1. Con l’appello proposto l’originario ricorrente chiede la riforma della sentenza in epigrafe, con la quale il T.a.r. Lazio – Sezione staccata di Latina ha respinto il ricorso avverso il diniego di condono di un manufatto, realizzato in assenza di titolo edilizio su un terreno, sito in Formia, località S. Maria La Noce, in catasto alla particella n. 49, e avverso la correlata ordinanza di demolizione.
2. In particolare, con il provvedimento, a firma del dirigente comunale, prot. n.148/11 del 4 agosto 2011, il Comune rigettava l’istanza di sanatoria prot. 18092 del 29 aprile 2011, presentata dal ricorrente ai sensi degli art. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, e di conseguenza con ordinanza n. 318 del 16 settembre 2011, notificata il 26 settembre 2011, ingiungeva la demolizione della costruzione abusiva, composta di un piano terra con annesso vano adibito a deposito e porticato.
3. Di tali provvedimenti il ricorrente domandava l’annullamento alla stregua di tre motivi di impugnazione, mediante i quali lamentava l’illegittimità del diniego di sanatoria impugnato per “violazione e falsa applicazione degli art. 6, 36 e 37 del D.P.R. 6/6/2001 n. 30 – eccesso di potere per erroneità ed inesistenza dei presupposti – difetto e inadeguatezza dell’istruttoria- inapplicabilità delle prescrizioni del p.r.g.” nonché per “violazione di leggi – eccesso di potere per erroneità dei presupposti e per difetto di motivazione” e l’illegittimità derivata dell’ordinanza di demolizione.
4. Con la sentenza di estremi in epigrafe, pronunciata nella resistenza del Comune, il Tar adito ha respinto tutte le censure, ritenendole infondate, e ha condannato il ricorrente alle spese di lite.
5. Di tali statuizioni di rigetto del ricorso, l’appellante domanda la riforma, affidando l’impugnativa a un unico motivo, mediante il quale ha sostenuto che la sentenza sarebbe viziata da error in iudicando per “travisamento dei presupposti ed erroneità degli stessi”.
Il Comune di Formia, pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.
All’udienza del 25 marzo 2025, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. L’appello è infondato.
7. Per le ragioni di seguito esposte non possono essere infatti accolti i motivi di gravame avverso la sentenza di primo grado, mediante i quali l’appellante è tornato in sintesi a sostenere che, come precisato anche nella Relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria, la costruzione in questione è stata realizzata in periodi diversi antecedentemente al 1967, e che, successivamente, nell’anno 2000 erano stati intrapresi soltanto lavori di manutenzione straordinaria atti a consolidare la struttura, senza alterazione delle superfici e dei volumi.
Pertanto, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che le opere eseguite sono in contrasto con le disposizioni del P.R.G. vigente e del P.T.P.R. adottato dalla Giunta Regionale del Lazio e che non sussistevano quindi i presupposti per il condono, mancando la doppia conformità delle opere prescritta dall’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001.
Il Comune di Formia avrebbe dovuto eseguire un’approfondita istruttoria riguardo a tali aspetti, che sarebbe, invece, del tutto mancata.
8. Ad avviso del Collegio i rilievi dell’appellante non possono essere condivisi, mentre sono corrette e vanno confermate le statuizioni della sentenza impugnata.
8.1. La decisione di prime cure ha innanzitutto compiutamente ricostruito i fatti di causa rilevando che:
– su un immobile preesistente composto da piano terra con annesso porticato, in seguito a sopralluogo del 18 febbraio 2011, il Comune di Formia accertava la realizzazione – con “lavori ancora in corso” – di un fabbricato come descritto e ampliativo di quello precedente;
– dopo l’adozione di un’ordinanza di sospensione di lavori e di una di demolizione, il ricorrente presentava istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/01, precisando che nell’anno 2000 aveva dato luogo a lavori di manutenzione straordinaria atti a consolidare l’immobile, senza aumento di superficie o volume, così che (come precisato nella Relazione allegata all’istanza di sanatoria) la costruzione risultava composta da una porzione adibita ad abitazione, di mq. 67,11, e di una porzione adibita a deposito pertinenziale, di mq. 10,37, con annesso il porticato, di mq. 10,78, quale parte integrante della costruzione, per un volume complessivo di mc 276,21 e non di mc 322,00 come indicato nel sopralluogo;
– con il primo provvedimento impugnato, il Comune di Formia rigettava l’istanza, rilevando che le opere non erano conformi al P.R.G. e al P.T.P.R., erano ricadenti in area sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta per localizzazione nella fascia dei 150 ml “dal torrente”, secondo l’allegato progettuale, e non era stata fornita prova della loro preesistenza al 1967.
8.2. Tanto premesso in fatto, la sentenza ha poi riepilogato le censure proposte avverso i provvedimenti impugnati mediante le quali il ricorrente ha sostanzialmente lamentato che:
a) l’istanza di “sanatoria” riguardava lavori di manutenzione straordinaria e di completamento funzionale di una costruzione preesistente (anteriore al 1967), la cui esecuzione rientrava nei casi di “edilizia libera” ex art 6 d.P.R. n. 380/2001 o comunque sottoposti a mera denuncia di inizio attività o a segnalazione certificata di inizio attività; poiché la costruzione era stata realizzata in epoca antecedente all’anno 1967, come risulta dalla relazione tecnica allegata all’istanza di sanatoria, non era applicabile il P.R.G. approvato dalla Regione Lazio nel 1980; il Comune, se avesse effettuato una adeguata istruttoria, avrebbe rilevato tali caratteristiche ed eventualmente irrogato soltanto una sanzione pecuniaria.
b) nel provvedimento impugnato e nel parere del U.T.C. ivi richiamato, non era indicato quale fosse il “torrente” preso in considerazione; se questo fosse il torrente “Rialto”, esso non era però compreso nell’elenco delle acque pubbliche di cui al R.D. 1775/1933, per cui le opere non ricadrebbero in area sottoposta a vincoli di inedificabilità assoluta;
c) all’illegittimità del provvedimento di rigetto di sanatoria consegue in via derivata l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione di cui il diniego di condono costituisce il presupposto.
8.3. Ciò posto, la sentenza appellata ha correttamente respinto le doglianze esaminate.
8.4. Va al riguardo evidenziato che il Tribunale ha basato il rigetto delle censure non solo sulla documentazione depositata all’atto della costituzione dal Comune di Formia, ma anche sulla relazione con allegata documentazione integrativa depositata in giudizio dall’amministrazione, come richiesto con ordinanza collegiale, con riferimento alla stima sull’epoca di realizzazione delle opere, all’identificazione del torrente in questione e al suo inserimento, o meno, nell’elenco delle acque pubbliche di cui al R.D. n. 1775/1933.
8.5. In particolare, dalla relazione integrativa depositata in giudizio dal Comune e non contestata da parte del ricorrente, si evince quanto segue:
– il lotto di proprietà dell’appellante, tra cui la p.lla 49 in Catasto al Fg. 2, rientra, in parte, in “Sottozona” agricola silvo-pastorale oltre la quota di 300 slm, con limitati libiti di edificabilità per cubatura e divieto di accorpamento di volumi e di cambio di destinazione d’uso, in parte in “Sottozona agricola E1”, con precisi limiti di edificabilità derogabili parzialmente solo per manufatti strettamente necessari alle attività agricole, in superfice da asservire non inferiore a mq 2.000;
– tale lotto di proprietà è inferiore al minimo per l’edificazione ai sensi della l.r. n. 38/1999;
– l’area è interessata da vincolo idrogeologico e paesaggistico ex artt. 134, comma 1, lett.b), e 142, comma 1, lett. f) e g), d.lgs. n. 42/2004, nonché ricade nella perimetrazione del “Parco degli Aurunci”;
– è ammesso che “…Dall’esame cartografico non si rileva, invece, la presenza della fascia di rispetto del Torrente presente in zona, individuato quale “Fosso Rialto” …dichiarato tra le ‘acque pubbliche’ del Comune di Formia di cui all’elenco provinciale R.D. 09.12.1909…e successivi elenchi suppletivi…”:
– da rilievi aerofotogrammetrici, alla data del 17 settembre 2003 nessun fabbricato risultava presente e solo dal 2005 risultano le prime manomissioni del terreno, sul quale il fabbricato è visibile dal 6 dicembre 2009;
– mancava comunque il lotto minimo edificatorio, in quanto le superfici boscate non concorrono al fine del calcolo della cubatura per costruire al di fuori di esse e per determinare il lotto minimo ai fini edificatori in “zona agricola”, per cui anche eventuali “nulla-osta” degli enti preposti alla tutela dei vincoli non avrebbero potuto influire in maniera diversa sulla conclusione negativa del procedimento.
8.6. Alla luce di tali chiarimenti, devono ritenersi corrette le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, in merito alla legittimità del provvedimento di diniego della “sanatoria” ex art. 36 d.P.R. n. 380/01 laddove fondato sul richiamo alla non conformità al P.R.G. e al P.T.P.R. e all’epoca di realizzazione dell’abuso.
8.7. A tale riguardo giova evidenziare che l’art. 36, comma 1, d.P.R. n. 380/01 prevede la possibilità di ottenere il rilascio del permesso in sanatoria “…se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
Come illustrato nella relazione del Comune e non smentito dall’appellante, la p.lla 49 su cui insistono le opere ricade, in parte, in “Sottozona” agricola silvo-pastorale oltre la quota di 300 slm, con limitati libiti di edificabilità per cubatura e divieto di accorpamento di volumi, accorpamento invece desumibile dalla stessa descrizione delle opere, e in parte in “Sottozona E1”, con precisi limiti di edificabilità derogabili parzialmente solo per manufatti strettamente necessari alle attività agricole, in superfice da asservire non inferiore a mq 2.000, circostanze, queste, non rilevabili nel caso di specie, ove non è dimostrata la stretta necessità per le attività agricole né l’ampiezza della superficie da asservire.
8.7.1. Tali presupposti erano a carico della parte che chiedeva l’accertamento ex art. 36 cit, la quale doveva dare anche la dimostrazione della doppia conformità delle opere abusive, che implica un estremo rigore nel fornire gli elementi idonei a vagliarne la sussistenza, trattandosi di conservare opere edilizie realizzate abusivamente.
8.8. Così come a carico di parte ricorrente era l’onere di dimostrare l’epoca di realizzazione dell’opera.
8.8.1. Giova al riguardo richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2019, n. 2115; Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696; id., 5 marzo 2018, n. 1391), dovendosi dunque fare applicazione del generale principio processuale per cui la ripartizione dell’onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova (Cons. Stato Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304) e solo la deduzione della parte privata di concreti elementi di fatto relativi all’epoca dell’abuso trasferisce l’onere della prova contraria in capo all’Amministrazione.
Ciò in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza del carattere non abusivo di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi, e tali prove devono essere alquanto rigorose, non essendo sufficienti delle mere dichiarazioni sostitutive di atto notorio, per cui, in mancanza di tali prove, l’Amministrazione può negare la sanatoria dell’abuso, rimanendo integro il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria (Cons. Stato, Sez. II, 4 gennaio 2021, n. 80; 19 novembre 2020, n. 7198; 9 ottobre 2020, n. 5994).
Peraltro, proprio il criterio della vicinanza della prova conduce ad un temperamento del rigoroso onere probatorio “secondo ragionevolezza” nei casi in cui il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti (ad esempio, aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti o circostanze rilevanti) e, dall’altro, o la pubblica amministrazione non analizzi debitamente tali elementi o vi siano elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio. In tal caso, non è escluso il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche basate su fatti notori o massime di comune esperienza, inferendo, così e secondo criteri di normalità, la probabile data di tale ultimazione da un complesso di dati, documentali, fotografici e certificativi, necessari in contesti troppo complessi o laddove i rilievi cartografici e fotografici erano scarsi (Cons. Stato, Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304; id. 13 novembre 2018 n. 6360; id. 19 ottobre 2018 n. 5988; id. 18 luglio 2016 n. 3177).
In sostanza, solo la deduzione della parte privata di concreti elementi di fatto relativi all’epoca dell’abuso trasferisce l’onere della prova contraria in capo all’amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2018 n. 5984; id. VI, 11 giugno 2018, n. 3527; id. VI, 14 maggio 2019, n. 3133).
8.8.2. Nel caso di specie il ricorrente non ha però allegato né in sede di giudizio, né al momento della presentazione della domanda di sanatoria elementi probatori e preesistenti idonei a rappresentare che l’immobile, di cui era dichiarata la manutenzione straordinaria, era stato realizzato anteriormente al 1967.
8.8.3. Sulla base di tali circostanze la sentenza va confermata nella parte in cui ha ritenuto che se non sono idonee mere dichiarazioni sostitutive – anche “ora per allora” – di atto notorio, e quindi anche dichiarazioni asseverate postume in relazioni tecniche come nel caso di specie, tanto più non possono essere idonee e ammissibili le prove testimoniali chieste dal ricorrente in sede di giudizio.
8.9. In definitiva, non rinvenendosi prova dell’epoca di realizzazione dell’immobile, risultando confutato quanto dichiarato dal ricorrente dai rilievi aerofotogrammetrici depositati in giudizio dall’amministrazione, la sentenza appellata ha correttamente considerato legittima la conclusione del Comune sulla mancata dimostrazione della realizzazione “ante 1967” e sulla violazione del P.R.G. e del P.T.P.R., secondo le specifiche sopra illustrate, come richiamate nell’impugnato diniego.
8.9.1. In presenza di tali presupposti, non assume invece rilevanza decisiva in senso contrario il non dimostrato inserimento nella fascia di rispetto dal torrente “Fosso Rialto”.
9. Ne consegue che la sentenza di primo grado ha correttamente respinto il ricorso anche in relazione all’impugnata ordinanza di demolizione, ritenuta viziata per illegittimità derivata, in quanto “atto dovuto” in merito alla realizzazione di un abuso edilizio e non sostituibile con sanzione pecuniaria.
10. All’infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
11. Nulla sulle spese, non essendosi costituita l’amministrazione appellata.
CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 08.09.2025 n. 7239