1. L’appello censura la sentenza innanzitutto per non avere considerato che la necessità di realizzare un vano tecnico al piano interrato si è manifestata solo nella fase di esecuzione dei lavori, a fronte della sua «intrinseca imprevedibilità» in sede progettuale. A questo riguardo si sottolinea che in ragione delle caratteristiche del terreno, quali riscontrate durante gli scavi per la posa delle fondazioni, sarebbe emersa l’esigenza di «approfondire ulteriormente il piano fondale fino ad arrivare alla quota del terreno per ritenersi ideale per la costruzione», e che in seguito a questo abbassamento si è deciso di realizzare un vanto tecnico temporaneo; il tutto come rappresentato nella relazione tecnica allegata alla dichiarazione di variante in data 10 febbraio 2010.
2. Sotto un distinto profilo si lamenta che a fronte della comunicazione del 21 luglio 2009, presentata secondo il regime emergenziale di cui alla delibera consiliare del 25 maggio 2009, n. 58, non si sarebbe potuta ingiungere la demolizione prima di un intervento in autotutela sul titolo edilizio. Nelo specifico si sarebbe dovuto attivare il potere di revoca previsto dall’art. 2 della disciplina emergenziale, da emettere all’esito di un procedimento il cui avvio si sarebbe dovuto comunicare all’interessato ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241. Sul punto, la sentenza di primo grado avrebbe erroneamente ritenuto che in ragione della radicale difformità del manufatto l’amministrazione comunale non sia tenuta al rispetto delle forme dell’autotutela, nondimeno espressamente previste nella disciplina emergenziale.
3. Infine viene riproposta la censura di violazione dell’art. 34 del testo unico dell’edilizia. Si deduce al riguardo che la demolizione integrale del fabbricato, comprendente il piano fuori terra legittimamente edificato, sarebbe «pesantemente afflittiva per la sfera giuridico patrimoniale della ricorrente».
4. Tanto premesso, le censure riproposte a mezzo del presente appello non sono in grado di infirmare il ragionamento logico-giuridico sulla cui base la pronuncia di primo grado ha respinto l’impugnazione contro l’ordine di demolizione oggetto di controversia.
5. Deve innanzitutto essere confermato il rilievo in fatto della difformità totale del manufatto rispetto al regime edilizio emergenziale introdotto dall’amministrazione comunale dell’Aquila in conseguenza del terremoto del 6 aprile 2009, sotto il profilo della violazione del parametro edilizio consistente nella realizzazione di una superficie utile complessivamente eccedente il limite di 95 mq, previsto dall’art. 5, comma 4, della delibera consiliare del 25 maggio 2009, n. 58 («95 mq. di superficie utile»). Sul punto, è incontroverso che il superamento è stato determinato per effetto della realizzazione di un piano interrato con altezza pari a 2,85 metri, superiore a quella di 2,5 metri prevista dal citato regolamento edilizio comunale (art. 23, comma 6), oltre la quale «la relativa superficie è da considerare volume utile e quindi superficie abitabile» (così nel provvedimento impugnato).
6. Il dato obiettivo in questione, in astratto sufficiente per l’amministrazione comunale per esercitare legittimamente i propri poteri repressivi, non è poi contraddetto dall’assunto difensivo secondo cui il piano interrato si sarebbe reso necessario a causa dell’acclività del terreno riscontrata nel corso della posa delle fondazioni del manufatto abitativo, e che si tratterebbe di un «vano tecnico temporaneo», destinato ad essere completamente interrato a lavori ultimati (così nella relazione tecnica allegata alla dichiarazione di variante del 10 febbraio 2010). In primo luogo, come sottolinea il Comune dell’Aquila nelle proprie difese, al di là di quanto dichiarato nella relazione tecnica non è stato fornito alcun elemento dimostrativo, ed in particolare una relazione geologica descrittiva delle caratteristiche del terreno ed illustrativa della necessità di approfondire il piano di posa delle fondazioni e tanto meno di realizzare un vano tecnico.
7. Peraltro, quand’anche quanto meramente dichiarato in sede di variante corrisponda al vero, dalla stessa prospettazione difensiva in esame si ricava che la decisione di realizzare un vano ulteriore rispetto a quello assentibile in base alla disciplina emergenziale non risponde ad alcuna obiettiva necessità costruttiva. Infatti, non emergono ragioni per cui le asserite esigenze di isolamento del piano fuori terra dal terreno sottostante e di deposito temporaneo di materiale di cantiere non avrebbero potuto essere soddisfatte diversamente e dunque abbiano costituito una necessità obiettiva e non già una scelta volontaria dell’interessata.
8. Ad ulteriore confutazione delle difese svolte sul punto da quest’ultima può inoltre essere richiamata l’annotazione di servizio della polizia municipale in data 8 febbraio 2010, nella quale si dà atto che il piano interrato in contestazione «risulta essere composto da n. tre vani». La suddivisione interna così accertata vale a privare di fondamento l’ipotesi della realizzazione di un vano tecnico temporaneo, oltretutto resa nota all’amministrazione due giorni dopo, con la più volte menzionata comunicazione di variante, la quale sul piano meramente temporale si palesa dunque come giustificazione preventiva rispetto al prevedibile esercizio dei poteri repressivi da parte di quest’ultima, come in effetti verificatosi.
9. A ciò si aggiunge un dato di carattere obiettivo che non risulta contestato nel presente giudizio, consistente nell’altezza del piano interrato di 2,85 metri, corrispondente a quella tipica dei locali ad uso abitativo, e che come sopra esposto il regolamento edilizio locale considera come superficie utile computabile a fini urbanistici (art. 23, comma 6, già menzionato).
10. I rilievi finora svolti rendono dunque incontrovertibile la totale difformità della costruzione nel suo complesso rispetto alla medesima disciplina e correlativamente valgono a dimostrare la legittimità del potere repressivo esercitato dal Comune dell’Aquila attraverso l’ordine di demolizione impugnato, come statuito dalla sentenza di primo grado. Va al riguardo precisato che diversamente da quanto si suppone con le censure riproposte in appello non vi era alcuna necessità di un intervento in autotutela rispetto ad un preteso titolo edilizio in precedenza perfezionatosi. Infatti, come anche affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sentenza 31 luglio 2020, n. 4886, della VI sezione), la disciplina emergenziale emanata dal Comune dell’Aquila con la delibera consiliare del 25 maggio 2009, n. 58, a partire dalla prevista comunicazione finalizzata alla realizzazione di manufatti abitativi temporanei (art. 1), non ha introdotto alcun istituto avente le caratteristiche della s.c.i.a. e al quale sia conseguentemente applicabile il relativo regime giuridico, contraddistinto dalla formazione in via tacita di un’autorizzazione amministrativa in caso di mancato esercizio del potere inibitorio nel termine legislativamente previsto. Nessun elemento in questo senso è ritraibile dalla disposizione ora citata, la quale invece si limita a richiedere la comunicazione preventiva all’amministrazione comunale per la «localizzazione e realizzazione» dei manufatti abitativi.
11. Sotto quest’ultimo profilo non giova in particolare il richiamo all’art. 2 della medesima delibera consiliare, nella parte in cui reca una riserva del potere di revoca in favore dell’amministrazione comunale. La previsione non è infatti rivolta a titoli edilizi formatisi per silentium, ma alle stesse disposizioni emergenziali, qualificate «di carattere straordinario e transitorio», della durata «di mesi 36», con previsione di automatica decadenza allo scadere, salvo proroga motivata: «(l)e presenti disposizioni sono di carattere straordinario e transitorio ed hanno un periodo di validità di mesi 36. Al termine di tale periodo, connesso all’esaurirsi dello stato di emergenza, le stesse decadranno automaticamente, salvo diversa, motivata, determinazione dell’Amministrazione comunale per eventuali proroghe». Alla disposizione ora richiamata segue quindi quella in base alla quale l’amministrazione stessa «si riserva altresì di revocarle prima del suddetto termine», con riferimento evidente sul piano grammaticale alle disposizioni emergenziali disciplinate nel periodo precedente.
12. L’impossibilità di ricondurre il manufatto realizzato al regime emergenziale introdotto per fronteggiare l’emergenza abitativa conseguente al terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila comporta quindi la riespansione dei poteri ordinari dell’autorità comunale in materia edilizia, rispetto ad un’ipotesi di mancanza del titolo edilizio, come statuito dalla sentenza di primo grado. Ne deriva l’ulteriore conseguenza che in assenza di ulteriori censure nel merito degli accertamenti svolti dall’amministrazione resistente la demolizione si palesa come determinazione conclusiva di carattere vincolato, il cui difetto di previa partecipazione procedimentale degrada ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ad irregolarità non invalidante, come parimenti statuito dalla sentenza appellata.
13. Residua la censura di violazione dell’art. 34 del testo unico dell’edilizia, sotto il profilo della mancata limitazione del provvedimento repressivo al solo piano abusivamente realizzato, il quale è tuttavia agevolmente confutabile avuto riguardo al fatto che l’ipotesi dell’assenza di titolo edilizio è una di quelle per cui ai sensi dell’art. 31 del medesimo testo unico di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380, è prevista la demolizione. Non è inoltre ravvisabile alcun pregiudizio per le esigenze abitative della ricorrente, poiché come dedotto dall’amministrazione comunale, senza che sul punto vi siano contestazioni, l’originaria abitazione della stessa, situata in via Scarfoglio 10, è tornata agibile a decorrere dal maggio del 2015.
14. L’appello deve quindi essere respinto. Le spese di causa possono nondimeno essere compensate, in ragione del fatto che la presente vicenda controversa origina dal noto evento sismico che ha colpito la popolazione dell’Aquila, tra cui la ricorrente.
CONSIGLIO DI STATO, III – sentenza 25.09.2025 n. 7525