1. Il sig. Vinicio Venanzi è proprietario di un immobile di civile abitazione sito nel Comune di Spoleto, Frazione Terzo La Pieve, distinto al foglio n. 42, particella n. 54 del nuovo catasto edilizio urbano.
2. Il 5 aprile 2023 presso la proprietà del ricorrente è stato effettuato un sopralluogo da parte del Dipartimento per la transizione ecologica ed energetica, economia circolare, biodiversità e paesaggio, valorizzazione sostenibile del patrimonio pubblico comunale del Comune di Spoleto, nonché da parte della Polizia locale.
All’esito delle operazioni, è stato redatto il verbale n. 2023/1/07, nel quale è stata accertata la realizzazione, in tempi diversi, di sei manufatti, contraddistinti alle lettere da “A” a “F” del medesimo verbale.
Riscontrato, poi, che due delle opere rilevate erano da ritenere legittimamente presenti (precisamente, il manufatto in muratura di cui alla lettera “A”, per il quale risultava rilasciata una concessione edilizia in sanatoria nel 1998, e il box per il ricovero del cane di cui alla lettera “D”, rientrante tra le opere realizzabili in regime di attività edilizia libera), il verbale ha evidenziato violazioni urbanistico-edilizie per i seguenti interventi:
– “B. Realizzazione di una recinzione costituita da muretto in cemento avente altezza variabile tra mt. 0,90 e mt. 1,05 con sovrastante paletti di ferro alti mt. 1,60 e rete metallica alta mt. 1,25 posta secondo la planimetria catastale nella sede del fosso, il tutto per una lunghezza pari a mt. 15,50 mt circa”;
– “C. Realizzazione di una tettoia avente struttura portante parte in legno e parte in cemento con sovrastante copertura in lamiera delle seguenti dimensioni mt. 4,10 x 3,87 x 1,16 avente altezza massima pari a mt. 2,73 e quella minima pari a mt. 2,46, posta in aderenza al manufatto di cui al punto A) e più precisamente nella parte retrostante in locale adibito a cucina”;
– “E. Realizzazione di una tettoia avente struttura portante in cemento e legno con sovrastante copertura in lamiera e chiusa sui lati con rete metallica delle seguenti dimensioni mt. 5.81 x 7.18 avente altezza massima pari a mt. 2,92, adibita a pollaio”;
– “F. Realizzazione di un manufatto in blocchi di cemento delle seguenti dimensioni mt. 2.44 x 4.66 mt, avente altezza massima pari a mt. 3,00 e minima mt. 2,71; adibito a pollaio e posto sotto alla tettoia di cui al precedente punto E)”.
Quanto all’epoca di realizzazione, nel verbale si evidenziava che “I lavori eseguiti e sopra descritti sono stati realizzati: (…) Quelli di cui al punto B) erano esistenti da circa 70 anni, risultano essere già presenti nella documentazione fotografica allegata ai progetti C.E. nr. 14622/1978 e C.E. nr. 19174/1998 e sono stati ristrutturati tramite la sostituzione dei paletti e della rete metallica da circa 40 anni. (…) Quelli di cui ai punti C) (…) E) e F) sono state realizzate da circa 40 anni (anni 80) (…)”.
Si aggiungeva, ancora, che “Il vigente P.R.G. classifica la superficie interessata come Zona “Ep” – “Area di particolare interesse agricolo”. Ove vige il vincolo idraulico ai sensi del R.D. 523/1904”, rilevando, in questo quadro, che l’opera di cui alla lettera “B” risultava realizzata in assenza di segnalazione certificata di inizio attività, mentre i manufatti di cui alle lettere “C”, “E” e “F” risultavano realizzati in assenza di permesso di costruire.
È seguita la notifica all’odierno ricorrente dell’ordinanza n. 219 del 9 luglio 2024, con la quale è stata disposta la sospensione dei lavori, assegnando all’interessato il termine di quindici giorni per interloquire con l’Amministrazione.
Decorso infruttuosamente tale termine, è stata emanata l’ordinanza n. 274 del 22 agosto 2024, con la quale è stato ordinato il ripristino dello stato dei luoghi in relazione alle opere abusive sopra descritte, rilevando la violazione: degli articoli 141, 143 e 146 della legge regionale 21 gennaio 2015, n. 1; dell’articolo 44 del decreto del Testo unico dell’edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380; del Testo unico delle opere idrauliche, di cui al regio decreto 25 luglio 1904, n. 523.
3. Con ricorso notificato il 29 ottobre 2024 e depositato il successivo 14 novembre, il sig. Vinicio Venanzi ha impugnato la predetta ordinanza di rimessione in pristino n. 274 del 2024, unitamente alla precedente ordinanza di sospensione dei lavori n. 219 del 2024 e al presupposto verbale n. 2023/01/07.
4. Il ricorso è affidato a quattro motivi, con il quali è stato dedotto quanto segue.
I) L’ordinanza impugnata sarebbe totalmente carente di istruttoria e non recherebbe alcuna indicazione in merito alla qualificazione da attribuire agli abusi rilevati.
II) Laddove l’Amministrazione avesse inteso contestare l’abusività delle opere perché eseguite senza titolo, il provvedimento adottato sarebbe errato, dal momento che la quasi totalità dei manufatti che ne sono oggetto si qualificherebbero come pertinenziali. Più in dettaglio, la recinzione – realizzata prima del 1967 e comunque irrilevante dal punto di vista edilizio – non avrebbe richiesto alcun titolo, mentre per gli ulteriori tre manufatti il regime sanzionatorio applicabile non avrebbe potuto essere quello della demolizione, contemplata per le opere eseguite in assenza di permesso di costruire, bensì soltanto l’irrogazione di una sanzione pecuniaria, prevista per gli interventi realizzati in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.
III) Ipotizzando che, con il richiamo al regio decreto n. 523 del 1904, il Comune abbia voluto contestare l’esistenza di un vincolo di inedificabilità, dovrebbe osservarsi che i manufatti non si trovano nei pressi di nessun corpo idrico rilevante. Ciò confermerebbe l’illogicità e contraddittorietà del provvedimento, la quale emergerebbe anche considerando che, con riguardo alla recinzione, è stata contestata la mancanza di SCIA, ossia una violazione assoggettata a una mera sanzione pecuniaria e di per sé incompatibile con una presunta abusività dovuta all’esistenza di un eventuale vincolo assoluto di inedificabilità.
IV) Il richiamo al regio decreto n. 523 del 1904 non potrebbe trovare fondamento nell’esistenza di un fosso nel terreno del ricorrente, trattandosi di un mero fosso di scolo a esclusivo uso privato, come sarebbe comprovato dalla documentazione depositata e dalle circostanze riportate nell’apposita relazione tecnica prodotta in atti.
5. Il Comune di Spoleto, costituitosi in giudizio, ha controdedotto al ricorso mediante una memoria, corredata di documenti.
6. Tenutasi la camera di consiglio del 3 dicembre 2024, questo Tribunale ha adottato l’ordinanza n. 85 del 5 dicembre 2024, con la quale è stata accolta l’ordinanza cautelare, in considerazione del potenziale pregiudizio grave e irreparabile a carico della parte ricorrente e della necessità di approfondire in sede di merito i profili attinenti alla qualificazione delle opere.
Con la medesima ordinanza è stato, inoltre, disposto il deposito, da parte del Comune di Spoleto, “(…) di una dettagliata relazione, corredata di tutta la pertinente documentazione, dalla quale sia possibile evincere: (i) la natura e la consistenza del vincolo al quale si riferisce il richiamo, nei provvedimenti impugnati, al regio decreto 25 luglio 1904, n. 523; (ii) quali tra le opere oggetto dei provvedimenti impugnati siano interessate dal predetto vincolo”.
7. L’incombente è stato adempiuto in data 8 gennaio 2025.
8. In vista della trattazione di merito della causa, il Comune ha prodotto ulteriori documenti. Entrambe le parti hanno, inoltre, depositato memorie e replicato alle produzioni avversarie.
9. In esito all’udienza pubblica del 25 marzo 2025, questo Tribunale ha emesso l’ordinanza n. 517 del 2025, con la quale sono stati prospettati alle parti dubbi in ordine alla possibilità di ricondurre alla giurisdizione del giudice amministrativo, invece che a quella del Tribunale superiore delle acque pubbliche, la cognizione della controversia, per ciò che attiene alla “Realizzazione di una recinzione (…) posta secondo la planimetria catastale nella sede del fosso (…)”.
10. Nel termine assegnato per prendere posizione sulla predetta questione, la sola parte ricorrente ha depositato una memoria, con la quale ha argomentato la riconducibilità della causa alla giurisdizione del giudice amministrativo.
11. La controversia è stata quindi decisa dal Collegio nella camera di consiglio del 24 giugno 2025.
12. Va rilevato anzitutto che l’ordinanza di rimessione in pristino impugnata risulta riferita a una pluralità di manufatti, che sono stati valutati ciascuno singolarmente dal Comune, sia pure nel contesto formale di un unico provvedimento sanzionatorio.
In effetti, mutuando l’impostazione già seguita nel verbale di sopralluogo e nell’ordinanza di sospensione dei lavori, l’Amministrazione non ha rilevato l’esistenza di un insieme sistematico di opere, né tanto meno ha considerato, qualificato e sanzionato complessivamente tale insieme, ma ha preso in esame individualmente ciascun manufatto, indicando anche distintamente il titolo edilizio astrattamente necessario per ogni singola trasformazione.
Ne deriva che l’ordinanza risulta composta, in verità, da una serie di provvedimenti sanzionatori riferiti a quattro diverse opere, emanati – per così dire – in parallelo, ma le cui sorti sono potenzialmente scindibili, anche ai fini processuali.
Analoghe considerazioni valgono, come detto, anche per gli atti antecedenti, pure impugnati dal ricorrente.
13. Deve ancora osservarsi che, a seguito dell’incombente istruttorio disposto da questo Tribunale con l’ordinanza n. 85 del 2024, il Comune ha fornito elementi dai quali si desume che la violazione del regio decreto n. 523 del 1924, indicata negli atti impugnati, si riferisce esclusivamente alla recinzione, ossia al manufatto sub “B”.
Nella relazione dell’Amministrazione si afferma, infatti, che “la recinzione risulta catastalmente realizzata nel letto del fosso demaniale (linea rossa punti 3-5-4-6-7-8 del rilievo topografico allegato)” e che “lo spigolo del fabbricato autorizzato con Concessione Edilizia in sanatoria nr. 19174/1998 ricade all’interno del fosso demaniale (punto 3 del rilievo topografico allegato)”, aggiungendo che “Entrambi i punti quindi sono in contrasto con l’art 93 del R.D. 523 del 1904 (…)”.
Posto che il fabbricato menzionato dal Comune non costituisce oggetto dell’odierna controversia, se ne desume, come anticipato, che i profili di violazione del Testo unico delle opere idrauliche sono specificamente riferiti alla sola recinzione.
14. In questo quadro, il Collegio ritiene di essere sfornito di giurisdizione relativamente alla cognizione della controversia, per ciò che attiene agli atti riferiti alla predetta recinzione, “(…) posta secondo la planimetria catastale nella sede del fosso (…)”.
14.1. Come è noto, l’articolo 143, comma 1, lett. a), del Testo unico sulle acque e sugli impianti elettrici, di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, attribuisce alla cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche: “i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche”.
Nell’interpretazione della portata di questa previsione, la Corte di Cassazione ha costantemente affermato che devono ritenersi devoluti alla cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche “(…) tutti i ricorsi avverso i provvedimenti che concorrono, in concreto, a disciplinare le modalità di utilizzazione di quell’acqua, onde in tale ambito vanno ricompresi anche i ricorsi avverso i provvedimenti che, pur costituendo esercizio di un potere non strettamente attinente alla materia delle acque e inerendo a interessi più generali e diversi ed eventualmente connessi rispetto agli interessi specifici relativi alla demanialità delle acque o ai rapporti concessori di beni del demanio idrico, riguardino comunque l’utilizzazione di detto demanio, così incidendo in maniera diretta ed immediata sul regime delle acque; per converso, sono escluse dalla giurisdizione di detto Tribunale le controversie aventi ad oggetto atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque, le quali non richiedono le competenze giuridiche e tecniche, ritenute dal legislatore necessarie – attraverso la configurazione di uno speciale organo giurisdizionale, nella particolare composizione richiesta – per la soluzione dei problemi posti dalla gestione delle acque pubbliche (così, Cass. S.U. n. 2710 del 2020; Cass. S.U. n. 18977 del 2017; Cass. S.U. n. 21593 del 2013; Cass. S.U. n. 24154 del 2013; Cass. S.U. n. 8509 del 2009; Cass. S.U. n. 23070 del 2006; Cass. S.U. n. 14095 del 2005)” (Cass. civ., SS.UU., ord. 14 febbraio 2024, n. 4061).
In questa prospettiva, la Corte di Cassazione ha chiarito che “Appartengono, quindi, alla giurisdizione del complesso TAR – Consiglio di Stato le controversie concernenti atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche, in cui rileva esclusivamente l’interesse al rispetto delle norme di legge nelle procedure amministrative volte all’affidamento di concessioni o di appalti di opere relative a tali acque (Cass. S.U. n. 21593 del 2013; Cass. S.U. n. 9149 del 2009; Cass. S.U. n. 10845 del 2009), oppure alla organizzazione, da parte delle Autorità competenti, del servizio idrico (Cass. S.U. n. 18639 del 2022) o ancora in caso di prevalenza in concreto, nel provvedimento impugnato, della tutela di interessi pubblicistici diversi, di tipo ambientale, urbanistico o di gestione del territorio, rispetto a quelli coinvolti dal regime delle acque pubbliche (Cass. S.U. n. 2710 del 2020; Cass. S.U. n. 18976 del 2017)” (così ancora Cass. civ. n. 4061 del 2024, cit.). Per converso, “(…) la giurisdizione del TSAP si estende ad ogni controversia avente ad oggetto atti amministrativi in materia di acque pubbliche, ancorché non promananti da Pubbliche Amministrazioni istituzionalmente preposte alla cura degli interessi in materia, idonei ad incidere in maniera non occasionale, ma immediata e diretta, sul regime delle acque pubbliche e del relativo demanio, in quanto interferenti con i provvedimenti relativi a tale uso o sulla stessa struttura o consistenza dei beni demaniali (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. Un., 28/12/2018, n. 33656; 31/07/2017, n. 18977; 25/10/2013, n. 24154)” (Cass. civ., SS.UU., 22 aprile 2022, n. 12962). Più in dettaglio, per quanto qui rileva, è stata affermata “(…) la spettanza al TSAP delle controversie aventi ad oggetto l’osservanza di divieti di edificazione, quando siano informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, o di assicurare il libero deflusso delle acque che scorrono nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (Cass. Sez. Un. 3/04/2019, n. 9279), della impugnazione del diniego di rilascio della concessione per la costruzione di un fabbricato in un’area ritenuta esondabile (cfr. Cass., Sez. Un., 17/04/2009, n. 9149) e del diniego opposto dall’autorità comunale al rilascio della concessione in sanatoria relativa ad un immobile costruito in violazione della fascia di rispetto di cui al R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f), (cfr. Cass., Sez. Un., 12/05/2009, n. 10845), nonché dei ricorsi contro provvedimenti che, ancorché provenienti da organi dell’Amministrazione non preposti alla cura degli interessi del settore delle acque pubbliche, finiscano tuttavia con l’incidere immediatamente sull’uso di queste ultime, in quanto interferiscano con i provvedimenti relativi a tale uso, ad esempio autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi o determinando i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio ed alla realizzazione delle opere stesse (cfr. Cass., Sez. Un., 1/02/2021, n. 2155)” (Cass. civ. n. 12962 del 2022, cit.).
Uniformandosi a questi indirizzi, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che rientrano nella cognizione riservata al Tribunale superiore delle acque pubbliche le controversie concernenti provvedimenti che, pur costituendo esercizio di potestà in materia edilizia, sono diretti ad assicurare il rispetto dei vincoli di inedificabilità posti dal regio decreto n. 523 del 1924 a tutela del libero deflusso delle acque (cfr., ex multis, tra le più recenti: TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 19 giugno 2024, n. 542, concernente il caso di una recinzione realizzata in violazione della fascia di rispetto istituita a protezione di un canale idrico demaniale; TAR Lazio, Latina, Sez. I, 13 marzo 2024, n. 209, concernente opere insistenti su un fosso demaniale o nelle sue immediate vicinanze).
14.2. Nel caso oggetto della presente controversia, come sopra detto, l’Amministrazione comunale ha accertato la realizzazione della recinzione sub “B” all’interno di un fosso di ritenuta natura demaniale.
È poi lo stesso ricorrente ad allegare che la mera realizzazione di tale opera in assenza di SCIA non legittimerebbe l’applicazione della sanzione ripristinatoria, mentre la predetta opzione si giustificherebbe soltanto a difesa di un vincolo di inedificabilità assoluta a tutela di un corso d’acqua.
Senza entrare nel merito delle contestazioni della parte, deve qui osservarsi che tali allegazioni confermano la rilevanza centrale, e non meramente indiretta, del tema dell’interferenza del manufatto con il regime delle acque e della conseguente incidenza immediata e diretta degli atti impugnati su tale regime. E ciò in quanto le determinazioni dell’Amministrazione, pur essendo adottate nell’esercizio del potere sanzionatorio edilizio, sono volte in definitiva ad assicurare il libero deflusso delle acque ritenute di natura pubblica, mediante la rimozione della recinzione realizzata all’interno del fosso.
14.3. Per quanto attiene agli atti relativi alla predetta recinzione, la controversia rientra, quindi, nella cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, dovendosi ritenere dirimente l’impatto diretto del provvedimento sul regime delle acque pubbliche (o, quanto meno, di acque qualificate tali dall’Amministrazione, spettando l’accertamento sul predetto profilo controverso al giudice munito di giurisdizione: cfr. TAR Latina n. 209 del 2024, cit.).
15. Può quindi passarsi all’esame delle sole censure a sostegno della domanda di annullamento delle determinazioni adottate dall’Amministrazione con riferimento agli ulteriori tre manufatti, sub “C”, “E” e “F”.
16. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la carenza di istruttoria da cui sarebbe affetta l’impugnata ordinanza di rimessione in pristino, la quale non recherebbe alcuna indicazione in merito alla qualificazione da attribuire agli abusi contestati.
16.1. Al riguardo, occorre tenere presente che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2024, n. 825; nello stesso senso: Id., 7 giugno 2021, n.4319; Id., 3 novembre 2020, n. 6771; Id., 6 febbraio 2019, n. 903).
16.2. Nel caso in esame, dalla lettura degli atti impugnati risulta espressamente tanto la puntuale descrizione di ciascun manufatto, quanto la qualificazione delle opere come realizzate in assenza di permesso di costruire; circostanza dalla quale consegue, a norma di legge, la sanzione ripristinatoria.
Non emerge, pertanto, alcuna carenza istruttoria o di motivazione, in quanto le formule verbali utilizzate dall’Amministrazione consentono di comprendere le ragioni poste alla base dell’ordinanza contestata.
16.3. Il motivo deve essere, perciò, rigettato.
17. Con il secondo motivo il ricorrente ha sostenuto che le opere di cui alle lettere “C”, “E” e “F” sarebbero qualificabili come mere pertinenze, per cui risulterebbero errate tanto l’affermata necessità del permesso di costruire, quanto l’applicazione della sanzione demolitoria.
17.1. Al riguardo, deve osservarsi che, in base all’articolo 21, comma 1, del regolamento regionale n. 2 del 2015, “Si definiscono opere pertinenziali i manufatti che, pur avendo una propria individualità ed autonomia sono posti in durevole ed esclusivo rapporto di proprietà, di subordinazione funzionale o ornamentale, con uno o più edifici principali di cui fanno parte e sono caratterizzati:
a) dalla oggettiva strumentalità;
b) dalla limitata dimensione;
c) dalla univoca destinazione d’uso;
d) dalla collocazione in aderenza o a distanza non superiore a 30 metri lineari dall’edificio principale o ricadenti, comunque, all’interno del lotto di insediamenti di cui agli articoli 91, 94, 95, 96 e 97, o da realizzare nelle aree pubbliche indipendentemente dalla presenza di edifici e fatte salve distanze superiori rese obbligatorie da norme di sicurezza o igienico sanitarie o qualora si tratti di opere di recinzione o di muri di sostegno;
e) dal rapporto di proprietà o di altro titolo equipollente”.
Il successivo comma 3 del medesimo articolo 21 elenca, poi, una serie di opere pertinenziali eseguibili senza titolo abilitativo, mentre al comma 4 sono individuate le pertinenze realizzabili sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività.
Occorre, ancora, rilevare che, nell’ambito di tali elencazioni, il ricorrente richiama specificamente, sostenendone l’applicabilità nel caso in esame, la tipologia di opere di cui al comma 4, lett. b), dell’articolo 21, ove sono contemplate “le tettoie, le pergole, i gazebo, i ripostigli, i manufatti per barbecue, per somministrazione di alimenti e bevande e per il ricovero di animali domestici o di compagnia, per una superficie utile coperta non superiore a metri quadrati 30 e di altezza non superiore a metri lineari 2,40, di pertinenza di edifici residenziali, per attività agrituristiche e servizi”.
17.2. Al riguardo, rileva tuttavia il Collegio che dalla lettura della previsione normativa si evince pianamente che non vi rientrano le opere oggetto di controversia, in quanto, in base alla descrizione riportata negli atti impugnati e non contestata dal ricorrente, tutti tali manufatti risultano di altezza eccedente rispetto alla misura massima di 2,40 metri.
D’altro canto, non emerge la possibilità di ricondurre le opere a un’altra delle tipologie descritte all’articolo 21 del regolamento regionale n. 2 del 2015, né del resto, come detto, una diversa specifica indicazione risulta essere stata fornita dal ricorrente.
Non essendo, pertanto, i manufatti annoverabili tra le pertinenze, correttamente il Comune ha ritenuto che la loro realizzazione avrebbe richiesto il rilascio del permesso di costruire e, in mancanza, ne ha ordinato la demolizione.
17.3. Anche il secondo motivo deve essere quindi rigettato.
18. Gli ulteriori due motivi non sono scrutinabili in questa sede, in quanto attengono all’applicazione del regio decreto n. 523 del 1924, come detto riferita alla recinzione, per cui la relativa cognizione deve essere rimessa al Tribunale superiore delle acque pubbliche, secondo quanto sopra esposto.
19. In definitiva, il ricorso:
– nella parte in cui ha ad oggetto gli atti adottati dall’Amministrazione in relazione all’opera sub “B”, deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia, dovendosi individuare quale giudice munito di giurisdizione, ai sensi dell’articolo 11 cod. proc. amm., il Tribunale superiore delle acque pubbliche, davanti al quale il processo potrà essere riproposto, nei termini e con le modalità di cui al comma 2 del medesimo articolo 11;
– nella parte concernente gli atti adottati dall’Amministrazione in relazione ai manufatti sub “C”, “E” e “F”, deve essere respinto.
20. La particolarità della vicenda amministrativa e l’esito processuale sorreggono la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
TAR UMBRIA, I – sentenza 26.07.2025 n. 625