*Stranieri – Decreto penale di condanna per guida sotto l’influenza di alcool e diniego alla concessione della cittadinanza

*Stranieri – Decreto penale di condanna per guida sotto l’influenza di alcool e diniego alla concessione della cittadinanza

1.– Oggetto del presente appello è la sentenza del Tar Lazio – Roma n. 4259/2023 che ha respinto il ricorso promosso dall’odierno appellante, cittadino albanese, avverso il diniego di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 comma 1, lettera f), della l. 5 febbraio 1992, n. 91.

L’appellante riferisce:

-di aver fatto ingresso in Italia il 30 agosto 2002 con visto per studio, tramutato dapprima in permesso di soggiorno per motivi di studio e poi in carta di soggiorno di lungo periodo;

– di aver qui conseguito la laurea in medicina nel 2009 e, nel 2015, la specializzazione in Radiologia diagnostica;

-di essere attualmente titolare di contratto a tempo indeterminato con una Asl e di svolgere attività libero professionale e insegnare ai corsi di infermieristica nonché di essere inserito in diverse associazioni professionali e di svolgere attività di volontariato.

Nel luglio 2016 è stato, tuttavia, attinto da decreto penale di condanna per il reato di cui all’art. 186, comma 2, D.L. n. 285/1992 (guida sotto l’influenza di alcool), estinto in data 23.3.2018 dopo venti ore di servizio sociale e il pagamento dell’ammenda; in data 10 giugno 2021 ha altresì ottenuto la riabilitazione (sia pure dopo il provvedimento impugnato).

Il rigetto gravato si fonda –dichiaratamente- sul “comportamento” tenuto dall’interessato (non già sulla condanna in sé), che escluderebbe la condivisione dei valori ritenuti fondamentali per la comunità.

Non si è costituito in giudizio il Ministero intimato e all’udienza del 6 maggio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. – L’appello merita accoglimento.

2.1.- Preliminarmente giova richiamare lo stato della giurisprudenza, come di recente sintetizzata da questa Sezione, per la quale l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’amministrazione, secondo quanto si ricava dalla norma attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992, ai sensi della quale la cittadinanza “può” essere concessa. Tale discrezionalità si esplica in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitates è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti (consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo) ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni di ordine politico-amministrativo; si tratta di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. sentenza di questa Sezione n.1835 del 4/3/2025; in termini, stessa Sezione 2/5/2022, n. 3409 e 8/10/2021, n.6720).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale. L’Amministrazione preposta ha, dunque, il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile; e la concessione della cittadinanza rappresenta il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In estrema sintesi, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire -solo- sulla scorta di un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr. da ultimo, ancora questa Sezione, 27/05/2025, n.4598).

2.2.- Ebbene, passando a valutare la vicenda amministrativa controversa alla stregua delle coordinate giurisprudenziali evidenziate, emergono il travisamento dei fatti, la carenza istruttoria e il vizio di motivazione denunziati dall’appellante; oltre alla violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità pure invocati.

L’Amministrazione si è limitata a considerare in astratto la condotta ascritta al ricorrente, senza valutarne in concreto la scarsa gravità anche in considerazione del fatto che si è trattato di un’unica condotta rimproverabile in quasi 20 anni di permanenza sul territorio nazionale; ciò anche a prescindere dall’epilogo della vicenda penale, comunque conclusasi con l’estinzione del reato prima (nel maggio 2018) e con la riabilitazione poi (nel giugno 2021). Un unico episodio di modesta entità a fronte di un suo pieno inserimento nel contesto lavorativo e sociale, che dimostra –di contro- l’elevato grado di integrazione raggiunto sotto il profilo della condivisione dei valori ritenuti fondamentali per la comunità.

Il giudizio prognostico negativo dell’Amministrazione, ritenuto legittimo dal giudice di prime cure, espresso sulla base della considerazione di un –unico- comportamento quale “indice sintomatico di inaffidabilità” e indicatore del “mancato idoneo inserimento nella comunità nazionale”, appare dunque irragionevole, traducendosi in un giudizio di disvalore della condotta stessa in contrasto con il principio proporzionalità.

3.- L’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accolto il ricorso e annullato il provvedimento impugnato.

Le spese di lite possono essere compensate in considerazione della natura della questione controversa.

CONSIGLIO DI STATO, III – sentenza 06.08.2025 n. 6947 

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