Urbanistica e edilizia – Ordine di demolizione di manufatti abusivi a distanza di lungo tempo dalla realizzazione delle opere

Urbanistica e edilizia – Ordine di demolizione di manufatti abusivi a distanza di lungo tempo dalla realizzazione delle opere

1. Espone la ricorrente di aver realizzato nel corso del 2001 una sopraelevazione di 68 mq. circa ad un preesistente fabbricato, sito in Agrigento, via-OMISSIS-, identificato in catasto al foglio -OMISSIS-, che sarebbe stato originariamente edificato giusta licenza di costruzione n. -OMISSIS-. Unitamente alla citata sopraelevazione vennero realizzati inoltre: un locale destinato a garage posto al piano terra, un pergolato, una piscina circolare prefabbricata di diametro pari a circa mt. 4,00 ed una tettoia in legno di mt. 3,50 x 2,50.

Per tali opere, realizzate senza i necessari titoli edilizi, con nota prot. n.-OMISSIS- veniva presentata domanda di condono edilizio, ai sensi della legge n. 326/2003.

A distanza di 22 anni il Comune di Agrigento adottava però l’ordinanza di demolizione n.-OMISSIS-, notificata il 23 febbraio successivo, con cui, giusta relazione di sopralluogo n. 27 del 5 agosto 2022, è stata ordinata alla ricorrente la demolizione dell’intero fabbricato e delle altre opere citate, “Visto il Diniego di sanatoria n.-OMISSIS- dal quale si evince che l’intero immobile (PT e I°), comprese le relative pertinenze, come sopra specificate, sono prive dei necessari titoli abilitativi rilasciati dagli Enti competenti”.

2. Per chiedere l’annullamento di tale ingiunzione è dunque insorta la ricorrente con il ricorso introduttivo del presente giudizio, notificato il 9 aprile 2024 e depositato il 19 aprile successivo.

Il mezzo di tutela è affidato alle seguenti censure:

1) Travisamento dei fatti ed eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Erronea applicazione di legge.

2) Erronea applicazione di legge (artt. 33 e 34 del D.P.R. 380/2001). Travisamento dei fatti ed eccesso di potere.

3) Illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere sotto il profilo più grave dello straripamento.

4) Illegittimità dell’ingiunzione di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi in quanto provvedimento emesso a distanza di notevole lasso di tempo rispetto alla data di esecuzione delle opere. difetto di motivazione. Violazione del principio del ragionevole affidamento.

5) Violazione dell’art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dell’art. 1 della legge regionale 10 agosto 2016, n. 16”.

3.1. Con il primo motivo, parte ricorrente si duole del difetto di istruttoria del provvedimento impugnato con cui, senza tener conto della circostanza che il nucleo originario del manufatto in questione (e dunque il piano terra del fabbricato) sarebbe stato regolarmente assentito con licenza di costruzione n. -OMISSIS-, il Comune ha ingiunto alla ricorrente di demolire l’intero fabbricato.

3.2. Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta che gli altri manufatti di cui è stata disposta la demolizione sarebbero tutti suscettibili di regolarizzazione, che a tale scopo avrebbe conferito incarico al proprio tecnico di presentare le relative richieste e che, in pendenza della domanda di sanatoria, la Pubblica Amministrazione sarebbe tenuta a sospendere tutti i provvedimenti sanzionatori posti in essere. Sotto diverso profilo è contestato, inoltre, che la demolizione del garage non potrebbe in ogni caso avvenire senza pregiudizio per la parte assentita del fabbricato e cagionerebbe pregiudizio alla staticità di esso.

3.3. Con il terzo motivo parte ricorrente denunzia poi che alcune delle opere realizzate senza titolo, segnatamente il pergolato, la struttura prefabbricata in plexiglass e la tettoia in legno avrebbero natura precaria e pertinenziale e non sarebbero soggette a permesso di costruire, a mente dell’art. 20 della legge regionale n. 4/2003.

3.4. Con il quarto motivo si contesta, poi, il vizio di motivazione che affliggerebbe la gravata ingiunzione a demolire, che è stata adottata a diversi anni dalla realizzazione delle opere abusive, sicché in tale lasso di tempo si sarebbe ingenerato nella ricorrente il legittimo affidamento circa la legittimità di quanto realizzato. Pertanto, secondo la ricorrente, il gravato provvedimento avrebbe richiesto un’ampia e circostanziata motivazione che desse conto della prevalenza dell’interesse pubblico a provvedere alla demolizione rispetto al contrastante interesse al mantenimento dei manufatti abusivi.

3.5. Con il quinto motivo, infine, parte ricorrente lamenta che, contrariamente a quanto previsto dall’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, l’ordinanza impugnata non recherebbe l’indicazione dell’area di sedime che verrebbe acquisita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza.

4. Con ordinanza n. 1156 del 26 maggio 2025, la Sezione ha stabilito “che lo scrutinio delle censure dedotte non possa prescindere dall’acquisizione dalle parti del predetto provvedimento di diniego di sanatoria n. -OMISSIS- e di tutta la documentazione relativa alla citata pratica di sanatoria, e dall’Amministrazione intimata di documentati chiarimenti circa i fatti di causa come esposti dalla ricorrente”.

Nei termini prescritti le parti hanno ottemperato all’incombente istruttorio depositando ampia documentazione.

Per chiedere il rigetto del ricorso il Comune di Agrigento si è costituito in giudizio con memoria di stile in data 24 settembre 2025.

In vista della discussione le parti non hanno versato nel fascicolo processuale nuovi documenti o prospettazioni difensive e la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 23 ottobre 2025.

5. Il ricorso è infondato e va respinto.

5.1. Con il primo motivo parte ricorrente lamenta, come detto, che il gravato ordine di demolizione sarebbe stato adottato senza tener conto della circostanza che il nucleo originario del manufatto in questione (ossia il piano terra) sarebbe stato regolarmente assentito con licenza di costruzione n. -OMISSIS-.

La doglianza si appalesa infondata alla luce della documentazione versata in atti dal Comune di Agrigento in esecuzione della citata ordinanza collegiale n. 1156 del 26 maggio 2025, dalla quale emerge che la citata licenza edilizia del 1971 non riguarda il manufatto edificato sulla particella -OMISSIS-, come invece dichiarato in ricorso dalla ricorrente, che analoga tesi aveva sostenuto in occasione della domanda di condono del fabbricato.

Quanto sostenuto dalla ricorrente era stato, per altro, già smentito dal Comune con il provvedimento di diniego di sanatoria n. -OMISSIS-(allegato 006 del deposito documentale del Comune di Agrigento dell’11 giugno 2025), non impugnato, nel quale l’Amministrazione ha evidenziato “…che dalle ricerche di archivio effettuate, non risulta rilasciata nessuna licenza di costruzione in testa alle ditte proprietarie, relativa all’immobile in narrativa, censito al N.C.E.U.: Fg. -OMISSIS-, P.lla -OMISSIS-”, ed ancora prima nella relazione di sopralluogo n. 27 del 5 agosto 2022 (allegato 002 del deposito documentale del Comune di Agrigento dell’11 giugno 2025). In questo ultimo atto, mai contestato dalla ricorrente, con maggiore specificità era stato rilevato che gli elaborati grafici allegati alla citata licenza di costruzione n. -OMISSIS- “…riportano la posizione dei due fabbricati in progetto, in corrispondenza delle odierne particelle -OMISSIS- del foglio -OMISSIS- del N.C.E.U. del comune di Agrigento. Pertanto detta licenza edilizia non riguarda la particella -OMISSIS-” e che “non è stato possibile riscontrare alcuna licenza di costruzione relativa al fabbricato ubicato sulla particella -OMISSIS- del foglio -OMISSIS- del NCEU del comune di Agrigento”.

In conclusione, la censura all’esame va respinta avendo l’Amministrazione resistente documentato “…che non è stata riscontrata alcuna licenza di costruzione relativa al fabbricato ubicato al piano terra sulla particella -OMISSIS- del foglio -OMISSIS- del NCEU del Comune di Agrigento” (cfr. relazione prot. 0040750 dell’11 giugno 2025, allegato 009 del deposito documentale del Comune di Agrigento dell’11 giugno 2025).

6. Non coglie nel segno neanche la doglianza con cui parte ricorrente denunzia che gli altri manufatti di cui è stata disposta la demolizione sarebbero tutti suscettibili di regolarizzazione, che in pendenza della domanda di sanatoria amministrativa la Pubblica Amministrazione sarebbe tenuta a sospendere tutti i provvedimenti sanzionatori posti in essere, e che la demolizione del garage non potrebbe in ogni caso avvenire senza pregiudizio per la parte assentita del fabbricato e cagionerebbe pregiudizio alla staticità di esso.

È tranciante sul punto il rilievo che la ricorrente non ha documentato di aver presentato alcuna istanza di sanatoria e che, anche ove tale istanza fosse stata presentata alla scadenza del termine di cui all’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, il procedimento di accertamento di conformità dovrebbe considerarsi a questo punto concluso con il formarsi del silenzio-rifiuto, maturato a seguito del decorso del termine di 60 giorni dalla presentazione dell’istanza (art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001), senza che sia stato adottato alcun provvedimento espresso, di cui non si ha notizia. Anche a non considerare quanto detto, ad ogni modo, sul punto la Sezione ha avuto ripetutamente modo di evidenziare come la proposizione della istanza di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 non valga, di per sé, ad incidere sulla legittimità del provvedimento repressivo, causandone, al più, una temporanea inefficacia in relazione alla decorrenza del citato termine di 60 giorni previsto dalla norma stessa perché l’Amministrazione si pronunci, decorso il quale si forma, appunto, il silenzio – rigetto sull’istanza. Se infatti si sostenesse che l’Amministrazione, nell’ipotesi in cui debba operare un rigetto esplicito o implicito dell’istanza di accertamento di conformità, abbia l’obbligo di riadottare l’ordinanza di demolizione, ciò equivarrebbe a riconoscere in capo ad un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, un inammissibile potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento (cfr. in termini T.A.R. Palermo, sez. II, 7 settembre, 2020 n. 1838 e 27 dicembre 2022, n. 3751).

6.1. È infondata anche l’ulteriore doglianza con cui parte ricorrente lamenta che la demolizione del garage non potrebbe, in ogni caso, avvenire senza pregiudizio per la parte assentita del fabbricato e cagionerebbe pregiudizio alla staticità di esso.

In disparte ogni considerazione sulla acclarata circostanza che nella fattispecie, come detto, non è rinvenibile alcuna parte assentita del manufatto, nella vicenda all’esame non vi sono ragioni per discostarsi dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, a mente del quale, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria prevista dall’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo per la stabilità del fabbricato, che costituisce il presupposto per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione. Infatti, la norma citata ha valore eccezionale e derogatorio, di conseguenza non è l’Amministrazione a dover valutare, prima di emettere l’ordine di demolizione dell’abuso, se essa possa essere applicata, ma è il privato interessato a dover dimostrare, in modo rigoroso, nella fase esecutiva, l’obiettiva impossibilità di ottemperare all’ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 12 settembre 2019, n. 6147; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 luglio 2020, n. 1526).

7. Non merita condivisione neanche il terzo motivo, con cui parte ricorrente denunzia la natura precaria e pertinenziale di alcune delle opere realizzate senza titolo.

Non vi sono ragioni nella vicenda all’esame per derogare alla costante giurisprudenza, anche di questo Tribunale Amministrativo Regionale, che rileva che, fatta salva la prova contraria che in questo caso non è stata in alcun modo fornita dal ricorrente, tali manufatti non possono dirsi “precari” poiché non facilmente smontabili in relazione ai metodi ed ai materiali utilizzati che caratterizzano, invero, gli interventi edilizi di tipo non precario (ex multis T.A.R. Palermo, sez. II, n. 1102/2022 e 2679/2022 e C.G.A.R.S. n. 1036/2018).

In ogni caso, secondo consolidata giurisprudenza, “la ‘precarietà’ dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e. 5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante” (Consiglio di Stato, VI, 4 settembre 2015, n. 4116). In altri termini ove, come nel caso di specie è avvenuto, le opere contestate siano state realizzate per soddisfare esigenze di carattere permanente, alle stesse non potrà attribuirsi carattere precario.

8. Deve essere respinto anche il quarto motivo, con cui parte ricorrente lamenta il vizio di motivazione che affliggerebbe la gravata ingiunzione a demolire, che è stata adottata a diversi anni dalla realizzazione delle opere abusive, sicché in tale lasso di tempo si sarebbe ingenerato nella ricorrente un legittimo affidamento circa la legittimità di quanto realizzato, che avrebbe richiesto un’ampia e circostanziata motivazione che desse conto della prevalenza dell’interesse pubblico a provvedere alla demolizione, rispetto al contrastante interesse al mantenimento dei manufatti abusivi.

Anche a non considerare che la ricorrente era a conoscenza sin dal 2001 della natura abusiva del fabbricato per cui è causa, del quale il Comune aveva ingiunto la demolizione con ordinanza n. 291 del 20.11.2001, impugnata anche dalla odierna ricorrente con il ricorso n. 772/2002 r.g., dichiarato perento con decreto di questo TAR n. 11939 del 12 ottobre 2010, il Collegio reputa che nella vicenda all’esame non vi siano ragioni per discostarsi dai granitici insegnamenti della più recente giurisprudenza amministrativa sul punto.

L’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie realizzate, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è notoriamente un atto dovuto; l’ordinanza va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 7 settembre 2020 n. 1845; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 26 febbraio 2020, n. 439).

Ciò posto, va ribadito come risponda a consolidati principi di diritto, per un verso, che la demolizione di un immobile edificato senza il necessario titolo, avendo come detto natura vincolata ed essendo rigidamente ancorata alla sussistenza dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non necessiti di specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 03/12/2018, n. 6839; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 03/12/2018, n. 2546) e, per altro verso, che il decorso del tempo tra la realizzazione dell’opera abusiva ed il suo accertamento non comporti l’insorgenza di alcuno stato di legittimo affidamento per il privato, né innesti in capo all’Amministrazione uno specifico onere di motivazione (in termini, per tutte, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 22 luglio 2020, n. 1526).

9. È destituita di fondamento anche la quinta ed ultima censura, con cui parte ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato non indicherebbe con precisione l’area di sedime su cui insistono le opere abusive e l’area pertinenziale da acquisire al patrimonio dell’Ente, in caso di inottemperanza all’ordine di ripristino. Secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire,”…l’omessa indicazione, nell’ordinanza di demolizione, dell’area ulteriore, rispetto a quella di sedime, da acquisire non costituisce ragione di illegittimità dell’ingiunzione, ma impedisce la successiva acquisizione dell’area medesima, ferma restando ovviamente l’acquisizione del manufatto abusivo e della relativa area di sedime, che è prevista dalla legge e non richiede alcuna specifica determinazione da parte dell’autorità amministrativa…” (T.A.R. Palermo, sez. II, 30 luglio 2019, n. 1985). In altri termini sarà l’eventuale e successiva ordinanza di acquisizione a dover precisamente individuare l’area da acquisire esplicitando i criteri di determinazione di essa e le ragioni che rendono necessario disporne l’acquisto (T.A.R. Palermo, sez. II, 17 giugno 2021, n. 1970; in termini anche Consiglio di Stato, sez. VI, 18 ottobre 2022 n. 8846).

10. Per le ragioni esposte, in conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.

11. Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e nella misura indicata in dispositivo vanno poste a carico della parte ricorrente.

TAR SICILIA – PALERMO, II – sentenza 27.10.2025 n. 2358

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