*Urbanistica e edilizia – Autorizzazione all’apertura id case funerarie, rispetto delle distanze minime e interpretazione dell art. 16, l.r. Friuli-Venezia Giulia 21 ottobre 2011, n. 12 “Norme in materia funeraria e di polizia mortuaria” – Interpretazione

*Urbanistica e edilizia – Autorizzazione all’apertura id case funerarie, rispetto delle distanze minime e interpretazione dell art. 16, l.r. Friuli-Venezia Giulia 21 ottobre 2011, n. 12 “Norme in materia funeraria e di polizia mortuaria” – Interpretazione

1. Giunge alla decisione del Consiglio di Stato, l’appello proposto dalla società Prosdocimo s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia n. 341 dell’11 novembre 2023, che ha dichiarato inammissibile il ricorso e i motivi aggiunti notificati dalla medesima società.

2. Il giudizio ha ad oggetto la domanda di annullamento della determinazione del 20 ottobre 2022 n. 2022/0612/13, con cui il Comune di Pordenone ha rilasciato, a favore di P.F.A. – Pompe Funebri Associate – San Marco S.r.l., il provvedimento unico finale per la realizzazione dell’intervento di “ristrutturazione edilizia con ampliamento della casa funeraria mediante demolizione e ricostruzione di un capannone esistente e di ristrutturazione edilizia di un edificio residenziale esistente mediante demolizione e ricostruzione, con richiesta di applicazione della deroga ex art. 12 ter della l.r. 3/2001”, proposta dalla società Prosdocimo s.p.a., con il ricorso principale, e la domanda di annullamento della nota del Comune di Pordenone dell’11 maggio 2023, prot. n. 37191, proposta con i motivi aggiunti.

3. Si espongono i fatti rilevanti per il giudizio.

3.1. Con il ricorso introduttivo notificato in data 5 dicembre 2022 e depositato il successivo 16 dicembre 2022, la società Prosdocimo s.p.a., che opera nel settore dei servizi funerari e gestisce una casa funeraria a Pordenone, in Viale Turco 2, ha chiesto l’annullamento del provvedimento unico con cui il Comune di Pordenone ha rilasciato alla società concorrente P.F.A. – Pompe Funebri Associate – San Marco s.r.l., odierna controinteressata, l’autorizzazione per la realizzazione dell’intervento edilizio suindicato con richiesta di applicazione della deroga ex art. 12-ter della legge regionale n. 3/2001, nell’immobile di proprietà sito a Pordenone in Vial Rotto n. 14 e n. 16, foglio 12 mappale 66 – 496.

3.2. Con il successivo ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 25 maggio 2023 e depositato il giorno successivo, ha chiesto, inoltre, l’annullamento dell’atto con cui il Comune ha deciso di non esercitare il potere inibitorio sulla SCIA successivamente presentata dalla controinteressata per effettuare talune modifiche progettuali, sollecitato dall’odierna appellante.

3.3. Sulla scorta di plurimi motivi di impugnazione, ha denunciato l’illegittimità degli atti impugnati per violazione di diverse disposizioni di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili.

4. Nel giudizio di primo grado, si sono costituite il Comune di Pordenone e la società controinteressata, per resistere al ricorso con eccezioni di rito e difese di merito.

5. Con la sentenza n. 341/2023, il T.a.r. ha dichiarato inammissibili il ricorso e i motivi aggiunti e ha compensato le spese del processo.

6. La società Prosdocimo ha appellato la sentenza, impugnando la declaratoria di inammissibilità e riproponendo i motivi di primo grado non esaminati dal T.a.r..

6.1. Si sono costituite in giudizio il Comune e la controinteressata, resistendo all’appello con difese di rito e di merito.

7. Nel corso del giudizio, le parti hanno depositato ulteriori scritti difensivi.

8. All’udienza del 26 giugno 2025, la causa è stata trattenuta in decisione.

9. In deroga all’ordine delle questioni da trattare (artt. 276 c.p.c. e 39 c.p.a.) che imporrebbe di esaminare il motivo di appello formulato dalla società per contrastare la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione ed interesse a ricorrere, il Collegio ritiene di dovere fare applicazione del principio della c.d. ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015, § 5.3.), in ragione della manifesta infondatezza dei motivi di ricorso formulati in primo grado.

Per la medesima ragione, si ritiene di accantonare l’esame delle eccezioni pregiudiziali formulate dal Comune e dalla controinteressata, e di esaminare, pertanto di esaminare i motivi riproposti.

10. Con il primo motivo riproposto, la società deduce la violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990, la violazione dell’art. 12 ter della legge regionale del Friuli Venezia Giulia del 12 febbraio 2001 n. 3, nonché l’illegittimità del provvedimento edilizio per eccesso di potere per difetto di motivazione e d’istruttoria.

Si deduce, in particolare, la violazione dell’art. 12 ter della legge regionale che consentirebbe di autorizzare la realizzazione di taluni interventi edilizi in deroga “finalizzati all’ampliamento di attività produttive esistenti necessari per il mantenimento o per l’incremento della produzione e della logistica aziendale e/o dei livelli occupazionali sul territorio”, perché la casa funeraria non costituirebbe un’attività esistente in quanto tale attività non sarebbe stata mai esercitata dalla società controinteressata.

10.1. Il primo motivo è infondato.

10.2. L’art. 12 ter della legge regionale n. 3/2001 dispone che: “Previo parere favorevole del Consiglio comunale, sono soggetti al procedimento di cui all’articolo 11 gli interventi che comportano ampliamenti di attività produttive, anche in difformità dallo strumento urbanistico comunale per quanto attiene a indici, parametri, destinazioni e zonizzazione urbanistica, purché entro il limite massimo dell’80 per cento del volume o della superficie esistente e, comunque, in misura non superiore a 5.000 metri quadrati di superficie coperta, necessari per il mantenimento o per l’ incremento della produzione e della logistica aziendale e/o dei livelli occupazionali sul territorio.

Nel caso in cui l’ampliamento sia realizzato mediante il mutamento di destinazione d’uso di fabbricati esistenti, gli stessi devono essere situati all’interno del medesimo comparto sul quale insiste l’attività da ampliare o comunque costituire con questa, a seguito dell’intervento, un unico aggregato produttivo”.

10.3. La norma richiamata prevede il potere del consiglio comunale di autorizzare, anche in deroga allo strumento urbanistico comunale, quegli interventi edilizi che si reputano “necessari per il mantenimento o per l’incremento della produzione e della logistica aziendale e/o dei livelli occupazionali sul territorio”.

Diversamente da quanto opinato dalla società appellante, la norma non richiede la preesistenza della specifica attività che si intende installare nel manufatto edilizio realizzando, ossia, nel caso di specie, l’esercizio della casa funeraria, bensì che attraverso quell’intervento edilizio si ottenga l’effetto di “mantenere” o “incrementare” la produzione, la logistica aziendale o i livelli di occupazione sul territorio di un’impresa presente nel territorio comunale.

Risulta pacifico tra le parti che la società controinteressata costituisce un’impresa che già svolgeva, prima della presentazione dell’istanza, la sua attività economica nel territorio comunale e, dunque, soddisfa il requisito previsto dalla norma, essendo altrettanto comprovato che l’ampliamento assentito, strumentale alla realizzazione della casa funeraria, permetta alla controinteressata di ottenere uno dei vantaggi economici – “mantenere” o “incrementare” la produzione, la logistica aziendale o i livelli di occupazione sul territorio – presi in considerazione dalla norma in esame.

11. Con il secondo motivo riproposto, la società deduce la violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990, la violazione dell’art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968, nonché l’eccesso di potere per difetto di motivazione e istruttoria.

La società appellante deduce che il progetto di PFA è stato predisposto e autorizzato in violazione della normativa inderogabile sulle distanze.

L’appellante deduce, in particolare, che “La documentazione di progetto (cfr. Doc. 5 del fascicolo di primo grado di Prosdocimo) indica che l’intervento sarà realizzato nelle immediate vicinanze di un fabbricato esistente, antistante allo stesso, ma ad una distanza inferiore ai 10 metri prescritti dalla legge.

La parete del fabbricato esistente è dotata di vedute e, nello specifico, di una porta, oltre ad alcune luci (che, secondo la più recente giurisprudenza, ai fini delle distanze devono essere assimilate alle finestre; cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 30 marzo 2022, n. 2326), come da figure sotto: …”.

Secondo l’appellante, sarebbe errata l’interpretazione della locuzione “pareti finestrate”, qualora escludesse dalla definizione di “veduta” le “porte”, tenuto conto che “qualunque apertura nella parete verso l’esterno (ivi inclusa, ovviamente, una porta) che permetta l’affaccio e la visuale è senz’altro una veduta rilevante ai fini del rispetto delle distanze, a tutela della prevenzione dalle intercapedini insalubri”.

Viene evidenziato che “la porta sul muro fronti-stante l’erigenda casa funeraria si apre sul fondo di PFA, permettendo sia l’affaccio che la visuale da ogni lato e consentendo di uscire agevolmente anche all’esterno”.

Relativamente a questo motivo il Comune e la società controinteressata eccepiscono la cessazione della materia del contendere avendo la controinteressata arretrato la costruzione alla distanza indicata dalla società appellante, previa presentazione di una SCIA.

La società appellante contesta, però, che la SCIA abbia superato il problema delle distanze, in quanto permarrebbe una parte della parete dell’edificio preesistente a distanza inferiore a dieci metri.

11.1. Il secondo motivo è infondato e tale circostanza consente di non esaminare l’eccezione formulata dal Comune e dalla controinteressata.

11.2. L’art. 9, comma 1, num. 2, del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, invocato dall’appellante a fondamento della censura, dispone che: “Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

[…];

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;”.

11.2. Nella vicenda in esame, la norma invocata non risulta, tuttavia, applicabile, in quanto difetta la sussistenza di pareti finestrate fra gli edifici che si fronteggiano.

11.3. In proposito, il Collegio richiama anche ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) c.p.a. e con valore di precedenti giurisprudenziale conformi, le seguenti sentenze che hanno perimetrato l’ambito di applicazione della norma ricavabile dall’art. 9, comma 1, num. 2, d.m. 2 aprile 1968 n. 1444.

Segnatamente, secondo la giurisprudenza maggioritaria, “la dizione “pareti finestrate” […] non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette lucifere” (Cass. civ., Sez. II, 20 dicembre 2016, n. 26383; cfr., più di recente, Cass. civ., Sez. II, Ord., 08 agosto 2025, n. 22907; Sez. II, 05 gennaio 2024, n. 359; Sez. II, ord., 1 dicembre 2021 n. 37829). Conseguentemente, secondo questo Consiglio, “la circostanza che trattasi […] di luci, e non anche di vedute, esclude l’applicazione della normativa sulle distanze dettata dall’art. 9 d.m. n. 1444/68 posto che, per condivisa giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, tale previsione normativa “… fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere, secondo l’univoco e costante insegnamento della giurisprudenza anche di questa Sezione, unicamente “le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci” (cfr. Cass. Civ. Sez. II 6.11.2012 n. 19092; 30.04.2012 n. 6604; Cons. Stato Sez. IV 04.09.2013; 12.02.2013 n. 844)” (Cons. Stato, sez. III, 20 febbraio 2025 n. 1448; cfr., inoltre, Sez. IV, 15 ottobre 2024 n. 8272 e Cons. Stato, Sez. IV, 26 novembre 2015 n. 5365).

Ai fini della qualificazione dell’apertura come “veduta”, piuttosto che “luce”, è costantemente indicato quale criterio dirimente la circostanza che la medesima apertura consenta “non soltanto la “inspectio” ma anche la “prospectio”, la quale – ai sensi dell’art. 900 c.c., che non determina un comportamento tipico per l’atto di affacciarsi – consiste nella possibilità di vedere e guardare non solo di fronte, ma obliquamente e lateralmente sul fondo del vicino, in modo da consentirne una visione mobile e globale” (Cass. civ., Sez. II, Ord., 10 maggio 2022, n. 14730).

Nel logico sviluppo di queste premesse, si è poi affermato che anche una “porta” può essere qualificata come “veduta” ed essere sussunta, pertanto, nel novero delle “pareti finestrate”, con conseguente applicazione dell’art. 9 d.m. n. 1444/1968, quando consenta “la possibilità e dell’inspectio e della prospectio in alienum” (a contrario, da Cass. civ., n. 14730/2022 cit.; altresì, da Cass. civ., n. 359/2024, cit., relativa ad un “portone di accesso” ad un capannone che non consente l’esercizio “dell’inspectio et prospectio” sul fondo antistante; ma anche da Cass. civ., Sez. II, 06 marzo 2025, n. 5918, che richiamata Cass. civ., Sez. VI – 2, Ord., 13 agosto 2014 n. 17950 relativa ad una “porta-finestra” che “consenta la “inspectio” ma non la “prospectio”; v. altresì Cass. 14091/2019 e Cass. 1005/2004)”, mentre, la pronuncia soggiunge che la “porta-finestra che consenta lo sguardo frontale, lo sguardo obliquo e laterale sul fondo del vicino integra veduta”; infine, Cass. civ., Sez. II, 23 maggio 2019 n. 14091, che, in una vicenda che riguardava “la natura di porta o finestra dell’apertura esistente sulla parete dell’immobile della parte appellante”, ha ritenuto inconfigurabile la violazione dell’art. 9 d.m. n. 1444/1968, per le caratteristiche della porta che non consentiva la “prospectio”).

Il Collegio non ignora la sussistenza di un altro orientamento che accoglie una nozione più ampia di “parete finestrata” e, segnatamente, che “ai sensi dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, per “pareti finestrate” devono intendersi non soltanto le pareti munite di “vedute” ma, più in generale, tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l’esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce).” (Cons. Stato, sez. VII, 17 luglio 2023 n. 7004; Sez. II, 30 marzo 2022 n. 2326; Sez. V, sentenza 11 settembre 2019, n. 6136).

Il Collegio ritiene tuttavia di condividere e dare continuità all’orientamento maggioritario, recentemente espresso dalla Sezione (Sez. IV, n. 8272/2024, cit.), anche in considerazione della circostanza che la sentenza n. 6136/2019 non contiene motivazioni né cita giurisprudenza a sostegno della sua interpretazione dell’art. 9 d.m. n. 1444/1968; la sentenza n. 2326/2022 enuncia il medesimo principio richiamando quale precedente a sostengo la pronuncia n. 6136/2019 e ad abundantiam rispetto alla ratio decidendi già enunciata al paragrafo precedente; la sentenza n. 7004/2023 pone a sostegno di tale interpretazione alcuni precedenti che però, oltre ad essere numericamente esigui, sono anche più risalenti nel tempo rispetto a quelli indicati a fondamento dell’odierna decisione.

Applicando i principi enunciati dall’orientamento maggioritario al caso di specie, il Collegio rileva che la norma di cui si deduce la violazione non risulta applicabile, in quanto, dai documenti in atti, e, in particolare, dalla “relazione-integrazione luglio 2022” allegata all’istanza di permesso di costruire, si evince che le aperture presenti sulla facciata dell’edificio antistante costituiscono “luci” (e non “vedute”), trattandosi, come anche evidenziato nella suddetta relazione e come si vede dalle fotografie in essa riportate (a pag. 33), di aperture collocate “molto più in alto rispetto all’altezza di una persona, non provviste di sistemi di apertura e dotate di vetri opachi

Quanto, poi, alla porta presente sulla facciata, si evidenzia che trattasi di una porta di emergenza “anti-incendio” (come si deduce dalla maniglia c.d. “anti-panico”) di metallo, che, quando chiusa, non consente alcuna visione dall’interno sull’esterno. Essa, per le sue caratteristiche e per la funzione chiamata ad assolvere, non consente né la “prospectio” né l’“inspectio”, essendo ordinariamente adibita a consentire l’uscita dall’edificio in caso di emergenza.

12. Con il terzo motivo riproposto, la società appellante deduce la violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990, la violazione dell’art. 16 della legge regionale n. 12/2011, nonché l’eccesso di potere per difetto di motivazione e d’istruttoria.

Si evidenzia che il progetto presentato dalla controinteressata, unitariamente inteso, viola la distanza di cinquanta metri dai luoghi indicati dalla norma (in particolare, dal locale nosocomio), in quanto tale distanza va calcolata non solo dagli stretti confini fisici dell’edificio, bensì dai luoghi nei quali l’attività viene effettivamente esercitata, ossia, nel caso di specie, dai piazzali antistanti l’edificio che ospiterà la casa funeraria.

12.1. Il terzo motivo è infondato.

12.2. L’art. 16 l.r. dispone che: “Le case funerarie sono ubicate a una distanza minima di cinquanta metri dalle strutture sanitarie pubbliche e private, dai cimiteri e dai crematori.”.

12.3. Dal tenore letterale della norma, ma verso la medesima conclusione depone la sua ratio, si evince che la distanza, evidentemente preordinata a salvaguardare interessi igienico-sanitari, deve essere calcolata a partire dal luogo fisico che ospita e dove si svolge, concretamente ed effettivamente, l’attività d’impresa della casa funeraria, potenzialmente ed eventualmente foriera di pregiudizi di carattere igienico-sanitari, non dovendosi invece considerare strutture pertinenziali quali parcheggi o piazzali antistanti, che difettano di questa pregiudizialità.

13. Con il quarto motivo riproposto, la società lamenta la violazione dell’art. 97 della Costituzione, la violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990, nonché l’eccesso di potere per difetto di motivazione e istruttoria.

Si deduce che il parere rilasciato da Hydrogea sarebbe generico e tale illegittimità vizierebbe, per illegittimità derivata, il titolo rilasciato alla società controinteressata.

13.1. Il quarto motivo è inammissibile.

13.2. Il motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a. che richiede che il ricorso contenga “i motivi specifici su cui si fonda il ricorso”.

13.3. Con la censura in esame, la società si limita a dedurre, del tutto genericamente, che “Tale parere difetta di adeguata attività istruttoria, in quanto non ha dimostrato di aver approfondito le attività svolte all’interno della casa funeraria (con riferimento, ad esempio, alla tipologia di materiali utilizzati per il trattamento e la conservazione delle salme) ai fini della valutazione dell’assimilabilità dei relativi scarichi a quelli domestici e l’assenza di scarichi industriali”, senza però indicare, neppure nella rubrica del motivo di ricorso, secondo quale parametro normativo gli accertamenti andassero compiuti o in base a quale elemento fattuale si sarebbe dovuto dubitare dell’assimilazione degli scarichi dell’attività in questione a quelli domestici e invece ritenere sussistenti “scarichi industriali”.

13.4. La laconicità e l’assoluta apoditticità della censura emerge con lampante evidenzia se si considera la difesa contenuta nella memoria del Comune, dove si rappresenta che “anche lo scarico delle acque reflue della casa funeraria gestita dalla ricorrente in vial Turco n. 2 scarico peraltro non recapitante in fognatura – è stato, analogamente, autorizzato quale scarico di acque assimilate alle domestiche, in forza delle suddette linee guida di ARPA”.

14. Con il quinto motivo riproposto, corrispondente al primo motivo dei motivi aggiunti, la società deduce la violazione della distanza di cui all’art. 9 d.m., che, a suo dire, permarrebbe inalterata anche successivamente alla presentazione della SCIA.

14.1. Il quinto motivo è infondato.

14.2. Il motivo in esame si basa sul medesimo presupposto del secondo motivo di ricorso.

Si rinvia pertanto, per ragioni di sintesi, alle motivazioni poste a fondamento della declaratoria di inammissibilità di quel motivo.

15. Con il sesto motivo riproposto, corrispondente al secondo motivo dei motivi aggiunti, la società deduce l’illegittimità derivata della SCIA e dunque l’illegittimità del provvedimento comunale che ha rifiutato l’esercizio dei poteri inibitori su tale titolo.

Si deduce che la SCIA in variante è ammissibile soltanto se il titolo variato è legittimo e questa circostanza non ricorrerebbe nel caso di specie per i motivi di censura articolati nel ricorso introduttivo.

15.1. Il sesto motivo è infondato, in quanto la reiezione dei precedenti motivi di impugnazione determina il venir meno del presupposto da cui muove la doglianza in esame.

16. In conclusione, per le motivazioni sin qui esposte, i motivi del ricorso introduttivo del giudizio e dei motivi aggiunti, riproposti nel presente grado del giudizio, sono infondati e vanno respinti.

17. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza nei confronti del Comune di Pordenone e della società P.F.A. – Pompe Funebri Associate – San Marco S.r.l., sono liquidate in dispositivo.

CONSIGLIO DI STATO, IV – sentenza 05.09.2025 n. 7207

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