Urbanistica e edilizia – Legittimità dell’atto di approvazione del Piano regolatore Generale relativo alla variazione della destinazione urbanistica del territorio comunale da ambito di trasformazione a funzione produttiva a zona agricola o naturale per la necessità di riduzione del consumo del suolo

Urbanistica e edilizia – Legittimità dell’atto di approvazione del Piano regolatore Generale relativo alla variazione della destinazione urbanistica del territorio comunale da ambito di trasformazione a funzione produttiva a zona agricola o naturale per la necessità di riduzione del consumo del suolo

1. La ricorrente società Bendotti R.E. S.r.l., che svolge prevalentemente “attività immobiliare su beni propri; acquisto, vendita, permuta, costruzione, trasformazione, ristrutturazione e gestione di immobili e operazioni di locazione immobiliare”, è proprietaria del compendio immobiliare sito nel Comune di Costa Volpino, via Zoncone n. 34, catastalmente identificato al NCT, foglio 1, mappali 3778, 3779, 8718, 3780, 1706 e porzione del mappale 1541.

2. Tale area, avente una superficie territoriale complessiva di mq. 9.545, è adiacente all’insediamento produttivo industriale dell’azienda “Forni Industriali Bendotti S.p.A.”, operante nel settore siderurgico dei costruttori di forni industriali, pure riconducibile alla famiglia Bendotti.

3. L’area in questione, di proprietà della ricorrente, è stata individuata nel P.G.T. del Comune di Costa Volpino del 2009, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 41 del 19 giugno 2009, quale Ambito di Trasformazione a destinazione Produttiva con la dicitura “ATP1”.

4. La destinazione di tale area ad Ambito di Trasformazione Produttiva ATP1 veniva mantenuta anche nel successivo P.G.T. del Comune, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 68 del 22 dicembre 2015, confermandone dunque la funzione, già riconosciuta dal P.G.T. previgente, di completamento dell’insediamento produttivo esistente in loco.

5. Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 23 del 22 giugno 2021, il Comune di Costa Volpino, sul presupposto di dover ridurre il consumo del suolo in attuazione della L.R. n. 31/2014, procedeva all’adozione di una variante al P.G.T. ai sensi dell’art. 13 della L.R. n. 12/2005 e s.m.i., con la quale eliminava dalle previsioni del P.G.T. l’Ambito di Trasformazione a destinazione produttiva ATP1 trasformandolo da “superficie urbanizzabile per altre funzioni urbane” in “area agricola o naturale”.

6. In data 17 settembre 2021, entro il termine previsto dall’art. 13 co. 4 della L.R. n. 12/2005, la ricorrente società presentava al Comune di Costa Volpino le proprie osservazioni alla predetta adozione della variante al P.G.T., deducendo come non sussistessero i presupposti tecnico urbanistici della decisione comunale di ricondurre a destinazione agricola l’area in questione per ottemperare alla disciplina sovraordinata regionale e provinciale, tra l’altro in totale assenza di qualsivoglia motivazione circa la necessità di espungere proprio tale specifico ambito di trasformazione, anziché altri ambiti, al contrario confermati, e chiedendo, conseguentemente, il ripristino delle previsioni urbanistiche preesistenti.

7. Tuttavia, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 13 del 17 febbraio 2022, oggetto del presente gravame, il Comune di Costa Volpino, dichiarando esaminate le osservazioni pervenute ed adottate le controdeduzioni alle medesime, approvava in via definitiva il nuovo P.G.T., respingendo l’osservazione della ricorrente.

8. La ricorrente agisce dinanzi a questo T.A.R. per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale n. 13 del 17 febbraio, nonché degli atti ad essa presupposti, nella parte in cui hanno reso inedificabile la propria area, affidando il ricorso ai seguenti motivi di censura:

(i) difetto di istruttoria e di motivazione, (primo e secondo motivo di ricorso) per essersi l’Amministrazione comunale limitata, nelle controdeduzioni alle specifiche osservazioni presentate dalla società ricorrente, ad un mero rimando ad altra controdeduzione presentata da altro soggetto, ed aver semplicemente richiamato una pretesa conformità alle disposizioni del Piano Territoriale Regionale e del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, nonché alle soglie stabilite dalle norme sovraordinate, senza ulteriori specificazioni;

(ii) disparità di trattamento (secondo motivo) per non aver il Comune salvaguardato l’attività produttiva della ricorrente, in conformità a quanto dichiarato tra obiettivi generali nella Relazione comunale di accompagnamento della variante al PGT, come si ricava dalla comparazione con le posizioni di altri soggetti, per i quali, invece, avrebbe accolto alcune richieste di realizzazione di edificazione che comportano consumo di suolo;

(iii) errata classificazione dell’area di proprietà della ricorrente (terzo motivo), che avrebbe dovuto essere esclusa dalle disposizioni concernenti la riduzione del consumo di suolo in quanto impropriamente qualificata, già nello strumento urbanistico comunale previgente, come ambito di trasformazione in luogo della più corretta qualificazione come ambito di completamento;

(iv) contrasto delle disposizioni impugnate rispetto a quanto previsto dalla normativa sovraordinata, ovvero dal Piano Territoriale Regionale e dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (quarto motivo);

(iv) mancato esame nel merito delle osservazioni presentate dalla ricorrente (quinto motivo) in spregio alla necessità di verificare le esigenze locali del fabbisogno economico industriale ai fini della definizione delle soglie comunali di riduzione di suolo.

9. Si è costituito in giudizio il Comune di Costa Volpino.

10. All’approssimarsi dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memorie.

10.1. La ricorrente ha dedotto, con memoria ex art. 73 c.p.a., che, in termini di disparità di trattamento, un’area ubicata nello stresso ambito territoriale in cui si trova quella di proprietà della ricorrente e con destinazione urbanistica sostanzialmente analoga, risulta soggetta ad una procedura di SUAP in variante al PGT per la realizzazione di un parcheggio e deposito automezzi, con procedimento di esclusione dalla VAS.

10.2. Ciascuna parte ha depositato memorie di replica.

11. All’udienza pubblica del 17 settembre 2025 la causa è stata spedita in decisione.

12. Il ricorso è infondato.

12.1. Giova richiamare i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza riguardo alla natura del potere pianificatorio, agli obblighi di motivazione gravanti sull’amministrazione e ai limiti del sindacato giurisdizionale sulle scelte urbanistiche operate. 

Come è noto, “Le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità e, in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni dell’amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali - di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso.” (così Consiglio di Stato, sez. II, 25/09/2024, n.7787). 

All’ampia discrezionalità di cui godono gli enti che intervengono nel procedimento complesso finalizzato alla approvazione e ai successivi aggiornamenti degli atti di pianificazione urbanistica comunale, “corrisponde un sindacato giurisdizionale di carattere estrinseco e limitato al riscontro di palesi elementi di illogicità e irrazionalità apprezzabili ictu oculi: a tale sindacato è, viceversa, estraneo l’apprezzamento della condivisibilità delle scelte, profilo appartenente alla sfera del merito.” (Consiglio di Stato sez. IV, 21/08/2024, n.7187). 

La giurisprudenza prevalente nega la configurabilità, in capo al privato, di un’aspettativa legittima alla conservazione delle previsioni urbanistiche favorevoli, tranne in particolari casi. 

Sul tema vanno richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato sui limiti della tutela delle aspettative edificatorie dei privati rispetto all’esercizio di poteri pianificatori urbanistici, ambientali e paesaggistici: “a) le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità; b) anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni; c) la semplice reformatio in peius della disciplina urbanistica attraverso il ridimensionamento dell’attitudine edificatoria di un’area è interdetta solo da determinazioni vincolanti per l’amministrazione in ordine ad una diversa “zonizzazione” dell’area stessa, ovvero tali da fondare legittime aspettative potendosi configurare un affidamento qualificato del privato esclusivamente in presenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio – rifiuto su una domanda di concessione o ancora nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr., ex plurimis sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1197; sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4078; Ad. plen. n. 24 del 1999); d) con riferimento all’esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti tassativi casi: d1) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; d2) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; d3) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; d4) modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo; d5) una posizione di vantaggio (derivante da una convenzione urbanistica o da un giudicato) può essere riconosciuta (e quindi essere oggetto della tutela da parte del giudice amministrativo) soltanto quando abbia ad oggetto interessi oppositivi e non invece quando si tratti di interessi pretensivi, come è nel caso in esame in cui si tratta dell’esercizio dello ius variandi su istanza del privato” (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 09/08/2023, n.7723).  

La citata decisione dell’Adunanza Plenaria n. 24 del 22 dicembre 1999 ha posto in rilievo che per incidere negativamente sull’interesse alla conservazione di una precedente previsione urbanistica che consenta un più proficuo utilizzo dell’area non è necessaria una motivazione ulteriore rispetto a quella desumibile dai criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del progetto di strumento urbanistico.

In questo caso, infatti, viene in considerazione una generica aspettativa del privato alla non reformatio in peius, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, ed indifferenziata rispetto a quella di ogni proprietario di aree che aspira a mantenere inalterato il valore dell’immobile.  

12.2. Tanto premesso, le censure sviluppate nel ricorso non evidenziano deficit in punto motivazionale, né profili di manifesta irragionevolezza o illogicità delle scelte pianificatorie operate dal Comune.

12.2.1. Non sono suscettibili di essere condivise le censure prospettate con il primo ed il secondo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente per ragioni di intima connessione.

Il Comune ha evidenziato, infatti, che la ragione che ha ispirato la diversa classificazione urbanistica dell’area di proprietà della ricorrente è da rinvenirsi nella necessità di adeguare lo strumento urbanistico alle norme sulla riduzione del consumo di suolo e ai sovraordinati strumenti di pianificazione territoriale che ne hanno definito le soglie.

Tali linee direttive, poste a fondamento del Piano approvato, sono state ribadite e puntualizzate nelle controdeduzioni.

Ed infatti, nel rimando alle motivazioni espresse nella controdeduzione a diversa osservazione (dalla numero 13 della ricorrente alla n. 1 di altro interessato), l’Amministrazione evidenzia che “La Variante, in conformità alle disposizioni dell’Integrazione in applicazione della LR 31/2014 al Piano Territoriale Regionale e del vigente Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, ha l’obiettivo, sulla base delle soglie stabilite dalle norme sovra ordinate, di ridurre il consumo di suolo del 25% con riferimento alle aree urbanizzabili previste alla soglia temporale del 2014. L’inserimento di nuove aree edificabili contrasta con tale obiettivo e non è giustificato dal calcolo del fabbisogno abitativo che non evidenzia la necessità di nuovi insediamenti.

Ora, secondo la prospettazione della ricorrente il richiamo sarebbe non pertinente, sia in quanto esso è volto precludere unicamente “l’inserimento di nuove aree edificabili” a destinazione residenziale e non già il mantenimento di un’area già prevista nei previgenti P.G.T. a destinazione produttiva e quindi per tali scopi edificabile, sia perché il fabbisogno abitativo (preso in considerazione nell’analisi dell’osservazione n.1) non avrebbe nessuno rapporto con quello del settore produttivo.

Tali considerazioni, tuttavia, non sono condivisibili.

In primo luogo, come si evince dalla Relazione di accompagnamento della variante al P.G.T., nel paragrafo denominato “Il consumo di suolo”, l’Amministrazione ha mostrato di prendere in considerazione, ai fini della determinazione delle aree edificabili, sia il fabbisogno abitativo residenziale sia il fabbisogno per le attività produttive e commerciali.

Per queste ultime esso “è stato determinato sulla base di istanze di attività locali che richiedono ampliamenti o una nuova collocazione più idonea con un fabbisogno quantificabile in circa 30.000 mq di superficie coperta per le attività produttive e di circa 3.000 mq di superficie coperta per le attività commerciali.”

In secondo luogo, il riferimento letterale alle nuove aree edificabili deve essere interpretato come ostativo, per la posizione della ricorrente, all’individuazione di aree edificabili diverse ed ulteriori rispetto a quelle individuate nella variante. È infatti in relazione alla soglia delle aree edificabili fissata dalla variante che occorre verificare l’accoglibilità delle osservazioni dei privati, per stabilire se eventuali incrementi oltre la soglia siano ancora compatibili con l’attuazione della politica di riduzione del consumo di suolo. I diritti edificatori acquisiti sulla base del previgente strumento urbanistico sono quindi recessivi, e la loro riproposizione nella variante deve essere puntualmente giustificata.

In tale prospettiva, la variante ha previsto lo stralcio degli Ambiti di Trasformazione non attuati, e dunque non giustificati dal fabbisogno produttivo attuale. Tra questi ATP1, per il quale la ricorrente non può vantare nessuna aspettativa al mantenimento, posto che non ha presentato istanze di ampliamento o di nuove localizzazioni con riferimento all’attività produttiva esercitata.

Neppure è configurabile il dedotto profilo di disparità di trattamento con riguardo al parziale accoglimento delle osservazioni nn. 7 e 20, trattandosi di diverse fattispecie in cui il Comune ha preso in considerazione pregresse istanze edificatorie già in fase di attuazione, sicché nessuna discriminazione può dirsi operata nel trattamento diseguale di situazioni differenti.

La dedotta circostanza dell’avvio – in data 24 settembre 2024 – di un procedimento del SUAP in variante al PGT per la realizzazione di un parcheggio e deposito automezzi in relazione ad un’area ubicata nello stresso ambito territoriale in cui si trova quella di proprietà della ricorrente, e con destinazione urbanistica sostanzialmente analoga, risulta invece irrilevante ai fini del giudizio di legittimità del provvedimento impugnato. A differenza della situazione della ricorrente, infatti, nel procedimento promosso davanti al SUAP vengono in rilievo esigenze produttive attuali.

12.2.2. Del pari infondato è il terzo motivo di ricorso.

Come si evince dalla relazione allegata alla Carta del consumo di suolo, la soglia di riduzione del consumo di suolo è calcolata, coerentemente con il Piano Territoriale Regionale, “come valore percentuale di riduzione delle superfici territoriali urbanizzabili interessate degli ambiti di trasformazione, residenziali e non residenziali, sul suolo libero dei PGT vigenti al 2 dicembre 2014 e da ricondurre a superficie agricola o naturale”.

Secondo tale criterio di commisurazione della riduzione del consumo di suolo, ciò che rileva è che alla data del 2 dicembre 2014 l’ATP1 fosse formalmente qualificato come ambito di trasformazione su suolo libero secondo il PGT allora vigente.

Data tale qualificazione formale, lo stralcio dell’ATP1 rientra nella percentuale di riduzione del consumo di suolo, secondo i criteri indicati nella pianificazione sovracomunale, indipendentemente dal fatto che la classificazione delle aree in questione come ambito di trasformazione fosse o meno legittima nel 2014.

Infatti, il valore percentuale di riduzione delle superfici territoriali urbanizzabili, dettato dal PTR, sarebbe inservibile e concretamente inutilizzabile se si potesse discutere a posteriori, senza limiti di tempo, sulla legittimità delle classificazioni urbanistiche operate negli strumenti urbanistici comunali anteriori al 2014.

12.2.3. Con riguardo alla quarta censura, la ricorrente contesta come il Comune abbia giustificato la scelta di privare l’area in questione della possibilità edificatoria per una mera necessità di rispettare le soglie di riduzione del consumo di suolo fissate dalla normativa regionale e provinciale, erratamente ritenendole “conformative” e cogenti, invece che tendenziali ed orientative, e senza renderle oggetto di una concreta verifica in relazione alla specifica situazione territoriale comunale di Costa Volpino.

Il motivo è infondato.

Quanto all’asserito contrasto del P.G.T. con i Piani degli Enti sovraordinati (ossia il P.T.R. e il P.T.C.P.), va precisato che il modello delineato dall’art. 2, comma 4, della legge regionale n. 12 del 2005 “prevede che i piani collocati al livello superiore non sono gerarchicamente sovraordinati agli altri, ma dettano una disciplina di orientamento, indirizzo e coordinamento, che non può essere stravolta ma, in particolari casi, derogata dalla disciplina puntuale dettata dallo strumento di pianificazione contenente disposizioni di maggior dettaglio” (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 febbraio 2017, n. 451; II, 23 settembre 2016, n. 1700).

In altri termini, i Piani sovraordinati hanno efficacia prescrittiva e prevalente rispetto a quelli adottati dal livello di governo inferiore, ma possono essere derogati localmente per tenere conto di situazioni particolari rilevabili solo su una scala più ristretta (cfr., per alcuni esempi, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 6 luglio 2021, n. 1656; II, 23 marzo 2021, n. 763).

Questa impostazione è coerente con i principi della materia. Le prerogative pianificatorie dei Comuni non possono essere conculcate, essendo precluso alle Regioni e alle Province di trasformare i poteri comunali in ordine all’uso del territorio in funzioni meramente consultive prive di reale incidenza, o in funzioni di proposta, o ancora in semplici attività esecutive (Consiglio di Stato, IV, 15 gennaio 2020, n. 379).

Difatti, la funzione di pianificazione urbanistica nel nostro ordinamento è stata tradizionalmente rimessa all’autonomia dei Comuni e in tal senso il legislatore statale ha qualificato come funzioni fondamentali dei Comuni «la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale» (art. 14, comma 27, lettera d, del decreto-legge n. 78 del 2010), sottraendo allo specifico potere regionale di allocazione, ai sensi dell’art. 118, secondo comma, Cost., la funzione di pianificazione e stabilendo che questa rimanga assegnata, in linea di massima, al livello dell’Ente più vicino al cittadino (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 179 del 2019; i Comuni non possono essere “meri esecutori di una scelta pianificatoria regionale” per Corte costituzionale, sentenza n. 202 del 2021).

In ordine alla corretta impostazione dei rapporti tra i diversi livelli pianificatori, può essere richiamata quella giurisprudenza che, con riguardo alla tutela paesaggistica, ha evidenziato che «l’art. 77 [della legge regionale n. 12 del 2005] richiede la conformazione di tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica agli “obiettivi” e alle “misure generali” di tutela paesaggistica, con facoltà di introdurre “previsioni conformative di maggiore definizione che, alla luce delle caratteristiche specifiche del territorio, risultino utili ad assicurare l’ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dal PTR. La disposizione normativa non contiene, invero, alcun riferimento ad aree o a specifici beni di rilevanza paesaggistica, ma solo a “obiettivi”, “misure generali” e “valori paesaggistici” indicati dal P.T.R. (cfr. sul punto in maniera specifica, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 30 giugno 2017, n. 1474). Deve quindi ritenersi che, nel perseguimento degli obiettivi di tutela stabiliti dal P.T.R. e a protezione dei valori paesaggistici ivi indicati, ben possa il P.T.C.P. introdurre ulteriori disposizioni, destinate a prevalere immediatamente sugli strumenti comunali, riferite anche ad aree e a beni che non siano stati direttamente e specificamente individuati dal P.T.R.» (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14 dicembre 2020, n. 2492; II, 7 luglio 2020, n. 1291). Il medesimo ragionamento può essere traslato anche al rapporto tra P.T.R. (o P.T.C.P.) e P.G.T. comunale.

Si possono quindi fare due considerazioni riassuntive. La prima è che, anche ove si fosse al cospetto di previsioni regionali o provinciali prescrittive e prevalenti, il Comune potrebbe comunque derogarle in casi particolari disponendo il consumo di suolo a fronte di un dimostrato interesse pubblico. La seconda è che le previsioni regionali o provinciali limitative del consumo di suolo non impediscono al Comune di introdurre limitazioni più severe, garantendo una maggiore tutela ai beni di interesse pubblico (paesaggio, rete ecologica, ambito agricolo strategico, ambiti di interesse provinciale, ecc.), o estendendone l’ambito (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 179 del 2019; anche, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 5 dicembre 2023, n. 2951).

Sulla necessità di contenere il consumo di suolo può richiamarsi l’art. 2, comma 3, della legge regionale n. 31 del 2014, secondo il quale “gli strumenti comunali di governo del territorio prevedono consumo di suolo esclusivamente nei casi in cui il documento di piano abbia dimostrato l’insostenibilità tecnica ed economica di riqualificare e rigenerare aree già edificate, prioritariamente mediante l’utilizzo di edilizia esistente inutilizzata o il recupero di aree dismesse nell’ambito del tessuto urbano consolidato o su aree libere interstiziali”. L’obiettivo della riduzione del consumo di suolo è dichiaratamente perseguito dalla legge regionale, la quale si propone “di concretizzare sul territorio della Lombardia il traguardo previsto dalla Commissione europea di giungere entro il 2050 a una occupazione netta di terreno pari a zero” (art. 1, comma 4). (in questo senso anche T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 19 febbraio 2024, n. 429).

Da quanto sopra evidenziato discende che l’azzeramento delle previsioni edificatorie sulle aree di proprietà della ricorrente non si pone affatto in contrasto con la normativa regionale e con gli strumenti pianificatori sovracomunali (P.T.R. e P.T.C.P.).

In concreto, poi, la scelta appare motivata, come già evidenziato, dall’analisi del fabbisogno insediativo e dalla parametrazione alle esigenze locali delle norme sovraordinate sulla riduzione del consumo di suolo.

Il risultato è coerente con lo scopo condiviso dagli strumenti sovraordinati di perseguire la limitazione del consumo di suolo, e con il principio secondo cui il Comune resta, comunque, il titolare della potestà pianificatoria, nell’esercizio della quale possono legittimamente essere fissati limiti insediativi (che non siano di natura economica o regolatori della concorrenza) alle attività commerciali e produttive.

12.2.4. Alle suesposte argomentazioni è riconducibile anche l’infondatezza del quinto motivo di ricorso.

13. In definitiva il ricorso va respinto. 

14. Le spese di giudizio, stante la peculiarità della fattispecie esaminata, possono essere compensate.  

TAR LOMBARDIA – BRESCIA, II – sentenza 04.11.2025 n. 984

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