Urbanistica e edilizia – Ordine di demolizione di una struttura in vetro e alluminio chiusa su tutti i lati, ragioni e legittimità

Urbanistica e edilizia – Ordine di demolizione di una struttura in vetro e alluminio chiusa su tutti i lati, ragioni e legittimità

Con il presente ricorso, depositato il 17 novembre 2021, Aniello Romano ha chiesto l’annullamento dell’ingiunzione n. 17 del 20 agosto 2021, con cui il Comune di Sant’Anastasia ha ingiunto nei suoi confronti “la demolizione della struttura in vetro e alluminio chiusa su tutti i lati di dimensioni 6,00 x 2,00 rilevata dalla Polizia Municipale, nonché il ripristino del primitivo stato dei luoghi, entro 90 gg. dalla data di notifica all’interessata del presente provvedimento.”.

A sostegno del gravame il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, eccesso di potere nella compressione del diritto di difesa, carenza di legittimazione passiva da parte di Romano Aniello.

Ad avviso di parte ricorrente, soggetto legittimato passivo all’ingiunzione di demolizione sarebbe esclusivamente il proprietario dell’immobile abusivo, in quanto unico soggetto a detenere la titolarità a modificare i luoghi senza necessità di altrui autorizzazione.

Ha lamentato che, nel caso de quo, come anche attestato nella CILA e nello stesso ordine di demolizione, in cui egli ricorrente sarebbe stato erroneamente ed illegittimamente qualificato come “affittuario”, non sarebbe il proprietario dell’immobile in cui svolge l’attività la società “Sweet Pane s.a.s. di Romano Aniello”, né del suolo privato su cui sorge la costruzione che risulterebbe da demolire per l’Amministrazione Comunale, né sarebbe il soggetto responsabile dell’abuso, in quanto questo sarebbe attribuibile alla sola società “Sweet Pane s.a.s. di Romano Aniello”. Dal contratto di locazione e dalla CILA risulterebbe che la proprietà del bene sarebbe in capo a Di Marzo Rosa. Il rapporto di inerenza organica del rappresentante legale della società “Sweet Pane s.a.s. di Romano Aniello” non giustificherebbe e non potrebbe comportare che questi sia soggetto, personalmente, alla sanzione della demolizione.

2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. n. 380/2001, natura della costruzione e sanzione erroneamente applicata.

Parte ricorrente, premesso che la sanzione prevista nell’ordine di demolizione impugnato riprende precisamente l’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, ha lamentato che nel testo dell’ordinanza stessa non verrebbe tuttavia mai citato il suddetto articolo, mentre viene citato l’art. 37 T.U. Edilizia che prevede sanzioni diverse e, ad avviso di parte ricorrente, più aderenti alla suddetta fattispecie, assimilabile eventualmente alla violazione dell’art. 22 del medesimo T.U.; la costruzione oggetto di contestazione sarebbe temporanea, rimuovibile, e non avrebbe comportato alcun aumento di volume utile, in quanto a servizio dell’attività Sweet Pane, e verrebbe utilizzata unicamente per l’ingresso alla panetteria. Si tratterebbe di una struttura pertinenziale strettamente indispensabile all’immobile principale che è aperto al pubblico. Peraltro ha rappresentato che in data 29 ottobre 2021 la società Sweet Pane aveva depositato presso il Comune di Santa Anastasia una SCIA in sanatoria ancora inesitata.

L’ordine di demolizione, tuttavia, non solo non motiverebbe la ben più grave sanzione, ma addirittura avrebbe citato l’art. 37 per poi copiare pedissequamente il disposto dell’art. 31, in violazione di legge.

3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 36 del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 7 della L. n. 241/1990 e dell’art. 97 Cost., violazione del principio di buon andamento, proporzionalità e tutela del legittimo affidamento, mancata notificazione della diffida del 16, maggio 2019 e dell’avvio del procedimento del 16 febbraio 2020, assenza di accertamento di conformità di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001.

Parte ricorrente ha lamentato che, non avendo il Comune mai notificato alla Sweet Pane s.a.s. la diffida all’inizio dei lavori descritta al punto h) della premessa, non avrebbe consentito che fosse presentata alcuna richiesta di permesso in sanatoria con accertamento di conformità. Ha sostenuto la necessità che l’Amministrazione, prima di procedere all’adozione del provvedimento repressivo, concludesse il procedimento scaturito dall’avvenuta presentazione dell’istanza (una SCIA in sanatoria per le variazioni apportate con precedente CILA), pena l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione.

L’impugnata ordinanza sarebbe altresì illegittima sotto diverso profilo, ove si consideri il notevole lasso di tempo intercorso fra l’accertamento e repressione dell’abuso e la sua realizzazione. Pertanto in tal caso il provvedimento avrebbe dovuto contenere una motivazione “rafforzata” in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico specifico all’adozione della sanzione demolitoria.

Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Sant’Anastasia, che ha innanzitutto eccepito l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la presentazione della SCIA in sanatoria in data 29 ottobre 2021 avrebbe avuto l’effetto di rendere inefficace l’ordinanza di demolizione impugnata. Ha comunque dedotto l’infondatezza del ricorso, rappresentando in particolare che il ricorrente, in quanto socio accomandatario della “Soc. Sweet Pane sas di Romano Aniello”, risponderebbe solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali; inoltre gestirebbe personalmente l’attività commerciale della suddetta società. Ha altresì rappresentato che il richiamo all’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 consisterebbe in un mero errore materiale che non inficerebbe la validità dell’ingiunzione impugnata, potendosi in tal caso parlare di una mera irregolarità dell’atto in questione, il cui rilievo non sarebbe tale da viziare il provvedimento stesso, ed ha concluso chiedendo il rigetto dell’odierno gravame.

Alla camera di consiglio del 6 dicembre 2021 il Collegio ha segnalato un problema PAT, rappresentando che avrebbero dovuto essere regolarizzate, sia la domanda di fissazione udienza che il ricorso, i quali risultavano non firmati digitalmente; alla medesima camera di consiglio la causa è stata assunta in decisione.

Con ordinanza n. 2088 del 7 dicembre 2021 questa Sezione,

RITENUTO che, alla luce della giurisprudenza della Sezione e dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, la domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione delle opere abusive, operante in termini di mera sospensione e non di inefficacia definitiva. In caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669 e sentenze ivi citate, nn. 2681/2017, 1565/2017, 1393/2016, 466/2015) e non vi è, dunque, una automatica necessità per l’Amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione (T.A.R., Napoli, sez. III, 6 settembre 2021, n. 5712, 31 maggio 2021, n. 3621 e 10 dicembre 2020, n. 6025);

RITENUTO pertanto che, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza, nel caso di specie non si rinviene il presupposto del pregiudizio grave e irreparabile richiesto dall’art. 55 c.p.a. per la concessione della misura cautelare in quanto, a seguito della presentazione al Comune di Sant’Anastasia della SCIA in sanatoria, assunta al protocollo comunale n. 30227 in data 29 ottobre 2021, l’ingiunzione di demolizione oggetto di impugnazione è sospesa;

RILEVATO altresì, che, come rappresentato alla parte alla camera di consiglio del 6 dicembre 2021, l’istanza di fissazione dell’udienza è priva di firma digitale e il ricorso, la procura, l’asseverazione di conformità e gli allegati alla notifica del ricorso fatta a mezzo pec risultano firmati in formato CAdES, anziché PAdES e che l’obbligo del formato PAdES è sancito dalle Specifiche tecniche, Allegato A al d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40, da qualificarsi quale regolamento “ministeriale” ai sensi dell’art. 17, comma 3, della L. 23 agosto 1988, n. 400 – e ora dalle Specifiche tecniche, Allegato 2 al Decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 134 del 22 maggio 2020 (TAR Napoli, Sez. III, ordinanza n. 1209 del 17 settembre 2019);

CONSIDERATO che il ricorso notificato e depositato con sottoscrizione in formato CAdES, anziché PAdES, è ammissibile e l’esigenza di regolarizzazione riguarda il deposito di un atto in nativo digitale sottoscritto in PAdES, ai fini della correntezza del processo, indipendentemente dalla circostanza se la parte intimata in giudizio si sia costituita (cfr. TAR Lazio, Sez. I bis, 25 maggio 2018, n. 5912), sì che parte ricorrente va onerata della prescritta regolarizzazione per l’udienza di merito;”,

ha respinto la domanda incidentale di sospensione e ha disposto gli incombenti di cui in motivazione.

Parte ricorrente in data 30 dicembre 2021 ha depositato documentazione senza tuttavia provvedere alla relativa regolarizzazione, come era stato richiesto con la suddetta ordinanza.

All’udienza pubblica del 16 aprile 2025 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.

Si può prescindere dai profili di inosservanza delle regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, come rilevati nella suddetta ordinanza n. 2088 del 7 dicembre 2021 e non regolarizzati da parte ricorrente, in quanto il ricorso è, comunque, infondato e, pertanto, da respingere nel merito.

Il Collegio deve innanzitutto rigettare l’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la presentazione della SCIA in sanatoria in data 29 ottobre 2021 avrebbe avuto l’effetto di rendere inefficace l’ordinanza di demolizione impugnata, sollevata dal Comune di Sant’Anastasia nella memoria di costituzione, alla luce di quanto di seguito esposto nell’analisi del terzo motivo di ricorso, cui si rinvia per sinteticità.

Il primo motivo di ricorso con cui parte ricorrente ha lamentato la propria carenza di legittimazione passiva è infondato.

Occorre premettere che il provvedimento impugnato deve ritenersi adottato ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, seppure nel suo testo il Comune di Sant’Anastasia abbia richiamato, tra i Visti, l’art. 37 del medesimo d.P.R. n. 380/2001.

Quanto sopra si evince dalla circostanza, peraltro rappresentata dalla stessa parte ricorrente nel secondo motivo di ricorso, che sostanzialmente nel contenuto dell’ingiunzione di demolizione impugnata il Comune richiama pedissequamente il contenuto dell’art. 31, e ciò è in linea con le premesse e con quanto risultante dagli atti d’ufficio richiamati nel provvedimento stesso. Tale conclusione è avvalorata anche dall’ulteriore condivisibile circostanza rappresentata da parte resistente nella memoria difensiva di costituzione, e cioè che il richiamo all’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 consiste in un mero errore materiale e, in quanto tale, non rilevante ai fini di costituire un vizio del provvedimento stesso.

Premesso quanto sopra, occorre evidenziare che l’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), per quello che interessa in riferimento al primo motivo di ricorso, prevede che l’amministrazione ingiunge «al proprietario e al responsabile dell’abuso» la demolizione dell’opera eseguita.

La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di affermare che nella nozione di «responsabile dell’abuso» rientri non solo chi ha posto in essere materialmente la violazione contestata, ma anche chi ha la disponibilità dell’immobile e che, pertanto, «quale detentore e utilizzatore, deve provvedere alla demolizione restaurando così l’ordine violato» (Cons. Stato, VI, 21 novembre 2016, n. 4849, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 30 giugno 2023, n. 3954). Infatti, quanto al responsabile dell’abuso oggetto di un’ordinanza di demolizione, la condivisibile giurisprudenza, anche della Sezione, ha precisato quanto segue: “In tema edilizio, il responsabile dell’abuso è riferibile a più categorie di soggetti dovendo intendersi per tale lo stesso esecutore materiale ovvero chi abbia la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva, ivi compresi i concessionari o i conduttori dell’area interessata, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi” (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 04/01/2021, n. 19).

D’altro canto, “le norme sanzionatorie si riferiscono non all’autore, ma al responsabile dell’abuso, tale dovendo intendersi non solo l’esecutore materiale, ma anche il proprietario o chi – avendo la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva – possa consentire, o meno, la permanenza sul territorio di opere senza titolo, che hanno carattere di illecito permanente, a cui sul piano urbanistico- edilizio corrisponde un’esigenza di rimessa in pristino, che l’amministrazione è tenuta a far valere nei confronti dei soggetti in grado di operare in tal senso” ( Cons. St., Sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2027; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 22/07/2020, n. 779). – T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 30 giugno 2023, n. 3954 cit., 23 agosto 2022, n. 5482 e 29 aprile 2021, n. 2834.

Passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame alla luce della sopra richiamata giurisprudenza, occorre rilevare che il provvedimento impugnato è stato adottato nei confronti del ricorrente in quanto “conduttore del locale commerciale SWEET PANE nonché esecutore materiale della realizzazione del manufatto rilevato”; inoltre nel medesimo provvedimento si dà atto della “– CILA 74/2019 trasmessa dal sig. Romano Aniello, in qualità di affittuario dell’immobile al piano terra riportato al NCEU al foglio 4 p.11a 246 sub 1;” ed è altresì rappresentato quanto segue: “Considerato che il sig. ROMANO ANIELLO, sopra generalizzato, risulta essere conduttore dell’immobile a destinazione commerciale in cui svolge l’attività di vendita pane “SWEET PANE”;”.

Al riguardo occorre precisare che, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, la suddetta CILA datata 29 aprile 2019, versata in atti dalla stessa parte ricorrente, risulta presentata per la “realizzazione di una struttura smontabile” esclusivamente da quest’ultimo a nome proprio e non dalla società “Sweet Pane s.a.s. di Romano Aniello”, come emerge chiaramente dal frontespizio della stessa, dal quale risulta soltanto il nome di Romano Aniello, mentre risulta in bianco la parte relativa ai dati della società, seppure alla fine appare apposto anche il timbro della società. Inoltre nella stessa, precisamente a pagina 2 alla lettera a) Titolarità dell’intervento, il ricorrente ha dichiarato di avere titolo alla presentazione della pratica edilizia “in quanto affittuario”.

Infine occorre rilevare che la SCIA in sanatoria, assunta al protocollo comunale del Comune resistente con il n. 30227 del 29 ottobre 2021, risulta presentata dal ricorrente non solo nella qualità di titolare della società Sweet Pane s.n.c. ma anche nella qualità di “affittuario del locale commerciale sito in Sant’Anastasia (NA) alla via Pomigliano, 233 – identificato catastalmente al foglio 04 – Part. 246”.

Alla luce di quanto sopra, deve allora concludersi che l’ordinanza di demolizione è stata legittimamente adottata nei confronti del ricorrente, in quanto responsabile dell’abuso nei sensi sopra esposti, quale autore dell’abuso stesso ed avendo egli comunque la disponibilità della struttura oggetto di contestazione.

Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che si ritiene di esaminare congiuntamente per ragioni di connessione logica, riconducibili alla natura delle argomentazioni spese da parte ricorrente, devono parimenti ritenersi infondati.

Premesso che, come sopra rappresentato, il provvedimento impugnato deve ritenersi adottato ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, deve rilevarsi che la sanzione demolitoria sia stata legittimamente disposta in riferimento alla tipologia di opera realizzata. Ed invero nell’ingiunzione impugnata il Comune, dopo aver richiamato i vincoli esistenti sull’area dove insiste la struttura realizzata, ha dato atto che quest’ultima “costituisce aumento di volume e superficie esistente e pertanto soggetta a Permesso di Costruire, nonché al rispetto delle normative attinenti al codice della strada.”.

Come correttamente valutato nell’istruttoria esperita dall’amministrazione, si è integrata la realizzazione di nuovi volumi e superfici da ricondurre agli “interventi di nuova costruzione”, ex art. 3, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001, implicanti una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, peraltro in zona paesaggisticamente vincolata, come tale soggetta ai sensi del successivo art. 10 al rilascio del permesso di costruire (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 2 settembre 2024, n. 4776, 11 ottobre 2021, n. 6391, 9 agosto 2021, n. 5474 e 7 maggio 2021, n. 3073), in mancanza del quale va ordinata la demolizione, con conseguente infondatezza dei relativi profili di illegittimità dedotti.

Né può accogliersi la tesi di parte ricorrente che si tratti di un’opera avente natura pertinenziale.

Infatti, secondo una consolidata giurisprudenza che questa Sezione ha già fatto propria e dalla quale non si ha motivo di discostarsi, in urbanistica ed edilizia la nozione di pertinenza è meno ampia di quella definita dall’art. 817 c.c.; la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato a rispondere ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato, comunque, di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare una modifica del c.d. carico urbanistico (cfr. ex multis T.A.R. Catania n. 4564/2010), sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono con tutta evidenza sull’assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire (cfr. T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, 28 agosto 2017, n. 4121, T.A.R. Bari, Sezione III, 26 gennaio 2012, n. 245 e 10 marzo 2011, n. 429).

Ed invero la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria assoluta autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. anche Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, 30 maggio 2017, n. 2870).

Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza si ritiene, pertanto, che l’intervento realizzato oggetto di contestazione, come descritto nell’ordinanza di demolizione impugnata, già solo per le sue dimensioni (struttura in vetro e alluminio chiusa su tutti i lati di dimensioni 6,00 x 2,00) e per non essere coessenziale all’immobile principale, come risulta anche dallo stato dei luoghi riportato nella relazione tecnica allegata alla citata SCIA presentata in sanatoria (visto che, addirittura, l’opera ulteriore appare costituire un tutt’uno con la struttura preesistente), non possa qualificarsi pertinenza ai fini urbanistici, sì da escludere che lo stesso intervento sia sottoposto al preventivo rilascio del permesso di costruire.

Inoltre, anche a voler seguire, in via puramente ipotetica, la prospettazione della ricorrente, secondo la quale nel caso di specie sarebbe applicabile l’art. 37 T.U. Edilizia, che disciplina gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA (in quanto la struttura per cui è causa consisterebbe in una pertinenza a servizio dell’attività Sweet Pane), parte ricorrente non ha neppure provato, come era suo onere ai sensi dell’art. 64 c.p.a., che le suddette strutture comportassero la realizzazione di un volume uguale o inferiore al 20% del volume dell’edificio principale, limite massimo per ritenere configurabile una pertinenza ai sensi della lettera e.6) dell’art. 3 del d.p.r. n. 380 del 2003, e quindi tale da non potersi considerare intervento di nuova costruzione, per il quale è richiesto il permesso di costruire (TAR Napoli, Sezione III, 9 agosto 2021, n. 5474).

Ancora, sempre a voler condividersi l’assunto di parte ricorrente circa la natura pertinenziale dell’opera, il Collegio osserva che, nella fattispecie in esame, il manufatto è stato costruito in area vincolata, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, come specificamente ha dato atto l’ordinanza impugnata.

Ebbene, la giurisprudenza amministrativa, già fatta propria da questa Sezione e dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi (T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 22 marzo 2017, n. 1569, confermata da Cons. St., Sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4743), ha precisato che, in materia urbanistica, diversamente da quella civilistica, ove vi sia alterazione dell’aspetto esteriore, con aumenti di superficie e di volume, costituisce pertinenza solo il manufatto non idoneo ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio ed a produrre quindi un notevole aggravio del carico urbanistico.

Tuttavia, anche qualora non se ne contesti la natura pertinenziale, l’applicazione della sanzione demolitoria risulta comunque doverosa qualora siffatto manufatto sia stato edificato in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, che l’interessato avrebbe avuto l’onere di acquisire preventivamente (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 30 giugno 2023, n. 3954 cit., 15 luglio 2016, n. 3555; 16 giugno 2016, n. 3027).

Al riguardo il Giudice d’Appello ha precisato che “le opere edilizie abusive, anche qualora abbiano natura pertinenziale o precaria, …realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, devono considerarsi comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, laddove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, deve essere applicata la sanzione demolitoria” (Cons. St., Sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4743 e Sez. IV, n.5524/2018).

Nel caso di specie, considerati i vincoli esistenti nell’area interessata e tenuto conto della mancata richiesta di autorizzazione paesaggistica, ne consegue che l’ordine di demolizione ingiunto al ricorrente è coerente con la normativa inderogabile posta a tutela dei vincoli sussistenti in zona.

Deve altresì ritenersi infondata la censura del terzo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente ha sostenuto che, prima di procedere all’adozione del provvedimento repressivo, l’amministrazione comunale resistente avrebbe dovuto concludere il procedimento concernente la presentazione della SCIA in sanatoria assunta al protocollo comunale del Comune di Sant’Anastasia con il n. 30227 del 29 ottobre 2021.

Al riguardo il Collegio, confermando quanto già statuito nell’ordinanza cautelare di rigetto n. 2088 del 7 dicembre 2021 e affermato dalla condivisibile giurisprudenza anche della Sezione, ritiene che la domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione delle opere abusive, operante in termini di mera sospensione e non di inefficacia definitiva. In caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669 e sentenze ivi citate, nn. 2681/2017, 1565/2017, 1393/2016, 466/2015) e non vi è, dunque, una automatica necessità per l’Amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione (T.A.R., Napoli, sez. III, 6 settembre 2021, n. 5712, 31 maggio 2021, n. 3621 e 10 dicembre 2020, n. 6025).

Inoltre, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza sul punto, condivisa dal Collegio, “la presentazione di una SCIA afferente a un intervento edilizio sottratto al suo ambito applicativo – perché subordinato al diverso strumento del permesso di costruire”, come nella fattispecie in esame, “ovvero perché precluso in astratto e a priori, come nel caso in esame – è destinata a rimanere improduttiva di effetti, non essendo invocabile il relativo regime giuridico (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 5999 del 2021). Non può, in altri termini, ritenersi prodotto alcun effetto legittimante delle intervenute modificazioni dell’area eccedenti gli strettissimi limiti consentiti non sussistendo, con riferimento al caso di specie, i presupposti perché potesse procedersi mediante SCIA (né, peraltro, mediante richiesta di permesso di costruire). Diversamente opinando, un intervento semplicemente non assentibile (perché relativo a un’area coperta dal vincolo d’inedificabilità) risulterebbe ammissibile mediante l’uso di uno strumento giuridico (la SCIA, appunto) inidoneo a legittimarlo e fornendo all’eventuale inerzia dell’Amministrazione al riguardo un significato provvedimentale non consentito dall’attuale normativa; in definitiva, “si perverrebbe a ″costruire″ una tipologia di provvedimento implicito sganciata dal rispetto del principio di legalità desumibile dall’art. 97 Cost.” (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 3509 del 2016). – T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 20 aprile 2022, n. 2728. Tale orientamento giurisprudenziale è stato confermato da ultimo dalla Sezione IV del Consiglio di Stato con la sentenza 13 gennaio 2025, n. 181.

È infine infondata la censura con cui parte ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato avrebbe dovuto contenere una motivazione “rafforzata” in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico specifico all’adozione della sanzione demolitoria.

La sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9/2017 ha definitivamente chiarito che, trattandosi di provvedimento vincolato, è invece del tutto superflua la comparazione dell’interesse pubblico con quello del privato, anche qualora sia passato un considerevole lasso di tempo dalla realizzazione degli abusi (Cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 aprile 2023, n. 3693 e Consiglio di Stato, Sez. II, 20 luglio 2022, n. 6373: “L’ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi.”) – in termini cfr. T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 28 aprile 2025, n. 3400.

Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto.

Quanto alle spese si ritiene che sussistano i motivi che ne giustificano la compensazione integrale tra le parti, con contributo unificato definitivamente a carico di parte ricorrente.

TAR CAMPANIA – NAPOLI, III – sentenza 04.08.2025 n. 5840 

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