1. L’appello censura la sentenza per omessa pronuncia sui motivi del ricorso originario e ad esso aggiunti, che vengono quindi riproposti.
2. Un primo gruppo di censure prospetta la violazione dell’art. 27, comma 2, del testo unico dell’edilizi. Viene al riguardo precisato che la documentazione progettuale da prendere in considerazione per verificare la difformità dell’opera consiste nell’«elaborato grafico esecutivo del pergolato chiesto dal Comune con Nota n. 15237 del 27.3.2014 e trasmesso dalle ricorrenti con nota 19133 del 17.4.2014 con riferimento al quale il Comune di Formia ha, in data 8.5.2014, assentito la D.I.A.». Quindi, si assume innanzitutto che la citata disposizione del testo unico dell’edilizia sarebbe stata violata sul piano procedimentale, per mancata previa comunicazione all’autorità preposta al vincolo, e cioè la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici della Regione Lazio.
3. Nel merito, viene riproposta la tesi secondo cui la struttura lignea realizzata sarebbe un pergolato. L’opera consisterebbe più precisamente in «una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni, di facile rimozione e, comma tale, pienamente conforme, sotto il profilo strutturale, alle prescrizione tipologiche impartite per il pergolato dal dirigente comunale con la nota prot. 15237 del 27.3.2014». Per essa – si aggiunge – non sarebbe necessaria alcuna autorizzazione paesaggistica, perché rientrerebbe nelle ipotesi previste dalle lettere A.12 e A.22 dell’allegato A al citato regolamento relativo all’autorizzazione paesaggistica semplificata, di cui al DPR 13 febbraio 2017, n. 31, rispettivamente concernenti «gli interventi da eseguirsi nelle aree di pertinenza degli edifici non comportanti significative modifiche degli assetti planimetrici e vegetazionali…»(voce A.12); e l’«installazione di tende parasole su terrazze, prospetti o in spazi pertinenziali ad uso privato»(voce A.22).
4. Con un secondo ordine di censure viene dedotto che dal punto di vista edilizio l’opera sarebbe soggetta al regime di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera e-quinquies), del testo unico di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380, concernente le «aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici», e del sopra menzionato Glossario di cui al decreto ministeriale del 2 marzo 2018. Viene aggiunto sul punto che con il regime di cui alla sopra citata deliberazione consiliare del 27 aprile 2009, n. 20, con la quale l’amministrazione resistente aveva sottoposto a d.i.a. i pergolati aventi una superficie non superiore al 50% della superficie lorda dell’unità immobiliare di cui costituisce pertinenza, sarebbe stato poi superato dalle disposizioni normative statali poc’anzi richiamate.
5. La contestata ripristinatoria sarebbe inoltre illegittima per violazione dell’art. 37 del testo unico dell’edilizia, che per il caso di opere realizzate in difformità della d.i.a. prevede la sanzione pecuniaria, e comunque sanabile ai sensi dell’art. 36 del medesimo testo unico.
6. Sono quindi riproposti i motivi aggiunti contro il diniego di sanatoria. Si lamenta innanzitutto il superamento del termine di conclusione del procedimento e la mancata partecipazione delle interessate. Sono inoltre riproposte le censure di ordine sostanziale relative all’intervento repressivo impugnato con ricorso.
7. Le censure così sintetizzate sono infondate.
8. Innanzitutto, con esse non si contestano le difformità rispetto alla d.i.a. assentita dall’amministrazione comunale resistente, analiticamente descritta nell’ordine di ripristino impugnato con il ricorso di primo grado, oltre che accertate dalla sentenza di primo grado, con statuizione non censurata ex art. 101, comma 1, cod. proc. amm. a mezzo del presente appello, che in modo palesemente erroneo prospetta in apice un difetto di pronuncia sul punto. Più nello specifico, attraverso il mero richiamo agli elaborati grafici sulla cui base sarebbe intervenuto l’assenso comunale non viene posta in discussione la «difformità di superficie complessivamente stimata in circa mq. 18,00», di cui viene dato atto anche nella presupposta relazione dello sportello unico dell’edilizia privata del 15 ottobre 2010, prot. n. 44216, e del conseguente superamento del limite dimensionale pari al 50% della superficie coperta dell’unità residenziale, fissato nella più volte citata delibera consiliare del 27 aprile 2009, n. 20, in ragione del quale l’opera era stata assentita per una superficie massima di 71,25 mq. Del pari non sono contestate le ulteriori difformità consistente nell’aggetto di circa 60 cm e delle tre aperture chiuse da lastre trasparenti, entrambe non presenti negli elaborati grafici sulla base dei quali la d.i.a. era stata assentita, dopo il contraddittorio procedimentale tra le interessate e l’amministrazione; così come la chiusura del terrazzino sul lato opposto dell’edificio.
9. Le difformità così accertate e non contestate nel presente giudizio costituiscono elementi di fatto idonei a legittimare l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi «in continuità alla DIA n. 6837 del 31.7.2020 (prot. n. 33846), come integrata». Per questa parte si tratta infatti di «opere eseguite senza titolo» in area paesaggisticamente vincolata, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del testo unico dell’edilizia, il quale costituisce la base normativa legittimante l’intervento comunale repressivo, finalizzato «al ripristino dello stato dei luoghi».
10. Palese è inoltre il difetto dei requisiti per considerare l’opera in contestazione come pergolato, conseguentemente non soggetto alle prescrizioni edilizie comunali ma riconducibile al regime di edilizia libera. La prospettazione, oltre a porsi in contrasto con l’operato delle stesse ricorrenti, che per l’opera hanno a suo tempo presentato la d.i.a. da cui trae origine il presente giudizio, non considera che tra le caratteristiche del pergolato, e la sua conseguente irrilevanza dal punto di vista urbanistico-edilizio, oltre che paesaggistico, vi è quella dell’apertura nella parte superiore (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, VI, 28 marzo 2025, n. 2603). Una simile caratteristica è evidentemente mancante nel caso di specie, dal momento che l’opera realizzata dalle ricorrenti presenta una «copertura inclinata in doghe di legno sostenuta da traversine in legno (…) e sovrastante guaina impermeabilizzante», come attestato nella sopra richiamata relazione del s.u.a.p. dell’amministrazione comunale resistente. Altrettante evidente è l’estraneità del manufatto all’intervento parimenti realizzabile in regime di edilizia libera dato dalle «aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici», di cui all’art. 6, lett. e-quinquies), del testo unico di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380.
11. Sulle ora descritte caratteristiche si infrangono inoltre le ulteriori deduzioni dirette a sostenere che per l’opera in questione non sarebbe richiesta l’autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’allegato A al DPR 13 febbraio 2017, n. 31. A questo riguardo, va infatti esclusa tanto l’ipotesi degli «interventi da eseguirsi nelle aree di pertinenza degli edifici non comportanti significative modifiche degli assetti planimetrici e vegetazionali…», quanto quella delle «tende parasole su terrazze, prospetti o in spazi pertinenziali ad uso privato», di cui rispettivamente alle voci A.12 e A.22. Per gli uni e gli altri non è infatti specificato che essi possano consistere in opere comportanti una copertura di rilevanti dimensioni quale quella realizzata sul terrazzo pertinenziale delle ricorrenti.
12. Il regime vincolistico dell’area osta inoltre ritenere che l’intervento repressivo dell’amministrazione comunale si sarebbe dovuto limitare all’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 37, comma 1, del testo unico dell’edilizia, tra l’altro relativo al caso di difformità dalla s.c.i.a. (già d.i.a.). Come in precedenza esposto, la base normativa legittimante l’intervento dell’autorità comunale è data dal sopra citato art. 27, comma 2, del medesimo testo unico, relativa ad abusi realizzati in area vincolata.
13. Per tutte le ragioni finora esposte è da considerarsi legittimo sul piano sostanziale anche il diniego di sanatoria, oggetto dei motivi aggiunti in primo grado, mentre per quanto concerne le censure di ordine procedimentale prospettate, anche con riguardo all’ordine di ripristino impugnato con ricorso, degradano a mere irregolarità non invalidanti, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241. A questo riguardo, la mancata previa comunicazione dell’ordine di ripristino all’autorità preposta al vincolo, nel caso di specie individuata nella Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici della Regione Lazio, prevista dall’art. 27, comma 2, del DPR 6 giugno 2001, n. 380, si sostanzia in un’omissione procedimentale che solo quest’ultima e non già il destinatario dell’ordine è legittimata a fare valere, nella misura in cui essa impedisce all’amministrazione delle belle arti di «intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa».
14. L’appello deve quindi essere respinto. In assenza di costituzione in giudizio dell’amministrazione comunale non vi è luogo a provvedere sulle spese di causa.
CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 05.08.2025 n. 6933