1. Preliminarmente, il Collegio ritiene di non accogliere l’istanza di riunione del presente ricorso a quelli portanti i nn. di R.G. 402/2022 e 403/2022 (discussi all’udienza pubblica del 19.6.2025) e nn. 396/2022, 397/2022, 398/2022, 399/2022 e 400/2022 (in discussione il 9.10.2025), trattandosi di una scelta facoltativa e discrezionale di mera opportunità rimessa al Tribunale che, nel caso di specie, non porterebbe ad una maggiore economicità e speditezza dei relativi giudizi, suggerendo pertanto il mantenimento della loro separazione (Cons. Stato, V, 16.04.2024, n. 3463; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14.04.2025, n. 1328). Invero, nel processo amministrativo la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., talché i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio.
2. Il primo motivo di ricorso, riferito alle opere realizzate nel sottotetto di cui al punto a) dell’ordinanza impugnata, si incentra sull’assenza di preclusioni normative alla suddivisione del locale e alla collocazione nel medesimo degli impianti contestati: secondo i ricorrenti, una corretta esegesi dell’art. 21 delle N.t.a. del PRGC, tanto nella formulazione vigente al tempo della realizzazione delle opere quanto in quella successivamente introdotta dalla variante urbanistica n. 78, approvata con Delibera consiliare n. -OMISSIS-, porta a escludere che gli interventi contestati si pongano in frizione con la disciplina urbanistica comunale e con i pregressi titoli edilizi; a loro avviso, anche un’attenta lettura della più recente stesura della norma porta anzi a ritenere che la realizzazione di pareti interne e di impianti non sia incompatibile, di per sé, con la destinazione accessoria del sottotetto, la quale viene meno (con conseguente computo, ai fini della determinazione della volumetria dell’edificio, anche dello spazio al di sotto la copertura) soltanto nel caso in cui tali opere siano “finalizzate alla successiva trasformazione ad uso abitativo”; inoltre, nel caso in cui il sottotetto risulti privo delle caratteristiche dimensionali e di accessibilità riportate nell’elencazione di cui al primo periodo del “nuovo” punto 3–7 del citato art. 21 delle N.t.a., la norma ne fa salva la destinazione accessoria previa stipula di apposito atto di vincolo unilaterale di “non abitabilità”. Nel caso di specie, sempre seguendo la prospettazione attorea, poiché la parte di edificio in questione – la cui realizzazione è stata assentita dal Comune di Moncalieri nel 2005 – 2008 con previsione di suddivisioni interne, collegamento tramite scala interna e dotazione di lucernai – già non possedeva le caratteristiche indicate nel “nuovo” punto 3–7 dell’art. 21 delle N.t.a. introdotto nel 2020, le tramezzature e gli impianti contestati nell’ordinanza non ne hanno mutato la destinazione d’uso, che permane accessoria come da atto di vincolo unilaterale a suo tempo formato. Le opere eseguite nel sottotetto, pertanto, in quanto incidenti sulla mera, diversa distribuzione degli ambienti interni, avrebbero dovuto essere qualificate quale intervento di manutenzione straordinaria soggetta al regime della comunicazione di inizio lavori asseverata ai sensi dell’art. 6 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, la cui omessa presentazione comporta una mera sanzione pecuniaria.
2.1. La censura è infondata.
2.2. Gli interventi di cui al punto a) dell’ordinanza non incidono solamente sulla distribuzione degli ambienti interni come preteso dai ricorrenti: come risulta dalle fotografie qui depositate dal Comune di Moncalieri sub doc. 8, gli ambienti presentano finizioni, serramenti interni, dotazioni impiantistiche, riscaldamento e servizi igienici propri della destinazione abitativa.
2.3. Per consolidato orientamento giurisprudenziale, la modifica della destinazione d’uso del sottotetto da deposito o simile ad abitativo integra un mutamento di destinazione d’uso che interviene tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, sicché detto intervento è subordinato al rilascio del permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 480/2001 (ex multis, Cons. Stato, VII, 21.8.2023, n. 7835). In tal senso depone anche il disposto dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001 – inserito dall’art. 17, comma 1, lettera n), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164 – a mente del quale deve ritenersi “mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale”. La trasformazione di un sottotetto in uno spazio abitabile è quindi urbanisticamente rilevante, poiché incide sul carico urbanistico e, pertanto, necessita di un titolo abilitativo, la cui mancanza determina una situazione di illiceità che va rilevata dall’amministrazione nell’esercizio del suo potere di vigilanza (ex multis, Cons. Stato, VI, 23.2.2023, n. 1828).
2.4. È inoltre irrilevante la circostanza che gli spazi in questione siano o meno attualmente abitati, essendo sufficiente a determinare la non conformità dell’immobile una accertata modifica edilizia, tale da variare le oggettive attitudini funzionali del bene (Cons. Stato, VI, 29.6.2022, n. 8256, con richiami a Cons. Stato, VI, 29.1.2020, n. 714).
2.5. Alla luce delle superiori coordinate giurisprudenziali, il mutamento di destinazione d’uso in senso residenziale dell’immobile è di per sé sufficiente a suffragare la contestazione operata dagli uffici comunali. In ogni caso, neppure la disciplina edilizia locale invocata dai ricorrenti offre spunti per una diversa qualificazione dell’intervento abusivo. Lo strumento urbanistico, al contrario, per l’intero periodo temporale qui rilevante, ha sempre previsto che la volumetria posta nei sottotetti, ove destinata ad uso abitativo, rilevasse a fini edilizi e richiedesse, pertanto, un pertinente titolo autorizzativo.
2.5.1. L’art. 21 delle N.t.a. del PRGC, nella formulazione vigente al momento della realizzazione delle opere (doc. 3 Comune), consentiva infatti che non venisse computata la volumetria dei sottotetti adibiti a “sgomb[e]ro, stenditoio, lavanderia, impianti tecnologici ed eventuali soffitte condominiali”, previo perfezionamento di apposito atto di vincolo unilaterale di “non abitabilità”. Orbene, tale impegno, in linea con i superiori arresti giurisprudenziali, già in allora non imponeva solo di astenersi dall’utilizzare in via di fatto tali spazi a fini abitativi ma ne implicava altresì la conservazione ad uso accessorio del sottostante appartamento, con rinuncia ad ogni trasformazione edilizia con ciò incompatibile.
2.5.2. Il medesimo art. 21 delle N.t.a. del PRGC, nella stesura adottata con la variante urbanistica n. -OMISSIS-, vigente al momento dell’emanazione dell’ordinanza, prescriveva che “… non sono ammesse tramezzature, finestrature nonché finiture e predisposizioni di qualsiasi tipo finalizzate alla successiva trasformazione ad uso abitativo del vano in argomento quale impianto elettrico, idrico, termico. È fatta comunque eccezione per quelle legate al funzionamento degli impianti tecnici presenti (ascensore, centrale termica, impianti di condizionamento)”; precisava, inoltre, che “sarà computata la volumetria di quei sottotetti che non rispondono ai requisiti sopraelencati. Per tali sottotetti, che non rivestono le caratteristiche di abitabilità, dovrà essere presentato atto di vincolo unilaterale di non abitabilità”. Orbene, tale ultimo inciso, pur riferito a parametri dimensionali e di accessibilità dei sottotetti non espressamente previsti nella stesura previgente, permane ostativo alla trasformazione edilizia degli spazi in senso abitativo. Il sottotetto di cui è causa, infatti, ben poteva (e può) conservare le originarie caratteristiche dimensionali e di accessibilità contenute nel titolo edilizio, mentre permane il divieto di trasformazioni edilizie e impiantistiche atte a renderlo abitabile.
2.6. L’ordinanza gravata deve quindi ritenersi in parte qua esente dai vizi di cui in rubrica, con la precisazione che il relativo dispositivo dovrà essere interpretato, in stretta adesione alle considerazioni espresse, come prescrittivo dell’eliminazione delle sole opere o porzioni di esse e degli impianti eccedenti quanto precedentemente assentito.
3. La seconda censura, riferita alle opere realizzate nei locali posti al piano terzo di cui al punto b) dell’ordinanza, si appunta sulla circostanza che tali “modeste opere edili” non abbiano modificato la superficie utile ed il volume dell’appartamento, sicché, riprendendo quanto dedotto nel primo motivo di ricorso, le stesse, in quanto incidenti sulla mera, diversa distribuzione degli ambienti interni, avrebbero dovuto essere qualificate quale intervento di manutenzione straordinaria soggetta al regime della c.i.l.a. ai sensi dell’art. 6 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, il cui omesso inoltro comporta una mera sanzione pecuniaria.
3.1. Il motivo è fondato.
3.2. Il Collegio non ignora che, per consolidato insegnamento del Giudice d’appello “la valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate; né è data la possibilità di scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni; l’opera edilizia abusiva va, in sostanza, identificata con riferimento all’immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato” (ex multis, Cons. Stato, V, 7.10.2024, n. 8032, con richiami a Cons. Stato, II, 11.3.2024, n. 2321). E’ parimenti noto al Tribunale che tale principio pretorio, tuttavia, trova il proprio temperamento applicativo quando l’abusività investa non già la “costruzione” in senso unitario, ossia riguardata nel suo complesso, bensì singole porzioni di essa che non siano tra loro inestricabilmente connesse, ma autonome e scindibili sotto il profilo materiale e funzionale (sul punto, TAR Toscana, Firenze, III, 18.5.2016, n. 862; TAR Sardegna, Cagliari, II, 17.9.2019, n. 740; TAR Lazio, Roma, II, 6.2.2020, n. 1584, T.A.R. Campania, Salerno, II, 24.6.2022,n. 1799, T.A.R. Campania, Salerno, II, 27.9.2024,n. 1736).
3.3. La fattispecie di cui è causa, come visto, è caratterizzata dall’abusiva trasformazione in senso abitativo dei locali posti nel sottotetto, nonché dalla distinta traslazione di alcuni tramezzi all’interno del separato e sottostante appartamento al terzo piano, quest’ultima priva di incidenza sui parametri volumetrici e di superficie; benché una scala interna, pacificamente assentita, colleghi le suddette, due porzioni del fabbricato, le stesse permangono separate, distinte e dotate di una destinazione funzionale autonoma. L’Amministrazione, pertanto, non avendo individuato alcun indice di collegamento materiale e teleologico tra le opere edilizie contestate, non avrebbe dovuto considerarle unitariamente e parificare sul piano sanzionatorio-ripristinatorio le lievi difformità riguardanti la posizione delle pareti interne dell’alloggio ai più rilevanti e gravi abusi commessi al piano soprastante.
3.4. Alla luce delle superiori coordinate giurisprudenziali e avuto riguardo alla particolare conformazione dei luoghi, l’ordinanza gravata è pertanto illegittima quanto al punto b), in cui ordina de plano la demolizione delle opere poste nell’alloggio al piano terzo.
4. Il ricorso deve quindi essere respinto per quanto riguarda il primo motivo e, invece, accolto per quanto riguarda il secondo motivo.
5. Le spese di lite devono essere compensate, in ragione della parziale, reciproca soccombenza.
TAR PIEMONTE, II – sentenza 16.10.2025 n. 1434