposti nel ricorso e nei primi motivi aggiunti, evidenziando che il vano scala trasformato in locali accessori era a servizio esclusivo dell’appartamento oggetto dei lavori poi condonati e che il contrario non risulterebbe dalla documentazione catastale indicata dal Comune.
Alla camera di consiglio del 17 settembre 2025, avvisate le parti della possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, la causa è passata in decisione.
Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune resistente.
Le ricorrenti paventano gli effetti lesivi dell’annullamento del permesso di costruire in sanatoria, in quanto tenute a prestare, quali venditrici, le garanzie di legge sulla conformità dell’immobile alla disciplina urbanistica ed edilizia, in mancanza della quale restano esposte ad azioni redibitorie e risarcitorie già annunciate dagli acquirenti.
Del resto è evidente che, se è legittimato a impugnare l’annullamento del permesso di costruire il titolare dell’opera edilizia, nondimeno analogo interesse, se non diretto, ma almeno strumentale, esiste in capo a chi ha ceduto l’immobile ed è stato intimato a prestare le garanzie di legge, tanto che potrebbe riacquistarne la titolarità coattivamente per effetto della risoluzione del contratto di vendita, ma non potrebbe impugnare il provvedimento essendo presumibilmente decorso il termine di impugnazione.
Inoltre, il fatto che il provvedimento di annullamento del permesso di costruire potrebbe essere disapplicato nel giudizio civile per la risoluzione del contratto di vendita, conferma che la parte venditrice è legittimata e ha interesse ad ottenere una pronuncia che privi di efficacia il provvedimento per poter resistere alla domanda della parte acquirente. Si tratta dunque della stessa posizione soggettiva che, in mancanza di limitazioni all’accesso alla doppia tutela, le ricorrenti possono far valere sia in sede di giurisdizione civile che amministrativa.
Non convince del contrario l’obiezione della difesa della parte resistente, che sostiene la carenza d’interesse al ricorso perché la parte acquirente non avrebbe comunicato al Comune le difformità edilizie dell’appartamento entro un anno dalla scoperta, ai sensi dell’art. 134 d.P.R. n. 380/2001, e sarebbe pertanto decaduta dal diritto di chiedere il risarcimento del danno alle ricorrenti le quali pertanto non sarebbero esposte ad alcun pregiudizio.
Il Comune infatti non tiene conto del fatto che alle ricorrenti è stata annunciata (anche) l’azione di risoluzione della vendita o di riduzione del prezzo e che l’atto di vendita dell’appartamento risale al 25.8.2022; quindi già prima dello scadere del termine di un anno previsto dall’art. 134 citato, il Comune era a conoscenza delle difformità puntualmente descritte nella diffida del confinante del 12.6.2023 con la conseguenza che un’ulteriore denuncia degli acquirenti sarebbe stata inutile perché la finalità del citato art. 134 – incentivare la collaborazione del cittadino nell’attività di repressione dell’abusivismo – risultava già soddisfatta.
Nel merito il ricorso e i motivi aggiunti sono fondati.
Il provvedimento impugnato muove dal presupposto che agli atti del procedimento di condono non risultano titoli che attestino la proprietà esclusiva a favore del Sig, Francesco Toti – dante causa delle ricorrenti – della porzione di fabbricato occupata da un vano scala, demolito e trasformato in locali di servizio posti su due livelli che hanno ampliato la consistenza originaria della proprietà, come documentato nella variazione della planimetria catastale del 29.7.2022 redatta dal tecnico incaricato dalle ricorrenti.
Anche il permesso in sanatoria dà atto che gli abusi consistono in opere di ampliamento dell’unità immobiliare.
Ne consegue che la variazione della planimetria catastale del 29.7.2022 che nel provvedimento impugnato viene valorizzata come prova di un ampliamento della originaria consistenza, è irrilevante perché non contiene elementi nuovi, né sottaciuti all’epoca del procedimento di condono, ma descrive le stesse caratteristiche tecniche delle opere edilizie rappresentate dal richiedente nell’istanza di condono, in ampliamento dell’esistente, come tali autorizzate dal provvedimento di sanatoria.
Non ricorre pertanto la falsa rappresentazione prevista dall’art. 21 nonies comma 2 bis l. 241/1990 che giustifica l’annullamento del provvedimento oltre il termine stabilito ed è riconducibile all’ipotesi in cui il richiedente il titolo rappresenta un fatto diverso dalla realtà che, se conosciuto dall’amministrazione, non ne avrebbe consentito il rilascio.
Quanto alla mancata allegazione di un titolo di proprietà del vano scala, poi trasformato in vani a servizio dell’appartamento, il provvedimento impugnato non contiene elementi dai quali potersi desumere che si tratti di una falsa rappresentazione tale da giustificare ex se l’annullamento in autotutela.
Di tanto è consapevole anche il Comune che non manca di precisare nel provvedimento impugnato che “il Comune prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria”.
Sarebbe stato pertanto necessario indicare espressamente le ragioni per le quali la mancata allegazione di un titolo legittimante, anziché una mera omissione – che non consente il superamento del termine per l’autotutela – possa essere assimilata a una falsa rappresentazione (che invece lo ammette), senza considerare che, proprio perché il Comune ha l’onere di svolgere accertamenti in merito, l’annullamento della sanatoria potrebbe giustificarsi solo se il richiedente abbia prodotto documenti o dichiarazioni sul titolo di disponibilità dell’immobile che hanno falsato detti accertamenti (ove esperiti) e quindi l’esito del procedimento di condono.
Ne consegue che la falsa rappresentazione dei fatti in merito alla titolarità del vano scala appare solo presunta e non avrebbe potuto giustificare l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria.
Sono quindi fondate e devono essere accolte le censure di eccesso di potere per difetto di motivazione.
È infine assorbente la censura di violazione dell’art. 21 nonies l. n. 241/1990.
L’annullamento del permesso di costruire in sanatoria rilasciato il 23 agosto 2004 è intervenuto oltre ogni tassativo termine di legge decorrente, in mancanza di prova documentale della falsità delle dichiarazioni rese dal richiedente, dall’entrata in vigore delle modifiche dell’art. 21 nonies (diciotto mesi ex l. 124/2015 poi ridotti a dodici dall’articolo 63, comma 1, del d.l. n. 77/2021, convertito con modificazioni dalla l. n. 108/2021).
Detti termini sarebbero decorsi anche se si ritenessero provate “dichiarazioni non veritiere” di fatti allegati all’istanza di sanatoria, perché il provvedimento impugnato, si basa sulle informazioni apprese con la diffida del 12.6.2023, ma è stato adottato il 14.4.2025 ben oltre il termine di dodici mesi stabilito dal comma 2 bis dell’art. 21 nonies l. 241/1990 decorrente dalla conoscenza di dette informazioni (Cons. Stato, Sez. VI, 27 febbraio 2024 n. 1926).
Il ricorso pertanto deve essere accolto.
Le spese seguono la soccombenza.
TAR ABRUZZO – L’AQUILA, I – sentenza 26.09.2025 n. 434