Stranieri – Settore agricolo, conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso per lavoro subordinato ai sensi dell’art. 24, comma 10, del D. Lgs. n. 286/1998, carenza del requisito di almeno 13 giorni mensili e diniego della Prefettura

Stranieri – Settore agricolo, conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso per lavoro subordinato ai sensi dell’art. 24, comma 10, del D. Lgs. n. 286/1998, carenza del requisito di almeno 13 giorni mensili e diniego della Prefettura

1.- Il Comune sostiene che l’atto lesivo per il ricorrente sarebbe costituito dalla nota comunale del 6.3.2023 che ha quantificato la quota di retta a carico del ricorrente per il 2023, mentre la successiva nota comunale del 26.5.2023 costituirebbe una conferma mera della nota precedente. Da questo discenderebbe, secondo il Comune, che il ricorso principale, essendo stato notificato il 25.7.2023, sarebbe tardivo per l’impugnazione della prima nota, e inammissibile per carenza di interesse per l’impugnazione della nota successiva.

1.1.- Queste eccezioni sono infondate, perché la nota del 26.5.2023 costituisce indubbiamente una conferma propria, e non una conferma mera, della precedente nota del 6.3.2023, in quanto contiene una motivazione molto più ampia e articolata, e fa seguito a un’ulteriore attività istruttoria sfociata nell’elaborazione del progetto individuale.

2.- Il primo ricorso per motivi aggiunti (articolato in due motivi, indicati con i numeri romani III e IV) è improcedibile per sopravventa carenza di interesse, come eccepito dal Comune nella memoria depositata il 6.9.2024, in quanto la nota comunale dell’11.3.2024, che ha quantificato la quota di retta a carico del ricorrente per il 2024, è stata superata dalla nuova nota comunale del 25.7.2024, che ha rideterminato quella quota per il medesimo anno il base al nuovo ISEE presentato dal ricorrente.

3.- In sostanza sono da esaminare nel merito il ricorso principale (articolato in due motivi, indicati con i numeri romani I e II), che riguarda il regolamento comunale e la quota del costo del servizio della RSD posta a carico del ricorrente per il 2023, e il secondo ricorso per motivi aggiunti (articolato in due motivi, indicati con i numeri romani V e VI), che riguarda la quota a carico del ricorrente per il 2024.

4.- Col primo motivo il ricorrente lamenta che il Comune di Lumezzane gli abbia imposto, per il 2023, di partecipare al costo del servizio nella misura di euro 19.257,40 annui, eccedente la sua capacità economica determinata dall’ISEE, che era pari a euro 13.228,04, il che contrasterebbe con le finalità del D.P.C.M. 159/2013 sull’ISEE. Il ricorrente sostiene che il sistema di interpolazione lineare con il quale il Comune ha calcolato la sua quota di compartecipazione al costo, sebbene formalmente declinato sull’ISEE, nella sostanza non ha alcun rapporto con esso, in quanto perviene a una richiesta di contribuzione del tutto disancorata rispetto alla ricchezza evidenziata con tale strumento.

La sproporzione tra la compartecipazione pretesa nei confronti del ricorrente e la capacità contributiva del medesimo sarebbe inoltre discriminatoria, e contrasterebbe con gli artt. 3, 38 e 53 Cost. anche sotto il profilo della mancanza di proporzionalità.

5.- Il quinto motivo (aggiunto) ricalca il primo motivo. Con esso il ricorrente sostiene che, con il nuovo provvedimento di determinazione della quota di retta a suo carico per il 2024, si sia addirittura aggravata la discordanza tra la sua capacità economica determinata dall’ISEE e la quota di compartecipazione che il Comune gli ha chiesto di sostenere: infatti il Comune, a fronte di un ISEE sociosanitario di euro 14.941,46 annui, gli ha chiesto per il 2024 una compartecipazione di euro 59,98 giornalieri, corrispondenti a euro 21.952,68 annui.

6.- Entrambi i motivi sono fondati.

6.1.- La legge n. 328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”) prevede, da un lato, che “Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica” (art. 6, comma 4) e, dall’altro lato, che “Ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130” (art. 25).

Il d.lgs. 109/1998 richiamato dall’ultima disposizione citata è stato abrogato dal combinato disposto degli artt. 5 d.l. 201/2011, convertito con modificazioni dalla l. 214/2011 (“Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie”), e 15 D.P.C.M. 159/2013 (recante il “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”). Pertanto, il richiamo ai criteri per la verifica della condizione economica del richiedente la prestazione assistenziale, contenuto nel sopra citato art. 25 l. 328/2000, deve ora intendersi riferito alla nuova disciplina prevista dal D.P.C.M. 159/2013.

In particolare, l’art. 2, comma 1, D.P.C.M. 159/2013 prevede che “L’ISEE è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate. La determinazione e l’applicazione dell’indicatore ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, fatte salve le competenze regionali in materia di normazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie e ferme restando le prerogative dei comuni. In relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari. È comunque fatta salva la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE”.

A livello regionale, l’art. 8 l.r. 3/2008, ai commi 1 e 2, prevede che “1. L’accesso alla rete delle unità d’offerta sociosanitarie prevede la compartecipazione al costo delle prestazioni, per la parte non a carico del fondo sanitario regionale, nel rispetto della disciplina statale inerente i livelli essenziali di assistenza, secondo modalità e criteri stabiliti dalla Giunta regionale. 2. L’accesso agevolato alle prestazioni sociosanitarie e sociali e il relativo livello di compartecipazione al costo delle medesime è stabilito dai comuni nel rispetto della disciplina statale sull’indicatore della situazione economica equivalente e dei criteri ulteriori, che tengano conto del bisogno assistenziale, stabiliti con deliberazione della Giunta regionale”.

6.2.- Sulla base del sopra decritto quadro normativo, la giurisprudenza ha più volte affermato che non può essere riconosciuto ai Comuni il potere di derogare alla disciplina statale sull’ISEE dettata con D.P.C.M. 5.12.2013 (Cons. Stato, sez. III, 10.12.2020, n. 7850; 27.11.2018, n. 6708; 13.11.2018, n. 6371); dunque “non sono ammessi altri sistemi di calcolo delle disponibilità economiche degli utenti che chiedono prestazioni di tipo assistenziale o comunque rientranti nell’ambito della disciplina dell’ISEE” e “Non è quindi consentito all’Amministrazione Comunale introdurre un sistema che, surrettiziamente, ponga nel nulla i principi che regolano la materia” (Cons. Stato, sez. III, 2.3.2020, n. 1505, poi richiamata da Cons. Stato, sez. III, 24.3.2023, n. 3072).

6.3.- Alla luce di tali principi, il capitolo 2, paragrafo a, del regolamento del Comune di Lumezzane (riportato sopra nel paragrafo 2 dell’esposizione dei fatti) è illegittimo nella parte in cui prevede, ai fini della determinazione della quota di compartecipazione a carico dell’interessato, una percentuale minima di compartecipazione, che prescinde totalmente dall’ISEE, sicché anche un soggetto con ISEE pari a zero o molto basso dovrebbe sostenere un esborso per quella percentuale (fissata per le RSD, con la delibera di giunta del 2018, addirittura in misura pari al 37,5%).

La suddetta previsione impatta sfavorevolmente sulla posizione del ricorrente perché, applicando la formula prevista dal regolamento comunale, che appunto prevede una percentuale minima di compartecipazione a prescindere dall’ISEE, il ricorrente si è visto porre a carico, per il 2023 e per il 2024, un importo molto maggiore rispetto al proprio ISEE, e precisamente nel 2023 euro 19.257,40 a fronte di un ISEE di euro 13.228,04, e nel 2024 euro 21.952,68 a fronte di un ISEE di euro 14.941,46.

La formula prevista dal regolamento comunale deve pertanto essere rivista in modo che agli interessati non sia imposta una compartecipazione al costo maggiore rispetto al proprio ISEE.

Per sostenere la legittimità della suddetta previsione regolamentare, ATS Brescia ha citato TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 18.8.2017, n. 1057, la quale ha ritenuto legittima una richiesta di contribuzione pari al 20% del costo del servizio, pur a fronte di un reddito nullo o estremamente basso; ma ATS Brescia non ha considerato che tale sentenza è stata riformata da Cons. Stato, sez. III, 27.11.2018, n. 6708, citata sopra nel paragrafo 6.2.

6.4.- Dall’illegittimità in parte qua del regolamento discende anche quella delle delibere della Giunta comunale n. 158 del 13.9.2016 e n. 233 del 27.12.2018, nella parte in cui fissano le percentuali minime e gli ISEE minimi per il calcolo della quota di compartecipazione a carico dell’interessato secondo l’illegittima formula adottata con il regolamento.

6.5.- Sono conseguentemente illegittime in via derivata, perché hanno fatto applicazione del regolamento comunale e della delibera di Giunta del 2018, le note comunali del 6.3.2023 e del 26.5.2023, che hanno determinato la quota di compartecipazione a carico del ricorrente per l’anno 2023, e la nota comunale del 25.7.2024, che ha determinato la quota di compartecipazione a carico del ricorrente per l’anno 2024.

6.6.- Il Comune è pertanto tenuto a rideterminarsi sulla fissazione della quota della propria compartecipazione al servizio concretamente erogato dalla RSD “Firmo Tomaso” di Villa Carcina (BS) in favore del ricorrente, determinando tale quota per il 2023 e per il 2024 in modo che il costo del servizio non resti a carico del ricorrente per un importo eccedente il suo ISEE di quegli anni.

7.- Col secondo motivo del ricorso principale il ricorrente sostiene che, siccome l’art. 14 l. 328/2000 sulla predisposizione del progetto individualizzato da parte dei Comuni prevede che tale progetto comprenda anche “le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale”, il Comune di Lumezzane avrebbe dovuto valutare se la quota sanitaria riconosciuta dalla Regione fosse rispettosa della percentuale definita dai DD.P.C.M. 14.2.2001 (“Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie”), 29.11.2001 e 12.1.2017 (entrambi sui livelli essenziali di assistenza, “LEA”) quale livello essenziale di assistenza sanitaria.

Il ricorrente evidenzia infatti che la prestazione di cui fruisce è un servizio sociosanitario integrato ai sensi dell’art. 3 septies d.lgs. 502/1992 e dell’art. 3, comma 2, D.P.C.M. 14.2.2001, incluso tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria definiti dall’all. 1 C del D.P.C.M. 29.11.2001 e dall’art. 54 l. 289/2002, e aggiornati dal D.P.C.M. 12.1.2017.

Nel caso specifico, a fronte di una retta di euro 202,10 per il 2023, la quota sanitaria a carico del servizio sanitario regionale (“SSR”) è di euro 128,60, pari al 63,63% del totale, anziché al 70% (come previsto dall’allegato al D.P.C.M. 14.2.2001, nonché dall’art. 34 del D.P.C.M. 12.1.2017), con conseguente indebito rovesciamento sulla componente socioassistenziale del 6,37%, pari a euro 12,87 giornalieri ed euro 4.697,55 annui.

8.- Col sesto motivo (aggiunto) il ricorrente si duole del fatto che, anche per il 2024, nella definizione della propria compartecipazione al costo, il Comune abbia omesso di verificare il corretto riparto tra oneri sanitari e assistenziali, e che l’intervento del SSR risulta ulteriormente ridotto e pari al 62,85% dell’intero ammontare della retta (quest’ultimo aumentato a euro 204,60 al giorno), con conseguente indebito rovesciamento sulla componente socioassistenziale di oltre euro 5.000,00 annui.

Tuttavia, mentre col secondo motivo del ricorso principale il ricorrente aveva sostenuto che la quota a carico del SSR fosse del 70%, col motivo aggiunto qui in esame egli sostiene in principalità, addirittura, che il SSR dovrebbe farsi carico interamente della retta, e solo in subordine che dovrebbe farsene carico al 70%.

Il ricorrente richiama le tre categorie previste dall’art. 3 septies, commi 2 e 4, d.lgs. 502/1992 sul riordino della disciplina in materia sanitaria, e dall’art. 3 del D.P.C.M. 14.2.2021, recante “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie”, ossia le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria e le prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria. Egli sostiene che il servizio di RSD, istituito con deliberazione della Giunta regionale lombarda del 7.4.2003, n. VII/12620, rientrerebbe nella terza categoria, e pertanto la retta dovrebbe essere pagata dal SSR al 100%, ai sensi della tabella allegata al D.P.C.M. 14.2.2001, area Disabili, punto 1, e dell’art. 34 D.P.C.M. 12.1.2017, comma 1, lett. a-b; in alternativa, la retta dovrebbe essere pagata dal SSR al 70%, ai sensi della tabella allegata al D.P.C.M. 14.2.2001, area Disabili, punto 2, e dell’art. 34 D.P.C.M. 12.1.2017, comma 1, lett. c, n. 1: comunque la percentuale a carico del SSR sarebbe superiore al 62,85% del quale, nel suo caso, si fa carico l’ATS Brescia.

9.- Anche questi motivi sono fondati, nei termini e nei limiti di seguito precisati.

9.1.- Secondo giurisprudenza consolidata, a far data dalla domanda dell’interessato diretta a ottenere l’intervento economico del Comune, tale ente, in base all’importo della retta, deve:

a) considerare l’ammontare della quota di spettanza del SSR, assumendone a proprio carico, in via provvisoria, i relativi importi, salva azione di rimborso nei confronti della Regione;

b) ricalcolare sulla quota residua, e al netto di ulteriori contribuzioni, l’importo eventualmente da addebitare all’interessato in base all’ISEE, dovendo, per il resto, farsi carico dei relativi oneri (Cons. Stato, sez. III, 10.6.2021, n. 4481 e 12.8.2019 n. 5684, entrambe in sede di ottemperanza, nonché 14.3.2018 n. 1623).

9.2.- Occorre dunque chiedersi quale sia la quota di retta di cui debba farsi carico il SSR.

9.2.1.- Il d.lgs. 502/1992 di riordino della disciplina in materia sanitaria, all’art. 3 septies sull’integrazione socio-sanitaria, definisce le “prestazioni socio-sanitarie” come“tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione” (comma 1).

La macro categoria delle prestazioni socio-sanitarie è divisa al suo interno in tre sottocategorie:

– le “prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite” (comma 2, lett. a);

– le “prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute” (comma 2, lett. b);

– le “prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria”, le quali“sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative” (comma 4); tali prestazioni sono comprese nei livelli essenziali di assistenza (comma 5).

L’art. 3 septies cit., al comma 3, demanda all’atto di indirizzo e coordinamento, adottato ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. n, legge 419/1998 (legge delega cui ha fatto seguito il d.lgs. 229/1999, che riformato il servizio sanitario nazionale novellando il d.lgs. 502/1992), di individuare, sulla base dei princìpi e criteri direttivi fissati dallo stesso art. 3 septies, le prestazioni da ricondurre alle tre tipologie sopra elencate, e di precisare altresì “i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie locali e ai comuni.

9.2.2.- L’atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie è stato emanato con D.P.C.M. 14.2.2001, il quale all’art. 3 individua le prestazioni da ricondurre alle tre tipologie sopra elencate, e all’art. 4 demanda alle regioni di determinare i criteri di finanziamento di tali prestazioni, tenendo conto dell’allegato, il quale prevede criteri di finanziamento diversi a seconda dell’area di intervento (materno infantile; disabili; anziani e persone non autosufficienti con patologie cronico-degenerative; dipendenza da droga, alcool e farmaci; patologie psichiatriche; patologie per infezioni da HIV; pazienti terminali) e del tipo di prestazione.

Per l’area disabili, il suddetto allegato distingue tra:

1) “Assistenza ai disabili attraverso interventi diretti al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e tramite prestazioni domiciliari, ambulatoriali, semiresidenziali e residenziali e assistenza protesica”, per i quali è previsto che sia al “100% a carico del SSN l’assistenza in fase intensiva e le prestazioni ad elevata integrazione nella fase estensiva e nei casi di responsività minimale”; la definizione di prestazioni ad elevata integrazione (sanitaria) è contenuta nell’art. 3, comma 3, ove si stabilisce che sono tali “tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative. Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall’inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell’ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell’impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell’assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell’assistenza. (…) Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungoassistenza”;

2) “Tutela del disabile attraverso prestazioni di riabilitazione, educative e di socializzazione, di facilitazione dell’inserimento scolastico e lavorativo, in regime domiciliare, semiresidenziale e residenziale nella fase di lungo assistenza, compresi gli interventi e servizi di sollievo alla famiglia”, per le quali, per quanto qui rileva, è previsto che siano:

– “70% a carico del SSN e 30% a carico dei Comuni, fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale, l’assistenza in strutture semiresidenziali e residenziali per disabili gravi, in strutture accreditate sulla base di standard regionali”;

– “40% a carico del SSN e 60% a carico dei Comuni, fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale, l’assistenza ai disabili gravi privi del sostegno familiare, nei servizi di residenza permanente”.

9.2.3.- Viene altresì in rilievo il D.P.C.M. 12.1.2017, recante la definizione e l’aggiornamento dei LEA, e segnatamente l’art. 34, che riguarda la “Assistenza sociosanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con disabilità”. Tale disposizione distingue i trattamenti riabilitativi erogati nell’ambito delle residenze per disabili.

Se si tratta di “trattamenti di riabilitazione intensiva rivolti a persone non autosufficienti in condizioni di stabilità clinica con disabilità importanti e complesse, modificabili” (comma 1, lett. a), o di “trattamenti di riabilitazione estensiva rivolti a persone disabili non autosufficienti con potenzialità di recupero funzionale” (comma 1, lett. b), essi sono a totale carico del servizio sanitario.

Se invece si tratta di “trattamenti socio-riabilitativi di recupero e mantenimento delle abilità funzionali residue, erogati congiuntamente a prestazioni assistenziali e tutelari di diversa intensità a persone non autosufficienti con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali stabilizzate”, occorre distinguere: per i “disabili in condizioni di gravità che richiedono elevato impegno assistenziale e tutelare” (comma 1, lett. c, n. 1), è a carico del servizio sanitario il 70% della tariffa giornaliera; per i “disabili che richiedono moderato impegno assistenziale e tutelare” (comma 1, lett. c, n. 2), è a carico del servizio sanitario il 40% della tariffa giornaliera.

9.3.- Nel caso in esame, effettivamente non risulta che sia stata compiuta dal Comune un’istruttoria, in contraddittorio con l’ATS, con il ricorrente e con il gestore della RSD, per accertare, in punto di fatto, quali siano i trattamenti ai quali il ricorrente è concretamente sottoposto nella RSD in cui è inserito, per poi stabilire, sulla base di ciò, in quale delle previsioni normative sopra richiamate rientrino le prestazioni erogate al ricorrente, e quale sia conseguentemente la quota di spesa della quale deve farsi carico il SSR.

Il Comune è tenuto pertanto a rideterminarsi sull’istanza del ricorrente di compartecipazione al costo della retta, individuando, a seguito dell’istruttoria sopra delineata, la quota a carico del SSR.

Va tuttavia precisato che, per il 2023, tale quota non può comunque essere superiore al 70% della retta, nemmeno qualora si versasse nell’ipotesi in cui l’intero onere dovrebbe essere a carico del SSR, e ciò per ragioni di decadenza processuale: infatti con il ricorso principale, con il quale è stata impugnata la determinazione del Comune sulla quota a carico del ricorrente per il 2023, il ricorrente ha censurato il provvedimento comunale per non avere accertato che la quota a carico del SSR sarebbe stata del 70%, e non del 100%.

9.4.- Non ha fondamento la tesi di ATS secondo la quale le percentuali di spesa a carico del SSR stabilite dall’allegato al D.P.C.M. 14.2.2001 sarebbero percentuali massime, sicché la contribuzione del SSR potrebbe anche essere inferiore. Le suddette percentuali infatti non sono massime, ma fisse: la ripartizione tra Regione e Comune disposta dalla disciplina statale, infatti, “rappresenta una forfettizzazione dell’incidenza rispettiva della componente sanitaria (a rilevanza sociale) e di quella sociale (a rilevanza sanitaria), in un trattamento assistenziale nel quale … l’intreccio è particolarmente rilevante. Tale ripartizione riposa su una presunzione normativa di quello che è, o dovrebbe essere, mediamente, il rapporto tra i costi dell’una e dell’altra componente, e prescinde necessariamente dalla considerazione delle situazioni dei singoli assistiti, e tanto meno può essere affidata alla determinazione di ciascun soggetto erogatore” (Cons. Stato, sez. III, 14.3.2018, n. 1623).

10.- In conclusione, il ricorso principale e il secondo ricorso per motivi aggiunti sono fondati, nei sensi e nei limiti sopra precisati, e pertanto il Comune di Lumezzane è tenuto a rideterminare la propria quota di compartecipazione al costo della retta della RSD in cui è inserito il ricorrente, per gli anni 2023 e 2024, entro centoventi giorni dalla comunicazione della presente sentenza, o dalla notificazione se anteriore, conformandosi alle seguenti prescrizioni:

a) il Comune, compiendo l’istruttoria sopra delineata, dovrà accertare la quota della retta che deve essere sostenuta dal SSR e, se il SSR ha corrisposto per gli anni 2023 e 2024 un importo inferiore rispetto al dovuto, il Comune dovrà anticipare la relativa somma, salvo regresso verso ATS Brescia e la Regione;

b) sulla componente della retta che non è a carico del SSR, il Comune dovrà ristabilire la quota a carico del ricorrente, che per ciascun anno non potrà essere superiore al relativo ISEE.

11.- Il Comune di Lumezzane e ATS Brescia, in quanto soccombenti, sono tenuti in solido a rifondere al ricorrente le spese di lite, liquidate nel dispositivo.

TAR LOMBARDIA – BRESCIA, I – ordinanza 06.09.2025 n. 337

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