1. Con unico motivo di appello, rubricato “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, travisamento dei fatti, carenza, erroneità e illogicità della motivazione”, gli appellanti deducono che i giudici di primo grado si sarebbero discostati dall’orientamento del Consiglio di Stato, espresso nella sentenza della Sez. VI, 14.10.2019, n. 6979, secondo cui l’apposizione, nella struttura di supporto, di una tenda retrattile, di pannelli laterali in vetro scorrevoli non muta la natura dell’opera determinando la creazione di uno spazio chiuso stabilmente configurato e quindi non genera nuovo volume o superficie.
Nello stesso senso , in una recente sentenza, con riguardo ad una struttura caratterizzata da una tenda retrattile e chiusure laterali con teli, è stato enunciato che: “gli interventi di arredo di spazi aperti effettuati con materiali leggeri devono di norma (ossia ove non vi siano peculiari e specifiche previsioni vincolistiche o pianificatorie puntualmente ostative, nella specie insussistenti) essere considerati liberamente ammissibili, in quanto idonei a realizzare il miglior godimento dell’immobile senza incidere significativamente su di esso: ossia lasciandone inalterate le caratteristiche edilizie, progettuali, culturali, ambientali ed estetiche dell’edificio (tali ultimi caratteri rilevando, va da sé, solo a fronte dei pertinenti vincoli)” (sottolineature ed evidenziazioni aggiunte, Cons. Stato, Sez. II, 4.5.2022 n. 3488).
Il caso di specie sarebbe quindi riconducibile alla categoria degli interventi che possono essere eseguiti in assenza di un titolo abilitativo perché non comportano alcuna rilevante trasformazione dello stato dei luoghi.
Richiamano poi la perizia a firma del Geom. Marco Mazzeri asseverata in data 3.2.2021 (doc. 12 fascicolo di primo grado), che il TAR adito avrebbe completamente ignorato, per cui i pannelli esulano dalla funzione di tamponamento perimetrale anche considerato che:
– hanno una esigua sezione di. 10 mm, di gran lunga inferiore rispetto allo spessore dei vetri usati per le finestre (28/30 mm), che li rende assimilabili, a tutti gli effetti, a un tendaggio;
– sono totalmente amovibili, in quanto privi di opere murarie ed assemblati tra loro in modo da rendere possibile lo smontaggio mediante la semplice operazione di estrazione dai binari in cui scorrono, senza alcuna demolizione;
– non sono termoisolanti, difettando dei requisiti richiesti dalla norma UNI EN 1435-1 (Trasmittanza termica U limite in zona climatica E 1,90 (W/mqk) Pannello di vetro installato 4.90 (W/mqk);
– tra un pannello e l’altro rimane uno spazio vuoto e, quindi, l’ambiente del dehor non è isolato;
– l’apposizione dei pannelli non ha modificato la superficie commerciale dell’esercizio pubblico che è rimasta inalterata.
Tutto ciò premesso, il ricorso è fondato.
Si deve infatti dare continuità all’orientamento anche recentemente espresso da questo Consiglio di Stato Sez. VI, Sentenza, 27/1/2025, n. 607, secondo cui “Un’opera costituita da una struttura con copertura retrattile e chiusura laterale con vetrate scorrevoli, se mantiene la destinazione esterna dello spazio senza trasformarlo in un ambiente stanziale chiuso e stabile, deve qualificarsi come pergotenda. Tale qualificazione la colloca tra le opere di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 380 del 2001e del “Glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera” (D.M. 2 marzo 2018), non essendo quindi soggetta a titolo edilizio.
Pertanto, essendo la fattispecie in esame in via di fatto esattamente sovrapponibile all’ipotesi sopra definita, come si ricava dalla sopra riportata descrizione dell’opera in contestazione, l’appello deve essere accolto. Per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, vanno annullati gli atti impugnati.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in E. 7.000,00 (3.000,00 per il primo grado e 4.000,00 per il secondo grado), oltre accessori, per il doppio grado di giudizio.
CONSIGLIO DI STATO, II – sentenza 07.07.2025 n. 5828
*Pubblico Impiego – Concorsi -Polizia di Stato, nomina alla qualifica di vicecommissario e omessa valutazione dei titoli da parte della P.A.
Il sostituto commissario della Polizia di Stato -OMISSIS- -OMISSIS- ha proposto ricorso al T.A.R. per il Lazio, con istanza incidentale di sospensione, per l’annullamento: del d.m. del 31 ottobre 2019, concernente l’approvazione della graduatoria di merito e dichiarazione dei vincitori del concorso interno, per titoli di servizio, a 436 posti per la nomina alla qualifica di vicecommissario del ruolo direttivo ad esaurimento della Polizia di Stato, indetto con decreto del Capo della Polizia-Direttore generale della pubblica sicurezza del 12 aprile 2019. Unitamente alla graduatoria erano impugnati: la scheda valutazione titoli del ricorrente; e il verbale n. 36 del 24 ottobre 2019 della Commissione esaminatrice, da cui risultano i titoli valutati; della scheda titoli validata dall’Ente matricolare – Questura di Roma – nella parte in cui gli incarichi ivi annotati, risultavano iscritti con decorrenza errata e segnatamente: 1) responsabile coordinatore ufficio e sala operativa di reparto, dal 28 aprile 2017 anziché dall’11 novembre 2015; 2) responsabile coordinatore equipaggiamenti di volo speciale, ufficio aggiornamenti aeronautici e manuale Jeppsen per il volo strumentale, dal 28 aprile 2017 e non da 4 gennaio 2016; del foglio matricolare, nella parte in cui gli incarichi 1) Responsabile Coordinatore Ufficio e Sala operativa di reparto, dal 28.4.2017 anziché dall’11.11.2015 e 2) Responsabile Coordinatore equipaggiamenti di Volo speciale, Ufficio aggiornamenti aeronautici e manuale Jeppsen per il volo strumentale, risultano annotati prima come unico incarico con decorrenza dal 28 aprile 2017, poi corretti con l’indicazione della duplicità degli incarichi ma con decorrenze errata, fino alla definitiva correzione della decorrenza degli incarichi con nota del 3 dicembre 2019. Era inoltre chiesto l’accertamento del diritto del ricorrente a vedersi attribuiti gli ulteriori punteggi: punti 3 (subordinatamente punti 1) per il titolo di Responsabile Coordinatore Ufficio e Sala Operativa di reparto; punti 0.3 per il corso di conoscenza inglese equiparato CEFR B2.
Con i successivi 6 atti di motivi aggiunti, il ricorrente ha impugnato: la rettifica della graduatoria di merito del concorso del 27 ottobre 2020; il verbale n. 59 del 30 gennaio 2020 della Commissione esaminatrice; la rettifica della graduatoria di merito del concorso del 28 gennaio 2021; il verbale n. 66 del 4 giugno 2020, della Commissione esaminatrice; il verbale n. 83 del 20 luglio 2021, della Commissione esaminatrice.
La questione controversa verte sulla valutazione di due titoli in capo al ricorrente odierno appellato (non contestati in ordine alla loro sussistenza), costituenti punteggio utile ai fini del Concorso Interno alla Polizia di Stato, per la copertura di n. 436 posti a Vice Commissario al quale -OMISSIS- ha partecipato posizionandosi in graduatoria al posto n. 494 (idoneo non vincitore) come da Decreto del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale per le Risorse Umane, in persona del Direttore Centrale p.t. del 31 ottobre 2019, pubblicato in Bollettino Ufficiale del Personale supplemento Straordinario 1/52 del 31 ottobre 2019, di approvazione della graduatoria e dichiarazione dei vincitori del menzionato concorso.
I titoli concernono gli incarichi di “Responsabile coordinatore Ufficio e Sala Operativa di Reparto” e “Responsabile coordinatore equipaggiamenti di volo speciali, Ufficio aggiornamenti aeronautici e manuali Jeppesen per il volo strumentale”.
Il ricorrente di primo grado contestava inoltre la determinazione della Commissione nella parte in cui non gli attribuiva alcun punteggio al titolo Corso di formazione “Aviation English” presso Aeronautica militare di Loreto assimilabile a CEFR B2. Sostanzialmente il sostituto commissario -OMISSIS- eccepiva che la Commissione esaminatrice fosse in possesso di tutti gli elementi e i dati per valutare il titolo non esaminato, se avesse effettuato una corretta istruttoria nonché un’attenta e logica applicazione delle regole di cui al bando di concorso e dello stesso verbale n. 1 della Commissione esaminatrice. Al riguardo, la Commissione, a detta del ricorrente, erroneamente non avrebbe tenuto conto delle variazioni matricolari richieste dal dipendente successivamente alla scadenza della domanda di partecipazione.
Con sentenza n. 4907/2022, il TAR adito ha accolto “parzialmente” il ricorso introduttivo e gli atti recanti i motivi aggiunti. In particolare, il TAR ha annullato gli atti impugnati “nella parte in cui non assegnano al ricorrente 2 punti, invece di 1,2 per l’incarico di “Responsabile coordinatore equipaggiamenti di volo speciali, ufficio aggiornamenti aeronautici e manuali Jeppesen per il volo strumentale” nonché per l’incarico di “Responsabile Coordinatore Ufficio e Sala Operativa”, con conseguente inserimento nella graduatoria di merito con il punteggio corretto”, mentre ha preso atto del punteggio di 0,30 riconosciuto dalla Commissione, con verbale n. 59, al corso di formazione “Aviation English”.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto appello il Ministero dell’Interno, con atto d’appello notificato in data 27/06/2022, e depositato il 28/06/2022, a mezzo del quale ha chiesto la riforma, previa sospensione, della gravata sentenza articolando un unico motivo di ricorso rubricato “Violazione dell’art. 6, comma 3 del bando.” In particolare, ad avviso del Ministero, la gravata sentenza è fondata su un’errata interpretazione sia della “lex specialis” del concorso sia della normativa generale di riferimento, relativa alla tenuta dello stato matricolare, ai fini della valutazione dei titoli. Il TAR non avrebbe adeguatamente valutato che l’art. 6 comma 3 del bando di concorso dispone come la valutazione “è limitata ai titoli posseduti dai candidati alla data di scadenza della domanda di partecipazione al concorso, che siano stati indicati in quest’ultima domanda e risultino, altresì, annotati entro la suddetta data di scadenza, nello stato matricolare, secondo quanto previsto dalla normativa vigente. In particolare, la scheda contenente i titoli indicati dal candidato, una volta convalidata dall’ufficio matricolare, dovrà essere trasmessa telematicamente alla Direzione Centrale per le Risorse Umane – Ufficio Attività Concorsuali”. Il richiamo operato dal bando al foglio matricolare riveste una fondamentale rilevanza in quanto detto documento è l’unico che garantisce certezza ai titoli oggetto di valutazione ed il rispetto della “par condicio” fra i candidati. Nel caso di specie il termine per la presentazione della domanda è scaduto irrimediabilmente in data 13 maggio 2019, mentre le richieste di modifica al foglio matricolare sono state inoltrate alla Questura di Roma ente matricolare da parte del Reparto volo di Pratica di Mare, ufficio in cui il ricorrente presta servizio, in data 18 giugno e 3 dicembre 2019. Ne deriverebbe che le richieste di rettifica e le successive modifiche sono assolutamente tardive e, quindi, non potevano essere prese in considerazione da parte della Commissione esaminatrice e che la determinazione della Commissione esaminatrice, che ha inteso valutare come un unico titolo l’incarico di “Responsabile Coordinatore Ufficio Sala Operativa, aggiornamenti aeronautici, manuali Jeppesen ed equipaggiamenti di volo speciali”, è del tutto legittima perché posta in essere in aderenza di quanto trascritto sul quadro F del foglio matricolare alla data della scadenza della domanda di partecipazione avvenuta in data 12 maggio 2019. Al riguardo rileva il Ministero come l’art. 6, comma 3 del bando, nel prevedere (in conformità all’art. 3, comma 5, del T.U. n. 3/1957) un termine di 30 giorni dalla pubblicazione del bando per presentare la domanda di partecipazione, fornisca al candidato l’opportunità di individuare i titoli valutabili conseguiti ed accertarne l’effettiva annotazione nello stato matricolare. Il TAR avrebbe obliterato il punto fondamentale del giudizio, per cui il foglio matricolare ha valenza nei limiti e nei modi in cui esso risulta al momento della scadenza del termine di presentazione delle domande, proprio al fine di evitare successivi, strumentali tentativi di rimescolare la situazione dei titoli che è cristallizzata nel foglio matricolare.
-OMISSIS- -OMISSIS- in data 13/07/2022 si è costituito in giudizio con atto di stile e, in data 15/07/2022 ha depositato memoria articolando obiezioni in fatto e in diritto ai motivi d’appello formulati dal Ministero e ha concluso chiedendo la reiezione dello stesso. In particolare ha in primis eccepito l’inammissibilità dell’appello: a seguito delle ordinanze di riesame emesse dal TAR in primo grado, l’Amministrazione ha rivalutato e rideterminato il proprio potere provvedimentale, sostituendo gli atti iniziali con quelli rinnovati e, per quanto qui di interesse, ha riconosciuto la distinzione tra i due incarichi. Tali ultimi atti addottati dall’Amministrazione sono validi ed efficaci e non sono stati autoannullati/revocati e neppure contestati dall’Amministrazione. Con l’atto di appello, l’Amministrazione, che con i verbali n. 66 e 83 ha rivalutato favorevolmente il ricorrente riconoscendo la distinzione tra i due incarichi, contraddirebbe se stessa ed i provvedimenti da essa adottati. Da ciò conseguirebbe che l’intero appello, volto a contestare la fondatezza del ricorso in riferimento ai due incarichi erroneamente, ma comunque tempestivamente annotati sullo stato matricolare, sarebbe inammissibile alla luce delle rideterminazioni della Commissione Esaminatrice che ha ammesso l’errore ed ha conseguentemente valutato separatamente i due incarichi. Rispetto poi al motivo d’appello, -OMISSIS- evidenzia che i titoli di cui trattasi erano correttamente validati dall’ente matricolare (doc. n. 12), e non vi era alcun motivo per cui il ricorrente poteva ipotizzare l’erronea trascrizione; sottolinea che, effettivamente, la data non era corretta, ma tale circostanza nulla mutava sul diritto al conseguimento dei relativi punteggi.
Con ordinanza cautelare n. 3472/2022, pubblicata il 20/07/2022, il Consiglio di Stato, Sez. II, ha rigettato la domanda cautelare proposta dal Ministero dell’Interno.
In data 24/05/2025, -OMISSIS- -OMISSIS- ha depositato memoria ex art. 73 insistendo per la reiezione dell’atto d’appello.
La causa, chiamata per la discussione all’udienza telematica del 2 luglio 2025, è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato, nei termini già paventati in sede cautelare, con conseguente applicabilità dell’art. 74 cod.proc.amm.
Come evidenziato in analoghi contenziosi (cfr. ad es. Consiglio di Stato nn. 2988 e 2990 del 2025), va ribadito che l’annotazione del foglio matricolare del dipendente è, di norma, un adempimento al quale il Ministero dell’Interno è obbligato ai sensi dell’art. 55, comma 3, del D.P.R. n. 3 del 1957, che stabilisce che nel foglio matricolare degli impiegati civili dello Stato siano indicati “tutti i provvedimenti relativi alla nomina, allo stato, alla carriera ed al trattamento economico, nonché tutti gli atti del fascicolo personale che possono formare oggetto di valutazione per le promozioni”. Pertanto, grava sull’amministrazione l’onere di adempiere alla corretta trascrizione dei titoli del dipendente nello stato matricolare del dipendente.
Sicchè, prima ancora della mancata attivazione, da parte del dipendente, della procedura sollecitatoria di cui all’art. 29 del D.P.R. n. 686 del 1957 in relazione al mancato aggiornamento del foglio matricolare, pare al Collegio che rilevi l’inadempimento dell’Amministrazione rispetto a tale doverosa procedura (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. II, 9 febbraio 2022, n. 917). In definitiva, la mancata annotazione di un titolo nello stato matricolare di un candidato (ove tale titolo sia effettivamente posseduto e dichiarato dallo stesso) non è condizione sufficiente per giustificare la sua mancata valutazione da parte dell’amministrazione.
Quanto sin qui evidenziato assume rilievo assorbente rispetto all’unica censura di appello, che va pertanto respinto.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
CONSIGLIO DI STATO, II – sentenza 07.07.2025 n. 5825
*Soggetti pubblici – Interesse pubblico – Organismo pubblico, erogazione di servizi pubblici e tutela dell’interesse pubblico
1. -OMISSIS-, straniera di nazionalità marocchina, ha impugnato, dinanzi al Ta.r. per l’Emilia Romagna, Bologna, il Decreto di rigetto dell’istanza di emersione ex art. 103 comma 1 del D.L. n. 34/2020, emesso dalla Prefettura di Modena in data 20 gennaio 2023.
2. A fondamento del diniego la Prefettura ha rappresentato che l’istante non aveva fornito la prova della propria presenza sul territorio nazionale in data precedente al giorno 8 marzo 2020, come previsto dal precitato art. 103, comma 1.
In particolare, l’Amministrazione ha rilevato che la straniera aveva prodotto, a corredo dell’istanza, una ricevuta per l’acquisto di una tessera telefonica “Wind” datata 21 ottobre 2019, la quale, all’esito di controlli, non era stata riconosciuta dall’operatore telefonico.
Anche l’ulteriore documentazione prodotta a dimostrazione del requisito è stata ritenuta inidonea dalla Prefettura, in quanto non proveniente da organismi pubblici e sprovvista di data certa.
3. Il Tribunale amministrativo regionale emiliano ha respinto le censure di eccesso di potere, ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione formulate in ricorso, ritenendo che la presentazione, da parte della ricorrente, di una tessera telefonica disconosciuta dall’operatore, fosse idonea a determinare, automaticamente, l’inammissibilità della domanda.
Peraltro, il T.a.r. ha confermato l’inidoneità dell’ulteriore documentazione prodotta dalla ricorrente a dimostrazione della permanenza sul territorio nazionale, poiché non riconducibile ad “attestazioni costituite da documentazione di data certa proveniente da organismi pubblici” ai sensi dell’art. 103 comma 1 del D.L. n. 34/2020.
4. Avverso la decisione impugnata l’appellante ha formulato censure di violazione di legge, erronea applicazione della normativa di riferimento ed erronea valutazione dei fatti, deducendo che in relazione alla presentazione della ricevuta di acquisto della tessera telefonica era stato sì aperto un procedimento penale, ma che lo stesso si era successivamente concluso con un decreto di archiviazione; quanto all’ulteriore documentazione prodotta a dimostrazione della sussistenza del requisito contestato, l’appellante ha dedotto che tanto la dichiarazione del 25 maggio 2022 (firmata e timbrata da -OMISSIS-), tanto il certificato rilasciato da un medico privato convenzionato concernente una visita medica nel mese di marzo 2020, dovevano ritenersi idonee alla dimostrazione del requisito, in quanto provenienti da soggetti assimilabili ad organismi pubblici.
5. Il Ministero dell’Interno si è costituito con memoria di stile.
6. Con ordinanza n. 2018/2025 il Collegio, rilevando che il certificato medico rilasciato dal dott. -OMISSIS-in data 15 gennaio 2020, pur non recando alcuna timbro del Servizio Sanitario Nazionale, era stato corredato da una dichiarazione del sanitario attestante la propria qualità di medico convenzionato con il SSN, ha onerato la parte appellante di produrre una dichiarazione espressa su carta intestata proveniente dal suddetto medico convenzionato, con firma autentica o digitale e corredata da documento di identità del dichiarante.
7. Il difensore dell’appellante ha adempiuto all’ordine istruttorio, allegando agli atti del giudizio una dichiarazione firmata a mano dal dott. -OMISSIS-e corredata da documento di identità dello stesso, rappresentando che nelle more del giudizio il sanitario era cessato dal servizio, non disponendo pertanto del timbro intestato, della carta intestata e della firma digitale.
8. All’udienza pubblica del 29 maggio 2025 l’appello è stato introitato per la decisione.
9. L’appello è fondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
10. Quanto al valore ostativo della vicenda afferente alla presentazione, da parte della straniera, di una prova di acquisto relativa ad una utenza telefonica non riconosciuta dall’operatore “Wind”, osserva il Collegio che la falsità del documento non è risultata provata a seguito degli accertamenti condotti dall’autorità giudiziaria, la quale ha disposto l’archiviazione del relativo procedimento penale per particolare tenuità del fatto, ritenendo il documento non determinante ai fini della concessione del provvedimento amministrativo.
Di contro, il contenuto dell’attestazione rilasciata dall’operatore telefonico (“non risultano presenti sui nostri sistemi le utenze oggetto del presente accertamento”) appare alquanto generico ed in ogni caso inidoneo a dimostrare la falsità materiale del mezzo.
11. Venendo all’ulteriore documentazione presentata dalla straniera per dimostrare la presenza sul territorio nazionale in data antecedente all’8marzo 2020, valgono le seguenti considerazioni.
12. L’art. 103 c. 1 del D.L. n. 34/2020 consente di provare la presenza sul territorio in data precedente all’8 marzo 2020, tra gli altri, mediante “attestazioni costituite da documentazioni di data certa provenienti da organismi pubblici”.
La previsione è stata fatta oggetto di specificazione con il D.M. del Ministero dell’Interno 27 maggio 2020, il quale all’art. 5, comma 2 chiarisce che “sono da considerare organismi pubblici i soggetti, pubblici o privati, che istituzionalmente o per delega svolgono una funzione o un’attribuzione pubblica o un servizio pubblico”.
Ulteriori chiarimenti in merito alla nozione di “organismo di diritto pubblico” nell’ambito della procedura di emersione è stata fornita dalla “FAQ” n. 19 pubblicata sul sito del Ministero dell’Interno, richiamata dall’appellante, secondo cui “Si intendono per organismi pubblici i soggetti pubblici, privati o municipalizzati che istituzionalmente o per delega svolgono una funzione o un’attribuzione pubblica o un servizio pubblico. A titolo esemplificativo, consentono di dimostrare la presenza nel territorio nazionale le seguenti documentazioni: certificazione medica proveniente da struttura pubblica o convenzionata, certificato di iscrizione scolastica dei figli, tessere nominative di mezzi pubblici, certificazioni provenienti da forze di polizia, titolarità di schede telefoniche o contratti con operatori italiani, documentazione relativa a servizi erogati da Poste Italiane S.p.A. al soggetto interessato (es. apertura libretti di risparmio, richiesta di rilascio Postepay), ricevute nominative di invio o ricevimento di denaro effettuato attraverso istituti bancari e/o agenzie di Money transfer, documentazione proveniente da centri di accoglienza e/o ricovero autorizzati anche religiosi, attestazioni ricevute da rappresentanze diplomatiche o consolari in Italia, i biglietti di vettori aerei e marittimi nominativi utilizzati per l’ingresso nello Stato, anche nel caso in cui il vettore abbia coperto tratte infra Schengen.” (sul valore delle FAQ nella procedura di emersione cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 28 marzo 2023, n.3171).
13. La nozione di “organismo pubblico” utilizzata dal legislatore non rappresenta peraltro un novum nel panorama normativo in tema di regolarizzazione della presenza degli stranieri sul territorio, essendo stata utilizzata già in occasione della precedente disciplina sull’emersione, di cui al d.lgs. n. 109 del 2012, che all’art. 5, comma 1, ultimo periodo, così disponeva, “In ogni caso, la presenza sul territorio nazionale dal 31 dicembre 2011 deve essere attestata da documentazione proveniente da organismi pubblici“.
Nel vigore di quella disciplina normativa, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che con tale disposizione di chiusura il legislatore delegato aveva inteso tipizzare quale sia la documentazione valutabile, nonché evitare che la presenza sul territorio nazionale – nella “data rilevante” per la procedura di emersione del lavoro irregolare – possa essere desunta da dichiarazioni atipiche o poste in essere ex post (cfr. Consiglio di stato, Sez. III, 5 luglio 2016, n. 2994), statuendo che per “organismi pubblici” devono intendersi le strutture organizzate, ovvero, le persone fisiche o giuridiche che svolgono funzioni, attività, servizi pubblici o di interesse pubblico, cioè i soggetti il cui operato è inquadrabile lato sensu nella connotazione di funzione pubblicistica e non meramente privatistica” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 novembre 2016, n. 4933l).
14. Facendo applicazione delle soprarichiamate coordinate ermeneutiche, ritiene il Collegio che la decisione impugnata abbia correttamente escluso l’idoneità della dichiarazione effettuata dal superiore del Convento dei Cappuccini di Vignola, alla quale non può attribuirsi la qualifica di organismo pubblico, stante il carattere ecclesiastico e di culto dell’Ente e l’assenza di funzioni di carattere anche lato sensu pubblicistico nell’attività di assistenza fornita in favore di privati.
A tal riguardo è stato anche chiarito che deve intendersi preclusa ogni interpretazione della nozione di organismo pubblico che la estenda fino a ricomprendervi anche associazioni private che non svolgono alcuna funzione pubblicistica sulla base di convenzioni, contratti o accordi con una pubblica amministrazione, escludendo quindi che possa classificarsi come organismo pubblico un ente privato che si occupi del sostegno dei lavoratori immigrati, ma non nello svolgimento di funzioni delegate da soggetti pubblici istituzionalmente preordinati a quel compito, che, sole, possono fondare l’equiparazione, per quanto qui rileva, di un ente privato a un organismo pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. III, 26 aprile 2016, n. 1614) .
E’ pur vero che la stessa Prefettura, nella citata “FAQ”, cita, tra gli organismi pubblici, anche i centri di ricovero e/o accoglienza anche religiosi, ma purché gli stessi risultino a ciò “autorizzati”, circostanza quest’ultima che non è stata dedotta né allegata dall’odierna appellante.
15. Diversamente è a dirsi per la valenza da attribuire alla certificazione medica rilasciata dal dott. -OMISSIS-in data 15 gennaio 2020, oggetto del sopra richiamato approfondimento istruttorio da parte del Collegio.
16. Giova premettere che la giurisprudenza di questa Sezione ha avuto modo di precisare che si deve considerare proveniente da “organismi pubblici” la certificazione medica proveniente da una struttura pubblica, mentre non è idonea quella rilasciata da un medico senza collegamenti con l’esercizio di funzioni sia pur in senso lato pubblicistiche (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 23 gennaio 2015, n. 299).
17. Nel caso di specie, la richiedente ha esibito un certificato rilasciato da un medico privato convenzionato con il servizio Sanitario Nazionale e successivamente il sanitario ha specificato la propria qualifica di medico convenzionato con l’ASL, chiarendo che la prescrizione era stata rilasciata su ricetta personale in quanto afferente prestazione non mutuabile.
A seguito dell’approfondimento istruttorio disposto dal Collegio, il predetto sanitario ha confermato di aver visitato la straniera in data 15 gennaio 2020 in qualità di medico convenzionato con il SSN, allegando alla dichiarazione apposito documento di identità idoneo a ritenere attendibile la titolarità della dichiarazione.
Tale ulteriore produzione documentale, non contraddetta dall’Amministrazione resistente, deve ritenersi sufficiente a dimostrare la presenza della straniera sul territorio nazionale in data precedente all’8 marzo 2020, atteso che il certificato in questione è risultato riconducibile ad “una struttura pubblica o convenzionata”, ai sensi dell’art. 5, comma 2 del D.M. del Ministero dell’Interno 27 maggio 2020, come chiarito anche dal chiaro disposto della richiamata “FAQ” n. 19.
18. Per questi motivi l’appello deve essere accolto e, in riforma della decisione impugnata, deve essere annullato il decreto della Prefettura di Modena del 20 gennaio 2023, con il quale è stata respinta l’istanza di emersione presentata dalla odierna appellante.
19. La peculiare natura della controversia giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
CONSIGLIO DI STATO, III – sentenza 07.07.2025 n. 5838
*Giustizia amministrativa – Avvocato – Principio di soccombenza e provvedimento di liquidazione delle spese di giudizio
Considerato:
– che con il ricorso in epigrafe il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. IV-quater, n. 9769/2025 del 21 maggio 2025 nel capo in cui lo ha condannato alle spese di lite, liquidate in € 1.500,00, oltre accessori di legge se dovuti, chiedendone la sospensione dell’efficacia;
– che in fatto l’odierna appellata, avv. Deborah Lombardi, presentava ricorso in tema di accesso agli atti, accolto dal T.A.R. Lazio, Roma, con la sentenza della Sez. IV-quater n. 22271 del 10 dicembre 2024, confermata da questa Sezione con la sentenza n. 1693/2025 del 26 febbraio 2025;
– che perdurando l’inerzia dell’Amministrazione, la ricorrente agiva per l’ottemperanza del giudicato con ricorso R.G. n. 3421/2025: nelle more del giudizio di ottemperanza il Ministero dava integrale riscontro all’istanza ostensiva della ricorrente;
– che sulla base di tale sopravvenienza, con la sentenza appellata il T.A.R. ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, ma, avendo la ricorrente ottenuto l’ostensione dei documenti solo dopo la notifica del ricorso per ottemperanza e in applicazione del criterio della soccombenza virtuale, ha disposto la condanna del Ministero alle spese del giudizio di ottemperanza;
Considerato, inoltre:
– che nel gravame il Ministero insorge contro il capo della sentenza appellata recante la condanna alle spese, deducendo i seguenti motivi:
I) error in iudicando et in procedendo, violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in tema di motivazione della sentenza (art. 3 c.p.a. e art. 111, sesto comma, Cost.), atteso che la ricorrente in primo grado avrebbe atteso solo n. 13 giorni [rectius: 15] dalla pubblicazione della sentenza di questa Sezione n. 1693/2025 per notificare il ricorso in ottemperanza. La pronuncia del T.A.R. di condanna alle spese sarebbe, inoltre, priva di una motivazione adeguata, risolvendosi in un mero dispositivo privo di un’esplicitazione delle ragioni sottese alla condanna alle spese nel giudizio di ottemperanza, peraltro definito con declaratoria di cessata materia del contendere, il tutto in violazione dell’obbligo ex art. 111, sesto comma, Cost., di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali;
II) error in iudicando et in procedendo, violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in tema di condanna alle spese, in quanto la sentenza appellata non avrebbe tenuto minimamente conto delle circostanze del caso concreto in cui si inseriva la domanda di accesso, che non sarebbe stata rigettata, ma decisa con un differimento per la pendenza della procedura concorsuale riservata di cui al d.m. n. 107/2023 e, soprattutto, avrebbe violato le regole sulla soccombenza;
– che la richiesta di sospensione della sentenza è stata giustificata dal Ministero appellante, sotto il profilo del periculum in mora, con il rischio del danno d’immagine e per l’eventualità che la sentenza possa incoraggiare la proposizione di ulteriori azioni aventi le stesse caratteristiche, così aggravando l’attività della P.A. a detrimento del normale andamento degli Uffici coinvolti;
– che si è costituita in giudizio con memoria di costituzione e difensiva l’avv. Deborah Lombardi, concludendo per la reiezione dell’appello, previa reiezione dell’istanza cautelare;
– che l’appellata ha inoltre depositato istanza di passaggio della causa in decisione sulla base dei soli scritti difensivi;
– che nella camera di consiglio del 1° luglio 2025, fissata per la discussione dell’istanza cautelare, il Collegio, dato avviso alla parte comparsa, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., della possibilità di pronunciare sentenza “semplificata”, previa conversione del rito, ha trattenuto la causa in decisione;
Ritenuta la sussistenza delle condizioni per pronunciare sentenza “semplificata” ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a., accertata la regolare instaurazione del contraddittorio e la completezza dell’istruttoria e previa conversione del rito;
Ritenuto che i motivi dell’appello – che per ragioni di economia processuale è opportuno trattare in modo congiunto – siano palesemente infondati:
Considerato, infatti:
– che per giurisprudenza consolidata, nel processo amministrativo la regolazione delle spese segue, per principio generale, la soccombenza (cfr. art. 26 c.p.a., che rinvia agli artt. 91 e segg. c.p.c.) ed in tal evenienza non richiede in sentenza un’ampia motivazione, mentre un onere di motivazione più specifica sussiste qualora la regolazione delle spese prescinda da una vittoria in giudizio e risponda ad esigenze differenti. In particolare, in caso di compensazione delle spese l’onere di motivazione è rinforzato, al fine di mantenere inalterato il rapporto di regola ad eccezione esistente tra i principi di condanna del soccombente alle spese e di compensazione delle spese (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VII, 23 maggio 2025, n. 4519; id., 18 maggio 2023 n. 4953; Sez. VI, 1° ottobre 2024, n. 7874; id., 16 marzo 2020 n. 1850; Sez. V, 28 febbraio 2023 n. 2093);
– che, più in generale, il giudice gode di un’ampia discrezionalità nel pronunciare sulle spese, con i soli limiti di non potere condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio e di non poter emettere statuizioni abnormi (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 2 aprile 2025, n. 2836; id., 12 giugno 2024, n. 5265; id., 8 gennaio 2024, n. 274; Sez. VII, 25 novembre 2024, n. 9425; Sez. IV, 12 luglio 2024, n. 6262; id., 10 luglio 2020, n. 4434; Sez. II, 9 maggio 2024, n. 4201; Sez. III, 31 gennaio 2024, n. 950; Sez. VI, 20 gennaio 2022, n. 362);
– che è altrettanto consolidato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la declaratoria di cessazione della materia del contendere “opera quando si determini una successiva attività amministrativa integralmente satisfattiva dell’interesse azionato”, essendo “decisivo che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno ed irretrattabile il diritto o l’interesse legittimo esercitato, così da non residuare alcuna utilità alla pronuncia di merito”, con la conseguenza che “il Giudice deve procedere all’accertamento virtuale sulla fondatezza dell’originaria pretesa ai fini del regolamento delle spese di lite” (c.d. soccombenza virtuale: cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 20 febbraio 2025, n. 1436; Sez. V, 12 febbraio 2024, n. 1390), eccetto che non siano le stesse parti a domandare congiuntamente la compensazione delle spese (C.d.S., Sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2909), circostanza che nel caso ora in esame non si è verificata;
– che la giurisprudenza di questo Consiglio ravvisa una situazione di c.d. soccombenza virtuale in capo all’Amministrazione, tra l’altro, nel caso in cui questa si pronunci positivamente, ma in ritardo sull’istanza della parte richiedente, poiché le eventuali ragioni legate alle condizioni operative della P.A., caratterizzate da un numero esorbitante di pratiche da sbrigare, non possono risolversi in una mera formula di stile, generica e sganciata da riferimenti specifici e concreti a situazioni contingenti, potenzialmente spendibile in modo indifferenziato per qualunque ipotesi di attività amministrativa e, come tale, sostanzialmente elusiva dell’obbligo di adeguata esternazione della “eccezionalità” e della “gravita” dei motivi derogatori, prescritta dall’art. 92 c.p.c. ai fini della compensazione delle spese (C.d.S., Sez. III, 8 gennaio 2025, n. 90; id., 18 aprile 2023, n. 3931);
– che nel caso di specie il T.A.R. ha quindi fatto corretta applicazione del principio di soccombenza virtuale, alla luce del riconoscimento implicito da parte della P.A. delle ragioni della ricorrente insito nell’aver dato corso alla sua istanza di accesso, intervenuto, però, soltanto nelle more del giudizio di ottemperanza e quindi tardivamente, senza alcuna giustificazione;
– che in proposito è infondato sia il riferimento al limitato periodo di tempo (n. 15 giorni) trascorso dalla pubblicazione della sentenza di questa Sezione n. 1693/2025, sia alla circostanza che l’accesso sarebbe stato non rifiutato, ma solo differito, atteso che l’Amministrazione è risultata soccombente in ambedue i gradi del giudizio sull’accesso agli atti e che, nonostante ciò, la richiedente è stata costretta ad agire in ottemperanza per vedere infine soddisfatte le proprie esigenze ostensive;
– che al riguardo non va trascurato che nel corso del giudizio innanzi al T.A.R. Lazio sul differimento dell’istanza di accesso la ricorrente aveva circoscritto, alla camera di consiglio del 3 dicembre 2024, le proprie esigenze ostensive alle domande di partecipazione dei candidati alla procedura riservata e al parere legale reso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e che tale delimitazione è stata ritenuta sia dal primo giudice, sia dal giudice d’appello, un “giusto ed equo bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo di parte ricorrente e le esigenze organizzative” della P.A.;
– che inoltre è palesemente privo di valore il riferimento al rischio per la P.A. di una moltiplicazione di azioni del tipo di quella in esame, essendo un preciso obbligo del Ministero, scaturente dai principi di buona amministrazione ex art. 97 Cost., di organizzarsi in modo da poter soddisfare le istanze di accesso con diligenza e tempestivamente, senza costringere i richiedenti ad esperire defatiganti rimedi stragiudiziali o giudiziali;
Ritenuto in conclusione, per tutto quanto esposto, di dover respingere l’appello;
Ritenuta, da ultimo, di dover liquidare secondo soccombenza le spese del giudizio di appello, nella misura di cui al dispositivo;
CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 07.07.2025 n. 5853
*Istruzione e università – Concorso per professore a contratto e natura privatistica del rapporto
Con il motivo di appello l’Amministrazione appellante deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 103 D.P. R 382/80 e dell’art. 7 della L. 28/1980.
Evidenzia come la sentenza impugnata abbia erroneamente accertato come sussistente il diritto soggettivo al riconoscimento della “carriera” richiesto da parte ricorrente rinviando alle motivazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 maggio 2020, n. 3146, la quale è espressione di un orientamento definitivamente superato dalla successiva giurisprudenza sempre di questo Consiglio di Stato.
La censura è fondata.
La Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 480 del 26 novembre 2002 ha affermato che la figura del professore a contratto, disciplinata dagli artt. 100, primo comma, lett. d), e 116 del d.P.R. n. 382 del 1980 non è stata ritenuta assimilabile ai servizi contemplati dall’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1980 non solo per l’assenza – normalmente – di una qualsiasi forma di previa selezione concorsuale, ma anche per la durata limitata del rapporto, di norma annuale e non rinnovabile più di due volte e per la conformazione privatistica del rapporto.
Contrariamente a quanto affermato dai giudici di primo grado, l’orientamento espresso con la sentenza n. 3146/2020 non è consolidato risultando contrario a quanto precedentemente affermato dal Consiglio. Stato, VI, sent. 2811/2019 e superato dalla successiva giurisprudenza di questo stesso Consiglio secondo la quale la figura del professore a contratto non è contemplata tra i soggetti che in base all’art. 103 del D.P.R. n. 382/80 hanno diritto al riconoscimento del servizio prestato avendo l’elenco dei servizi ivi indicati carattere tassativo, sebbene da intendersi in senso dinamico ed evolutivo, come tale idoneo a ricomprendere anche attività istituite successivamente all’entrata in vigore del citato decreto purché si tratti di evoluzione di figure già contemplate nel predetto quadro normativo.
Il professore a contratto è figura professionale priva di forme di selezione e di qualsivoglia procedura comparativa e valutativa e non è, pertanto assimilabile, neanche in via interpretativa, alle altre figure contemplate dall’art. 103 del D.P.R. n. 382/80 (C.d.S. sent. n. 7512/2022).
Questo argomento va considerato rilevante rispetto al conflitto con l’art. 97 Cost., come considerato dalla Corte Costituzionale nella ordinanza n. 480/2002, la cui pregnanza argomentativa rileva indipendentemente dall’applicabilità o meno erga omnes del relativo pronunciamento.
L’orientamento sfavorevole al riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato dai professori a contratto è stato, da ultimo confermato dalla successiva pronuncia di questo Consiglio di Stato n. 9464/2023.
Da tali considerazioni discende la non assimilabilità dei servizi resi dall’appellata a quelli tassativamente indicati dall’art. 103, né dal punto di vista testuale né da quello sostanziale, pur considerato il testo di legge alla luce della successiva evoluzione ordinamentale.
L’appello deve essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata riformata.
In considerazione della esistenza del richiamato contrasto giurisprudenziale sussistono i presupposti per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio,
CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 07.07.2025 n. 5858
Demanio e patrimonio – Concessioni demaniali marittime, proroga automatica e contrasto con i principi generali di concorrenzialità
1. Con il ricorso all’esame il sig. -OMISSIS- ha impugnato, previa sospensione dell’efficacia, la nota prot. n. -OMISSIS- del 27 luglio 2021, pervenuta a mezzo pec in pari data, con cui Roma Capitale ha rigettato l’istanza di proroga della concessione demaniale marittima n. -OMISSIS- dallo stesso presentata e ha reiterato l’ordine di sgombero dell’area demaniale marittima di mq 86 di cui mq 30 coperti utilizzati da un Cottage ad uso residenza estiva, fila -OMISSIS-, N.C.E.U. foglio -OMISSIS-, particella -OMISSIS- sub 4, sita sul lungomare -OMISSIS-, -OMISSIS-.
2. Premette il ricorrente che:
– l’area fa parte dell’ex complesso residenziale -OMISSIS-, realizzato dalla -OMISSIS- srl in forza di licenza di costruzione rilasciata il 9 gennaio 1957, costituito da vari cottage e da una struttura centrale che ospita la mensa-ristorante, le cucine, il bar, l’ufficio turistico e l’alloggio dei custodi;
– la -OMISSIS-, completata la costruzione, in possesso di un atto di sottomissione per anticipata occupazione ma non ancora concessionaria dell’area demaniale, affidava in locazione i cottage agli utenti/condomini;
– il padre dell’odierno ricorrente (Ing. -OMISSIS-) sottoscriveva il relativo contratto di locazione. Nel 1967 la Capitaneria di Porto di Roma acquisiva il complesso e assegnava i singoli cottage in concessione agli originari conduttori; l’Ing. -OMISSIS- sottoscriveva l’atto di concessione demaniale marittima n. -OMISSIS- del 1968, al fine di mantenervi due cottage uso residenza estiva;
– nel 1988 l’odierno ricorrente subentrava nella concessione relativa ad un solo cottage (concessione n. -OMISSIS-, per un’area di mq 86, di cui mq 30 coperti dal cottage); il titolo veniva rinnovato a nome dell’esponente, senza soluzione di continuità, fino alla concessione n. -OMISSIS-, con validità dal 1° gennaio 1998 al 31 dicembre 2001, sempre allo scopo di mantenervi un cottage uso residenza estiva;
– definito il passaggio delle competenze di gestione dei beni demaniali in questione al Comune di Roma, quest’ultimo avviava un procedimento per il rinnovo del titolo che non ha mai concluso;
– il mancato riscontro espresso alla richiesta di rinnovo costituiva prassi ordinaria e prevista in molti atti di concessione di quegli anni, nei quali si leggeva che la richiesta di rinnovo, corredata dalla corresponsione del canone per gli anni 1998-2001, avrebbe determinato una rinnovazione provvisoria del rapporto concessivo con licenza limitata fino al rilascio di nuovo titolo di godimento, ovvero sino a formale notifica di rigetto dell’istanza medesima;
– la rinnovazione del rapporto concessorio in essere col ricorrente, fino al 31 dicembre 2013, sarebbe dimostrata dalla condotta dell’Amministrazione, pienamente conformativa della legittimazione dell’occupazione, come comprovato: i) dagli ordini di introito relativi al pagamento dei canoni demaniali (e non indennizzi per occupazione abusiva) per gli anni 2002- 2010 – tutti puntualmente corrisposti insieme agli oneri accessori; ii) dalla nota prot. -OMISSIS- del 7 giugno 2011, con cui veniva comunicato al ricorrente che l’Ufficio stava procedendo all’istruttoria per il rilascio della concessione; iii) dalla circostanza che la sola contestazione nei confronti del ricorrente veniva formalizzata con la nota prot. -OMISSIS- del 2 luglio 2009, con la quale l’Amministrazione resistente lamentava la realizzazione di opere non autorizzate e richiedeva gli indennizzi ai sensi della legge n. 296/2006 – Legge Finanziaria 2007; la nota veniva prontamente impugnata e la sua legittimità e fondatezza è tuttora al vaglio del Giudice civile;
– con nota della Regione Lazio prot. -OMISSIS- dell’11 dicembre 2017 veniva riconosciuta la proroga ex art. 7, comma 9 duodevicies, del D.L. 78/2015 ad una concessione del medesimo complesso;
– il mancato formale rinnovo del titolo concessorio comportava il coinvolgimento del ricorrente in un’indagine ispettiva della Guardia di Finanza che interessava tutti gli 86 concessionari dell’ex complesso -OMISSIS-, sfociata in un giudizio penale, tuttora in corso, per presunta occupazione abusiva di area demaniale e nell’adozione di un sequestro preventivo;
– l’odierno ricorrente, inizialmente nominato custode dell’area sequestrata, successivamente riceveva verbale di revoca della custodia;
– in data 27 aprile 2021 Roma Capitale notificava al ricorrente l’ordine di sgombero dell’immobile prot. n. -OMISSIS- del 13 aprile 2021, a cui il sig. -OMISSIS- replicava con osservazioni presentate in data 26 maggio 2021;
– l’ordine di sgombero veniva impugnato con separato ricorso innanzi a questo Tribunale, che accoglieva l’istanza cautelare;
– faceva seguito la nota del 27 luglio 2021 oggetto del presente gravame, con cui l’Amministrazione, “considerato quanto già definito con nota prot. -OMISSIS- del 15.04.2021”, affermava che l’area demaniale marittima di causa, “scaduta in data 31.12.2001”, risultava occupata senza titolo; in riferimento all’istanza di proroga “non accolta con la nota prot. -OMISSIS- del 15.4.2021”, in continuità con l’operato amministrativo fin qui intrapreso, “conferma che la rinnovata richiesta di estensione della validità del titolo concessorio ai sensi dell’art.1 comma 682, 683 e 684 della L.145/2018 riproposta con la nota prot. -OMISSIS- del 27.05.2021 non è ammissibile, e per quanto sopra esposto, valutate adeguatamente le osservazioni tesi ad ottenere l’archiviazione del procedimento di sgombero, avviato con la nota su indicata, le suddette osservazioni non sono accoglibili”. “Per tanto, con la presente si diffida nuovamente alla riconsegna delle chiavi come già intimato entro e non oltre 10 gg dal ricevimento della presente”.
3. Avverso la nota gravata il ricorrente ha articolato le seguenti censure:
I. Violazione dell’art. 54 del cod. navigazione. Violazione di legge, e in particolare degli artt. 1, 2, 3 e 10-bis l. 241/1990 e art. 97 della Costituzione. Eccesso e sviamento di potere (difetto assoluto e, comunque, erroneità dei presupposti) – Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione – Motivazione apparente – Erroneità di fatto e di diritto – Travisamento – Illogicità manifesta – Contraddittorietà – Perplessità- Abnormità – Sviamento – Arbitrarietà – Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, imparzialità, giusto procedimento e buon andamento dell’azione amministrativa. Sostiene il ricorrente che, a fronte delle reiterate istanze di rinnovo del titolo concessorio, l’Amministrazione, senza mai fornire alcuna risposta formale (sino all’ultima istanza di rinnovo del 2013, da intendersi rigettata con la nota del 15 aprile 2021), avrebbe consentito la prosecuzione dell’occupazione, legittimandola con le richieste di ordini di introito per canoni demaniali marittimi e comunicazioni attestanti la pendenza di istruttoria per il rilascio della concessione; non vi sarebbe alcuna prova della natura demaniale del cottage oggetto dell’ordine di sgombero.
II. Violazione e falsa applicazione della disciplina di settore e, in particolare, dell’art.10 della legge n. 88/2001, con riguardo alla domanda di rinnovo presentata in data 8 novembre 2001, che avrebbe comportato la proroga automatica della concessione sino al 31 dicembre 2013, salva la formazione del silenzio assenso;
III. Violazione e falsa applicazione della disciplina di settore e, in particolare, dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009 e dell’art.34 duodecies del d.l. 179/2012, dell’art. 1, co. 682 e 683 della l. 31 dicembre 2018, n. 145 (c.d. legge di bilancio 2019) e dell’art. 7, comma 9 duodevicies legge n. 125/2015, come successivamente modificato dal decreto milleproroghe n.244/2016, convertito nella legge n.19/2017 e art.1, comma 684, della legge n. 145/2018 (legge di bilancio 2019).
IV. Violazione e falsa applicazione della circolare n. 6105 del 6 maggio 2010 e successivamente con la circolare n. 57 serie II demanio marittimo, secondo le quali il riconoscimento della proroga delle concessioni in essere da parte dell’Amministrazione avrebbe carattere meramente ricognitivo dell’operatività delle condizioni previste dalla legge per l’applicazione della proroga.
V. Violazione di legge artt. 10 della legge 6 agosto 1967, 1, 2, 3 l. 7.8.1990, n. 241; art. 97 cost.) – Eccesso di potere (difetto assoluto e, comunque, erroneità dei presupposti – Difetto assoluto di istruttoria e di motivazione – Motivazione apparente – Erroneità di fatto e di diritto – Travisamento – Illogicità manifesta- Disparità di trattamento.
4. Il 25 novembre 2021 si è costituita in giudizio Roma Capitale.
5. Il 10 dicembre 2021 Roma Capitale ha depositato una memoria con la quale ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso in esame per carenza di interesse, in ragione della natura non provvedimentale della nota del 27 luglio 2021 oggetto del gravame, della mancata introduzione delle censure con motivi aggiunti nell’ambito del giudizio instaurato avverso la nota prot. -OMISSIS- del 15 aprile 2021 (definito con sentenza n. 7713/2022) e perché tardivo, tenuto conto che già con la nota CO11506 del 29 gennaio 2018 l’Amministrazione aveva richiesto al ricorrente la corresponsione delle indennità di occupazione sine titulo del cottage sul presupposto dell’intervenuta scadenza della concessione originaria, nota mai impugnata dal ricorrente; nel merito, l’Amministrazione ha comunque chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.
6. Lo stesso 10 dicembre 2021 il ricorrente ha dichiarato di rinunciare alla misura cautelare.
7. In data 1° aprile 2025 Roma Capitale ha depositato ulteriore documentazione, seguita in data 9 aprile 2025 da un’ulteriore memoria difensiva.
8. All’udienza di smaltimento dell’arretrato del 23 maggio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
9. In disparte le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dall’Amministrazione capitolina, il ricorso è infondato.
10. Il ricorrente contesta in primo luogo l’intervenuta scadenza della concessione -OMISSIS-, rinnovata a suo nome sino alla concessione n. -OMISSIS-, con validità dal 1° gennaio 1998 al 31 dicembre 2001, su cui si fonda l’ordine di sgombero gravato; sostiene in proposito il sig. -OMISSIS- che, per effetto del comportamento concludente dell’Amministrazione e della richiesta di pagamento degli ordini di introito dei canoni demaniali, avrebbe determinato, a fronte delle successive richieste di rinnovo presentate dal ricorrente e delle proroghe ex lege via via intervenute, la concessione era ancora in essere alla data di adozione della nota impugnata. Il ricorrente contesta, altresì, la natura demaniale dell’area su cui insiste il cottage di causa.
11. La doglianza non convince. Con riferimento alla natura demaniale dell’area, come evidenziato da Roma Capitale in sede difensiva, nell’originaria licenza edilizia n. -OMISSIS-, rilasciata dal Comune di Roma alla società -OMISSIS-, è specificato: “si raccomanda, inoltre, che in sede esecutiva venga tenuto presente quanto appresso: 1) – l’arenile libero, convenientemente sistemato prevedendo la messa in opera di beverini in erogazione diretta opportunatamente distribuiti, nonchè piste interne onde evitare faticosi percorsi sulla sabbia bollente, non dovrà risultare inferiore a mq 10 per posto cabina; 2) – I cottage dovranno avere: pavimento sollevato non meno di m.0,50 dall’arenile”.
12. In proposito, Roma Capitale ha prodotto la nota del 14 agosto 2017 di trasmissione del Verbale di Delimitazione n. 69 del Registro del 1° agosto 2017, approvato con Decreto n. 5/2018 del 7 maggio 2018 da parte delle Direzione marittima del Lazio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con cui è stata effettuata una ricognizione delle aree e che conferma la ricomprensione delle aree in argomento tra i beni demaniali, non avendo la delimitazione del 1976, sulla scorta della quale sono state negli anni rilasciate le concessioni, subito variazioni.
13. Tanto considerato, il cottage in questione è dunque, indubbiamente, insistente su di un tratto di arenile/spiaggia, compreso ex lege nel demanio marittimo.
14. D’altra parte, con la nota CO11506 del 2018 in atti, non oggetto di gravame da parte del ricorrente, viene evidenziata: 1. la natura demaniale del bene concesso, 2. la natura pubblica del bene concesso, 3. la temporaneità del diritto di superficie, 4. la cessazione di diritto della concessione alla scadenza del termine, 5. la circostanza che le opere non amovibili restano acquisite allo stato alla scadenza della concessione.
15. In proposito, con riferimento ai beni edificati su suolo demaniale marittimo dato in concessione, l’art. 49 del Codice della Navigazione stabilisce che, in mancanza di diversa previsione, alla scadenza della concessione demaniale le opere inamovibili edificate con regolare titolo abilitativo ed in conformità al regime urbanistico vigente all’atto dell’edificazione, restano acquisite allo Stato, salva la facoltà del medesimo, di ordinarne la demolizione.
16. In tal senso l’atto di incameramento (redazione del testimoniale e del verbale di constatazione) delle opere valutate come inamovibili ai sensi dell’art. 49 citato assume carattere puramente ricognitivo di un effetto ope legis prodottosi, indipendentemente dalla determinazione in parola, al venire in rilievo dei previsti presupposti fattuali.
17. Si rammenta, inoltre, che ai sensi dell’art. 25 del D.P.R. n. 328 del 15.02.1952 “Approvazione del Regolamento per l’esecuzione del Codice della Navigazione”, scaduto il termine della Concessione Demaniale Marittima, “questa si intende cessata di diritto senza che occorra alcuna diffida o costituzione in mora”.
18. Peraltro, i titoli concessori demaniali marittimi, rilasciati e rinnovati dal competente Ministero della Marina Mercantile, portavano in allegato il rilievo planovolumetrico delle strutture (cabine/cottage) assegnate e, in merito, si dichiarava che trattavasi di “Concessioni a scopo privato costituite da opere acquisite allo Stato”; pertanto i manufatti (cabine/cottage), oggetto di detti titoli concessori, erano già da intendersi come Beni acquisiti dallo Stato ai sensi dell’art. 49 del Codice della Navigazione-
19. La demanialità del bene in questione ex art. 822 c.c. comporta, ex se, l’automatica applicazione della disciplina contenuta nell’art. 823, comma 2, c.c. e, per l’effetto, la possibilità di agire anche in via di autotutela, in mancanza di titolo legittimante.
20. Quanto all’art. 10 della legge 88/2001, invocato al ricorrente a sostegno dell’intervenuta proroga del titolo concessorio, si ricorda che la disposizione ha sostituito il comma 2 dell’art. 1 del d.l. 400/93, conv. mod. dalla legge n. 494/93, con la seguente previsione: “Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’articolo 42 del codice della navigazione”.
21. La previsione è stata oggetto di interpretazione autentica mediante l’art. 13 della legge n. 172/2003, secondo cui “Le parole: “Le concessioni di cui al comma 1” di cui al comma 2 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, come modificato dall’articolo 10 della legge 16 marzo 2001, n. 88, si interpretano nel senso che esse sono riferite alle sole concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, quali indicate nelle lettere da a) ad f) del comma 1 del medesimo articolo 01”.
22. Il comma 2 è stato poi abrogato dalla legge 15 dicembre 2011 n. 217 (Legge comunitaria 2012), “al fine di chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 nonché al fine di rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari, consenta lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turistico-balneare-ricreativa”.
23. La previsione di rinnovo automatico di sei anni in sei anni, in ogni caso, si applicava alle sole concessioni con finalità turistico ricreative e non anche a quelle residenziali o abitative, quale quella di specie, non rientranti in nessuna delle previsioni di cui al primo comma dell’art. 1 d.l. 400/93.
24. La giurisprudenza che si è pronunciata sull’ambito di applicazione del comma 2 dell’art. 1 d.l. 400/93, come modificato dalla legge 88/2001, ha poi affermato che esso è limitato “alle sole concessioni aventi finalità turistico-ricreativa” e che per tale deve intendersi “una concessione finalizzata all’esercizio di impresa turistico-ricreativa, e non anche una concessione finalizzata alla conduzione di abitazione privata a titolo personale, ancorché a fini di turismo personale” (così Tar Lazio, sez. II quater n. 974/2022; Consiglio di Stato, sez. VI, n. 874/2010).
25. In tal senso va pure considerato che la proroga automatica delle concessioni di beni demaniali attribuite ad uso esclusivo di privati, senza previo esperimento di procedure di gara, si pone in contrasto con i principi generali di concorrenzialità e di naturale destinazione dei beni pubblici ambientali alla pubblica fruizione ed è quindi ammessa per periodi temporalmente limitati (cfr. Tar Lazio, sez II quater, n. 1426/2021), posto che solo l’esigenza di soddisfare esigenze di carattere non meramente privato ma formalmente “collettivo” può essere ritenuta idonea a giustificare una sottrazione potenzialmente prolungata all’utilizzazione pubblica di un’area demaniale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 874 del 2010; Tar Lazio, sez. II ter, n. 9873/2008 e sez. II bis n. 9194/2015).
26. Né può ritenersi che nella parte ricorrente si sia creato un legittimo affidamento al rilascio della concessione demaniale in ragione del fatto di aver continuato a pagare i relativi canoni, posto che, anche in questo caso, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che, in mancanza dell’atto formale di rinnovo, l’aspirante concessionario non ha titolo alcuno ad utilizzare il bene demaniale e versa in una situazione di detenzione senza titolo, tanto che la circostanza che l’Amministrazione abbia introitato le somme che il concessionario assume di aver versato a titolo di canone per il periodo successivo alla scadenza della concessione non è, di per sé, idonea a sostituire il formale provvedimento di concessione del bene ed assume il significato di incameramento di quanto dovuto a ristoro (parziale) della persistente occupazione del bene (cfr. Tar Lazio, sez. II, 5 luglio 2007, n. 6057 e Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 1976 n. 71) (T.A.R. Lazio Sentenza n. 9569 del 2008).
27. Tanto considerato, “in presenza di un rapporto concessorio scaduto ormai da molti anni e mai rinnovato, Roma Capitale aveva l’obbligo – come per tutti i casi analoghi, senza possibilità di distinzioni a seconda di una maggiore o minore meritevolezza degli interessi perseguiti – di procedere al recupero dell’immobile di proprietà comunale già assentito in concessione” (cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 23/08/2024, n.7220).
28. Difatti, “La volontà di obbligarsi della P.A. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad substantiam, e pertanto nei confronti di essa non è configurabile il rinnovo tacito del contratto, né rileva, per la formazione del contratto stesso, un mero comportamento concludente, anche se protrattosi per anni” (così Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2015, n. 22994, citata dal diniego impugnato; nello stesso senso v. pure Cass. civ., Sez. III, 10 giugno 2005, n. 12323; id., 12 febbraio 2002, n. 1970; id., 11 gennaio 2000, n. 188).
29. Ciò osservato, nella documentazione versata in giudizio dal ricorrente non si riscontrano atti che avvalorano una proroga ovvero un rinnovo della concessione dal dicembre 2001 fino al 2013 del bene demaniale.
30. Ne consegue l’inapplicabilità delle proroghe ex lege di cui alla normativa citata le quali, a partire dalla proroga di cui all’art. 7, comma 9-duodevicies d.l. 78/2015, si applicano alle concessioni in essere ad una certa data, che nel caso del d.l. 78/2015 (prima proroga in ordine di tempo) è quella del 31 dicembre 2013.
Essendo già scaduta ben prima di tale termine, nessuna proroga poteva estendersi alla concessione di cui si tratta.
31. Inconferente è poi il richiamo di parte ricorrente alle circolari del MIT, inapplicabili alle concessioni ad uso residenziale, quale quelli rilasciate per il complesso demaniale -OMISSIS-.
32. Quanto, ancora, alla dedotta avvenuta formazione del silenzio assenso, osserva il Collegio che, nonostante l’ampliamento della portata del silenzio assenso conseguente alla novella, intervenuta nel 2005, dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990, l’ambito suo proprio è quello dei provvedimenti autorizzatori e non anche, come per il caso di specie, quello dei provvedimenti concessori (v. Consiglio di Stato, sez. V, n. 3449/2024).
33. A ciò si aggiunga che “la giurisprudenza ha evidenziato come gli atti di rinnovo implichino una rivalutazione della compatibilità dell’attività consentita al privato con le ragioni di interesse pubblico (Cass. civ., Sez. I, 23 marzo 1985, n. 2089) e come all’istanza di rinnovo della concessione non possa essere attribuito valore automatico, occorrendo, di volta in volta, una nuova valutazione e istruttoria dello stato dei luoghi (Cass. civ., Sez. Un., 22 dicembre 2010, n. 25985)” (così Consiglio di Stato, sez. VII, n.r 7220/2024).
34. Nemmeno appare decisiva la delibera regionale del 24 aprile 2008 richiamata dal ricorrente, relativa al rinnovo delle concessioni per finalità turistico ricreative, dalla quale si evince in ogni caso che il Comune provvederà con provvedimento espresso di rilascio del titolo rinnovato o di revoca motivata, con esclusione di qualsivoglia automatismo.
35. Priva di pregio è pure la denunciata violazione dell’art. 1, comma 684, l. 145/2018 che troverebbe applicazione per le concessioni con finalità abitativo – residenziale (a differenza del comma 682 l. 145/2018 cit. relativo alle concessioni con finalità turistico ricreative), atteso che la norma fa pur sempre riferimento alle concessioni demaniali marittime già oggetto di proroga ai sensi del d.l. 78/2015, convertito nella legge n. 125/2015, ovvero alle concessioni in essere al 31 dicembre 2013, e dunque non alla concessione di causa.
36. Infondate sono, infine, le censure di difetto di istruttoria e di violazione dell’art. 10 bis della legge 241/90 per non avere l’Amministrazione dato riscontro alle osservazioni del ricorrente, atteso che, come emerge dalla documentazione in atti, la nota gravata si inserisce a conclusione di una complessa e articolata istruttoria, nella quale il ricorrente ha avuto possibilità di contraddire con l’Amministrazione.
37. Per tutto quanto esposto, il ricorso è infondato e va respinto.
38. La parziale novità della vicenda trattata giustifica la compensazione delle spese.
TAR LAZIO – ROMA, V TER – sentenza 03.07.2025 n. 13117
Giustizia amministrativa – Procedimento giurisdizionale, utilizzo di espressioni sconvenienti ed offensive ed istanza di cancellazione ex art. 89 c.p.c.
1.-E’ materia del contendere la legittimità del provvedimento con cui il Comune di Bologna ha disposto la revoca del passo carrabile -OMISSIS- intestato al Condominio di -OMISSIS- di Bologna, in esecuzione della sentenza di questo Tribunale Amministrativo -OMISSIS-.
Le ragioni del riesame sono state individuate dall’Amministrazione nella sopravvenuta incompatibilità tecnica del passo con la realizzazione della banchina posizionata nel tratto stradale prospiciente il passo carraio del civico -OMISSIS- di via Rizzoli per la fermata dei nuovi mezzi a guida ottica (TPGV) della lunghezza di 18 mt.
La vicenda è ben nota all’adito Tribunale Amministrativo che con la richiamata sentenza -OMISSIS- ha accolto il primo ricorso proposto dall’odierno ricorrente in qualità di titolare di diritto di carico e scarico nell’area cortilizia condominiale, annullando l’originaria revoca del 2019 per difetto di motivazione in ordine alla fattibilità delle soluzioni tecniche proposte dal ricorrente.
2.- Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione sollevata dalle amministrazioni resistenti, dal momento che la questione è già stata positivamente risolta con la sentenza -OMISSIS- resa tra le medesime parti e passata in giudicato.
3.- Deve poi disporsi come richiesto dalla difesa comunale in pubblica udienza, la cancellazione a pagina due, punto 1.2 della memoria di replica avversaria della frase “si tratta di un’odiosa falsificazione”.
Affinché possa farsi ricorso al rimedio di cui all’art. 89 c.p.c. (applicabile al processo amministrativo in forza del rinvio operato dall’art. 39 c.p.a.), è necessario che le espressioni non abbiano altro fine che quello di rivolgersi alla controparte per recarle offesa, senza alcuna connessione con le necessità difensive ovvero travalichino la fisiologica veemenza argomentativa per sfociare in offese indimostrate e gratuite lesive della reputazione della controparte (ex multis T.A.R. Calabria Reggio Calabria, sez. I, 4 maggio 2017, n. 425).
L’asserzione “odiosa falsificazione” utilizzata dal difensore di parte ricorrente, benchè motivata da proprie concrete prospettazioni, a commento delle argomentazioni difensive esposte dalla difesa comunale nella propria memoria, supera infatti secondo il Collegio la normale dialettica processuale ed i limiti sopra esposti, si che deve disporsi la cancellazione ai sensi degli artt. 89 c.p.c. e 39 c.p.a.
4.- Venendo al merito il ricorso è fondato e va accolto, nei limiti appresso indicati.
Censura il ricorrente con il quarto motivo di gravame la rinnovata valutazione tecnica a fondamento della conferma della revoca operata dal Comune resistente, mentre con i primi tre motivi, tra loro connessi, la mancata ponderazione anche ai sensi dell’art. 21- quinquies L.241/90 della sopravvenuta soppressione delle fermate dei mezzi di trasporto presso via Rizzoli -OMISSIS- in conseguenza degli avviati lavori (da dicembre 2023) di messa in sicurezza della Torre Garisenda.
5.- Va anzitutto rilevato come la banchina in questione, che secondo le argomentazioni delle amministrazioni resistenti sarebbe tecnicamente incompatibile con il mantenimento del passo carraio, risulta allo stato pacificamente interamente realizzata, circostanza che renderebbe in ipotesi recessiva ogni pretesa del ricorrente, titolare di un mero diritto non reale di carico e scarico in area condominiale e godendo in ogni caso, quale condomino, di altro passo carrabile al civico -OMISSIS- di via Rizzoli.
5.1.- L’Amministrazione, come richiesto dalla sentenza -OMISSIS-, ha effettivamente rivalutato le soluzioni tecniche proposte dal ricorrente e ne ha escluso la fattibilità, in considerazione dell’altezza e della lunghezza della banchina e, soprattutto, di ragioni di sicurezza trattandosi di guida automatica che non tollera interruzioni (quali il passo carrabile) con argomentazioni tecniche non manifestamente illogiche e sindacabili dall’adito Tribunale, con conseguente infondatezza del quarto motivo di gravame.
5.2.- Sempre ad avviso del Comune e di TPER sarebbe poi del tutto irrilevante la sopravvenuta circostanza (del tutto pacifica) della interruzione del servizio di trasporto pubblico locale gravitante su via Rizzoli nella direzione da est verso ovest proveniente da via San Vitale disposta nel dicembre 2023 (sino a data imprecisata) dal Comune di Bologna in seguito ai lavori di messa in sicurezza della Torre Garisenda.
Infatti il giudicato di annullamento avrebbe imposto il riesame del procedimento di secondo grado ”ora per allora” ovvero solamente al momento in cui le valutazioni sul mantenimento del passo carraio avrebbero dovuto essere operate, senza alcuna rilevanza delle sopravvenienze fattuali intervenute.
Non ritiene il Collegio di poter condividere tali argomentazioni difensive.
6.- Posto che come già evidenziato con la citata sentenza -OMISSIS- alla revoca del passo carraio è applicabile il generale disposto in tema di autotutela con funzione di riesame di cui all’art. 21-quinquies L.241/90, la revoca di un provvedimento amministrativo deve necessariamente contemperare le ragioni di pubblico interesse attuale al ritiro dell’atto con i contrapposti interessi privati al suo mantenimento ovvero, nel caso di specie, con l’interesse azionato dal ricorrente al ripristino del passo carrabile al civico -OMISSIS-.
Per giurisprudenza consolidata la revoca si configura come lo strumento di autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia “ex nunc”, di un provvedimento all’esito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico alla sua conservazione; i presupposti del valido esercizio dello “ius poenitendi” sono definiti dall’art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990 e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto e in una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario; il potere di revoca è connotato da un’ampia discrezionalità, dal momento che, a differenza del potere di annullamento di ufficio, che postula anche l’illegittimità dell’atto da rimuovere, quello di revoca esige solo una valutazione di opportunità, seppure ancorata alle condizioni legittimanti espresse dalla norma succitata, sicché il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso ad un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’amministrazione procedente, rispetto al quale l’istanza del privato assume solo una valenza sollecitatoria; l’essenza della revoca, quale tipico atto di secondo livello, è, quindi, proprio la rimozione di un provvedimento anteriore valido, ma ritenuto inopportuno per sopravvenuti motivi di pubblico interesse o per mutamento della situazione di fatto, ma anche a causa di una rivalutazione dell’interesse pubblico originariamente considerato dall’amministrazione (ex plurimis Consiglio di Stato sez. V, 20 dicembre 2024, n.10265).
Mentre l’annullamento d’ufficio “guarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio della funzione di primo grado e, quindi, opera in una logica essenzialmente correttiva dell’azione pubblica, la revoca assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in termini di “attualizzazione delle modalità di perseguimento dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la costante dinamica evolutiva”. Pertanto, entrambi gli istituti hanno come oggetto immediato del provvedere l’eliminazione di un precedente atto o provvedimento di primo grado cui coniugare l’esigenza di un’azione amministrativa che si ponga come cura attuale dell’interesse pubblico: esigenza che, in termini funzionali, nelle ipotesi di annullamento si caratterizza come momento valutativo ulteriore rispetto al mero accertamento dell’illegittimità del provvedimento di primo grado, mentre nei casi di revoca discende proprio dalla necessità di adeguare per il futuro scelte ormai non più idonee ed efficaci, con inevitabile eliminazione dei provvedimenti formali che le contenevano (ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 22 novembre 2013, n.9992; T.A.R. Campania Napoli sez. II, 26 marzo 2015, n.1807).
6.1.- Non ha pertanto pregio l’assunto delle amministrazioni resistenti secondo cui la revoca impugnata sarebbe del tutto avulsa dalle rilevanti sopravvenienze fattuali sopra descritte, essendo pacifico che le linee del servizio di trasporto pubblico locale che utilizzavano la banchina davanti al civico -OMISSIS- sono state soppresse e spostate in altre vie del centro storico, mediante nuovo piano dei trasporti pienamente efficace a tempo indeterminato.
E’ infatti allo stato obiettivamente del tutto incerta la fine dei complessi lavori di messa in sicurezza della Torre Garisenda così come, in ipotesi, lo stesso ripristino delle fermate delle linee poste sulla banchina davanti al civico -OMISSIS-, non essendo escludibile uno stesso nuovo piano dei trasporti compatibile con le esigenze di tutela di tale particolare bene culturale.
7.- Stando così le cose e tenuto conto del formale impegno di parte ricorrente a sostenere integralmente le spese per il ripristino del passo carrabile manifestato e verbalizzato dal difensore nella camera di consiglio del 24 ottobre 2024, l’impugnata revoca mostra il fianco alle doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere dedotte con i primi tre motivi di gravame, essendo venute meno le ragioni di pubblico interesse alla base della revoca ed essendo allo stato ingiustificata la soppressione del passo carrabile fino alla data – come detto incerta – di effettiva riattivazione del servizio di trasporto pubblico.
Del resto è lo stesso regolamento comunale sui passi carrabili a porre a carico dell’istante gli oneri di ripristino.
8.- Ciò premesso, al fine di conformare l’attività dell’Amministrazione, giova rilevare che il temporaneo ripristino del passo carrabile al civico -OMISSIS- non può essere considerato quale nuovo passo carrabile come tale oggetto di nuova procedura di autorizzazione sotto il profilo edilizio, paesaggistico e storico culturale.
Il giudicato intervenuto “inter partes” ha infatti annullato seppur al fine del riesame la prima revoca del 2019 con il tipico effetto “ex tunc” delle statuizioni giudiziali di annullamento (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 17 aprile 2024, n. 3498) e conseguente reviviscenza dell’atto illegittimamente rimosso in autotutela (Consiglio di Stato sez. VI, 30 agosto 2021, n. 6111) imponendo il rinnovo del procedimento preordinato alla revoca con la valutazione delle soluzioni tecniche proposte dal ricorrente al fine dell’eventuale mantenimento del passo carrabile.
La natura formale della statuizione giudiziale di annullamento per difetto di motivazione o di istruttoria (ex multis T.A.R. Lombardia Brescia sez. I, 3 luglio 2020, n.513) senza alcun accertamento della spettanza del bene della vita, non fa infatti venir meno, in assenza di una diversa “calibrazione” dell’annullamento, la caducazione tipicamente retroattiva dell’atto impugnato.
E’ pertanto del tutto errata la pretesa del Comune di richiedere per la riattivazione temporanea del passo carrabile una nuova procedura concessoria, fondata sul falso presupposto dell’essersi al cospetto di una nuova concessione e non, come detto, del mero ripristino materiale di un passo carrabile in essere dal 1991.
9.- Ciò precisato, al fine di agevolare l’ottemperanza, ritiene il Collegio di assegnare direttamente a TPER , quale soggetto attuatore, l’onere di provvedere ai lavori di rispristino del passo carrabile, fermo restando l’onere del ricorrente di sostenerne integralmente le spese (quantificate da TPER e con preventivo comunicato prima dell’esecuzione) ivi comprese quelle future di eventuale ripristino della banchina allo stato attuale, in caso di riattivazione del servizio di trasporto pubblico presso la via Rizzoli.
10.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso va accolto con l’effetto dell’annullamento del provvedimento impugnato, come da motivazione.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa la particolarità della controversia.
TAR EMILIA ROMAGNA – BOLOGNA, II – sentenza 04.07.2025 n. 796
Autorizzazione e concessione – Apertura di una nuova farmacia, sconfinamento in una zona riservata ad altra farmacia e autorizzazione della Regione
1. La Farmacia Zagaria S.r.l e la Farmacia Fertilia S.r.l sono titolari, rispettivamente, delle sedi farmaceutiche n. 1 e n. 2 del Comune di Teverola e sono ubicate l’una alla via Roma n. 21 e l’altra alla via Prov.le Teverola/Casaluce snc.
2. Con il ricorso introduttivo, notificato il 29 maggio 2025 e depositato e successivo 30 maggio 2025, le anzidette società agiscono per l’annullamento del decreto n. 211 del 7 maggio 2025 (pubblicato in data 12 maggio 2025), con il quale il competente dirigente della Regione Campania ha autorizzato l’apertura della sede farmaceutica n. 4 del Comune Teverola nei locali siti ad angolo tra via Roma e via Pecorario, contestualmente censurando gli atti presupposti, come meglio in epigrafe indicati, e in particolare: il parere del Comune di Teverola rilasciato in data 1° aprile 2025; il certificato rilasciato dall’Asl di Caserta il 21 febbraio 2025; l’eventuale parere reso dall’Ordine dei farmacisti territorialmente competente; il decreto dirigenziale con il quale la Regione Campania ha autorizzato, in favore degli assegnatari della sede farmaceutica n. 4, la proroga del termine per l’apertura della farmacia, unitamente al decreto dirigenziale regionale n. 507 del 31 maggio 2024 di assegnazione della sede farmaceutica personalmente e pro indiviso ai dottori Cinzia D’Angelo e Beck Luigi, odierni controinteressati.
– le ricorrenti contestano, nei limiti di interesse, anche la segnalazione certificata per l’agibilità relativa ai locali scelti dai controinteressati per l’apertura della nuova farmacia, precisando che comunque la SCIA è oggetto specifico di separato giudizio (n.rg. 823/2025).
3. In sintesi si deduce che:
– per l’apertura della nuova farmacia i controinteressati avrebbero utilizzato locali siti in via Roma sconfinando nella zona n. 1 assegnata alla Farmacia Zagaria e a poche centinaia di metri dalla Farmacia Fertilia, odierne ricorrenti;
– a seguito di SCIA per lavori di manutenzione depositata presso il Comune di Teverola sarebbe stato aperto un nuovo ingresso dalla via Pecorario al fine di eludere la pianta organica del Comune;
– i suddetti locali, anche a seguito dei lavori, avrebbero mantenuto comunque l’accesso anche sulla via Roma, facente parte, come già detto, dell’ambito territoriale della sede farmaceutica n. 1 di Teverola.
4. Premessa, quindi, la sussistenza dell’interesse e della legittimazione ad agire, parte ricorrente contesta l’illegittimità dei provvedimenti impugnati sia per violazione della disciplina di settore (art. 2 della l. n. 475/1968 e art. 2 del d.P.R. n. 1275/1971), sia per difetto di istruttoria che per eccesso di potere sotto plurimi profili e, in particolare, in quanto le Amministrazioni intimate non avrebbero considerato l’intento elusivo dei controinteressati rispetto alle scelte comunali di pianificazione territoriale; non avrebbero valutato che il varco sulla via Pecorario rappresenterebbe una fonte di pericolo per la sicurezza pubblica e stradale congestionata, né gli effetti in termini potenzialmente distorsivi della graduatoria, avendo consentito l’assegnazione della sede a condizioni del tutto diverse rispetto a quelle note e valutabili ex ante da tutti i concorrenti.
5. Si sono costituiti in resistenza la Regione Campania ed i controinteressati, e, da ultimo, il Comune di Teverola.
6. La difesa regionale, tra l’altro, principiando dalle competenze del Comune in merito alla definizione della pianta organica e delle sedi farmaceutiche, deduce di essersi limitata, a mezzo dei provvedimenti gravati, alla verifica della regolarità procedimentale e della completezza dell’istruttoria, facendo, in buona sostanza, affidamento sulle certificazioni e pareri resi dagli enti preposti.
7. I controinteressati, invece, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 41 c.p.a (non essendo il ricorso notificato anche ai proprietari dell’immobile) e per difetto di interesse sul rilievo che a seguito dei lavori non sussisterebbe più alcuna apertura sulla via Roma, né la dedotta vicinitas. Inoltre, la nozione di “pianta organica” sarebbe di fatto superata dalla nuova normativa (sicché non esisterebbe più un bacino di utenza territorialmente definito per la singola farmacia) e che comunque sarebbe stata rispettata la distanza legale di 200 metri dalla farmacia più vicina.
8. Le ricorrenti hanno replicato alle difese delle controparti con memorie del 20 giugno 2025.
9. Alla camera di consiglio del 24 giugno 2025, prevista per la trattazione dell’incidente cautelare, sentiti difensori delle parti presenti e previo avviso ex art. 60 c.p.a la causa è stata trattenuta in decisione.
10. Sussistono le condizioni per la definizione del presente giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a, sentite le parti costituite (che non si sono opposte).
11. In via preliminare, si osserva che non coglie nel segno l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla difesa dei controinteressati in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 41 c.p.a;
-difatti, l’esame del fascicolo di causa dà evidenza che il ricorso risulta notificato non solo alla Regione Campania, ma a tutte le Amministrazioni che hanno attribuzioni nella vicenda all’esame. Il ricorso, peraltro, è stato altresì correttamente notificato solo agli effettivi controinteressati (gli assegnatari della sede farmaceutica n. 4 come risultanti dal provvedimento autorizzatorio impugnato), e, quindi, alla società Gaia S.r.l, alla dottoressa D’Angelo Cinzia ed al dottor Beck Luigi, che peraltro si sono costituiti in giudizio sia in proprio che nella qualità di legali rappresentanti della Farmacia Gaia S.r.l.
-inoltre, la SCIA rileva nella presente sede giudiziale solo quale presupposto fattuale del provvedimento autorizzatorio regionale, sicché i proprietari dei locali concessi in locazione commerciale ai fini della conduzione della nuova farmacia non possono considerarsi controinteressati nel presente giudizio;
– per tali motivi, la questione dell’inadeguatezza, sotto il profilo della sicurezza, del varco aperto sulla via Pecorario non è pertinente o comunque non è rilevante rispetto all’oggetto della odierna impugnativa e dovrà pertanto essere esaminata nell’ambito del ricorso n.rg. 823/2025 con il quale le ricorrenti censurano il silenzio asseritamente serbato dal Comune di Teverola sull’istanza di attivazione del potere di autotutela sulla SCIA.
12. Considerato, ancora in via preliminare, che se è vero che le odierne istanti non hanno interesse a contestare i provvedimenti gravati in relazione ai denunziati effetti potenzialmente distorsivi della graduatoria relativa alla sede n. 4 (non avendo partecipato alla relativa procedura selettiva) è altrettanto indubitabile che sussiste in capo alle ricorrenti, già titolari di sede farmaceutica, una situazione soggettiva differenziata e qualificata rispetto alla generalità dei cittadini e un interesse a che la collocazione della nuova farmacia sia rispettosa della zonizzazione comunale e dei limiti legali in tema di distanze in funzione della corretta distribuzione sul territorio comunale delle farmacie autorizzate e del principio di concorrenza (in termini, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 13 febbraio 2017, n.869).
13. Nel merito, il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti che seguono.
14. Si premette che la sede farmaceutica n. 4 del Comune di Teverola comprende via Garibaldi (lato nord), via Pascoli e via N. Pecorario (deliberazione giuntale del Comune di Teverola n. 40/2012).
15. Dall’esame della documentazione di causa si evince che:
– la SCIA presentata dai controinteressati riguarda un immobile (scelto per l’apertura della nuova farmacia) sito in via Roma, angolo Via Pecorario n. 1 in origine dotato di tre accessi sul lato ovest e, comunque, accessibile solo dalla via Roma (cfr. planimetria allegata alla SCIA e documentazione fotografica in atti);
– i lavori assentiti a mezzo SCIA hanno ad oggetto “Manutenzione ordinaria straordinaria di un locale commerciale. Pertanto i lavori consisteranno in modifica leggera dei prospetti al piano terra lato sud e lato ovest mediante la rimozione dell’attuale vetrina e demolizione parziale della tompagnatura angolo ovest su via Roma ed angolo sud su via Pecorario con apertura di un vano di accesso dal lato sud di via Pecorario, creando una superficie disimpegno all’interno del volume dell’edificio. Tale superficie in pianta avrà dimensioni circa i 2metri per 2metri e garantirà un sicuro e protetto accesso a tutte le categorie di utenza dell’attività commerciale. Il progetto prevede infatti anche la realizzazione di una rampa di accesso dei disabili che, parallelamente al lato ovest, accederà allo spazio creatosi e poc’anzi descritto”;
16. Rilevato, pertanto, che a seguito dei lavori risulta:
-l’apertura di un vano di accesso su via Pecorario, prima inesistente;
-la demolizione parziale della tompagnatura angolo ovest su via Roma ed angolo sud su via Pecorario finalizzata alla creazione di un disimpegno nel volume dell’edificio che, di fatto, consente l’accesso alla farmacia sia da via Roma che da via Pecorario (cfr. la relazione tecnica depositata dai controinteressati e relative rappresentazioni grafiche);
– che i restanti due accessi esistenti su via Roma sono stati trasformati in vetrine;
– che la rampa per disabili in quanto “da realizzarsi lungo il lato ovest dell’immobile impegnando l’area di sedime della proprietà” (cfr. pag. 15 delle memorie depositate dai controinteressati) si sviluppa dal lato di via Roma;
-che l’area di sosta delle auto si trova su via Roma.
17. In ragione di quanto sopra evidenziato, non è revocabile in dubbio che permane la possibilità di accesso alla farmacia anche dalla via Roma, il che comporta, come correttamente sostenuto da parte ricorrente, lo sconfinamento della farmacia di nuova istituzione in una zona diversa (la n. 1), laddove la zona n. 4, assegnata ai dottori Beck e D’Angelo, comprende solo via Garibaldi (lato nord), via Pascoli e via N. Pecorario;
– peraltro, in applicazione degli orientamenti del Consiglio di Stato formatisi con riferimento a casi analoghi a quello oggetto di causa, anche le vetrine e le insegne della farmacia non possono insistere su una diversa via ricadente in altra zona farmaceutica a prescindere dal fatto di essere eventualmente collocate ad una distanza inferiore ai duecento metri da un’altra farmacia, avendo la vetrina e l’insegna la chiara funzione di attrarre la clientela, così concorrendo all’offerta farmaceutica, sicché anch’esse non possono essere collocate in una zona diversa da quella assegnata (in termini, Consiglio di Stato Sez. III, 10 giugno 2022, n.4744).
18. Considerato che, in sede di pianificazione, sebbene la riforma del 2012 abbia introdotto un sistema di distribuzione ed allocazione delle sedi di farmacia molto più elastico rispetto a quello precedente, del vecchio sistema basato sulla pianta organica è però rimasto il riferimento al criterio demografico, onde assicurare il rapporto mimino di abitanti per farmacia per stabilire il numero massimo di farmacie possibile all’interno del territorio comunale, realizzando in questo modo la migliore accessibilità al servizio (cfr. art. 1 e 2 della l. n. 475/1968 come sostituiti dal d.l. 1/2012, convertito nella l. n. 27/2012);
-che, pertanto, in sede di pianificazione comunale si rende comunque necessaria l’indicazione della località e/o della zona in cui andrà “localizzata” la farmacia;
-che, per l’effetto, la libertà del farmacista di scegliere il luogo in cui ubicare la farmacia non è assoluta e che la scelta deve avvenire comunque all’interno alla zona stabilita dal Comune atteso che “la collocazione delle nuove farmacie è una scelta discrezionale del Comune che deve individuare la zona tenendo conto di una equilibrata presenza dei presidi farmaceutici sul territorio e nel rispetto della distanza minima di 200 mt. Questo non significa che ogni zona debba avere una popolazione di 3.300 abitanti; tuttavia, pur non essendo più prevista la pianta organica, il Comune ha comunque la necessità di perimetrare le zone per offrire un servizio ben distribuito, con la conseguenza che il farmacista ha l’obbligo di reperire la sede della farmacia all’interno del perimetro individuato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 12 aprile 2023 n. 3665 e Consiglio di Stato Sez. III, 15 gennaio 2024, n.463).
19. Ritenuto, alla luce delle anzidette coordinate ermeneutiche, che nel caso in esame, in ragione del carattere assorbente dell’anzidetto sconfinamento di sede, non è necessario accertare la distanza effettiva tra la nuova sede farmaceutica e quelle occupate dalle ricorrenti;
-che eventuali difficoltà nel reperimento di idonei locali nell’ambito proprio della zona n. 4 assegnata avrebbero semmai legittimato la richiesta di attivazione del procedimento di modifica della zona di riferimento dove collocare la nuova farmacia.
-che, infine, la Regione, competente ad esitare il provvedimento autorizzatorio (all’apertura della farmacia di nuova istituzione) non può limitarsi alla mera presa d’atto delle attestazioni comunali soprattutto quando le stesse, come nel caso all’esame, risultano genericamente formulate e comunque insufficienti rispetto alla documentazione prodotta a corredo dell’istanza.
20. Per le considerazioni che precedono il ricorso è fondato e va accolto nei sensi e nei limiti indicati in motivazione.
21. Le spese eseguono la soccombenza e si liquidano come dispositivo.
TAR CAMPANIA – NAPOLI, IX – sentenza 07.07.2025 n. 5109
Gare – Omessa dichiarazione di un decreto penale di condanna per gravi illeciti professionali ed esclusione di un consorzio stabile
1. – Con bando pubblicato nella G.U.R.I. in data 26 giugno 2023, la Città Metropolitana di Bari ha indetto la procedura aperta per “l’affidamento dell’appalto integrato concernente la redazione della progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di adeguamento sismico dell’edificio scolastico sede dell’I.I.S.S. “-OMISSIS-” di Acquaviva delle Fonti (BA)”, da aggiudicarsi con il criterio del minor prezzo, ai sensi dell’art. 36, comma 9 bis del decreto legislativo n. 50/2016, di importo complessivo pari a euro 3.101.483,19.
Il Consorzio Stabile-OMISSIS-S.c. a r.l. (in seguito, anche solo -OMISSIS-) ha partecipato alla selezione, presentando offerta entro il prescritto termine del 18 luglio 2023, indicando la società -OMISSIS- S.r.l. quale consorziata esecutrice. Si è classificato primo graduato e ha conseguito l’aggiudicazione della commessa de qua (determinazione dirigenziale n. 4969 del 15 settembre 2023). L’efficacia dell’aggiudicazione è stata subordinata alla verifica positiva del possesso dei requisiti di ordine generale, di capacità economico-finanziaria e tecnico – organizzativa, richiesti dal Disciplinare di gara.
All’esito della verifica d’ufficio del possesso dei requisiti di ordine generale, con determinazione dirigenziale n. 2043 del 24 aprile 2024, la Città Metropolitana di Bari ha disposto l’esclusione della società consorziata designata esecutrice -OMISSIS- S.r.l., per le motivazioni di cui alle note prot. n. 25605 del 22 marzo 2024 e prot. n. 35134 del 24 aprile 2024, ravvisando la causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lettera c-bis) del decreto legislativo n. 50/2016, in ragione (informazione oggetto di omissione dichiarativa) della pronuncia di un decreto penale di condanna a carico del rappresentante legale, signor -OMISSIS-, depositato il 28 ottobre 2022 (antecedentemente alla scadenza del termine di presentazione delle offerte – 18 luglio 2023) e opposto dall’interessato il 7 dicembre 2022, per un reato in materia di contrattualistica pubblica (art. 356 Codice penale – frode nelle pubbliche forniture). L’Amministrazione ha, altresì, rilevato l’assenza di segnalate misure di self cleaning e ha preso atto dell’intenzione manifestata dal Consorzio Stabile-OMISSIS-di assumere in proprio l’esecuzione dell’appalto, con estromissione della consorziata designata -OMISSIS-.
1.1 – Con il ricorso introduttivo del giudizio, il Consorzio stabile-OMISSIS-e la società -OMISSIS- S.r.l. hanno impugnato, domandandone l’annullamento, la succitata determinazione dirigenziale della Città Metropolitana di Bari n. 2043/2024 e gli ulteriori atti, di cui in epigrafe.
Hanno dedotto le seguenti censure, così rubricate:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 80 del D. Lgs. 50/2016. Difetto assoluto di istruttoria. Sviamento di potere. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti. Violazione del principio di buon andamento ed imparzialità della P.A. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti. Violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza.
1.2 – Con successiva nota del 5 giugno 2024, il Consorzio stabile-OMISSIS-ha richiesto alla Stazione appaltante, nell’interesse di una composizione bonaria della controversia generata dalla mancata partecipazione al procedimento di verifica avviato dall’Ufficio della Città Metropolitana di Bari, … e che ad oggi, è pendente presso il Tribunale, di voler riaprire detto procedimento, ammettendo a contraddittorio l’impresa consorziata -OMISSIS- e di valutare quanto richiamato nel Ricorso di cui trattasi.
Con nota prot. n. 0049744 del 12 giugno 2024, l’Amministrazione ha rigettato la predetta istanza di riesame.
1.3 – Si è costituita in giudizio la Città Metropolitana di Bari, contestando le avverse pretese e chiedendo il rigetto del ricorso.
1.4 – Con (primi) motivi aggiunti in data 8 luglio 2024, parte ricorrente ha impugnato, altresì, domandandone l’annullamento, la menzionata nota prot. n. 0049744 del 12 giugno 2024, di rigetto dell’istanza di riesame.
Ha lamentato l’invalidità derivata e, inoltre, l’Illegittimità in via autonoma, per le seguenti censure, così rubricate:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, carenza dei presupposti e per violazione dei principi di proporzionalità, di adeguatezza, di buona fede e leale collaborazione.
1.5 – Si sono costituiti in giudizio, per il tramite dell’Avvocatura Distrettuale Erariale, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dell’Istruzione e del Merito, il Ministero dell’Interno e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con memoria di stile.
1.6 – Con nota prot. n. 65626 del 13 agosto 2024, l’Amministrazione ha avviato un procedimento di esclusione in danno del Consorzio stabile -OMISSIS-, in ragione del ritenuto mancato possesso continuativo del requisito della SOA, in ipotesi derivante dalla procedura di aggiornamento intermedio dell’attestato SOA del Consorzio.
Con determinazione dirigenziale n. 3350 del 5 settembre 2024, la Stazione appaltante ha disposto l’esclusione del Consorzio stabile-OMISSIS-dalla gara e, per l’effetto, ha revocato l’aggiudicazione disposta in suo favore.
1.7 – Con (secondi) motivi aggiunti del 26 settembre 2024, parte ricorrente ha gravato la succitata determinazione dirigenziale n. 3350 del 5 settembre 2024, in uno agli ulteriori atti, di cui in epigrafe.
Ha chiesto, altresì, disporsi il subentro del ricorrente nel contratto eventualmente stipulato con il controinteressato, previa dichiarazione d’inefficacia del contratto stesso ex artt. 121 e/o 122 del Cod. proc. amm. e, in subordine, ove l’interesse primario all’esecuzione dell’appalto controverso non dovesse trovare soddisfazione per fatto indipendente da volontà e/o colpa delle odierne ricorrenti, con richiesta di condanna della S.A. intimata al risarcimento per equivalente del pregiudizio correlato alla mancata esecuzione dell’appalto.
Ha dedotto le censure, così rubricate:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 84 del d.Lgs. 50/2016 e degli artt. 76 e 77 del DPR 207/2010. Violazione e falsa applicazione dell’art. 15-bis del d.P.R. 34/2000. Violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 17 dell’allegato XII al D.lgs. 36/2023. Difetto assoluto di istruttoria. Sviamento di potere. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti. Violazione del principio di buon andamento ed imparzialità della P.A. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti. Violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza.
1.8 – Si è costituita in giudizio la seconda classificata impresa individuale -OMISSIS-, chiedendo il rigetto del gravame.
1.9 – Con determinazione dirigenziale n. 4065 del 29 ottobre 2024, la Stazione appaltante ha annullato in autotutela, ex art. 21 nonies della legge n. 241/1990:
– il provvedimento n. 3350 del 05/09/2024 e la relativa nota di comunicazione in pari data, di esclusione del Consorzio Stabile-OMISSIS-scarl dalla gara in oggetto e di revoca dell’aggiudicazione non efficace ex art. 32 comma 5 D.Lgs. 50/2016 originariamente disposta in favore del medesimo Consorzio con D.D. n. 4969/2023;
– le comunicazioni, in atti, preordinate, connesse e conseguenziali al medesimo provvedimento- prot.n. 65626 del 13/08/2024 (avvio procedimento esclusione), n. 67227 del 27/08/2024 (conferma esclusione) – n. 69563 del 06/09/2024 (richiesta escussione garanzia) – comunicazione pec del 05/09/2024 tramite portale appalti all’operatore -OMISSIS- secondo in graduatoria.
1.10 – Con ulteriore istanza di riesame del 4 novembre 2024, il Consorzio stabile-OMISSIS-ha chiesto la riammissione in gara della consorziata designata esecutrice -OMISSIS- S.r.l., invocando ulteriori pretese sopravvenute circostanze oltre alle misure di self cleaning nelle more promosse.
1.11 – Con nota prot. 95956 del 3 dicembre 2024, la Stazione appaltante ha rigettato l’ulteriore richiesta di riesame del 4 novembre 2024, confermando nuovamente l’esclusione disposta in danno della consorziata designata -OMISSIS- S.r.l..
1.12 – Con (terzi) motivi aggiunti del 18 dicembre 2024, parte ricorrente ha impugnato, altresì, domandandone l’annullamento, la succitata nota prot. 95956 del 3 dicembre 2024, in uno agli ulteriori atti, di cui in epigrafe.
Ha lamentato le seguenti censure, così rubricate:
– Illegittimità in via derivata;
– Illegittimità in via autonoma.
Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, carenza dei presupposti e per violazione dei principi di proporzionalità, di adeguatezza, di buona fede e leale collaborazione.
1.13 – La parte ricorrente, la Città Metropolitana di Bari e la ditta individuale -OMISSIS- hanno successivamente svolto e ribadito le rispettive difese.
1.14 – In particolare, con memoria difensiva del 10 marzo 2025, la ditta individuale -OMISSIS- ha rappresentato che non ha più interesse a contraddire e che la stessa ricorrente non ha, peraltro, notificato all’impresa Traetta il successivo ricorso per motivi aggiunti depositato nel fascicolo di causa in data 18 dicembre 2024; ha, infine, preso atto della cessazione della materia del contendere in ordine al ricorso per motivi aggiunti notificato in data 25 settembre 2024, con compensazione delle spese e competenze di giudizio.
1.15 – All’udienza pubblica del 26 marzo 2025, la causa è stata introitata per la decisione.
2. – Sui (secondi) motivi aggiunti del 26 settembre 2024 va dichiarata la cessazione della materia del contendere, in ragione dell’adozione, in corso di causa, della determinazione dirigenziale n. 4065 del 29 ottobre 2024, con cui la Stazione appaltante ha annullato in autotutela, ex art. 21 nonies della legge n. 241/1990, l’esclusione del Consorzio Stabile -OMISSIS-, disposta con la determinazione dirigenziale n. 3350 del 5 settembre 2024, impugnata con i suddetti motivi aggiunti.
Conseguentemente, va disposta l’estromissione dal giudizio nei confronti della ditta individuale -OMISSIS- (seconda classificata).
3. – Il ricorso introduttivo, i (primi) motivi aggiunti in data 8 luglio 2024 e i (terzi) motivi aggiunti del 18 dicembre 2024 sono infondati e devono essere respinti.
4. – Con il ricorso introduttivo, i primi e i terzi motivi aggiunti, parte ricorrente si duole dell’esclusione comminata in danno della società consorziata designata esecutrice -OMISSIS- S.r.l., ai sensi dell’art. 80, comma 5 bis del decreto legislativo n. 50/2016, reiteratamente confermata all’esito delle rinnovate istruttorie effettuate a valle delle varie richieste di riesame formulate.
Lamenta, essenzialmente, l’asserito difetto di effettivo e sostanziale contraddittorio nonchè la carenza dell’istruttoria e della motivazione, in specie in ordine alle circostanze di fatto rappresentate dai deducenti, volte a dimostrare l’irrilevanza della vicenda penale emersa a seguito delle verifiche d’ufficio e dell’omissione dichiarativa contestata dalla Stazione appaltante.
In particolare, l’Amministrazione non avrebbe – in tesi – valutato in concreto la rilevanza sostanziale e la gravità dei fatti penali sottesi alla sanzionata omissione dichiarativa, accordando rilievo al solo dato estrinseco e formale della pendenza del procedimento penale e della sua mancata dichiarazione nonché al solo “titolo” della contestazione (frode in pubbliche forniture, art. 356 del Codice penale), senza constatare la scarsa rilevanza e la tenuità dei ridetti fatti, essendo stato il signor -OMISSIS- condannato a una multa di soli euro 9.300,00.
La Stazione appaltante non avrebbe considerato la natura embrionale del procedimento nè le difese svolte e neppure, senza automatismi, la reale attitudine decettiva dell’omessa dichiarazione ovvero l’inidoneità concreta della stessa e delle vicende fattuali, oggetto di omissione dichiarativa, a influenzare le determinazioni della P.A. sull’ammissione in gara della consorziata esecutrice.
L’omessa dichiarazione dell’esistenza di un decreto penale di condanna (opposto nei termini di legge) sarebbe dipesa da un mero errore scusabile commesso dai collaboratori dell’ufficio gare della Società, non a conoscenza del procedimento penale (non risultante dai certificati dei carichi penali negativi), difettando l’intenzionalità dell’omissione dichiarativa.
Da ultimo (terzi motivi aggiunti del 18 dicembre 2024), parte ricorrente invoca i nuovi fatti che senz’altro deponevano nel senso di un riesame della posizione della consorziata designata, sui rilievi per cui:
– il decreto penale di condanna – emesso a carico de -OMISSIS- – era stato ritualmente opposto in data 07.12.2022;
– a seguito di un errore procedurale, è stata emessa un’ordinanza interlocutoria del 14.12.2023, sempre di carattere meramente procedurale, senza alcuna valutazione nel merito della presunta fattispecie criminosa;
– e tuttavia, detta ordinanza non risulta essere stata notificata ad -OMISSIS-;
– dunque, in ragione del difetto di notifica e a seguito di detta opposizione, è stata fissata udienza per iniziare il processo ed è stato implicitamente revocato il decreto penale di condanna;
– in detta udienza, a seguito di eccezione della difesa, il procedimento è regredito alla fase delle indagini preliminari, sicché in data 21.10.2024 è stato notificato avviso di conclusione delle indagini preliminari;
– pertanto, a seguito della regressione alla fase delle indagini preliminari, allo stato non è stata ancora esercitata l’azione penale.
Laddove tali ultimi fatti rendono ancor più evidente l’insussistenza – in capo ad -OMISSIS- – di una fattispecie espulsiva tale da legittimare l’esclusione dalla gara.
4.1 – Sotto altro profilo, parte ricorrente lamenta l’omessa valutazione e valorizzazione, da parte della Stazione appaltante, delle misure di self – cleaning adottate da -OMISSIS-, a suo dire idonee a sanare le rilevate criticità e a comprovare l’affidabilità morale e professionale della predetta Società, segnatamente (pagina 16 dei motivi aggiunti del 18 dicembre 2024):
a. le dimissioni dalla carica di Amministratore Unico e Direttore Tecnico dell’-OMISSIS- S.r.l. del Sig. -OMISSIS- e, dunque, la conseguente rinnovazione dei poteri di rappresentanza e direzione tecnica della società (prima facenti unicamente capo al Sig. -OMISSIS-) ora assunti dalla Sig.ra -OMISSIS-, in qualità di legale rappresentante della società;
b. la cessione delle quote di maggioranza (80%) del capitale sociale di -OMISSIS-, passate ddal Sig. -OMISSIS- alla Sig.ra -OMISSIS- con successiva trasformazione della società da “uninominale” a “plurinominale”.
-OMISSIS-, inoltre:
a. ha deliberato di dotarsi e si sta dotando di un modello organizzativo e di gestione ex D.lgs. 231/2001 (relativo alla responsabilità ammnistrativa delle persone giuridiche);
b. ha sottoscritto un contratto per rilascio di nuove certificazioni ISO (tra cui la certificazione ISO 37001-2016) al fine di improntare l’operato della società alle migliori pratiche aziendali e professionali.
5. – Le censure sono infondate.
6. – Giova svolgere, in via preliminare, alcune considerazioni di carattere generale sulle fattispecie “escludenti” di cui all’art. 80, comma 5, lettere c) e c) – bis del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, applicabili alla procedura selettiva in questione ratione temporis.
6.1 – È stato in linea generale condivisibilmente osservato che, anche nella versione originaria dell’indicata norma, che elencava delle specifiche fattispecie di possibili comportamenti illeciti, la giurisprudenza ha precisato il carattere puramente esemplificativo dell’indicata elencazione contenuta e riconosciuto la facoltà della stazione appaltante di desumere il compimento di “gravi illeciti” da ogni altra vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico di cui sia accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (Cons. Stato, sec. V, 8 ottobre 2020, n. 5967; V, 14 aprile 2020, n. 2389; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giuris., 9 dicembre 2019, n. 1039).
Tale conclusione è tanto più valida nell’attuale testo che non prevede delle espresse fattispecie esplicative di tale previsione, ma ha aggiunto autonome fattispecie di rilevanza, come ad esempio la lett. c bis) al medesimo comma 5 relativo all’“operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”.
Tale portata generale, non tipizzata ed atipica delle ipotesi qualificabili come gravi illeciti professionali ai fini dell’eventuale esclusione dalla gara è stata confermata dalle Linee Guide ANAC n. 6, secondo le quali “gli illeciti professionali gravi rilevano ai fini dell’esclusione dalle gare a prescindere dalla natura civile, penale o amministrativa dell’illecito” (punto 2.1), senza tipizzare i gravi illeciti professionali, che devono essere valutati dalla Stazione appaltante, con il conseguente obbligo dichiarativo dell’operatore economico concorrente, a carattere strumentale, così da consentire all’Amministrazione un’adeguata e ponderata valutazione sulla sua affidabilità e integrità (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I bis, 11 febbraio 2021, n. 1725 e giurisprudenza ivi citata – Cons. Stato Sez. V, 10 ottobre 2020, n. 6615; V, 7 gennaio 2020, n. 70; V, 4 febbraio 2019, n. 827; V, 16 novembre 2018, n. 6461; V, 24 settembre 2018, n. 5500).
6.2 – Si tratta di obblighi dichiarativi comprendenti fatti evidentemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono configurabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso, da valutarsi (come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c) – e poi articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater, per effetto delle successive modifiche normative) da parte della Stazione appaltante senza alcun automatismo espulsivo, stabilendo se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante, se la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni, se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida negativamente sulla sua integrità e affidabilità, e, del pari, se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 28 agosto 2020, n. 16).
Pertanto, l’esclusione consegue solamente ad una valutazione in concreto in ordine alla effettiva rilevanza della condotta dichiarativa (sia essa omissiva, reticente o mendace), per le sue concrete caratteristiche, rispetto al contratto di cui si verte, nonché degli episodi sottostanti non adeguatamente comunicati (Cons. Stato, V, 26 gennaio 2021, n. 789; V, 6 gennaio 2021, n. 307) (Consiglio di Stato, Sez. V, 19 aprile 2021, n. 3165).
Inoltre, la reticenza, così come la falsità informativa, di cui alla lett. c bis – seppure non legittimi di per sé l’attivazione di un automatismo espulsivo – può e deve essere apprezzata dalla stazione appaltante in quanto si riveli idonea ad occultare “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, ad “influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante” in ordine alle valutazioni “sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione” (art. 80, comma 5 lettera c-bis) D.Lgs. n. 50 del 2016), risultando sintomaticamente, nella sua attitudine decettiva ed in relazione alla posizione dell’operatore economico, idonea a “rendere dubbia la sua integrità o affidabilità” (comma 5, lettera c) (Consiglio di Stato, sezione quinta, 1° agosto 2023, n. 7456).
L’operatore è quindi tenuto a fornire una rappresentazione quanto più dettagliata possibile delle proprie pregresse vicende professionali e, del resto, l’obbligo informativo, attenendo ai principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale che presiedono ai rapporti dei partecipanti con la stazione appaltante, si impone ex se, ovvero anche a prescindere dal fatto che la stazione appaltante sia o meno a conoscenza del fatto che ne costituisce oggetto (Consiglio di Stato, Sez. V, 24 settembre 2018, n. 5500; Id., 18 gennaio 2016, n. 122; Id., 1 dicembre 2014, n. 6105), potendo, inoltre, la violazione degli obblighi informativi integrare, a sua volta, il “grave illecito professionale” endoprocedurale, citato nell’elencazione esemplificativa dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), del D.Lgs. n. 50 del 2016 come “omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare tale omissione o reticenza ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407; Id., Sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142; Id., Sez. III, 23 agosto 2018, n. 5040).
… In sostanza, grava sull’operatore l’obbligo di fornire una rappresentazione completa delle vicende professionali al fine di consentire un’adeguata e ponderata valutazione sulla propria affidabilità e integrità; per converso, laddove tale informazione non sia dettagliata e, comunque, completa, spetta alla stazione appaltante verificare se simile condotta omissiva possa integrare, a sua volta, un illecito in quanto sintomatica di una reticenza colpevole in ordine ad aspetti comunque rilevanti in relazione all’affidamento da conferire (Consiglio di Stato, sezione sesta, 18 ottobre 2022, n. 8858).
L’omissione dichiarativa decettiva inerente a informazioni “dovute”, concretante violazione dei qualificati doveri dichiarativi precontrattuali (per dolo o “anche per negligenza”, in quanto parimenti contraria a buona fede, ex art. 1337 Cod. civ.): a) deve essere apprezzata quale concretamente strumentale ad un tentativo “di influenzare” (e di influenzare “indebitamente”) il processo decisionale della stazione appaltante, cioè di alterare, anche solo potenzialmente, l’apprezzamento della controparte negoziale pubblica; b) deve accompagnarsi, sotto il profilo soggettivo, ad un atteggiamento rimproverabile (“anche” – e, cioè, quanto meno – in termini di “negligenza”, sia pure apprezzabile alla luce dell’elevato standard professionale che è lecito pretendere da qualificati operatori economici) e, sotto il profilo oggettivo), ad una apprezzabile contrarietà al canone di buona fede (sicché – vuoi che si tratti di dichiarazione obiettivamente “falsa”, di dichiarazione quantomeno “fuorviante” o anche di apporto informativo semplicemente “omesso” – ne venga, in concreto, pregiudicato il “corretto svolgimento della procedura”) (Consiglio di Stato, sezione quinta, 18 luglio 2022, n. 6137) (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 7 novembre 2023, n. 1311; in termini, T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 7 agosto 2023, n. 1068, cui pure l’Amministrazione correttamente si riporta nel gravato provvedimento del 3 dicembre 2024).
6.3 – Invero, i concorrenti devono dichiarare ogni episodio della vita professionale astrattamente rilevante ai fini della esclusione, pena la impossibilità per la stazione appaltante di verificare l’effettiva rilevanza di tali episodi sul piano della integrità professionale dell’operatore economico; sicché non è configurabile in capo all’impresa alcun filtro valutativo o facoltà di scegliere i fatti da dichiarare, sussistendo l’obbligo della onnicomprensività della dichiarazione, in modo da permettere alla stazione appaltante di espletare, con piena cognizione di causa, le valutazioni di sua competenza.
… In quest’ottica, non è possibile che la relativa valutazione sia eseguita, a monte, dalla concorrente la quale autonomamente giudichi irrilevanti i propri precedenti negativi, omettendo di segnalarli con la prescritta dichiarazione, così da nascondere alla stazione appaltante situazioni pregiudizievoli, rendendo false o incomplete dichiarazioni al fine di evitare possibili esclusioni dalla gara.
Al contrario, affinché la valutazione della stazione appaltante possa essere effettiva è necessario che essa abbia a disposizione quante più informazioni possibili, e di ciò deve farsi carico l’operatore economico, il quale se si rende mancante in tale onere può incorrere in un grave errore professionale (Consiglio di Stato, Sez. V, 5 aprile 2024, n. 3151).
6.4 – Il “grave illecito professionale” include senz’altro le condotte penalmente rilevanti, in quanto tipicamente suscettibili di incidere (laddove connotati da un adeguato grado di gravità) sulla “integrità” e sulla “affidabilità” dell’operatore economico….
…. Nell’ipotesi di fatti di rilevanza penale, l’illecito professionale può essere ricavato anche da accertamenti interinali o esterni all’eventuale processo penale (per esempio, da una richiesta di rinvio a giudizio o dalla emanazione di misure cautelari – Consiglio di Stato, sezione quinta, 5 luglio 2023, n. 6584) (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 7 novembre 2023, n. 1311, cit.).
È stato, in particolare, condivisibilmente osservato, quanto alla rilevanza degli atti delle indagini penali ai fini della valutazione – di competenza dell’amministrazione – dell’affidabilità dell’operatore economico, che possa trovare applicazione il principio (da ultimo, Cons. Stato, V, 27 febbraio 2019, n. 1367) secondo cui non è indispensabile che i gravi illeciti professionali che devono essere posti a supporto della sanzione espulsiva del concorrente dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 siano accertati con sentenza, anche se non definitiva, ma è sufficiente che gli stessi siano ricavabili da altri gravi indizi, atteso che l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella disposizione normativa succitata è meramente esemplificativa e la stazione appaltante ha la possibilità di fornirne la dimostrazione con mezzi adeguati (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 marzo 2019, n. 1846, pure menzionata dall’Amministrazione del provvedimento di conferma – propria – dell’esclusione del 3 dicembre 2024; in termini, Consiglio di Stato, Sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1367, anche citata dalla Stazione appaltante nel ridetto provvedimento del 3 dicembre 2024; cfr. anche T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 7 gennaio 2022, n. 34).
6.5 – Riguardo alla contestazione di particolari gravi tipologie di reato (inerenti a illeciti comportamenti relativi allo svolgimento di pubbliche gare – a esempio ex art. 319, 319 bis, 321 e 353 bis c.p.), è stato a ragione rilevato che, stante la natura dell’imputazione, l’apprezzamento della Stazione appaltante non necessita di eloquenti motivazioni in relazione alla ritenuta incidenza sul requisito di “integrità e affidabilità” e sulla attinenza al requisito della “professionalità”, essendo evidente l’idoneità di determinate condotte a turbare imparzialità e trasparenza delle procedure di gara (Consiglio di Stato, sezione terza, 11 agosto 2021, n. 5852, T.A.R. Puglia, Bari, sezione prima, 30 maggio 2022, n. 788) (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 7 novembre 2023, n. 1311, cit.).
6.6 – Va, inoltre, ribadito che l’esclusione non automatica del concorrente è connotata da ampia discrezionalità, il cui sindacato da parte del giudice è possibile solo laddove le valutazioni dell’Amministrazione siano inficiate da macroscopiche illegittimità, quali gravi e plateali errori di valutazione o errori di fatto (T.A.R. Puglia, Bari, sezione prima, 7 novembre 2023, n. 1311, T.A.R. Puglia, Bari, sezione prima, 30 maggio 2022, n. 788), in funzione della tutela del vincolo fiduciario che deve sussistere tra Amministrazione aggiudicatrice, chiamata a scegliere il proprio contraente, e operatore economico: non vi è ragione per discostarsi dal consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui È la stazione appaltante a fissare il punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente perché è ad essa che è rimesso il potere di apprezzamento delle condotte dell’operatore economico che possono integrare un grave illecito professionale. 22.3. Compito del Giudice, quindi, non è stabilire se l’operatore economico abbia ragione o torto nel merito delle singole vicende. Compito del Collegio è valutare se l’insieme del contegno tenuto dall’operatore economico sia riconducibile alla nozione di grave illecito professionale la cui valutazione ai fini dell’esclusione dalla gara è interamente rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante (Consiglio di Stato sez. VI, 29 novembre 2022, n. 10483) (Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 febbraio 2024, n. 1804; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 28 agosto 2020, n. 16, che fa riferimento a Cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del 17 febbraio 2012, n. 2312, che ha annullato per eccesso di potere giurisdizionale una sentenza di questo Consiglio di Stato che aveva a sua volta ritenuto illegittimo il giudizio di affidabilità professionale espresso dall’amministrazione in relazione all’allora vigente art. 38, comma 1, lett. f), dell’abrogato codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 3 febbraio 2025, n. 155).
6.7 – Infine, va rammentato che, Secondo consolidata giurisprudenza, il possesso dei requisiti di ammissione alla gara deve sussistere a partire dall’atto di presentazione della domanda di partecipazione e permanere per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica (cfr. ex multis, Cons. Stato, Ad. pl., 24 aprile 2024, n. 7; 20 luglio 2015, n. 8; 25 febbraio 2014, n. 10) (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. IV Ter, 15 maggio 2024, n. 9614).
7. – Alla luce delle illustrate considerazioni, gli atti impugnati resistono alle formulate censure.
8. – Invero, nella fattispecie concreta in esame, la Stazione appaltante, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità a essa riservata, connotata da fisiologici margini di opinabilità, ma che non risulta né erronea né illogica (Consiglio di Stato, Sez. V, 14 giugno 2024, n. 5354), ha operato, apprezzando la situazione concreta riconducibile nell’ambito dei presupposti enucleati nelle pertinenti richiamate disposizioni normative, senza alcun immediato automatismo espulsivo e all’esito delle rinnovate – e reiteratamente confermate – valutazioni scaturenti dalle successive istanze di riesame delle deducenti (il che ha pure in concreto realizzato un adeguato ed effettivo contraddittorio procedimentale), una adeguata e sufficiente valutazione:
– dei rilevanti fatti penali di oggettiva gravità, come emersi dalle risultanze documentali – solo – in sede di verifiche d’ufficio, riguardanti il reato di “frode nelle pubbliche forniture” (reato in materia di contrattualistica pubblica, non necessitante di eloquenti motivazioni riguardo alla ritenuta incidenza sul requisito di “integrità e affidabilità” e sulla attinenza al requisito della “professionalità”);
– della relativa radicale e fuorviante omissione dichiarativa ad attitudine decettiva, concretante violazione dei qualificati doveri dichiarativi precontrattuali, inerente a rilevanti informazioni dovute, incidenti sulla moralità e affidabilità dell’operatore economico, come sottolineato dall’Amministrazione, in concreto strumentale e quanto meno potenzialmente idonea a sviare e a influenzare indebitamente l’apprezzamento e il processo decisionale della controparte negoziale pubblica in merito alla sussistenza o meno dei requisiti di partecipazione e alla esclusione.
Né l’invocata opposizione al decreto penale di condanna e la dedotta “regressione” del procedimento penale alla fase delle indagini preliminari valgono a scriminare e sterilizzare l’omessa dichiarazione, in quanto i ridetti contestati gravi fatti penali risultano già pervenuti, sul piano probatorio, a una soglia minima di consistenza e a un adeguato – oltre che confermato – grado di dettaglio e, pertanto, sono qualificabili come gravi indizi pertinenti e idonei ai fini in questione: invero, questi fatti risultano accertati e puntualmente circostanziati nel decreto penale di condanna depositato il 28 ottobre 2022, sia pure opposto in data 7 dicembre 2022 dall’interessato con contestuale richiesta di giudizio immediato (il che conferma che lo stesso era edotto del procedimento penale a suo carico al momento della scadenza del termine di presentazione dell’offerta – 18 luglio 2023), e, infine, all’esito dell’errore meramente procedurale rilevato (che ha portato, all’udienza penale del 4 dicembre 2023, a disporre il passaggio da udienza preliminare e la restituzione degli atti al Pubblico Ministero), reiteratamente e ugualmente circostanziati nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis del Codice penale, segnatamente:
– art. 356 cp., perché in qualità di Amministratore unico della “-OMISSIS- srl” (ex-OMISSIS-srl) non adempiva agli obblighi previsti nel contratto di fornitura stipulato con il Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per ristrutturare l’immobile demaniale marittimo (ex Casermetta CEMM) sito sul Molo Margherita del porto di Monopoli – avente oggetto lavori di sostituzione dell’impianto di raccolta e smaltimento degli scarichi fognari del citato immobile per un importo pari ad Euro 28.100,00 -. In particolare, in data 11.01.2022, con nota della predetta soc. del 24.11.2021 comunicava all’Ente competente che “nel corso dei lavori di ripristino danni ha verificato la tenuta stagna delle vasche sottostanti che risultavano, pertanto, integre e perfettamente funzionanti”, circostanza non veritiera essendo stata accertata dai tecnici nominati ausiliari di PG con nota del 16.05.2022, “la conferma circa l’esecuzione non a regola d’arte dei lavori ed il cattivo funzionamento e l’ovalizzazione del boccaporto di ispezione/spurgo del degrassatore e della vasca biologica, nonché la presenza di liquido all’interno delle vasche…”; inoltre nella voce di 6 F.002.016.4 del computo metrico datato 26.11.2021, (utilizzato per la liquidazione dell’impresa), indicava la fornitura e posa in opera di pozzetti prefabbricati di dimensioni 100x100x90, al contrario dei pozzetti rinvenuti sul posto di dimensioni massima in pianta circa 50×50 cm, di minore valore economico rispetto a quelli indicati; nel proseguo nel computo metrico, richiedeva a rimborso l’esecuzione di una recinzione perimetrale di cantiere con lamiere ondulate o rete metallica, in verità, mai eseguita/posizionata (installata soltanto durante i primi lavori di ristrutturazione) in quanto, durante i secondi, venivano utilizzate unicamente transenne fornite dal Comando della Polizia Locale (come richiamato nella nota 15.04.2021 del Provveditorato); infine, inseriva nel predetto computo un modulo prefabbricato per uso WC, in realtà mai posizionato in loco durante i secondi lavori.
Acc. In Monopoli, in data 16.05.2022 ed in epoca successiva.
La stessa natura del reato contestato – che, va significativamente sottolineato, in caso di condanna definitiva, comporta l’esclusione automatica, ex art. 80, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 50/2016 – rende oggettivamente evidente il collegamento della condotta con l’attività professionale del soggetto.
Si tratta, poi, di condotte relative a fatti penali oggettivamente gravi, idonee con ogni evidenza a minare l’affidabilità del concorrente: sicchè, proprio al fine di consentire la puntuale valutazione da parte della Stazione appaltante, interessata a individuare un aggiudicatario affidabile e corretto, dette condotte avrebbero dovuto essere oggetto di specifica e circostanziata dichiarazione.
9. – Sono infondate anche le doglianze relative all’intervenuta adozione delle misure di self cleaning.
9.1 – Invero, va innanzitutto ribadito che l’accertamento delle condizioni di superamento delle violazioni accertate è espressione di discrezionalità tecnica, che permea la valutazione dei presupposti della fattispecie rimediale: la sussistenza degli elementi della fattispecie, cioè dell’adozione di misure correttive sufficienti per evitare il ripetersi dell’irregolarità avente portata escludente e dell’idoneità delle stesse a dimostrare l’affidabilità malgrado l’esistenza di una causa di esclusione pertinente, è apprezzabile dalla stazione appaltante sulla base di conoscenze che non attribuiscono certezza all’accertamento svolto, essendo basate sulla valutazione di plurime circostanze, passibili di non univoca interpretazione e oggetto pertanto di un’attività connotata da discrezionalità tecnica.
L’Amministrazione svolge detto accertamento sulla base di un giudizio di verosimiglianza basato, sul piano probatorio, sul criterio del “più probabile che non”, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 21 luglio 2023 n. 7163).
L’attività espressione di discrezionalità tecnica è sindacabile da questo Giudice quanto alla sussistenza dei presupposti di fatto e al percorso logico-giuridico seguito, appunto basato sul criterio del “più probabile che non”, con il limite di non poter sostituire una valutazione opinabile con altra valutazione opinabile. Sicché, in presenza di due valutazioni opinabili, entrambe verosimili, questo Giudice non può preferire una valutazione rispetto all’altra (prescelta dalla stazione appaltante) (Consiglio di Stato, Sez. V, 3 giugno 2024, n. 4929).
Inoltre, pur a voler ammettere, secondo la più recente giurisprudenza amministrativa, che il self cleaning sia adottabile anche in sede di gara e che alla stazione appaltante si imponga la valutazione dell’idoneità di dette misure (ex multis da ultimo T.a.r. per la Lombardia, sez. IV, n. 2189 del 2024 riferita a fattispecie disciplinata dal d.lgs. n. 36 del 2023, non applicabile ratione temporis alla procedura de qua, ma con richiamo anche a precedenti giurisprudenziali formatasi nel vigore del d.lgs. n. 50 del 2016; Cons. Stato, sez. III, n. 724 del 2024, quanto al self cleaning in corso di gara; sez. III, n. 4111 del 2024, quanto alla doverosità della valutazione della misure di self cleaning; sez. V, n. 3858 del 2024; n. 7949 e sez. III n. 5897 del 2023, che hanno evidenziato come la Corte di giustizia, sulla base del tenore letterale dell’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24 e del considerando 102, ha sottolineato come non si stabilisca “in che modo o in quale fase della procedura d’appalto possa essere fornita la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso”, cfr. Corte di giustizia UE, sez. IX, 3 giugno 2021, C-210/20 e giurisprudenza ivi richiamata), va ritenuto che la valutazione delle misure di “ravvedimento operoso” assunte in corso di gara deve riferirsi a fatti insorti dopo la presentazione delle offerte (Consiglio di Stato, Sez. V, 13 gennaio 2025, n. 167 e giurisprudenza ivi citata – Cons. Stato, sez. III, 15 giugno 2023 n. 5897).
Peraltro, anche secondo il nuovo Codice degli appalti, le misure di self cleaning possono essere adottate e comunicate dopo la presentazione dell’offerta solo in relazione a cause di esclusione verificatesi successivamente a tale data, ovvero in data immediatamente anteriore, ferma restando la loro tempestività rispetto al verificarsi di tali cause di esclusione (cfr. art. 96 commi 3,4, e,6 d.lgs. n. 36 del 2023: “3. Se la causa di esclusione si è verificata prima della presentazione dell’offerta, l’operatore economico, contestualmente all’offerta, la comunica alla stazione appaltante e, alternativamente:
a) comprova di avere adottato le misure di cui al comma 6;
b) comprova l’impossibilità di adottare tali misure prima della presentazione dell’offerta e successivamente ottempera ai sensi del comma 4.
4. Se la causa di esclusione si è verificata successivamente alla presentazione dell’offerta, l’operatore economico adotta e comunica le misure di cui al comma 6 (Consiglio di Stato, Sez. V, 13 gennaio 2025, n. 167, cit.).
9.2 – Orbene, nella fattispecie concreta in esame:
– con la nota del 24 aprile 2024, cui rinvia per relationem la determinazione dirigenziale di esclusione n. 2043 del 24 aprile 2024 (impugnata con il ricorso introduttivo), la Stazione appaltante ha rappresentato che nella nota di chiarimenti forniti dalla -OMISSIS- SRL, di cui alla pec in oggetto, non vi è alcun cenno ai provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo adottati al fine di prevenire ulteriori reati/illeciti (misure di self cleaning); prova ne è la circostanza che il sig. -OMISSIS- a tutt’oggi continua a rivestire la carica di Amministratore Unico/ legale rappresentante e di direttore tecnico (vedasi visura CCIAA, annotazione automatica ANAC del 13/02/2024, attestazione SOA del 09/10/2023);
– con la (definitiva) conferma (propria) dell’esclusione prot. n. 95956 del 3 dicembre 2024 (gravata con i terzi motivi aggiunti del 18 dicembre 2024), l’Amministrazione, all’esito della reiterata e adeguata istruttoria svolta in relazione alle deduzioni di parte, ha diffusamente e correttamente argomentato in ordine alla non tempestività e alla inidoneità delle invocate misure di “ravvedimento operoso” (cfr. punto n. 3, pagine 7 e 8), in quanto adottate, in relazione alle descritte risalenti condotte, solo dopo la contestazione e l’adozione del provvedimento espulsivo di -OMISSIS- del 24 aprile 2024 (dimissioni volontarie dalla carica di Amministratore unico e Direttore Tecnico in data 30 aprile 2024, cessione delle quote di maggioranza alla figlia signora -OMISSIS- come da visura del 22/23 luglio 2024, rilascio certificazioni ISO in data 19 giugno 2024); inoltre, la P.A. ha correttamente rappresentato che alcune misure sono ancora in corso di adozione (a esempio le misure organizzative ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001), che altre sono insufficienti in quanto non risultano dimostrative della reale ed effettiva cesura con il soggetto in questione (la nuova socia è la figlia del signor -OMISSIS-, ravvisandosi in parte qua – secondo l’id quod plerumque accidit, cfr. in omologa fattispecie, Consiglio di Stato, Sez. V., n. 167/2025, cit. – una modifica meramente formale e non effettiva/sostanziale dell’organizzazione imprenditoriale) e che la sede legale della Società corrisponde all’indirizzo di residenza del signor -OMISSIS-.
Pertanto, la valutazione della inidoneità delle misure di self cleaning, rimessa all’apprezzamento discrezionale della Stazione appaltante, in quanto congruamente e razionalmente plurimotivata in relazione a vari profili, ciascuno dei quali idoneo a reggerla, resiste alle critiche di parte ricorrente.
10. – Per le ragioni innanzi esposte:
– va dichiarata la cessazione della materia del contendere sui motivi aggiunti del 26 settembre 2024;
– il ricorso introduttivo, i motivi aggiunti in data 8 luglio 2024 e i motivi aggiunti del 18 dicembre 2024, relativi all’esclusione della consorziata società -OMISSIS- S.r.l., sono infondati e vanno respinti.
11. – Il complessivo esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese processuali.
TAR PUGLIA – BARI, I – sentenza 07.07.2025 n. 923
Urbanistica e edilizia – Abuso edilizio – Richiesta al Comune da parte del vicino di provvedimenti repressivi ed obbligo di provvedere
1. Con ricorso notificato in data 25 ottobre 2024 e depositato in data 31 ottobre 2024, parte ricorrente ha chiesto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Ostuni sull’istanza presentata in data 11 luglio 2024 (poi oggetto di successivo sollecito), a mezzo della quale l’Amministrazione veniva stimolata ad esercitare i propri poteri di vigilanza edilizia ai fini dell’accertamento dell’eventuale abusività di alcuni manufatti realizzati presso una proprietà confinante e dell’adozione dei conseguenti provvedimenti sanzionatori. Il ricorrente, consequenzialmente, ha richiesto anche la condanna dell’Amministrazione alla conclusione del procedimento, la nomina di un commissario ad acta per il caso di persistente inadempimento oltre il termine assegnato e la declaratoria della sussistenza degli abusi edilizi contestati e dell’obbligo di procedere alla demolizione delle relative opere.
1.2. Il Comune di Ostuni e i controinteressati, regolarmente intimati, non si sono costituiti in giudizio.
1.3. Parte ricorrente, in data 30 maggio 2025, ha depositato copia della nota del Comune di Ostuni – Ufficio abusivismo edilizio reg. nr. 009175/2024 del 4 novembre 2024, con la quale l’Amministrazione, oltre a dedurre in ordine ad una pratica di sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/2001 concernente la proprietà del ricorrente, ha sollecitato il Comando di Poliza Locale a procedere alla verifica dello stato dei luoghi presso l’immobile oggetto dell’istanza.
1.4. Il ricorrente, in data 6 giugno 2025, ha depositato una memoria difensiva, con la quale ha in particolare evidenziato la persistenza dell’inadempimento del Comune, non risultando alcun atto ulteriore rispetto alla nota del 4 novembre 2024.
1.5. Ad esito della camera di consiglio del 25 giungo 2025, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.
2. Il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
3. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa “a fronte di una segnalazione circostanziata …, l’amministrazione comunale è tenuta ad attivare e concludere il procedimento di controllo e verifica della natura abusiva dell’opera realizzata, in quanto, in virtù dell’art. 27, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, essa esercita la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia svolta nel proprio territorio e, a seguito del doveroso esercizio del potere di vigilanza, ha l’obbligo di pronunciarsi in maniera espressa inibendo e sanzionando le condotte illecite poste in essere dai privati (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 novembre 2018 n. 6222; TAR Toscana, Sez. III, 7 febbraio 2020 n. 169; TAR Campania Napoli, Sez. VI, 7 novembre 2017 n. 5198; TAR Campania Salerno, Sez. II, 10 ottobre 2017 n. 1472)… Pertanto, ai sensi dell’art. 27, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, sussiste l’obbligo dell’amministrazione comunale di provvedere in merito all’istanza di repressione dell’illecito edilizio, concludendo il relativo procedimento mediante un provvedimento espresso e motivato che dia conto della consistenza della situazione abusiva e che commini il corrispondente trattamento sanzionatorio, il tutto in applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990” (TAR Napoli, Sez. III, sent. n. 4012 del 27 giugno 2024);
3.1. Nel caso di specie parte ricorrente, a mezzo dell’istanza del 10 luglio 2024 (assunta al protocollo del Comune con il numero 55078 dell’11 luglio 2024), ha rappresentato all’Amministrazione elementi circostanziati in ordine alla possibile realizzazione di opere abusive presso un immobile confinante, chiedendo, quindi, l’attivazione dei conseguenti poteri di vigilanza edilizia e sanzionatori previsti dal d.P.R. n. 380/2021.
3.2. A seguito di siffatta istanza, pertanto, il Comune di Ostuni avrebbe dovuto attivarsi in conformità e provvedere alla conclusione del procedimento mediante adozione di un atto espresso nel termine ordinario di trenta giorni (non risultando l’applicabilità di una diversa disciplina).
3.3. Dalla documentazione in atti non consta, tuttavia, che l’Amministrazione comunale abbia provveduto in tal senso, essendo stata prodotta unicamente una nota del 4 novembre 2024, con la quale l’Ufficio abusivismo edilizio si è limitato a sollecitare il Comando di Polizia Locale “a verificare lo stato dei luoghi dell’abitazione” oggetto dell’istanza, mentre non vi è indicazione di eventuali ulteriori attività poste in essere a seguito di tale nota e comunque non risulta l’adozione dell’atto conclusivo del procedimento pur a fronte dell’intervenuto decorso dei relativi termini.
3.4. Ne discende, pertanto, la fondatezza del ricorso relativamente alla domanda con cui è stato richiesto di accertarsi l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione comunale in ordine all’istanza presentata dal ricorrente.
3.5. Il Collegio, invece, non ritiene di poter accogliere la domanda anche nella parte in cui è stato richiesto di accertare la sussistenza degli abusi edilizi contestati e l’obbligo di procederne alla demolizione, non riscontrandosi i presupposti per l’applicazione dell’art. 31, co. 3, cod. proc. amm., in quanto la decisione sul punto richiede ulteriori adempimenti istruttori in ordine all’effettivo stato dei luoghi e alla legittimità delle opere realizzate, il cui compimento deve essere posto in essere da parte dell’Amministrazione comunale.
4. Per quanto detto, conclusivamente, deve dichiararsi l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Ostuni in ordine all’istanza presentata da parte del ricorrente in data 11 luglio 2024 e, conseguentemente, il Comune deve essere condannato a concludere il relativo procedimento mediante l’adozione di un atto espresso e motivato, senza vincolo di contenuto, entro il termine (individuato in ragione della natura e della tipologia di accertamenti necessari) di giorni 60 (sessanta), decorrente dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se anteriore, della presente sentenza.
4.1. Il Collegio riserva la nomina del commissario ad acta per il caso di ulteriore inadempimento del Comune di Ostuni oltre il termine assegnato, previa istanza dell’interessato, evidenziando sin d’ora che le eventuali spese per l’attività del commissario saranno poste a carico del Comune e saranno oggetto di valutazione ai fini di eventuali profili di responsabilità contabile.
5. In applicazione del criterio della soccombenza il Comune di Ostuni deve essere condannato al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.
5.1. Deve, invece, disporsi l’integrale compensazione delle spese nei confronti dei controinteressati, in quanto estranei rispetto all’inadempimento dell’Amministrazione comunale a cagione del quale è stato introdotto il presente giudizio.
TAR PUGLIA – LECCE, I – sentenza 04.07.2025 n. 1161