La società Bar -OMISSIS-, che esercita l’attività prevalente di bar e caffetteria con sede gestionale in -OMISSIS- (MB) alla via -OMISSIS- a far data dal 29 gennaio 2016, è destinataria del provvedimento interdittivo n. -OMISSIS-emesso in data 18 dicembre 2023 dal Prefetto della Provincia di Monza e della Brianza, ex art. 89-bis d.lvo n. 159/2011 (ovvero in luogo della comunicazione antimafia), a seguito della richiesta di comunicazione antimafia pervenuta, per il tramite della Banca Dati Nazionale Antimafia, dall’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli.
Il provvedimento interdittivo ricostruisce in primo luogo le vicende societarie pregresse, evidenziando che:
– nel maggio 2021 la signora -OMISSIS-, moglie di -OMISSIS-, ha ceduto le proprie quote al signor -OMISSIS–OMISSIS-, attuale amministratore unico, suo genero in quanto marito di -OMISSIS-, figlia della suddetta e di -OMISSIS-;
– nel gennaio 2016 era stato posto in essere un atto di cessione di ramo di azienda, avente ad oggetto il bar -OMISSIS-, dal signor -OMISSIS- alla signora -OMISSIS-, attraverso la costituzione della società Bar -OMISSIS-;
– nel luglio 2006 venne costituita la società Bar -OMISSIS-di -OMISSIS- S.a.s., sorella di -OMISSIS- e moglie di -OMISSIS–OMISSIS-: il Bar -OMISSIS-era inizialmente gestito da -OMISSIS-, accomandataria, supportata dal padre -OMISSIS-, dallo zio -OMISSIS- e dagli altri fratelli di questi ultimi;
– -OMISSIS-, nel novembre dello stesso anno, cedeva l’attività a -OMISSIS-, il quale in data 1° giugno 2007 stipulava un contratto di locazione finanziaria di costruzione commerciale, avente ad oggetto l’immobile ove è ubicata l’attività, con la Gestioni Immobiliari -OMISSIS-, il cui amministratore delegato è -OMISSIS- e nella cui compagine sociale figura il fratello -OMISSIS-.
Rileva altresì il provvedimento interdittivo che:
– dall’attività di osservazione svolta dalla Guardia di Finanza è emersa la costante presenza presso il Bar -OMISSIS-di -OMISSIS- e -OMISSIS-;
– -OMISSIS-, in passato deferito alla A.G. per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., risulta gravato da diversi precedenti di polizia e condanne per reati in materia edilizia, tributaria, fallimentare;
– -OMISSIS- risulta condannato in via definitiva, con sentenza del 23 aprile 2013, nell’ambito del processo scaturito dall’operazione di Polizia denominata “-OMISSIS-” per il reato di cui all’art. 416-bis c.p..
Il pericolo di condizionamento mafioso dell’attività svolta dalla società Bar -OMISSIS-viene quindi essenzialmente desunto dal Prefetto dal ruolo di mero prestanome affidato a -OMISSIS–OMISSIS-, senza che l’attuale situazione proprietaria dell’immobile in cui viene svolta l’attività (attualmente facente capo a -OMISSIS- e -OMISSIS–OMISSIS-, rispettivamente cognato e sorella di -OMISSIS–OMISSIS-, ai quali quest’ultimo corrisponde un canone di locazione) possa inficiare la prognosi di condizionamento, anche tenuto conto dell’aiuto economico che -OMISSIS- ha fornito in occasione della costituzione della società Bar -OMISSIS- e del carattere risalente del rapporto tra i -OMISSIS-e la famiglia -OMISSIS-.
Il Prefetto ravvisa quindi il disegno di ““spogliare” la famiglia -OMISSIS-da ogni collegamento formale con l’attività esercitata nel bar di -OMISSIS-, consentendole però al contempo di mantenere ed influenzarne la concreta gestione”.
Al provvedimento interdittivo faceva seguito l’ordinanza dirigenziale n. 10 del 12 gennaio 2024 del Comune di -OMISSIS- (MB), avente ad oggetto la declaratoria di inefficacia sopravvenuta della SCIA prot. n. 6280/2016 presentata dalla società Bar -OMISSIS-, con la conseguente inibitoria di esercitare l’attività e l’ordine di sospendere e temporaneamente cessare l’esercizio della stessa.
Mediante il ricorso introduttivo del giudizio, proposto dalla società Bar -OMISSIS- dinanzi al T.A.R. per la Lombardia al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento interdittivo e di quelli consequenziali, la parte ricorrente deduceva, in sintesi, che:
– -OMISSIS–OMISSIS-, suocero di -OMISSIS- -OMISSIS-, non è mai stato condannato per il reato p. e p. dall’art. 416-bis c.p., essendo stato prosciolto dalla relativa imputazione con sentenza di non doversi procedere ex art. 425 c.p.p. pronunciata dal G.U.P. di Reggio Calabria il 28 novembre 1996; inoltre, il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione, mediante il provvedimento del 20 marzo 1997 (R.G. M.P. 92/96 – Provv. 25/97), ha rigettato la proposta di misure di prevenzione personali e reali formulata a carico dello stesso;
– -OMISSIS–OMISSIS-risulta avere riportato una condanna per il reato p. e p. dall’art. 416-bis c.p. nel 2013, come indicato del provvedimento prefettizio e, quindi, in epoca ben anteriore alla costituzione della società ricorrente, con il conseguente difetto di attualità della prognosi di permeabilità mafiosa;
– nella memoria difensiva era stato precisato (e viene ribadito in questa sede) che -OMISSIS- -OMISSIS-frequenta raramente il suocero -OMISSIS- (solo quando lo stesso fa visita alle nipotine) e che, in tutta la sua vita, ha incontrato solo un paio di volte -OMISSIS–OMISSIS-, tanto che avrebbe persino difficoltà a riconoscerlo;
– sempre in allegato alla suddetta memoria difensiva, era stata prodotta una dichiarazione scritta di -OMISSIS–OMISSIS-da cui risultava che lo stesso aveva interrotto ogni rapporto con il fratello -OMISSIS-, sin dall’epoca in cui quest’ultimo era stato attinto dall’operazione di polizia giudiziaria denominata “-OMISSIS-”;
– l’informazione interdittiva antimafia può essere assunta, in virtù dei rapporti di parentela, ma solo ed esclusivamente quando tali rapporti, per la loro “natura, intensità o per altre caratteristiche concrete”, lascino ritenere in una logica possibilistica che l’attività imprenditoriale sia inficiata da contiguità con la criminalità organizzata;
– lo stesso provvedimento prefettizio ha richiamato apoditticamente l’esistenza dei due soggetti controindicati, ma non ha neppure accennato alle modalità precise e concrete con cui essi potrebbero astrattamente condizionare le scelte e gli indirizzi dell’odierna ricorrente;
– la circostanza che -OMISSIS–OMISSIS-sia stata individuata all’interno del bar mentre coadiuvava la sorella -OMISSIS-ed il sig. -OMISSIS- -OMISSIS-è priva di ogni rilevanza e non può assurgere ad elemento indiziario di eventuali condizionamenti, ancorché valutata in unione con gli altri elementi di cui sopra e secondo il criterio della probabilità cruciale;
– l’ipotesi che -OMISSIS- -OMISSIS-costituisca un mero prestanome dei soggetti controindicati non è solo infondata, bensì persino surreale se si considera che -OMISSIS- -OMISSIS-, da otto anni, ogni giorno, si alza alle 5.00 (tranne la domenica) e lavora nel suo bar sino alla sera, eccettuata qualche ora di riposo e svago nel primo pomeriggio, in cui viene sostituito dalla moglie;
– -OMISSIS- -OMISSIS-ha dichiarato in modo molto chiaro e trasparente che, al momento della costituzione della società Bar -OMISSIS- e dell’avvio del bar – caffetteria, è stato aiutato dalla suocera: tale aiuto economico inziale (pari a circa 10.000,00 euro) è stato compiuto in funzione del successivo matrimonio tra lo stesso -OMISSIS- -OMISSIS-e -OMISSIS–OMISSIS-, essendo privo di qualsiasi valore sintomatico di ipotetici tentativi di infiltrazione, tanto che, successivamente, -OMISSIS- -OMISSIS-ha acquistato la quota della suocera ed è ora l’unico socio e l’unico titolare della società Bar -OMISSIS-, con la conseguente esclusione di qualsiasi ipotesi di condizionamento esterno;
– la suocera di -OMISSIS- -OMISSIS-è peraltro mancata in data 21 gennaio 2024;
– la circostanza, evidenziata dalla Prefettura, che -OMISSIS- -OMISSIS-frequentasse -OMISSIS–OMISSIS-dall’anno 2008 (anno di nascita della loro primogenita) è anch’essa priva di ogni rilevanza indiziaria, perché si trattava di una conoscenza iniziale: egli si era separato da pochissimo tempo dalla prima moglie e non poteva logicamente conoscere le vicende personali del futuro suocero che non aveva ancora conosciuto, né quelle del di lui fratello (all’epoca non ancora accadute);
– il mancato acquisto personale dell’immobile adibito a sede del bar – caffetteria da parte di -OMISSIS- -OMISSIS-si spiega con il fatto che egli non aveva l’intera provvista per acquistarlo e non poteva ottenere un mutuo (non possedendo una situazione reddituale sufficiente): per tale motivo ha coinvolto nell’operazione la sorella ed il cognato e poi si è formalmente obbligato ad acquistare lo stesso immobile;
– mentre nella comunicazione procedimentale prefettizia il rischio infiltrativo dipendeva dal presunto esercizio del bar nei locali di soggetti controindicati, secondo il provvedimento impugnato il rischio infiltrativo dipende dalla circostanza (peraltro, comunicata con trasparenza ed estrema chiarezza da -OMISSIS- -OMISSIS-, sia nella memoria sia in sede di audizione) che l’attività viene esercitata anche con la collaborazione della moglie dello stesso -OMISSIS-e, talvolta, anche della cognata, con la conseguente violazione degli artt. 84, lett. d), e 91, comma 5, d.lvo n. 159/2011;
– se la Prefettura avesse indicato, sin dal preavviso ex art. 92, comma 2-bis, del Codice Antimafia, che ravvisava il rischio infiltrativo nell’aiuto collaborativo prestato dalla moglie e (talvolta) anche dalla cognata del -OMISSIS-, la ricorrente avrebbe potuto anche compiere un’agevole operazione di c.d. self cleaning, allontanando le predette dalla propria organizzazione aziendale e predisponendo anche un modello organizzativo specifico ex d.lvo n. 231/2001, atto ad impedire la ripetizione di simili situazioni;
– nella propria memoria difensiva, la ricorrente aveva richiesto, in via subordinata e per mero scrupolo, che la Prefettura di Monza e della Brianza valutasse i presunti tentativi di infiltrazione mafiosa come riconducibili ad una mera situazione di agevolazione occasionale, con la conseguente applicazione delle sole prescrizioni di cui all’art. 94-bis del Codice Antimafia: l’Autorità amministrativa ha disatteso tale istanza, sulla base di meri argomenti apodittici;
– i vizi di legittimità che inficiano l’informazione interdittiva viziano anche l’ordinanza dirigenziale ed ogni altro atto conseguente.
La ricorrente sollevava altresì questione di illegittimità costituzionale degli artt. 84, lett. d) ed e), e 91, comma 6, d.lvo 6 settembre 2011, n. 159, per contrasto con l’art. 117 della Costituzione, in relazione all’art. 1, Protocollo 1 add. CEDU e all’art. 6 CEDU, tenuto conto della imprevedibilità applicativa della misura interdittiva.
Essa deduceva altresì, sempre nella prospettiva della ritenuta incostituzionalità della normativa antimafia, che l’art. 92 del Codice Antimafia non prevede, in capo al Prefetto, un potere identico o analogo a quello di cui all’art. 67, comma 5, del medesimo Codice, con il conseguente contrasto della disposizione con l’art. 3, comma 1, Cost..
Infine, la ricorrente formulava domanda risarcitoria per i pregiudizi subiti in conseguenza dell’impugnato provvedimento interdittivo.
Il T.A.R. adito, con l’ordinanza n. 188 del 26 febbraio 2024, accoglieva l’istanza di misure cautelari collegiali della ricorrente ai fini della sollecita definizione del giudizio nel merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a., all’uopo fissando l’udienza pubblica per il giorno 5 giugno 2024.
All’esito della relativa udienza di discussione, pronunciava la sentenza n. 1731 dell’8 giugno 2024, con la quale accoglieva in parte la domanda di annullamento proposta con il suddetto ricorso.
Premesso che “ad avviso del Collegio nella fattispecie di causa ricorrono i presupposti individuati dalla giurisprudenza per ritenere sussistente, in relazione al rapporto di parentela o di comparaggio individuato dalla Prefettura e alla luce del criterio del più “probabile che non”, il tentativo di infiltrazione mafiosa”, il T.A.R., dopo aver ricostruito le vicende traslative che hanno interessato l’immobile in cui viene esercitata dalla società ricorrente l’attività di bar – caffetteria, ne ha desunto che “l’immobile in cui viene svolta l’attività commerciale, è destinato, tramite la predetta operazione giuridico-economica (ovvero l’opzione di acquisto dell’immobile concessa a favore di -OMISSIS–OMISSIS- dagli attuali proprietari, n.d.e.), a rientrare nel patrimonio di fatto dei coniugi -OMISSIS—OMISSIS-e poiché la signora -OMISSIS–OMISSIS-è nipote del signor -OMISSIS–OMISSIS-vi è una cointeressenza economica tra il soggetto pregiudicato e il gestore di fatto del bene, potendo il primo spiegare, per il tramite del rapporto di parentela (le proprie nipoti), un’influenza sia pur indiretta nella svolgimento dell’attività economica”.
Il T.A.R. ha invece ritenuto fondata la censura intesa a lamentare la violazione da parte del Prefetto del suo obbligo di valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione, in luogo dell’interdittiva, delle misure di cd. prevenzione collaborativa.
Premesso che “l’occasionalità dell’agevolazione dei tentativi infiltrativi è riscontrabile quando il quadro probatorio restituisce una situazione tale per cui le possibilità di contatto, anche eventuale, tra l’impresa e la criminalità mafiosa hanno carattere episodico, tali per cui, una volta eliminata la possibilità di contatto, è possibile per l’impresa intraprendere un proficuo percorso di legalità, immune da eventuali futuri tentativi di ingerenza mafiosa”, che “la valutazione sull’occasionalità dei tentativi di infiltrazione mafiosa ha natura prognostica in quanto è teleologicamente preordinata a verificare che l’impresa possa in futuro bonificarsi ed affrancarsi dal ravvisato, sia pur eventuale, condizionamento delle infiltrazioni mafiose” e che “il Prefetto è chiamato ad accertare, sulla base del materiale probatorio reso disponibile nel corso del procedimento, se, grazie all’applicazione della misura di prevenzione collaborativa, l’impresa possa attrezzarsi in modo adeguato al fine di scongiurare in futuro quegli eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa diretti a condizionare l’impresa che hanno fatto scattare l’interdizione amministrativa”, ha evidenziato il T.A.R. che “la formula utilizzata nel provvedimento impugnato per escludere la misura alternativa si limita a ricalcare i presupposti di applicabilità della misura, affermandone l’insussistenza, senza esplicitare le ragioni per le quali la fattispecie esaminata non rientrerebbe in quella tipizzata”.
Ha altresì osservato il T.A.R. che “i presupposti che hanno legittimato l’interdittiva non configurano un pericolo di condizionamento mafioso delle scelte e degli indirizzi aziendali travalicante la soglia della “occasionalità” e, quindi, non sono incompatibili con l’applicazione della misura in discorso (art. 94-bis del d.lgs. n. 159/2011). Nel caso di specie infatti il presunto rischio infiltrativo è stato individuato nello svolgimento dell’attività lavorativa, di natura gestoria, delle signore -OMISSIS-(nipoti di un soggetto controindicato) all’interno di un immobile che è stato realizzato nel 2007 da una società in cui era socio un soggetto controindicato e che verosimilmente sarebbe tornato ad interferire nell’attività di impresa a seguito del rapporto di parentela con la moglie del titolare del bar e che è destinato a divenire proprietario dello stesso immobile. Viene quindi descritta e accertata una situazione fattuale che costituisce sicuramente occasione di un possibile tentativo di infiltrazione mafiosa da parte del soggetto controindicato che potrebbe nuovamente intervenire nello svolgimento dell’attività tramite il rapporto di parentela. In queste circostanze, la Prefettura avrebbe dovuto valutare in concreto se, in base al contestato fattuale, il rischio infiltrativo fosse eliminabile agevolmente mediante misure di prevenzione collaborativa quali ad esempio, come dedotto dal ricorrente, l’allontanamento dei parenti del soggetto controindicato dal contesto aziendale e mediante l’assunzione di personale esterno, slegato da vincoli di parentela o affinità, anziché escluderlo apoditticamente facendo riferimento unicamente al quadro probatorio posto a sostegno dell’interdittiva”.
Statuito l’annullamento dell’interdittiva e della consequenziale ordinanza dirigenziale comunale, il T.A.R. ha dichiarato l’assorbimento delle ulteriori censure, in quanto inidonee a recare autonomi vantaggi alla parte ricorrente.
La sentenza costituisce oggetto dell’appello principale proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura – U.T.G. di Monza e Brianza e di quello incidentale proposto dalla originaria ricorrente.
Deducono in particolare le Amministrazioni appellanti che il T.A.R., con la sua decisione caducatoria, si è spinto oltre i limiti della giurisdizione di legittimità per sconfinare nel merito delle scelte amministrative, sostanzialmente arrivando a conclusioni opposte rispetto a quelle della Prefettura, pur sulla base dei medesimi fatti e dei medesimi presupposti.
Esse deducono inoltre che il condizionamento mafioso contestato non è affatto occasionale, ma portato avanti e nascosto dal 2016 in poi, e che nemmeno può imputarsi alla Prefettura una carenza di motivazione, essendo chiaramente espresso nel provvedimento impugnato che il quadro istruttorio che ha portato all’adozione del provvedimento interdittivo è risultato “avere un grado di probabilità e di coerenza logica superiore a qualsiasi ipotesi alternativa, ivi compresa l’applicazione dell’art. 94 bis”.
Evidenziano in proposito le Amministrazioni appellanti che:
– -OMISSIS–OMISSIS- gestiva l’attività, nelle condizioni che hanno giustificato l’adozione del provvedimento interdittivo, già dal 2016;
– il medesimo ha affermato che l’attività era gestita con l’aiuto della moglie e della cognata solo quando aveva necessità di allontanarsi, mentre in realtà in più occasioni quest’ultima è stata vista dietro al bancone o in cassa anche quando il -OMISSIS-era presente nell’attività o vi era la moglie;
– l’attività economica era gestita anche dalle nipoti del soggetto controindicato -OMISSIS-, che tuttavia non figuravano nella gestione delle attività, per cui non si comprende come il loro allontanamento proposto dal -OMISSIS-, e avallato dal T.A.R., potesse realizzarsi;
– il -OMISSIS-resta un “prestanome” che ha provato ad affermare di non conoscere gli affari della famiglia -OMISSIS-se non dal 2016 in poi, tacendo però che ancor prima del matrimonio con la nipote di -OMISSIS- aveva avuto una figlia con la stessa nel 2008.
La società appellata, ed appellante incidentale, eccepisce in primo luogo che la difesa erariale ha predisposto un atto di appello totalmente aspecifico, in quanto del tutto avulso dalle rationes decidendi della sentenza impugnata, oltre ad introdurre un’allegazione nuova e pertanto inammissibile, ossia che -OMISSIS- -OMISSIS-sarebbe un mero “prestanome”, che non è stata svolta neppure dalla Prefettura di Monza e della Brianza né è stata introdotta nel processo di primo grado.
Quanto alle censure mosse dalla appellante incidentale alla sentenza di primo grado, deduce la stessa che il rapporto di “comparaggio” ravvisato dal T.A.R. tra -OMISSIS- -OMISSIS-ed il soggetto controindicato non sussiste affatto e non è stato minimamente affermato, né durante il procedimento amministrativo, né durante il processo di primo grado, con il conseguente travisamento di fatto inficiante la sentenza suindicata.
Deduce altresì la appellante incidentale che la sentenza impugnata valorizza il mero rapporto di parentela tra -OMISSIS–OMISSIS-e -OMISSIS–OMISSIS-con lo zio -OMISSIS–OMISSIS-, pur non essendo tale rapporto qualificato in alcun modo da altro elemento indiziante né da alcuna cointeressenza economica, discostandosi dalla costante giurisprudenza secondo cui la mera sussistenza di rapporti di parentela con soggetti controindicati è irrilevante, essendo necessario che i rapporti di parentela siano qualificati, ossia caratterizzati da una natura, un’intensità o circostanze concrete tali da potere esercitare una qualsivoglia influenza sull’impresa.
Lamenta la parte appellante incidentale che la sentenza impugnata manifesta un travisamento del fatto anche nella parte in cui afferma che “è risultato accertato che l’immobile dove è situato il bar è stato realizzato nel 2007 dalla Gestione Immobiliari -OMISSIS-, in cui era socio il signor -OMISSIS–OMISSIS-”, atteso che l’immobile in questione (realizzato negli anni cinquanta da soggetti terzi) era pervenuto nella disponibilità della società Gestione Immobiliari -OMISSIS- nel 1992 e poi era stato ristrutturato, per poi essere pignorato e venduto all’asta nel 2013, come emerge chiaramente dal decreto di aggiudicazione del 9 giugno 2019, versato in atti.
La appellante incidentale, oltre a riproporre pressoché integralmente le allegazioni difensive svolte in primo grado, deduce inoltre che il T.A.R. ha omesso di esaminare il secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto il mutamento radicale di motivazione nella fase del procedimento amministrativo, e reitera la domanda risarcitoria, sulla scorta della consulenza contabile versata agli atti del processo di primo grado, intesa a quantificare i danni patrimoniali subiti dalla società interdetta, per un importo complessivo di € 90.626,54, cui devono aggiungersi i danni non patrimoniali (morali ed esistenziali).
La appellante incidentale lamenta l’erroneità della sentenza appellata anche nella parte in cui non ha condannato la Prefettura di Monza e della Brianza al pagamento delle spese legali, anche ex art. 96 c.p.c. (condanna che viene richiesta anche relativamente al presente giudizio di appello), e ripropone nel giudizio di appello entrambe le questioni di legittimità costituzionale sollevate nel processo di primo grado e non esaminate dal T.A.R..
Si è costituito nel giudizio di appello il Comune di -OMISSIS- (MB), per chiedere l’accoglimento dell’appello principale e la reiezione di quello incidentale, ponendo tra l’altro l’accento sul carattere vincolato del provvedimento inibitorio da esso adottato.
Con l’ordinanza n. 3595 del 27 settembre 2024, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare proposta a corredo dell’appello principale, con la seguente motivazione:
“Ritenuto che non sia configurabile, a fondamento della proposta istanza cautelare, alcun profilo di pregiudizio caratterizzato dai prescritti requisiti di gravità ed irreparabilità, discendendo dalla sentenza appellata, sul piano conformativo, il solo onere per l’Amministrazione appellante di “valutare in concreto se, in base al contestato (recte, contesto) fattuale, il rischio infiltrativo fosse eliminabile agevolmente mediante misure di prevenzione collaborativa”, senza alcun immediato effetto ripristinatorio della immediata operatività aziendale della ditta appellata, in mancanza dell’adozione delle misure di self cleaning ritenute dalla Prefettura adeguate a far venire (meno) i tentativi di condizionamento, seppure occasionale, di cui la società ricorrente risulta destinataria secondo l’interdittiva impugnata (e non caducata sotto questo profilo dalla sentenza impugnata, oggetto in parte qua dell’appello incidentale proposto dalla parte appellata)”.
In data 19 giugno 2025 la società appellante incidentale ha depositato l’atto di cessione dell’azienda relativa all’attività di bar – caffetteria esercitata in -OMISSIS- alla via -OMISSIS-, dalla stessa stipulato in data 31 ottobre 2024 con il sig. -OMISSIS-, con l’allegata delibera autorizzativa assembleare del 28 ottobre 2024, nonché il contratto di locazione a favore del cessionario dell’immobile in cui viene svolta la suddetta attività.
All’esito dell’odierna udienza di discussione, quindi, gli appelli “incrociati” delle Amministrazioni appellanti e della originaria ricorrente sono stati trattenuti dal Collegio per la rispettiva decisione.
Va preliminarmente dichiarata, alla luce della documentazione recentemente depositata agli atti del giudizio dalla originaria ricorrente, l’improcedibilità sia dell’appello principale che di quello incidentale.
Iniziando dal primo, deve osservarsi che sebbene l’impugnato provvedimento interdittivo abbia quale destinataria la società ricorrente e sia quindi insensibile alle vicende riguardanti il compendio aziendale di cui essa si avvale per lo svolgimento della sua attività di impresa, è evidente che l’Amministrazione prefettizia, a seguito del richiamato atto di cessione, non potrà non riesaminare nella sua complessità, anche nell’ipotesi di accoglimento del suo appello principale, la fattispecie in esame, tenuto conto del fatto che la cessione dell’azienda – le cui modalità di svolgimento, valutate unitamente agli altri elementi indiziari, avevano fatto insorgere i sospetti di condizionamento posti a fondamento della misura informativa impugnata in primo grado – non può non aver reciso, almeno in parte e fatti salvi eventuali accertamenti e valutazioni prefettizie di segno contrario, gli ipotizzati elementi di collegamento tra la medesima società e la criminalità organizzata.
L’appello principale, in ogni caso, è anche infondato, potendo conseguentemente prescindersi dalle eccezioni di inammissibilità formulate rispetto ad esso dalla società appellata.
Deve preliminarmente osservarsi che l’esercizio – in senso negativo – del potere di applicazione delle misure di cd. prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis d.lvo n. 159/2011, quale alternativa preventiva alla sottoposizione ad interdittiva dell’impresa nei cui confronti siano riscontrati i tentativi di condizionamento mafioso, non richiede necessariamente la formulazione di una apposita motivazione intesa ad escludere la sussistenza dei relativi presupposti, potendo questa evincersi de relato dalle ragioni addotte dal Prefetto a fondamento della configurazione del pericolo infiltrativo: è infatti evidente che qualora esse integrino oggettivamente una situazione di condizionamento di carattere stabile e strutturale, tale da non essere emendabile attraverso le prescrizioni formulabili dal Prefetto ai sensi della citata disposizione e comunque da configurare una situazione di soggezione e contiguità mafiose non redimibile, risulta conseguentemente giustificata la posizione negativa assunta dal Prefetto in ordine all’applicazione del suddetto regime alternativo.
Ebbene, a tale schema decisorio risulta essersi uniformata la Prefettura di Monza e della Brianza, allorché, al fine di respingere la richiesta (subordinata) della società ricorrente di applicazione delle suddette misure alternative, ha affermato che “il complessivo quadro istruttorio induce a concludere in ordine alla sussistenza dei presupposti per il rilascio di informazioni a carattere interdittivo, in quanto gli elementi raccolti, attuali e concreti, fanno emergere che l’impresa possa, anche in modo indiretto, essere condizionata non occasionalmente”.
Deve altresì osservarsi che il quadro sintomatico posto a fondamento dell’interdittiva viene in rilievo, ai fini della valutazione della legittimità della decisione prefettizia di diniego di applicazione delle misure di prevenzione collaborativa, nella rappresentazione che ne offre il provvedimento interdittivo, dovendo concentrarsi il relativo sindacato giurisdizionale sulla logicità della lettura che ne dà il Prefetto in chiave di non occasionalità del fenomeno agevolativo che da quello traspare.
Va inoltre precisato che il carattere di occasionalità o stabilità dei tentativi di condizionamento mafioso dell’attività imprenditoriale non va desunto esclusivamente dalla natura degli indici sintomatici valorizzati dal Prefetto ai fini della adozione del provvedimento interdittivo (perché, se così fosse, gli indici sintomatici che affondano le loro radici, ad esempio, nei rapporti parentali non potrebbero mai essere considerati occasionali, proprio in ragione della intrinseca stabilità dei vincoli di sangue), ma dalla intensità del pericolo di condizionamento che da quelli si evince, a seconda cioè che depongano nel senso di uno stabile asservimento dell’impresa al potere condizionante della mafia o invece siano indicativi di un pericolo di condizionamento destinato a manifestarsi in modo discontinuo ed eventuale.
Applicando le illustrate coordinate ermeneutiche alla fattispecie in esame, deve osservarsi che il T.A.R., con la statuizione caducatoria contestata dalle Amministrazioni appellanti, non ha esondato dai limiti della giurisdizione di legittimità, ma si è limitato ad evidenziare che gli elementi sintomatici posti a fondamento del diniego di applicazione delle misure di prevenzione collaborativa non denotassero il carattere stabile e strutturale dei tentativi di condizionamento mafioso di cui la ricorrente era risultata destinataria: ciò attraverso un mero giudizio di raffronto tra i suddetti elementi e la fattispecie tipica delineata dal legislatore ai fini applicativi delle suddette misure.
Né le deduzioni di segno contrario formulate dalle Amministrazioni appellanti risultano condivisibili ai fini dimostrativi della contraria conclusione da esse sostenuta.
Essa pone infatti l’accento sugli elementi sintomatici emergenti dal provvedimento interdittivo, i quali oggettivamente assumono carattere di tendenziale stabilità (a cominciare dal ruolo di amministratore unico della società ricorrente svolto dal 2016 dal sig. -OMISSIS–OMISSIS- nelle condizioni che hanno determinato l’adozione della informativa antimafia), senza tuttavia interrogarsi, da un lato, sulla intensità del pericolo di condizionamento da essi espresso, dall’altro lato, sulla purificabilità della società e dell’attività imprenditoriale da essa svolta da quei fattori potenzialmente inquinanti e suscettibili di costituire un veicolo per l’ingerenza mafiosa nella società suindicata.
Né, da quest’ultimo punto di vista, potrebbe sostenersi, come fanno le Amministrazioni appellanti, che la situazione generatrice del paventato pericolo di condizionamento – incarnata principalmente, anche sulla base della sentenza appellata, dall’attività di collaborazione svolta presso l’azienda dalla moglie della società ricorrente e dalla sorella della stessa, nipoti del pregiudicato -OMISSIS- – non potrebbe costituire oggetto delle misure correttive adottabili dal Prefetto ai sensi dell’art. 94-bis d.lvo n. 159/2011, ben potendo l’allontanamento delle suddette, e l’assunzione di personale idoneo in chiave sostitutiva, rientrare tra le “misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale” cui fa riferimento il comma 1, lett. a), dell’articolo citato.
Resta quindi confermata la sussistenza, a carico del provvedimento interdittivo e relativamente alla decisione di non applicare le suddette misure di prevenzione collaborativa, del vizio ravvisato dal T.A.R. – che infatti ha imposto alla Prefettura, in chiave conformativa, di “valutare in concreto se, in base al contestato fattuale, il rischio infiltrativo fosse eliminabile agevolmente mediante misure di prevenzione collaborativa quali ad esempio, come dedotto dal ricorrente, l’allontanamento dei parenti del soggetto controindicato dal contesto aziendale e mediante l’assunzione di personale esterno, slegato da vincoli di parentela o affinità, anziché escluderlo apoditticamente facendo riferimento unicamente al quadro probatorio posto a sostegno dell’interdittiva” – nella carenza motivazionale del medesimo provvedimento, in quanto meramente riproduttivo delle ragioni poste a fondamento della prognosi infiltrativa.
Venendo quindi all’esame dell’appello incidentale, anche esso, come anticipato, deve essere preliminarmente dichiarato improcedibile, quantomeno relativamente al suo petitum caducatorio, inteso ad ampliare la statuizione di annullamento recata dalla sentenza appellata alla componente indiziaria dell’impugnato provvedimento interdittivo.
Deve infatti osservarsi che, avendo la ricorrente dismesso il compendio aziendale e la relativa attività imprenditoriale, essa non ha più interesse all’annullamento integrale – ovvero, anche per la sua componente prognostico-informativa – dell’impugnato provvedimento interdittivo, la cui adozione le impediva di esercitare la suddetta attività.
Inoltre, sebbene come si è detto la misura interdittiva colpisca soggettivamente la società ricorrente, la cessione dell’azienda, nelle cui modalità di conduzione, valutate unitamente agli altri elementi indiziari, la Prefettura ha intravisto il pericolo di condizionamento delineato con il provvedimento interdittivo, non può che determinare il rinnovato esercizio del potere informativo, essendo significativamente mutato il quadro fattuale nell’ambito del quale quel provvedimento aveva visto la luce.
Poiché, tuttavia, lo scrutinio della legittimità del provvedimento interdittivo si impone anche ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., deve rilevarsi che l’appello incidentale, in ogni caso, è anche infondato.
L’impugnato provvedimento interdittivo si inscrive invero entro un quadro indiziario conforme ai canoni che fanno da sfondo al criterio giurisprudenziale del “più probabile che non”.
Invero, sia le vicende pregresse che hanno contraddistinto l’evoluzione proprietaria e gestionale dell’attività imprenditoriale svolta dalla società ricorrente, sia le attuali caratteristiche organizzative ed operative della stessa, depongono nel senso di un pericolo di condizionamento, pur se occasionale, affatto evanescente o inconsistente.
Deve in primo luogo osservarsi che il pregiudicato -OMISSIS- non è estraneo, al pari del fratello -OMISSIS-, alle iniziali vicende gestionali dell’attività di bar – caffetteria svolta dalla società ricorrente, sia perché partecipante alla compagine sociale della società Gestioni Immobiliari -OMISSIS-, che dell’immobile adibito a sede della suddetta attività era proprietaria quando il bar era gestito dalla società Bar -OMISSIS-di -OMISSIS- S.a.s., nipote del suddetto pregiudicato, sia in quanto il medesimo -OMISSIS- – come evidenziato nel provvedimento interdittivo, non attinto in parte qua da specifiche censure della ricorrente – supportava la nipote -OMISSIS-, accomandataria della predetta società Bar -OMISSIS-di -OMISSIS- S.a.s., quando questa gestiva il bar in questione.
La successiva vendita all’asta dell’immobile e la sua acquisizione da parte di -OMISSIS- e -OMISSIS–OMISSIS-, rispettivamente cognato e sorella dell’attuale amministratore unico della società ricorrente, -OMISSIS–OMISSIS-, nonché il sostegno economico offerto da -OMISSIS-, moglie di -OMISSIS-, fratello del citato pregiudicato, denotano che la proprietà del bene è rimasta nella sfera di controllo della famiglia -OMISSIS-, così come al medesimo gruppo familiare sono rimasti avvinti gli interessi economici connessi alla relativa attività imprenditoriale: non assume invece rilievo decisivo, al fine di inficiare il ragionamento svolto dal T.A.R., l’erronea attribuzione alla società Gestioni Immobiliari -OMISSIS-anche della costruzione dell’immobile suindicato.
Del resto, non può trascurarsi che, fino al decreto di trasferimento dell’immobile del 9 giugno 2019, o quantomeno fino alla vendita giudiziaria dello stesso del 30 novembre 2018, esso è rimasto nella proprietà della società Gestioni Immobiliari -OMISSIS-, di cui come si è detto fa parte -OMISSIS-, con la conseguente perdurante cointeressenza dello stesso nella gestione dell’attività imprenditoriale nello stesso svolta dalla società ricorrente.
Inoltre, la presenza assidua presso il bar, attualmente gestito dalla società ricorrente, di -OMISSIS-, che come si è detto conduceva direttamente l’attività, attraverso una società alla stessa direttamente riconducibile, quando l’immobile in cui essa insisteva afferiva alla disponibilità dello zio pregiudicato, -OMISSIS-, indica una linea di continuità della gestione aziendale, indifferente ai cambiamenti intervenuti nella titolarità dominicale dell’immobile e che non si spiega altrimenti che con il perdurante interesse della famiglia -OMISSIS-, in tutte le sue componenti, nella gestione dell’attività di somministrazione al pubblico.
Sebbene, quindi, dai fatti illustrati si evinca il disegno di interrompere ogni formale legame tra le sorti dell’azienda aziendale ed il suo originario assetto proprietario e gestionale, troppo pesantemente compromesso dalla presenza del pregiudicato -OMISSIS-, attraverso la progressiva acquisizione del compendio aziendale da parte del nuovo ed incensurato amministratore unico, -OMISSIS–OMISSIS-, restano concreti gli elementi di continuità con le vicende pregresse, attestati dalla perdurante e costante presenza delle nipoti del medesimo pregiudicato nella gestione dell’attività imprenditoriale, atti a giustificare l’ipotesi prefettizia della mera finalità di schermatura assegnata alla nuova veste societaria ed alla rinnovata struttura proprietaria dell’azienda rispetto alla effettiva imputazione dei relativi interessi gestionali, i quali continuano a fare capo alla famiglia -OMISSIS-(e quindi a quel suo componente di cui l’A.G. ha accertato, con sentenza passata in giudicato, la contiguità alla criminalità organizzata).
Le stesse modalità di acquisto dell’immobile destinato a luogo di esercizio dell’attività di bar non possono non risultare anomale: premesso che dalla scrittura privata stipulata in data 3 febbraio 2020 tra i proprietari (in quanto acquirenti all’asta del bene) -OMISSIS- e -OMISSIS–OMISSIS-, rispettivamente cognato e sorella di -OMISSIS–OMISSIS-, e quest’ultimo si evince la preordinazione della complessiva operazione alla definitiva attribuzione della titolarità dell’immobile a -OMISSIS–OMISSIS-, destinato a divenirne esclusivo proprietario, non sono afferrabili – se non in una prospettiva di mascheramento dei reali interessi sottostanti – le ragioni per le quali il bene non è stato formalmente acquistato da -OMISSIS–OMISSIS-, nonostante l’apporto economico da lui fornito per l’acquisto del bene all’asta sia maggiore di quello cumulativo dei coniugi -OMISSIS—OMISSIS-.
Né la prognosi interdittiva prefettizia potrebbe ritenersi priva del requisito dell’attualità, sul rilievo che la condanna riportata da -OMISSIS- è antecedente alla costituzione della società ricorrente, sia in ragione del breve lasso temporale (di circa tre anni) intercorrente tra i due eventi, sia perché la condanna per reati associativi proietta la sua ombra sulle vicende successive per un periodo non precisamente delimitabile, a meno che non intervengano fatti nuovi atti ad immunizzarle dall’influenza condizionante del soggetto condannato.
Allo stesso modo, non rileva che, come dedotto dalla appellante incidentale, tra -OMISSIS–OMISSIS- ed i fratelli -OMISSIS- e -OMISSIS- non sussistano allo stato rapporti di frequentazione, tenuto conto che il veicolo parentale del condizionamento mafioso nella società ricorrente è individuato dal Prefetto in -OMISSIS- e -OMISSIS-, figlie del primo e nipoti del secondo, senza che la parte ricorrente deduca che queste abbiano interrotto i loro rapporti con il parente controindicato.
Né rileva il fatto che, in sede di contraddittorio procedimentale, la società ricorrente abbia dato atto della presenza delle nipoti del pregiudicato nella gestione del bar, avendolo fatto in termini tali da sminuirne la valenza indiziaria.
Il provvedimento interdittivo, al pari della sentenza che ne ha ritenuto la legittimità sotto il profilo in esame, si rivela quindi coerente con l’indirizzo giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 7 novembre 2024, n. 8902) secondo cui “il legame di parentela può concorrere a lumeggiare la plausibilità del grado di permeabilità mafiosa: secondo l’orientamento condiviso della giurisprudenza di questo Consiglio “se infatti è vero, in base a regole di comune esperienza, che il vincolo di sangue può esporre il soggetto all’influsso dell’organizzazione, se non addirittura imporre (in determinati contesti) un coinvolgimento nella stessa, tuttavia l’attendibilità dell’interferenza dipende anche da una serie di circostanze ed ulteriori elementi indiziari, che qualifichino, su un piano di attualità ed effettività, una immanente situazione di condizionamento e di contiguità con interessi malavitosi; deve trattarsi di elementi significativi, che corroborino il pericolo di condizionamento ed in ordine ai quali va data adeguata motivazione nel provvedimento interdittivo” (Cons. Stato, sez. III, 27 febbraio 2015, n. 983; Cons. Stato, sez. III, 20 marzo 2014, n. 1367)”.
Nella specie, ritiene invero il Collegio che dal complessivo esame del quadro indiziario delineato dall’Autorità prefettizia si evincano appunto gli elementi necessari a corroborare la prognosi infiltrativa fondata sul rapporto di parentela tra le collaboratrici (di fatto) dell’amministratore unico della società ricorrente ed il citato pregiudicato, così come desumibili dalla visione anche di tipo storico-evolutivo della gestione dell’azienda e della titolarità dei beni aziendali.
Infondata è anche la censura della appellante incidentale intesa a lamentare la violazione delle esigenze partecipative, avendo la Prefettura modificato, con l’impugnato provvedimento interdittivo, i tratti della prognosi indiziaria tracciata con la comunicazione ex art. 92, comma 2-bis, d.lvo n. 159/2011: deve infatti ritenersi del tutto fisiologico l’adattamento del compendio indiziario oggetto del preavviso alle osservazioni difensive della parte interessata, dovendo l’esplicazione del diritto di difesa della stessa conciliarsi con le esigenze di celerità che permeano il procedimento interdittivo, le quali sono incompatibili con la rinnovazione della interlocuzione procedimentale a fronte di una mera parziale rivisitazione critica dei presupposti informativi.
Inammissibile, per difetto del requisito della non manifesta infondatezza, è invece la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 84, lett. d) ed e), e 91, comma 6, d.lvo n. 159/2011 per contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1, Protocollo 1 add. CEDU e all’art. 6 CEDU, prospettata dalla appellante incidentale sulla scorta della dedotta carenza della necessaria determinatezza e prevedibilità applicativa dei presupposti dell’interdittiva.
Come recentemente osservato da questa Sezione, con riferimento ad analoga questione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 9 maggio 2024, n. 4156), “la Corte costituzionale, nella ricordata sentenza n. 57 del 26 marzo 2020, ha esaustivamente chiarito che a sostegno del provvedimento interdittivo possono essere poste situazioni indiziarie, le quali sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale, e che la giurisprudenza di questa Sezione ha poi precisato che la formula “elastica” adottata dal legislatore nel disciplinare l’informativa interdittiva antimafia su base indiziaria riviene dalla ragionevole ponderazione tra l’interesse privato al libero esercizio dell’attività imprenditoriale e l’interesse pubblico alla salvaguardia del sistema socio-economico dagli inquinamenti mafiosi, dove il primo, siccome non specificamente tutelato dalla CEDU né riconducibile alla sfera dei diritti costituzionali inviolabili, si rivela recessivo rispetto al secondo, siccome collegato alle preminenti esigenze di difesa dell’ordinamento contro l’azione antagonistica della criminalità organizzata (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 5900 del 2022)”.
Inammissibile altresì, per il difetto della sua rilevanza ai fini della soluzione della controversia, è la questione di costituzionalità dell’art. 92 d.lvo n. 159/2011 per contrasto con l’art. 3, comma 1, Cost., nella parte in cui non prevede, al pari dell’art. 67, comma 5, il potere del Prefetto di verificare se per effetto dell’applicazione della misura interdittiva “verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato ed alla famiglia”: basti osservare che la società ricorrente non ha offerto alcuna dimostrazione in ordine a tale presupposto, la cui sussistenza deve peraltro ritenersi esclusa dal fatto che essa ha provveduto alla cessione del compendio aziendale, a riprova della non indispensabilità della gestione del bar ai fini del soddisfacimento delle esigenze esistenziali degli interessati.
Infine, i rilievi svolti in ordine alla legittimità del provvedimento interdittivo non consentono di accogliere la domanda risarcitoria formulata dalla ricorrente e riproposta nel presente giudizio di appello: ciò anche per i danni che la ricorrente assume di aver subito per effetto della mancata applicazione delle misure di prevenzione collaborativa.
Premesso invero che il relativo giudizio di “spettanza” non può essere svolto recta via da questo Collegio, nelle more del riesame della questione da parte della Prefettura, deve osservarsi che nessuna deduzione viene formulata dalla ricorrente con riferimento all’indispensabile quoziente psicologico della fattispecie risarcitoria, nonostante il giudizio risarcitorio soggiaccia agli stessi oneri probatori caratterizzanti il giudizio civile con riferimento a tutti gli elementi costitutivi della suddetta fattispecie, essendo costante l’affermazione giurisprudenziale secondo cui la responsabilità della P.A. non può ritenersi insita nella illegittimità del provvedimento impugnato, atteso che l’“illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell’amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto, cosicché l’ingiustizia e la sussistenza del danno non possono presumersi iuris tantum (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Sez. II, 24 luglio 2019, n. 5219; Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4452).
Va infine respinta la domanda di condanna dell’Amministrazione ex art. 96 c.p.a. formulata dall’odierna appellante incidentale, sia con riferimento al giudizio di primo grado (essendo emersa l’infondatezza, quantomeno parziale, del ricorso introduttivo del giudizio), sia in relazione al giudizio di appello (tenuto conto della infondatezza dell’appello incidentale).
Le spese del giudizio di appello, alla luce dell’esito reiettivo sia dell’appello principale che di quello incidentale, devono infine essere integralmente compensate, sussistendone giuste ragioni.
CONSIGLIO DI STATO, III – sentenza 03.09.2025 n. 7195