Urbanistica e edilizia – Abuso edilizio, onere della prova dell’ultimazione di un’opera entro una certa data e ammissibilità del permesso di costruire in sanatoria

Urbanistica e edilizia – Abuso edilizio, onere della prova dell’ultimazione di un’opera entro una certa data e ammissibilità del permesso di costruire in sanatoria

1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato nelle forme e nei termini di rito, la ricorrente ha allegato e dedotto che: in data 08.06.2021, il Comune di Meolo, a mezzo di proprio personale tecnico, ha effettuato un sopralluogo presso l’immobile di sua proprietà, sito in Via Fossetta n. 15, censito al catasto terreni al Foglio 13, Mappale 227; nel corso del sopralluogo, è stata accertata la realizzazione di una serie di opere in assenza di permesso di costruire prescritto dall’art. 10 del D.P.R. 380/2001 e in assenza dell’autorizzazione paesaggistica prescritta dall’art. 142 D.Lgs 42/2004; nello specifico, è stata riscontrata l’esecuzione di: ​- un edificio ad un piano uso magazzino a pianta rettangolare, delle dimensioni perimetrali esterne di m. 6,25 x 4,47 altezza 3,70 destinato a ripostiglio, con struttura in muratura portante costituita da blocchi in cemento e laterizio e copertura costituita da arcarecci in legno che sostengono il manto in lastre ondulate in fibro-cemento; -​un edificio ad un piano ad uso abitativo destinato a soggiorno / cucina a pianta rettangolare, delle dimensioni perimetrali esterne di m. 4,75 x 8,50 altezza utile netta m. 3,00 circa, della superficie utile netta di mq 33,46 con struttura portante in legno con pareti in legno rivestite in pannelli isolanti intonacati, poggiante su basamento in calcestruzzo. In ampliamento al medesimo corpo di fabbrica è risultato addossato un prefabbricato destinato a bagno/w.c. a pianta rettangolare, delle dimensioni perimetrali esterne di m. 2,17 x 4,17 altezza utile netta m. 2,20 circa, della superficie utile netta di mq 8,90 e con struttura portante in metallo chiusa da pannelli perimetrali tipo sandwich (lamiera metallica e poliuretano espanso); – ​un edificio ad un piano ad uso abitativo delle dimensioni perimetrali esterne di 6,00 x 4,10 costituito da due locali destinati a camera da letto e cucina, aventi rispettivamente altezza utile netta media di 2,20 e di m. 1,80 e superficie utile netta di mq 16,00 e m. 7,50; la struttura portante è costituita da legno con pareti rivestite in tavole di legno, poggianti a terra su travi di legno e blocchi in laterizio; in data 20.07.2021, il Comune di Meolo ha comunicato l’avvio del procedimento, ai sensi degli artt. 7 e ss. L. 241/90; con ordine n. 37/21, prot. 8425 del 31.08.2021, il Comune di Meolo ha disposto la demolizione entro 90 giorni delle opere sopra descritte, ritenendo che le stesse fossero sprovviste di titolo abilitativo e che le medesime fossero, altresì, in contrasto con le disposizioni dell’art. 24 delle NTA al PRG, in quanto non rispettose delle distanze minime dai confini (m 5,00) delle distanze tra fabbricati (m 10), delle2distanze dalla strada (m 10,00) nonché non rispettose dell’altezza minima di m 2,70 prevista dal DM Sanità 05.07.1975; in data 06.12.2021, ha formulato istanza di rilascio di permesso di costruire in sanatoria; in data 20.01.2022, il Comune di Meolo ha dato comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/90; in data 03.02.2022, con nota prot. 1167, il Comune di Meolo ha emesso il provvedimento di diniego di rilascio del richiesto permesso di costruire in sanatoria.

2. Tanto premesso in fatto, la ricorrente ha lamentato l’erroneità e l’illegittimità degli atti gravati e tanto sulla scorta delle doglianze di seguito indicate.

I – Eccesso di potere per carenza di istruttoria. Mancata considerazione di indizi sull’edificazione ante 67 per quanto attiene all’edificio ad uso magazzino.

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente ha dedotto che l’edificio ad uso magazzino sarebbe stato realizzato prima del 1967 e, pertanto, non necessiterebbe di titolo abilitativo, con conseguente illegittimità del diniego di sanatoria e dell’ordine di demolizione.

II – Eccesso di potere per incoerenza intrinseca. Eccesso di potere per carenza di istruttoria. Mancata considerazione del consenso precedentemente espresso dal vicinante rispetto alla deroga alle distanze.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente ha rappresentato che l’Amministrazione resistente ha già rilasciato un precedente permesso di costruire – PdC n. 136/2004 del 03.11.2005, prot. 11258 – nell’ambito del quale aveva tenuto conto del prestato assenso del vicinante alla deroga alle distanze dal confine, il quale, pur se non formalizzato in atto scritto, non è mai stato revocato.

Pertanto, tale motivo di ricorso si basa sulla presunta validità di un precedente consenso del vicinante alla deroga delle distanze, formalizzato in occasione del precedente Permesso di Costruire (PdC n. 136/2004 del 03.11.2005).

3. In forza delle descritte causali, ha invocato l’integrale accoglimento della domanda.

4. Si è costituito il Comune di Meolo per resistere al ricorso.

​5. All’udienza del 31.10.2024, preso atto della permanenza dell’interesse alla decisione, il giudizio è stato rinviato per la discussione.

6. All’udienza straordinaria di smaltimento, tenuta da remoto in data 30.09.2025, la causa è stata assegnata a sentenza.

7. Il ricorso è infondato e, pertanto deve essere respinto.

8. In primo luogo, va detto che privo di pregio si rivela il primo motivo di ricorso, in quanto violativo del principio per cui nemo potest venire contra factum proprium.

Invero, le emergenze istruttorie documentali, acquisite agli atti di causa, hanno consentito di rilevare che, al fine di ottenere la sanatoria delle unità immobiliari oggetto dell’ordine di demolizione, in data 29.11.2021, è stata presentata la predetta istanze di condono.

Ciò che esclude l’ammissibilità di una successiva affermazione di non abusività.

Come affermato, infatti, dal Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sentenza 1° giugno 2022, n. 4444:

“Lo svolgimento di una censura tesa ad affermare, in sede giurisdizionale, la legittimità di un comportamento autodenunciato come abusivo in sede sostanziale (con la presentazione di un’istanza di sanatoria) configura, infatti, un utilizzo non corretto dello strumento processuale, venendo dedotti, in ragione dell’esito del procedimento sfavorevole all’istante, fatti incompatibili con la condotta spontaneamente e volontariamente assunta in sede amministrativa. Il che si traduce in una carenza di interesse a contestare in giudizio la qualificazione dei fatti ammessi in sede procedimentale, posti a base della condotta tenuta dal ricorrente nei rapporti con l’Amministrazione resistente”.

8.1. Ferme restando le considerazioni assorbenti di cui sopra, ad ulteriore confutazione della censura in esame, va pure detto che la parte ricorrente fornito alcuna prova, né principio di prova, circa l’epoca di realizzazione dell’intervento edilizio (cfr., ex multis, Cons, St., Sez. VI, n. 9054).

Sul punto è utile riportare la consolidata giurisprudenza amministrativa, secondo cui: «l’onere della prova circa l’epoca di realizzazione dell’intervento edilizio grava in capo a colui che vuole dimostrare la legittimità dell’opera (Consiglio di Stato n. 309/2025, n. 9054/2024, n. 7969/2024).

Infatti, il proprietario o il responsabile dell’abuso, assoggettato a ingiunzione di demolizione – ordinariamente in possesso di documenti o attestati probatori, dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova – è gravato dell’onere di provare il carattere risalente del manufatto oggetto della sanzione ripristinatoria.

Tale indirizzo giurisprudenziale si è consolidato non solo per l’ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche – in via generale – per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, per l’appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi» (cfr. ancora, sul punto, Cons. di Stato n. 309/2025, n. 2165/2024).

Sempre la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato ha stabilito che l’onere della prova della data di realizzazione dell’immobile, in particolare ai fini di provare che avrebbe dovuto essere realizzato in epoca per cui non era necessario un titolo edilizio, grava sul privato, sulla base dell’art. 64, comma 1, c.p.a., per cui spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità (Consiglio di Stato n. 4149/2024, n. 10101/2023, n. 5668/2023 n. 1109/2021, n. 3670/2020).

Tale orientamento è basato sul principio di “vicinanza della prova”, essendo nella sfera del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere non abusivo di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi (Cons. di Stato n. 9054/2024, n. 3304/2020, n. 2115/2019, n. 1391/2018).

8.2. Peraltro, la consulenza tecnica d’ufficio non è destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, che devono essere dimostrati dalla parte interessata alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova posti dall’art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche non possedute, per cui la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio non può essere sostitutiva dell’onere probatorio spettante alle parti (cfr. Cons. Stato, sez. II, 3 ottobre 2022, n. 8457).

E tanto basta a giustificare il rigetto della richiesta istruttoria della ricorrente, che ha insistito perché fosse disposta una CTU su tale aspetto.

9. Ciò posto, neanche meritevole di positiva valutazione da parte del Collegio si rivela il secondo motivo di ricorso, tenuto conto che le norme in materia di distanze tra edifici, siano esse previste dal codice civile o da strumenti urbanistici locali (come l’art. 24 delle NTA al PRG del Comune di Meolo), hanno carattere pubblicistico e sono finalizzate alla tutela di interessi generali, in quanto norma imperativa volta a predeterminare in via generale le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza (Cons. Stato, sez. VII, 12/12/2024, n. 10029; conforme anche Cass. pen., Sez. III, sentenza, 6 luglio 2023, Cons. Stato, sez. IV, sentenza, 17 maggio 2023 n. 4933).

​9.1. Peraltro, essendo le norme sulle distanze tra fabbricati inderogabili e tese al rispetto di principi fondamentali in termini di salubrità, l’attività posta in essere dal Comune risulta essere vincolata e non richiede una specifica motivazione, né un’espressa comparazione tra gli interessi pubblico e privato in gioco (Consiglio di Stato, sez. VI, 29/10/2024, n. 8612). T.A.R. Parma, (Emilia-Romagna) sez. I, 09/05/2016, n. 152).

10. Alla stregua di quanto sopra, il ricorso deve essere integralmente respinto siccome infondato.

11. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

TAR VENETO, II – sentenza 15.10.2025 n. 1802

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