1. Il primo motivo è infondato.
In materia di condono edilizio ex legge n. 47/1985, per gli immobili siti entro la fascia di 150 m dalla battigia di cui all’art. 15, lett. a), della l.r. n.78/1976, vige un divieto di edificazione assoluto che rende insanabili gli abusi eseguiti dopo l’entrata in vigore della legge, salvo l’unica ipotesi di opere le cui strutture essenziali siano state completate entro il 31 dicembre 1976 (T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 26 maggio 2021, n. 1734; id., 17 marzo 2021, n. 908).
Già in sede d’istruttoria del procedimento di rilascio della sanatoria, è il richiedente che ha l’onere di fornire un principio di prova in ordine alla data di edificazione ed alla localizzazione del manufatto (cfr. Cons. Stato, V, 5 febbraio 2007, n. 452), mentre resta a carico dell’Amministrazione comunale di controllare l’attendibilità dei dati forniti e di contrapporre eventualmente le risultanze di proprie verifiche, da effettuarsi, caso per caso, con le modalità e gli strumenti affidati alla scelta discrezionale della stessa Amministrazione – purché tecnicamente adeguati – e non necessariamente con atti di ricognizione estesi all’intero territorio.
In altre parole, il responsabile dell’abuso è gravato dall’onere di provare, attraverso elementi certi – quali fotografie aeree, fatture, ricevute, bolle di consegna, relative all’esecuzione dei lavori e/o all’acquisto dei materiali, sopralluoghi, e così via – l’effettiva realizzazione del manufatto entro il termine previsto dalla legge, e la sua ubicazione, per usufruire della sanatoria, non potendo limitarsi a contestare i dati in possesso dell’Amministrazione senza fornire alcun elemento di prova a corredo della propria tesi, in quanto l’Amministrazione – in assenza di elementi di prova contrari – non può che respingere la domanda di sanatoria.
Nel caso di specie, la stessa istanza di sanatoria e le autodichiarazioni allegate collocano l’ultimazione dell’immobile al 1982, sicché è provato che l’edificazione dell’immobile è successiva alla soglia temporale indicata dalla norma richiamata che, come detto, esclude la sanabilità riguardo alle costruzioni le cui strutture essenziali non sono state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976 (TAR Sicilia, Palermo, II, 26 maggio 2021, n. 1734).
Analogamente, in sede giurisdizionale, in materia di ripartizione dell’onere della prova rispetto al profilo specifico della data di realizzazione delle opere da sanare, la giurisprudenza, che il Collegio condivide anche con riguardo al caso concreto, ha costantemente affermato che detto onere grava pienamente sul privato (cd. principio della vicinanza della prova) senza possibilità di soccorso istruttorio stante che l’Amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia con riguardo a tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono; pertanto, colui che ha commesso l’abuso non può trasferire il suddetto onere in capo all’Amministrazione, qualora non sia in grado di fornire elementi e documenti atti a sostenere la richiesta di sanatoria edilizia (v. ex multis, C.G.A.R.S., Sez. giur., 27 maggio 2025, n. 395; id. 13 marzo 2023, n. 219; Cons. Stato, VI, 13 dicembre 2022, n. 10904; Cons. Stato, VI, 25 maggio 2020, n. 3304; Cons. Stato, IV, 1 aprile 2019, n. 2115; VI, 3 giugno 2019, n. 3696; 5 marzo 2018, n. 1391).
Anche riguardo alla questione della distanza dell’immobile dalla battigia, la ricorrente non ha fornito alcun elemento da valere almeno quale principio di prova – quali aerofotografie/ortofoto storiche georeferenziate, cartografia tecnica regionale, perizia geologica/geomorfologica con modello di linea di costa alla data di edificazione che spieghi i processi erosivi e margine d’errore, misurazioni certificate- utile a contestare in giudizio che l’immobile non si trovasse entro la fascia dei 150 dalla battigia al momento della sua realizzazione, a causa della presunta erosione della linea di costa avvenuta dopo il 1979 così come puntualmente rilevato dal Comune resistente e già valorizzato in sede cautelare.
Ritiene il Collegio, infatti, che la monografia prodotta da parte ricorrente “L’erosione costiera in Italia – le variazioni della linea della costa dal 1960 al 2012” della Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque presso il Ministero dell’Ambiente, contenente l’elaborazione nazionale dei dati sulle superfici e sui tratti di spiaggia in avanzamento e in arretramento della costa dell’Italia peninsulare, della Sicilia e della Sardegna dal 1960 al 1994 e al 2012, aggiornata al Marzo 2017, non possa assolvere alla funzione di principio di prova idoneo a dimostrare che, alla data del 1979, il manufatto fosse ubicato a distanza superiore ai 150 metri dalla battigia sulla specifica costa rocciosa oggetto di causa.
Il documento, infatti, ha natura ricognitiva generale su scala nazionale/regionale e persegue finalità di inquadramento macro dei fenomeni (definizione “dell’ordine di grandezza” delle variazioni della linea di riva nei periodi 1960-1994 e 1994-2012), non già di misurazione puntuale riferita ad un singolo sito o particella catastale.
Lo stesso rapporto chiarisce che l’elaborazione mira a cogliere le “grandi variazioni” lungo archi temporali ampi (34, 18 e 52 anni), operando, per ridurre gli errori intrinseci, un filtraggio delle superfici minori di 300 mq e delle forme più strette di 5 m: criteri che, per loro natura, escludono le micro-variazioni metrica-locali rilevanti nel giudizio sulla soglia dei 150 m.
Inoltre, la metodologia adottata utilizza scale cartografiche 1:5.000–1:10.000, non considera gli effetti di marea per taluni tratti e dichiara di avere dedicato maggiore attenzione alle spiagge rispetto alle coste rocciose, dove la definizione della linea di riva è più incerta; il lavoro è, infine, strutturato per unità fisiografiche (tratto di litorale che funziona come “cellula” sedimentaria quasi chiusa) non per siti puntuali, e non reca quindi alcuna georeferenziazione del lotto in controversia, né una misurazione orizzontale della distanza alla data giuridicamente rilevante.
In tale quadro, la monografia si rivela generica e non specifica rispetto alla linea di costa su cui insiste l’immobile per cui è lite e non è idonea a sovvertire l’accertamento comunale, né a provare, con il necessario grado di certezza, una distanza storica superiore alla soglia normativa.
Siffatta incertezza e, comunque, il mancato raggiungimento anche della mera ragionevole verosimiglianza di non ubicazione dell’immobile de quo all’interno della detta fascia non giova alla tesi difensiva di parte ricorrente.
Va infatti, ribadito che l’onere di provare i presupposti di applicabilità del condono grava sull’interessato (cfr. CGA sez. giur., sez. giur., 9 agosto 2023, n. 518) stante che nella materia de qua il principio dispositivo in punto di onere della prova, dettato dall’art. 2697, comma 1, cod. civ., opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo, stante la maggior vicinanza della fonte di prova (il cespite) al proprietario istante (cfr. CGA, sez. giur., 25 gennaio 2024, n. 69).
Ne consegue che non essendo onere dell’amministrazione comprovare le circostanze richieste dalla legge per il condono, ciò che rileva è la prova fornita dall’istante, risultando perciò recessive le censure indirizzate all’istruttoria compiuta dal Comune e alle modalità con le quali la stessa è stata svolta (cfr. CGA, sez. giur., 25 gennaio 2024, n. 69).
Peraltro, va osservato che se nel diritto penale trova applicazione il principio “in dubio pro reo” lo stesso, però, non vige nel procedimento sanzionatorio amministrativo in materia edilizia, né nel processo amministrativo (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 23 ottobre 2015, n. 2685).
In ogni caso va rilevato che, da ultimo alla luce della sentenza della Corte costituzionale, 23 maggio 2025, n. 72, in Sicilia il vincolo dei 150 m è immediatamente ed erga omnes vigente sin dal 1976 e preclude il condono (anche ex l. n.47/1985) per gli immobili realizzati nella fascia di inedificabilità assoluta dei 150 metri dalla linea della battigia indipendentemente dalla data della domanda di sanatoria.
Da ciò discende l’insussistenza del presupposto fondamentale della pretesa sanatoria e la conseguente infondatezza del motivo.
2. Anche il secondo motivo (violazione dei principi di buon andamento, proporzionalità e legittimo affidamento – difetto di motivazione) è infondato.
Il mero decorso del tempo rispetto ad una situazione contra ius non genera un legittimo affidamento tutelabile, né determina l’insorgenza, in capo all’Amministrazione, di un onere motivazionale rafforzato; il potere repressivo in materia edilizia ha natura vincolata e può essere esercitato in ogni tempo, attesa la permanenza dell’illecito (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 luglio 2020, n. 1526; Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 aprile 2010, n. 2160).
In linea con tale indirizzo la verifica di conformità condonistica è essenzialmente oggettiva e vincolata alla sussistenza dei presupposti legali (nel caso di specie la l.r. n. 78/1976 in ordine alla distanza dalla battigia) onde il provvedimento non necessitava di ulteriore motivazione oltre quella attinente all’insanabilità dell’abuso, a fortiori quando la parte non ha offerto documentazione idonea a dimostrare la diversa configurazione dei luoghi all’epoca dell’abuso.
Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e va pertanto rigettato con salvezza dell’atto impugnato.
3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
TAR SICILIA – PALERMO, IV – sentenza 30.10.2025 n. 2394
 
								