4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché versato in fatto e diretto a richiedere una rivalutazione in chiave alternativa degli elementi fattuali posti a base dell’affermazione della responsabilità penale.
La sentenza impugnata, in relazione alla determinazione dell’ammontare dell’iva evasa, non essendo in discussione l’omessa presentazione della dichiarazione, ha richiamato le risultanze del bilancio della società al 31 dicembre 2012, prodotto dal commercialista, le fatture attive rinvenute presso terzi, i controlli incrociati presso i clienti della società verificata, l’oggetto sociale della società di commercio di autovetture e veicoli leggeri, e ha ritenuto dimostrato, sulla base di precisi elementi documentali il compimento di operazioni commerciali da cui ha calcolato l’imposta evasa Iva per € 68.534,00. Segnatamente dalle rimanenze finali al 31/12/2012, per un valore di oltre € 326.000,00, risultanti dal bilancio di esercizio prodotto dal commercialista della società, dal mancato rinvenimento della predetta merce e dalla circostanza che la società sì era rivolta a diverse agenzie di pratiche automobilistiche per procedere alla vendita di autoveicoli, unitamente alla movimentazioni di denaro sui conti della società, dei soci e degli amministratori, ha argomentato che la società aveva posto in essere operazioni commerciali con evasione Iva per € 68.534,00, in un contesto nel quale non era stata fornita qualsivoglia indicazione in ordine alla quantificazione dei costi con la conseguenza che essi non potevano essere riconosciuti in mancanza di allegazioni fattuali da cui desumersi la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza (cfr. Sez. 3, n. 17214 del 14/03/2023, Rv. 284554 – 01), allegazione neppure fornita con il ricorso per cassazione.
5. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile.
Argomenta il ricorrente l’assenza del dolo specifico in quanto mera “testa di legno”.
La censura è priva di confronto specifico con le ragioni della decisione. L’imputato è stato ritenuto responsabile in quanto legale rappresentante della società, e, dunque, amministratore della stessa e soggetto tenuto all’obbligo dichiarativo, in assenza di adeguata dimostrazione del mero ruolo di testa di legno (cfr pag. 4), sicché la censura, che ripropone senza sostanziale critica l’assenza di dolo, sul presupposto dell’essere una mera testa di legno, si confronta con la decisione che aveva già rilevato l’assenza di dimostrazione di tale qualità, è inammissibile per genericità.
6. Il terzo motivo di ricorso non è manifestamente infondato, situazione che comporta il rilievo della prescrizione maturata nelle more del giudizio di legittimità.
Il ricorrente argomenta la prescrizione del reato commesso il 30/09/2024, ritenendo il termine ultimo di presentazione della dichiarazione al 30/09/2014 e non, come sostenuto nella sentenza impugnata, al 27/12/2014, ovvero decorsi novanta giorni come indicato dal comma 2 dell’art. 5 d.lgs n. 74 del 2000 secondo cui non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine. A tale riguardo richiama l’ordinanza n. 25421 del 7 maggio 2021, Maltese, di Questa Corte, secondo cui il termine di cui al comma 2 dell’art. 5 decreto legislativo 74 del 2000 non costituisce uno slittamento del termine di prescrizione della dichiarazione, che rimane quello previsto dalla legge ordinariamente, ma introduce una causa di non punibilità per l’ipotesi nelle quali il contribuente presenti la dichiarazione tardivamente ma entro il termine di cui al citato comma due.
Con orientamento risalente e mai smentito, tuttavia, questa Corte di legittimità ha affermato che il momento consumativo del delitto di omessa presentazione della dichiarazione, di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, va fissato alla scadenza del termine dilatorio di novanta giorni concesso al contribuente, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del medesimo decreto, per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario (Sez. 3, n. 19196 del 24/02/2017, Pollastrelli, Rv. 269635 – 01; Sez. 3, n. 36387 del 12/06/2019, Litardi, Rv. 276884 – 01).
Con la pronuncia n. 18196 del 2017, si è, anche, chiarito che il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario-, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione e non ha assolto a tale obbligo entro il successi 90 giorni.
In altri termini, ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e Ibis e 2 dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, la tipicità dell’emissione prende corpo solo allo scadere dell’ulteriore termine dei novanta giorni successivi all’originario termine tributario (Sez. 3, n. 36387 del 12/06/2019, Litardi, Rv. 276884 – 01).
La non manifesta infondatezza del motivo di ricorso desumibile dal raffronto tra loro delle suddette pronunce, comporta il rilievo della prescrizione maturata nelle more del giudizio di legittimità al 21 febbraio 2025.
La sentenza va pertanto annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
Cass. pen., III, ud. dep. 28.08.2025, n. 29870