Sport – Natura amministrativa della DASPO, obbligo di motivazione della P.A. nell’adozione della misura preventiva mediante ricorso alla discrezionalità tecnica e necessario bilanciamento tra il principio di ragionevolezza e proporzionalità nella definizione della durata della misura

Sport – Natura amministrativa della DASPO, obbligo di motivazione della P.A. nell’adozione della misura preventiva mediante ricorso alla discrezionalità tecnica e necessario bilanciamento tra il principio di ragionevolezza e proporzionalità nella definizione della durata della misura

A) Con ricorso ritualmente proposto, -OMISSIS- ha impugnato, al fine dell’annullamento, il decreto del Questore di Trapani prot. n.-OMISSIS- del 23 settembre 2023, notificato il 26 settembre 2023, con cui gli è stato vietato, per tre anni, l’accesso a tutti gli stadi e impianti sportivi del territorio nazionale in occasione di tutti gli incontri di calcio, campionati nazionali, Coppa Italia, Europa League, Champions League e partite della Nazionale.

Il DASPO ex art. 6, legge 13 dicembre 1989, n. 401, trae origine da fatti verificatisi il 9 settembre 2023 presso lo stadio “G. Matranga” di Castellammare del Golfo durante la partita “Castellammare Calcio 94 – U.S. Mazara”.

Secondo la Questura di Trapani il ricorrente avrebbe tenuto una condotta che ha determinato una reale turbativa dell’ordine e sicurezza pubblica e criticità gestionali nel settore tribuna, poiché ha invaso il terreno di gioco e, dopo aver inveito contro un calciatore avversario, lo ha colpito alla fronte; veniva pertanto deferito all’A.G. ai sensi dell’art. 6-bis della l. n.401/1989.

Sono dedotti i motivi di:

1) Violazione/falsa applicazione dell’art. 6 l. 401/1989; eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.

La misura ai sensi di cui all’artt. 6 e 6-bis della legge 13 dicembre 1989, n. 401, ha natura preventiva ed è affidata all’ampia discrezionalità dell’autorità di P.S., che deve essere esercitata a valle di una completa istruttoria e adeguata motivazione secondo il canone del “più probabile che non”.

Ciò premesso è contestata l’attribuzione dei fatti e la ricostruzione dell’episodio: si deduce che il ricorrente non sarebbe stato presente allo stadio, che è mancato un formale atto di identificazione personale stante che il mero riconoscimento ex post quale “soggetto noto all’ufficio” sarebbe inidoneo a fondare il DASPO.

Inoltre, si evidenzia che nel referto dell’arbitro alla voce “pubblico ed incidenti” nulla è stato segnalato e che nella relazione di servizio del giorno della gara non sono state riportate criticità sugli spalti; la stessa comunicazione di notizia di reato riferisce che la presenza delle tifoserie “non ha dato adito a problematiche di sorta” e ciò escluderebbe l’asserita turbativa dell’ordine pubblico;

2) Eccesso di potere per difetto di motivazione, violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

Si deduce la sproporzione del divieto triennale applicato senza adeguata motivazione sul punto, in violazione del principio di gradualità e del canone di proporzionalità dell’azione amministrativa, specie a fronte di un soggetto non recidivo.

Si sono costituite le Amministrazioni resistenti, depositando memoria in data 21 luglio 2025 con la quale hanno chiesto il rigetto del ricorso, controdeducendo che il DASPO ex art. 6 della l. n. 401/1989 è misura amministrativa, preventiva e autonoma rispetto al giudizio penale, adottabile sulla base di elementi fattuali gravi, precisi e concordanti secondo uno standard probabilistico proprio dell’azione di P.S.; in tale prospettiva, la comunicazione di notizia di reato e i rilievi della p.g. costituirebbero base probatoria sufficiente. Hanno contestato le censure sull’identificazione dell’autore, evidenziando che il ricorrente è stato riconosciuto dagli operanti in quanto soggetto “noto all’ufficio” (consigliere comunale), sicché il riconoscimento avrebbe elevata attendibilità;

Quanto all’asserita assenza di turbativa, sono richiamati la c.n.r., il referto arbitrale (che menziona l’invasione al 46’ s.t. e il colpo alla fronte a un calciatore) e la relazione di servizio, che darebbero conto di serie criticità nella gestione dell’ordine pubblico.

Quanto alla durata triennale, sarebbe proporzionata e giustificata dalla gravità complessiva della condotta (invasione di campo culminata in atto violento).

All’udienza pubblica del 23 settembre 2025, il ricorso è stato posto in decisione.

B) In via preliminare, va dichiarata la parziale improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse per la parte già eseguita del DASPO la cui efficacia terminerà il 26 settembre 2026.

I motivi che investono, in via generale, la legittimità dell’an della misura sono infondati.

Va rammentato che il DASPO ha natura amministrativa, preventiva e cautelare e si fonda su un giudizio prognostico circa l’affidabilità del destinatario e la necessità di prevenire condotte idonee a turbare l’ordine e la sicurezza pubblica: la relativa valutazione, che spetta all’Autorità di P.S., deve essere sorretta da istruttoria completa e motivazione congrua, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità.

In linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato, ai fini dell’adozione del DASPO ex art. 6 della l. n. 401/1989 è sufficiente un compendio di elementi oggettivi, coerenti e convergenti (verbali e rilievi della p.g., documentazione coeva, referti ufficiali) idonei a sostenere un giudizio prognostico di probabilità qualificata circa il rischio di reiterazione/turbativa, non occorrendo una previa condanna, né lo standard probatorio penalistico.

In tal senso, è affermata la sufficienza dell’accertamento di p.s., ove puntuale e logicamente argomentato, per fondare la misura in via amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 7487/2023; id. n. 317/2021, in tema di rilievi video/fotografici e riscontri di p.g.).

Nel caso di specie, le censure sulla mancata identificazione “formale” non scalfiscono la tenuta del provvedimento.

Dalla comunicazione di notizia di reato e dagli atti coevi emerge che il ricorrente è stato riconosciuto dai funzionari di P.S. quale soggetto “noto all’ufficio”, con indicazioni precise di luogo, tempo e condotta e pertanto tale accertamento supera lo scrutinio di ragionevolezza richiesto in sede amministrativa.

Il richiamo giurisprudenziale di parte ricorrente su casi di riconoscimento fotogrammetrico in contesti di DASPO di gruppo non è sovrapponibile al caso odierno, connotato invece da riscontri individualizzati e coerenti.

Ne discende l’infondatezza delle censure per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria sul punto.

Non può parimenti condividersi l’assunto secondo cui gli atti coevi escluderebbero l’allarme per l’ordine e la sicurezza pubblica.

La c.n.r., la relazione di servizio e il referto arbitrale – che menziona espressamente l’invasione di campo e l’atto violento – integrano un quadro convergente di criticità gestionali e di rischio concreto per l’ordine pubblico.

In applicazione del principio di libero convincimento e del canone di coerenza complessiva degli indizi, il materiale istruttorio appare sufficiente a giustificare l’adozione della misura preventiva applicata.

Una volta accertati i presupposti fattuali – invasione del terreno di gioco e condotta aggressiva – la scelta di attivare il presidio preventivo rientra nella discrezionalità tecnica dell’Autorità di p.s., sindacabile nei soli limiti della manifesta illogicità o del difetto di istruttoria, limiti che nel caso non risultano superati (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 7487/2023).

È altresì infondata la doglianza relativa all’omissione della comunicazione di avvio.

In materia di DASPO, ferma restando la piena sindacabilità della completezza istruttoria e della proporzionalità della misura, le esigenze di celerità e la finalità spiccatamente preventiva consentono – in presenza di adeguata motivazione nell’atto finale – di non procedere alla comunicazione di avvio del procedimento e, nel caso concreto, l’Amministrazione ha dato conto delle ragioni di urgenza e della cornice fattuale.

Sul punto, va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale, anche di questa sezione e condiviso nel caso di specie, secondo cui “Il D.A.SPO. non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, stante le esigenze di celerità intrinseche alla stessa natura preventiva del provvedimento, finalizzate ad evitare ulteriori probabili turbative per l’ordine e la sicurezza pubblica, trattandosi per l’appunto di misura connotata dalla necessità e dall’urgenza di porre rimedio al succedersi delle manifestazioni sportive calendarizzate e all’esigenza di garantire l’ordine pubblico” (v. tra le tante: T.A.R. Sicilia – Palermo, IV, 16 giugno 2025, n. 1323; Cons. Stato, III, 29 novembre 2021, n. 7945; 29 settembre 2022, n. 8381; C.G.A. 3 giugno 2020, n. 392; T.A.R Sicilia, Catania, I, 24 gennaio 2024, n. 339;T.A.R. Emilia-Romagna – Bologna, I, 23 marzo 2016, n. 343).

Il motivo centrato sulla durata è invece fondato nei termini che seguono.

L’art. 6 della l. n. 401/1989 prevede un arco edittale di durata della misura, con un minimo legale e una possibile estensione fino al massimo in presenza di circostanze che giustifichino un maggiore disvalore della condotta (gravità del fatto, eventuale recidiva o precedenti specifici, ruolo attivo, pericolosità della condotta, contesto, ricadute sull’ordine pubblico, ecc.).

Ne discende che, ove la P.A. determini la durata oltre il minimo edittale, essa è tenuta a fornire una motivazione specifica e puntuale che dia conto degli elementi concreti valorizzati ai fini del superamento del minimo stesso e della calibrazione del quantum temporis prescelto.

Su tale specifico aspetto, il Collegio condivide anche riguardo al caso di specie, l’orientamento espresso in vicende analoghe da questo Tribunale secondo cui “(…) il comma 5° dell’art. 6 della l. n. 401/1989 stabilisce un intervallo di applicazione della sanzione da uno a cinque anni. Appare evidente che siffatta graduazione, ove superi il minimo, deve trovare un riscontro motivazionale” (T.A.R. Sicilia – Palermo, IV, 16 giugno 2025, n. 1323; id., IV, 13 giugno 2024, n. 1960; id.14 maggio 2024, n. 1621).

Nel caso di specie, il decreto impugnato quantifica in anni tre la durata del DASPO mediante un richiamo generico alla gravità dell’episodio, senza però esplicitare alcun percorso comparativo tra il minimo legale e la durata prescelta, né indicare fatti ulteriori (es. recidiva, pregressi specifici, particolari dinamiche di rischio, condotta successiva, concrete ricadute sull’ordine pubblico) idonei a giustificare lo scostamento dal minimo.

La motivazione sul punto si rivela, pertanto, meramente assertiva, non consentendo di comprendere le ragioni specifiche della scelta di una durata superiore al minimo e risultando, dunque, viziata per difetto di motivazione e violazione del principio di proporzionalità.

In applicazione del principio di conservazione degli atti e di economia dei mezzi processuali, l’illegittimità incide unicamente sulla determinazione della durata oltre il minimo di legge: l’atto va dunque annullato in parte qua limitatamente alla quantificazione eccedente il minimo edittale e per la parte temporale residua, restando ferma la misura nei limiti del minimo legale e salva l’adozione di un nuovo provvedimento con motivazione specifica e puntuale in sede di riesame.

Le spese di lite possono essere interamente compensate tra le parti, atteso il carattere prevenzionale del potere esercitato e l’accoglimento parziale del ricorso.

TAR SICILIA – PALERMO, IV – sentenza 03.11.2025 n. 2407

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