1. Con il gravame in epigrafe la società Alfa Instruments s.r.l. ha contestato la determinazione degli oneri concessori dovuti a seguito dell’acquisizione di tre lotti di terreno (nn.21,22,23) all’interno dell’area P.I.P. del Comune di Castellabate (Loc. Annunziata, fraz. San Marco) acquistati nell’anno 2023 per la realizzazione di un manufatto industriale a seguito di una procedura ad evidenza pubblica.
1.1 In particolare con la nota prot. n. 6062 del 21.03.2024 il Comune aveva determinato il predetto contributo nella misura di € 157.360,04 e la società aveva corrisposto a titolo di acconto la prima rata pari ad € 31.472,01.
2. Nel frattempo la Alpha Instruments, non condividendo la determinazione comunale degli oneri anzidetti e già prima di effettuare il pagamento della rata di acconto, è insorta introducendo l’odierno giudizio con ricorso affidato a tre articolati motivi così rubricati: “I) Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione – violazione dell’art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001, che esenta il versamento del contributo di costruzione per gli impianti destinati ad attività industriale; eccesso di potere (difetto assoluto di presupposto, di istruttoria, travisamento e ingiustizia manifesta).; II) Violazione dell’art. 35 della l. n. 865 del 1971; violazione della delibera di consiglio regionale n. 299 del 2 marzo 2007; Eccesso di potere (difetto assoluto di presupposto, di istruttoria, travisamento ed ingiustizia manifesta); iii. erronea quantificazione degli oneri concessori avvenuta sulla base della D.G.C. n. 65 del 22.04.2022 – violazione della Delibera di Consiglio Regionale n. 299 del 2 marzo 2007; eccesso di potere (difetto assoluto di presupposto, di istruttoria, travisamento ed ingiustizia manifesta)”.
3. In sintesi la ricorrente ha sostenuto che in applicazione della disciplina di rango primario vigente (tra l’altro art. 19 TUED; art. 35 L /1975 e art. 8 DRG.), a suo dire confermata dalla regolamentazione comunale, la determinazione degli oneri concessori avrebbe dovuto essere ben diversa e sensibilmente più bassa rispetto al calcolo effettuato dal Comune e rifluito nella nota impugnata. L’erroneità, a giudizio della ricorrente, sarebbe stata riconducibile in particolare alla inesatta qualificazione come commerciale dell’attività industriale ed esclusivamente produttiva esercitata nel capannone industriale.
3.1 Il Comune si è difeso in giudizio eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della delibera che a suo dire sarebbe stata modificativa dei parametri di calcolo degli oneri concessori (n. 65/2022) da qualificarsi, secondo la prospettazione della difesa comunale, quale atto presupposto. Nel merito il Comune ha poi sostenuto l’infondatezza delle doglianze svolte nel ricorso.
4. All’odierna udienza, in vista della quale le parti hanno prodotto ulteriori memorie e documenti, la causa è stata posta in decisione.
5. Il ricorso è fondato e va accolto.
6. Visto il preannunciato esito del giudizio è d’uopo che il Tribunale si soffermi in prima battuta, per respingerla, sull’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune di Castellabate: ad avviso della difesa comunale i parametri “innovativi” a fondamento della controversa determinazione degli oneri concessori sarebbero stati introdotti dalla delibera di Giunta n. 65 del 22/04/2022 – in base a questa tesi modificativa della precedente delibera n. 152/2014 – avente ad oggetto “Agg. ed adeg. oneri conc. per l’anno 2022 e rideterminazione, aggiornamento ed adeguamento delle tariffe relative a prestazioni di servizi su istanze, rilascio di certificato, attestati e costi di riproduzione di competenza dell’U.T.C. Area IV”. Ebbene, seguendo questa impostazione, la mancata impugnazione della detta deliberazione quale atto presupposto avrebbe determinato l’inammissibilità del gravame odierno.
6.1 L’assunto non è condivisibile. In primo luogo il Tribunale ricorda che nella materia de qua l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 12 del 30 agosto 2018, ha già da tempo avvalorato l’orientamento maggioritario della giurisprudenza in base al quale “il contributo di costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di diritto pubblico” sicché “il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”. Ciò reca, come precipitato, che “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire”.
Gli atti determinativi del calcolo degli oneri concessori hanno dunque natura di atti paritetici, la cui cognizione rientra tuttavia nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 133 comma 1 lett f) c.p.a.). E difatti “le controversie attinenti alla determinazione e alla liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, nonché l’azione volta alla declaratoria del diritto dell’interessato alla restituzione delle somme versate al Comune per mancato utilizzo del titolo edilizio appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” (ex multis T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 29 dicembre 2017, n.610). Cosicchè, in subjecta materia, attraverso lo spettro delle censure mosse dal ricorrente, in giudizio viene in rilievo l’intero rapporto giuridico intercorrente tra questi e l’Amministrazione, potendone il giudice accertare il contenuto e stabilire la sussistenza e la portata delle singole obbligazioni nascenti dal rapporto stesso. Si tratta, difatti, di un giudizio di accertamento sulla sussistenza e sull’entità di un’obbligazione pecuniaria.
6.2 Con riguardo all’attuale giudizio è da precisare che la ricorrente consapevolmente non ha posto in discussione l’anzidetta delibera comunale n.65/2022; al contrario ha affermato che il richiamo svolto dal Comune (peraltro nei soli atti difensivi) alla delibera fosse del tutto fuori squadra, poiché quest’ultima non aveva introdotto alcun innovativo criterio di determinazione degli oneri concessori per la costruzione di manufatti industriali in area PIP.
6.2.1 Il Collegio condivide quest’assunto: difatti, fermo quanto si avrà modo di precisare sul punto nella disamina del merito, la delibera si era limitata ad adeguare le aliquote e le tariffe dei servizi comunali, e per quanto qui rileva, degli oneri concessori per edifici destinati ad attività “commerciali e direzionali”, senza svolgere alcuna equiparazione tra queste ultime e quelle industriali ai fini della determinazione degli oneri concessori. E se avesse inteso addivenire a tale equiparazione, fermo quanto si avrà modo di osservate d’appresso, l’Amministrazione avrebbe dovuto espressamente affermarlo nella delibera, considerato che non sussiste alcun elemento normativo che condiscenda alla isolata interpretazione da cui è scaturita la determinazione dell’Ente contenuta nella nota prot. n. 6062 del 21.03.2024, avente ad oggetto la “Realizzazione di un fabbricato industriale Area P.I.P., Località Annunziata, frazione San Marco del Comune di Castellabate – Lotti 21-22-23”).
Per superare l’eccezione preliminare in esame è sufficiente quindi rilevare come la delibera n. 65/2022 non assuma nell’odierno giudizio, in riferimento alle contestazioni della ricorrente, alcun connotato di atto presupposto. Di conseguenza risulta corretto che la società non abbia chiesto al Tribunale l’annullamento della deliberazione in questione, bensì abbia agito per l’accertamento della corretta determinazione delle somme da corrispondere al Comune e di conseguenza per il riconoscimento che il pagamento fosse dovuto tenendo conto di parametri ben diversi in misura sensibilmente più bassa rispetto a quella oggetto della contestata nota prot.n. 6062 del 21.03.2024.
7. Superata l’eccezione preliminare si può ora procedere con l’esame del merito della domanda. Come già accennato ai capi precedenti il Collegio reputa fondato l’argomento principale secondo cui il Comune – erroneamente interpretando le stesse fonti regolamentari comunali, e, prima ancora la normativa di fonte regionale e nazionale di riferimento – abbia chiesto indebitamente la somma di € 157.360,04, calcolata parificando illegittimamente l’aliquota dovuta a titolo di oneri concessori per la realizzazione di edifici destinati ad attività industriale a quella dovuta per quelli destinati a ad attività commerciali.
7.1 La censura merita positivo apprezzamento.
7.2 La condivisibile ricostruzione fornita dalla ricorrente muove dalla considerazione per cui, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa dell’Amministrazione, alcuna equiparazione ai fini della determinazione degli oneri concessori potrebbe rinvenirsi nella nozione di imprenditore commerciale rinvenibile dalla generale previsione contenuta nell’art. 2195 c.c. La norma, difatti, a fini del tutto diversi e sostanzialmente per perimetrare l’ambito semantico e disciplinare di estensione della nozione di imprenditore commerciale, equipara diverse figure e così prevede: “Sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese [2188 ss.] gli imprenditori che esercitano: 1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un’attività di trasporto per terra [1678], per acqua o per aria; 4) un’attività bancaria [1834 ss.] o assicurativa [1882]; 5) altre attività ausiliarie delle precedenti [1754].[II]. Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano”.
7.3 Al contrario la nozione di attività industriale, recte, di immobile destinato ad attività industriale rilevante ai fini della determinazione degli oneri concessori trova un’autonoma fonte regolativa, in primo luogo, nell’art. 19 del TUED. La disposizione prevede che “il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche”.
Il successivo comma 2 prescrive, invece, che “il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali e direzionali o allo svolgimento di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari all’incidenza delle opere di urbanizzazione, determinata ai sensi dell’articolo 16, nonché una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione da stabilirsi, in relazione ai diversi tipi di attività, con deliberazione del consiglio comunale”.
7.3.1 Orbene, proprio come sostenuto dalla ricorrente, nel solco dei dati normativi appena indicati, la costante giurisprudenza formatasi sull’argomento ha ricostruito la nozione di attività industriale contenuta al citato 19 del DPR n. 380/2001 in chiave autonoma e ben più ristretta rispetto a quella disegnata dall’art. 2195 c.c. Difatti “Il significato da attribuire all’inciso “attività industriali” di cui al comma 1 dell’art. 19 dpr 380\01 va tracciato in maniera autonoma, prescindendo dalla omonima categoria civilistica. È di ausilio, a tal fine, il raffronto tra il primo ed il secondo comma. Appare evidente che nella prima ipotesi sono raggruppate quelle attività di produzione di beni o servizi che non prevedono un contatto diretto con l’utente finale. Viceversa, nel secondo comma sono contemplate attività che implicano l’accesso alla costruzione o impianto anche di soggetti diversi da quelli che svolgono l’attività (così quelle “turistiche”, “commerciali” e “direzionali”). Ciò sembra comprovato dalla circostanza che mentre al comma 1 si parla di “prestazione di servizi” in quello successivo si impiega l’espressione “svolgimento di servizi” (TAR Puglia, Lecce, sez. III n. 647/2020). La differenza funzionale individuata dalla condivisibile giurisprudenza testè richiamata non appare neutra da un punto di vista urbanistico che qui rileva: difatti lo svolgimento di attività che per loro natura prevedono l’affluenza di utenza esterna importa un carico diverso e più rilevante sul territorio e giustifica un regime di contribuzione più oneroso, che si avvicina a quello residenziale disciplinato dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001.
7.4 Dalla disciplina normativa già citata (art. 19 DPR n. 380/2001) e da ulteriori fonti normative si ricava, al contrario, il principio della copertura dei costi quale parametro di riferimento per la determinazione degli oneri di urbanizzazione per l’impianto di attività industriali. Segnatamente l’assunto trova riscontro nello specifico campo della realizzazione di impianti industriali e artigianali in zona PIP. Sull’argomento la giurisprudenza ha ricondotto detta impostazione, seppure per via interpretativa, ai principi e alle regole introdotte per i PEEP all’art. 35 L. 865/1975, il quale prevede che “I corrispettivi della concessione in superficie … ed i prezzi delle aree cedute in proprietà devono, nel loro insieme, assicurare la copertura delle spese sostenute dal comune o dal consorzio per l’acquisizione delle aree comprese in ciascun piano approvato …”. Detta assimilazione, con il corollario dell’applicazione del principio della parificazione dei costi, trova altresì fondamento normativo nell’art.16 del D.L. 22 dicembre 1981, n. 786 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51), secondo il quale “i comuni sono tenuti ad evidenziare con particolari annotazioni gli stanziamenti di bilancio relativi all’acquisizione, urbanizzazione, alienazione e concessione di diritto di superficie di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie ai sensi delle L. 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, 22 ottobre 1971, n. 865, e 5 agosto 1978, n. 457. Il prezzo di alienazione o di concessione in diritto di superficie delle aree e dei fabbricati, di cui al comma precedente, deve essere determinato in misura tale da coprire le spese di acquisto, gli oneri finanziari, gli oneri per le opere di urbanizzazione eseguite o da eseguire ad eccezione di quelli che la legislazione vigente pone a carico delle amministrazioni comunali”.
8. La stessa impostazione si ritrova mutatis mutandis nella legislazione regionale e segnatamente nell’art. 8, comma 1, delle “Norme tecniche e Tabelle parametriche per la determinazione degli Oneri di Urbanizzazione relativi agli interventi Residenziali, Direzionali, Terziario-Commerciale, Ricettivi ed agli Insediamenti Industriali ed Artigianali” allegate alla D.G.R. n. 299 del 2 marzo 2007. La norma dispone infatti che “Il Comune, con delibera di Consiglio di cui al comma 1 dell’articolo 1, stabilisce, in base ai parametri regionali allegati (Tabella Ip), l’incidenza del contributo per la realizzazione delle opere di urbanizzazione per la realizzazione di interventi relativi a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali per la trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi, di cui all’articolo 19 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”. Il successivo comma 2, nel contempo, prescrive che “sono fatti salvi gli insediamenti all’interno dei Consorzi ASI e dei P.I.P., per i quali i prezzi pagati ai Consorzi, ovvero ai Comuni, dagli acquirenti di lotti edificabili comprendono anche i costi sostenuti per la realizzazione delle infrastrutture e degli allacci dei singoli insediamenti (al netto di eventuali contributi a fondo perduto corrisposti da Enti Pubblici in favore dei soggetti attuatori)”.
9. Il legislatore ha inteso, dunque, riservare nella materia de qua un regime di favore per l’attività edilizia relativa a “costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi”, tanto da prevedere, tra l’altro, in dette ipotesi, che sia dovuto il solo contributo di urbanizzazione e non anche, come previsto dal comma 2 dell’art. 19 TUED, il costo di costruzione.
9.1 Del resto la scelta normativa si giustifica in forza della natura e della funzione assolta dagli oneri concessori rispetto alla specifica funzione che pertiene, invece, alla determinazione del costo di costruzione. Sul punto la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che “La funzione e la causa giuridica degli oneri di urbanizzazione, infatti, sono quelle di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, sicché l’unico criterio per determinare se gli oneri siano dovuti o meno consiste nel carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti” (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2694).
9.1.1 Simili principi sono stati affermati dal Consesso, seppure con riferimento alla quantificazione degli oneri di urbanizzazione a fonte della modifica della destinazione d’uso. In particolare, con considerazioni utili anche alla definizione dell’attuale controversia, è stato affermato che ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione e del loro eventuale aumento “…non può prescindersi dalla valutazione dell’utilizzo in concreto dell’immobile e, nel caso in cui questo svolga una funzione servente per un diverso immobile, della natura e della destinazione d’uso di quest’ultimo; il medesimo magazzino può determinare, pertanto, un differente carico urbanistico se è funzionale all’esercizio di attività produttiva, venendo utilizzato per la gestione di materiali derivanti da un fabbricato industriale, ovvero se è strumentale all’esercizio di attività commerciale, fungendo da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato; in quest’ultima ipotesi, invero, la gestione del magazzino si inserisce, come fase autonoma, nel ciclo della commercializzazione, svolgendo esso un ruolo di intermediazione commerciale, in quanto, mediante il deposito, viene di fatto regolato il flusso ed il deflusso delle scorte” (Consiglio di Stato sez. IV, n.6388/2018).
10. Rilevata la congruenza delle argomentazioni sostenute dalla ricorrente rispetto alla legislazione di matrice nazionale e regionale, resta ora da indagare l’ultimo aspetto lamentato dalla ricorrente, riguardante il contrasto tra la determinazione degli oneri concessori controversa e le stesse fonti regolamentari del Comune di Castellabate (già accennato al capo 6.2 e 6.2.1). Secondo le argomentazioni fornite dalla difesa comunale, peraltro in alcun modo rinvenibili nella nota prot. 6062 del 21.03.2024, la determinazione contestata avrebbe trovato la sua fonte nella precedente delibera n. 65/2022 avente ad oggetto la rideterminazione e l’aggiornamento di canoni, tariffe e aliquote dei servizi correlati alle attività di competenza dell’Ufficio tecnico comunale.
10.1 Ebbene, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune il Collegio non scorge alcuna attinenza tra i contenuti della predetta delibera e le modalità di calcolo contenute nella determinazione n.6062/2024. La prima, difatti, si era limitata, come è evidente ictu oculi dal mero dato letterale rispetto al quale non sorgono dubbi, ad aggiornare il quantum delle singole aliquote. Invece la stessa non si era occupata di un’eventuale rideterminazione delle categorie di appartenenza e tantomeno di parificare, ai fini della determinazione degli oneri concessori – come invece sostenuto dal Comune – l’attività industriale/artigianale a quella commerciale. La stessa Amministrazione nella memoria di merito ha integrato gli scritti con la tabella contenuta nella delibera n. 65/2022, nella cui rubrica si fa riferimento a “COSTI DI COSTRUZIONE PER FABBRICATI A DESTINAZIONE COMMERCIALE DIREZIONALE E TURISTICA”. Viceversada nessun frammento del deliberato era dato evincere il possibile riferimento all’equiparazione, ai fini che qui rilevano, tra l’attività (destinazione) commerciale e l’attività (destinazione) industriale.
10.2 La tesi comunale risulta dunque priva di fondamento, tenuto conto che dai dati normativi di riferimento fin qui esaminati emerge la irriducibilità della destinazione industriale a quella commerciale ai fini del criterio di determinazione degli oneri concessori
10.2.1 Al contrario risultano congruenti rispetto al dato regolamentare comunale le considerazioni svolte dalla ricorrente, la quale ha osservato come – a fronte del precedente acquisto di un lotto di terreno – per la determinazione degli oneri concessori erano state correttamente applicate le aliquote previste per gli immobili adibiti ad attività industriali, distinte da quelle correlate, invece, alle attività commerciali. Sul punto il Comune ha erroneamente sostenuto che la diversa determinazione a cui ha fatto riferimento la ricorrente a proposito di una precedente acquisizione di area avvenuta nel 2015 fosse ascrivibile, per l’appunto, alla modifica medio tempore intervenuta con la citata delibera n. 65/2022. In particolare, secondo la prospettazione della (sola) difesa comunale con il provvedimento sarebbe stata modificata la precedente delibera n. 152/2014 aggiornando e rideterminato “le tariffe relative a prestazioni di servizi su istanze, rilascio di certificati, attestati e costi di riproduzione di competenza dell’Ufficio territoriale del Comune” (cfr. pag. 3 della memoria del Comune).
11. A questo punto, sgomberato il campo anche dall’erronea ricostruzione fattuale, prima ancora che interpretativa, sostenuta dall’Amministrazione, le doglianze della ricorrente possono trovare favorevole accoglimento. Difatti, parametrando la disamina normativa e giurisprudenziale fin qui svolta alla vicenda odierna, va escluso che l’edificio oggetto di controversia possa essere attratto, nella situazione configurata, a una finalità commerciale. Né il Comune ha posto in dubbio che si trattasse di un manufatto industriale. In altri termini, si tratta – nel caso di specie – di immobile che in assenza di elementi di diversa considerazione introdotti dall’Amministrazione deve ritenersi, comunque, essenzialmente di carattere industriale. E in assenza di un’equiparazione, ai fini che qui pertengono, tra l’attività industriale e quella commerciale, la determinazione degli oneri concessori svolta dal Comune deve essere disattesa, con conseguente accoglimento della domanda attorea.
12. Conclusivamente la domanda proposta è fondata e dunque il ricorso è accolto. Ne consegue la condanna del Comune di Castellabate alla rideterminazione degli oneri di urbanizzazione a carico della ricorrente, da calcolare tenendo conto, sulla base delle coordinate fornite in motivazione, della distinzione tra gli immobili destinati ad attività industriale e quelli, invece, vocati ad attività commerciale ed applicando alla ricorrente i parametri della prima.
Infine il Collegio precisa in proposito che all’esito delle operazioni di ricalcolo il Comune dovrà altresì restituire la somma eventualmente ancora eccedente rispetto all’acconto già versato con la prima rata.
Le spese seguono la generale regola della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
TAR CAMPANIA – SALERNO, II – sentenza 16.10.2025 n. 1693