Responsabilità civile – prossimi congiunti, danni riflessi e ricorso alla prova presuntiva per il risarcimento del danno non patrimoniale

Responsabilità civile – prossimi congiunti, danni riflessi e ricorso alla prova presuntiva per il risarcimento del danno non patrimoniale

(omissis) e (omissis), unitamente al figlio (omissis), hanno convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Marsala, l’Azienda (omissis) e i sanitari in servizio preso di questa, (omissis), (omissis) e (omissis), esponendo che (omissis) aveva sofferto lesioni gravissime, esitate nella perdita dell’arto inferiore sinistro, dopo essere stato ricoverato presso l’Ospedale San Biagio di Marsala a causa delle ferite riportate in un sinistro stradale.

Evocata la responsabilità professionale dei convenuti, ne hanno chiesto la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale per le sofferenze accusate in qualità di prossimi congiunti della vittima primaria in conseguenza dell’imperito e negligente adempimento delle prestazioni di cura.

Con sentenza n. 523 del 13 maggio 2014, il Tribunale di Marsala, nel contraddittorio esteso alle compagnie di (omissis) s.p.a. e (omissis) s.p.a., chiamate in causa rispettivamente da (omissis) e (omissis), ha accolto, in uno alla domanda di (omissis), anche -e soprattutto, per quel che qui ancora rileva- quella dei genitori di costui e ha condannato i convenuti, in solido tra loro, al pagamento di euro 50.000,00 per ciascuno, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento per le sofferenze interiori e il peggioramento delle condizioni e delle abitudini di vita determinati dalle gravi lesioni patite dal figlio e dalla necessità di prestargli continua assistenza morale ed economica, oltre che alla refusione delle spese di lite, comprese quelle di c.t.u.. Ha inoltre stabilito che, nei rapporti interni, i convenuti erano tenuti a risarcire i danni e a rifondere le spese in parti uguali.

(omissis), la cui domanda di manleva nei confronti di (omissis) s.p.a. era stata rigettata, ha proposto appello avverso la pronunzia lamentando, sempre per quanto ancora di interesse, l’erroneo riconoscimento del diritto dei genitori di (omissis) al risarcimento del danno non patrimoniale.

Con sentenza n. 1589 del 16 settembre 2017, la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Marsala, ha eliminato le statuizioni di condanna al risarcimento del danno non patrimoniale in favore di (omissis) e (omissis) e ha dichiarato compensate le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio nei rapporti processuali tra costoro e le rimanenti parti in causa.

Argomentava la Corte d’Appello che il risarcimento preteso dai prossimi congiunti di un soggetto macroleso deve formare oggetto di prova rigorosa che non può dirsi assolta attraverso la mera deduzione del rapporto di convivenza familiare, essendo costoro tenuti a dimostrare se e in che misura la propria esistenza sia stata sconvolta dalle peggiorate condizioni di salute del familiare, nel concreto, peraltro, serie, sì, ma non gravissime e neppure tali da comprometterne definitivamente la vita.

La Corte d’Appello ha, quindi, regolato le spese di lite: dichiarando interamente compensate tra le parti le spese di lite del giudizio di primo e di secondo grado, in relazione al rapporto processuale instauratosi con (omissis) e (omissis); ha condannato (omissis), (omissis), (omissis) e l’A.D.T., in solido tra loro, a rifondere le spese del giudizio di secondo grado in favore di (omissis); ha dichiarato interamente compensate le spese del processo di secondo grado relative al rapporto processuale instauratosi tra (omissis) e (omissis) s.p.a.; ha condannato (omissis) a rifondere ad (omissis) s.p.a. le spese del giudizio di secondo grado.

Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione (omissis) e (omissis), lamentando, con un unico motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2059,2727,2729 c.c. e degli artt. 2,29,30 e 31 Cost.

Hanno resistito con controricorso l’Azienda (omissis), (omissis) s.p.a. e (omissis) s.p.a.

Ha resistito con controricorso anche (omissis), il quale ha altresì proposto ricorso incidentale, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1892 c.c.

Con ordinanza n. 1640 del 25 settembre 2019, la Corte di Cassazione, respinto il ricorso incidentale, ha accolto il ricorso proposto da (omissis) e (omissis) , enunciando il seguente principio di diritto: “il danno non patrimoniale consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa dall’altrui illecito, può essere dimostrato ricorrendo alla prova presuntiva, tipicamente integrata dalla gravità di lesioni quali la perdita di un arto inferiore, in uno alla convivenza familiare strettissima propria del rapporto filiale”.

Ha ribadito la Suprema Corte la correttezza del ricorso alla prova presuntiva “tipicamente integrata dalla gravità delle lesioni e (…) dalla convivenza familiare strettissima normalmente propria del rapporto genitori e figlio” (pag. 2 dell’ordinanza della Cassazione) al fine della dimostrazione della sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito. Hanno inoltre avvertito i giudici di legittimità che la Corte territoriale, col pretendere al riguardo una prova specifica e ulteriore, “è incorsa inpalese violazione di legge per erronea sussunzione della fattispecie concreta (quale accertata dal tribunale non riesaminata in fatto dal collegio di appello) nel regime legale delle presunzioni … altro, infatti, è la prova specifica di un pregiudizio eccezionalmente aggravato rispetto alle normali conseguenze di un fatto quale quello oggetto di accertamento, altro sono queste ultime che, quindi, possono e debbono essere presunte appartenendo, in difetto di prove contrarie e qui neppure ipotizzate, alla regolarità delle descritte relazioni umane” (pag. 3 dell’ordinanza della Cassazione).

La Suprema Corte ha quindi cassato la sentenza n. 1589/2017 della Corte d’Appello di Palermo e rinviato le parti innanzi al giudice di merito per il riesame del gravame alla luce dell’enunciato principio di diritto.

(omissis) e (omissis) hanno riassunto il giudizio chiedendo la conferma della sentenza n. 523/2014 del Tribunale di Marsala, insistendo, in particolare, per la conferma del capo della sentenza che aveva loro riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato nella misura di euro 50.000,00 per ciascuno, oltre alla refusione delle spese legali.

Si sono ritualmente costituiti nel giudizio riassunto:

– l’Azienda (omissis) che ha chiesto accertarsi l’intervenuto pagamento, in esecuzione della sentenza n. 523/2014 del Tribunale di Marsala, del risarcimento del danno, compreso quanto dovuto a titolo di danno non patrimoniale in favore degli attori in riassunzione, oltre che della provvisionale disposta in sede penale in favore di (omissis) e ha, pertanto, chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere;

– (omissis) s.p.a., deducendo di aver adempiuto ai propri obblighi contrattuali con il pagamento dell’intero massimale previsto dalla polizza stipulata da (omissis), e chiedendo, in subordine, la liquidazione del danno morale nei limiti del pregiudizio effettivamente subito dagli attori, rilevando che costoro non avevano fornito prova della compromissione della relazione parentale in conseguenza delle lesioni riportate dal figlio (omissis);

– (omissis) s.p.a.., che ha chiesto la condanna di (omissis) alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;

– (omissis), il quale ha chiesto accertarsi l’avvenuto pagamento a saldo di euro 44.538,22 in favore di (omissis), (omissis) e (omissis), importo da sommare al pagamento eseguito dalla compagnia (omissis) s.p.a., per complessivi euro 237.566,61 (pari a ¼ di euro 950.266,97), e darsi in conseguenza atto dell’intervenuta liberatoria solidaristica rilasciata dagli attori in riassunzione in suo favore il 31 luglio 2014.

Ha chiesto inoltre la condanna di (omissis) al pagamento delle spese di lite.

(omissis) e (omissis), cui risulta regolarmente notificato l’atto di citazione in riassunzione, non si sono invece costituiti e ne va, pertanto, dichiarata la contumacia.

Accedendo al merito, la domanda proposta da (omissis) e (omissis) è fondata e deve essere accolta.

Merita, invero, conferma quanto già messo in luce dal Tribunale di Marsala, ovvero che “il patema d’animo e/o la sofferenza interna di un individuo può essere provato in modo diretto e/o accertato con metodi scientifici solo quando assume connotazioni eclatanti; … il più delle volte e per contro, esso va accertato sulla base di indizi e presunzioni che, costituendo un mezzo di prova di rango né inferiore né gerarchicamente subordinato agli altri, né più debole della prova diretta o rappresentativa, ben possono assurgere a unica fonte di convincimento del giudice (Cass. Sez. Un. 11/11/2008 n. 2697)”. Ha evidenziato il Tribunale che l’esistenza del danno non patrimoniale era stata debitamente allegata nell’atto introduttivo del giudizio ed era peraltro desumibile, in via presuntiva, “dallo stretto vincolo di parentela che lega gli istanti al “diretto” sinistrato dalla pacifica ed ininterrotta convivenza del figlio (ante e post sinistro), all’epoca ancora di minore d’età, con i genitori, dall’indubbia e incontestabile sofferenza interiore soggettiva patita, sul piano strettamente emotivo, sia nell’immediatezza dell’illecito che in modo duraturo quanto meno fino al giugno 2000 (…) per avere condotto il figlio “in salute” alla soglia della maggiore età ed esserselo visto “restituire” invalido o comunque gravemente compromesso nella sua integrità psico-fisica dai medici della struttura ospedaliera pubblica nella cui diligenza, prudenza e perizia legittimamente avevano riposto il loro affidamento, dall’inevitabile peggioramento delle loro condizioni e abitudini di vita quotidiana, interne ed esterne, stante la necessità di assistere “materialmente”, moralmente, economicamente e continuativamente il figlio quanto meno per 238 giorni consecutivi” (pagg. 22-23 della Sentenza del Tribunale di Marsala 523/2014).

Ciò premesso, merita di essere rammentato l’orientamento giurisprudenziale, entro il quale armonicamente si ascrive il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza di rinvio, il quale afferma che il danno non patrimoniale patito dai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesioni a causa del fatto del fatto illecito del terzo “traducendosi in un patema d’animo ed anche in uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto, (…) non è accertabile con metodi scientifici e può essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità (già Cass. 8546 del 2008)” e che “tali pregiudizi possono essere dimostrati per presunzioni, fra le quali assume rilievo il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto (Cass. n. 11212 del 2019Cass. n. 7748 del 2020). La questione è meramente di prova: il parente, secondo i principi generali – e dunque anche per via presuntiva – ha l’onere di dimostrare che è stato leso dalla condizione del congiunto, per cui ha subito un danno non patrimoniale parentale. L’esistenza stessa del rapporto di parentela può dunque far presumere la sofferenza del familiare” Cass. civile sez. III, 17/05/2023, n.13540).

Appurato, quindi, che il ricorso alla prova presuntiva è non solo pienamente consentito in fattispecie come quella in esame, ma anzi “destinato ad assumere particolare rilievo e può costituire anche l’unica fonte di convincimento del giudice, a questo fine rilevando pure le massime di esperienza che possono da sole essere sufficienti a fondare tale determinazione dell’organo giudicante” (Cass. civ. 10.11.2020 n. 25164), potendo addirittura la prova presuntiva “essere cercata anche d’ufficio, se la parte abbia dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un ragionamento logico-deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al fatto ignorato” (Cass. civ. 11/07/2017 n. 17058), va ancora rilevato, in fatto, che (omissis) e (omissis), genitori di (omissis), hanno allegato e comprovato l’esistenza del pregiudizio morale sofferto, dando conto dello stretto vincolo di parentela, della pacifica e ininterrotta convivenza con il figlio (minore all’epoca di verificazione dell’evento lesivo) sia prima sia dopo il verificarsi dell’evento, dell’assistenza fisica, morale ed economica prestata a costui (comprovata dalle dichiarazioni testimoniali rese nel giudizio di primo grado all’udienza del 11 dicembre 2012).

Il danno non patrimoniale patito da (omissis) e (omissis) è dunque meritevole di risarcimento.

Anche la quantificazione operata dal Tribunale si mostra adeguato e congruo ristoro del pregiudizio da costoro sofferto, rivelandosi conforme ai più recenti approdi giurisprudenziali con i quali sono stati calibrati i parametri liquidatori del danno riflesso di congiunto che sia stato vittima di lesioni non lievi. Il riferimento è alle Tabelle elaborate presso il Tribunale di Roma, di recente validate dalla Suprema Corte che ne ha riconosciuto l’adeguatezza metodologica e dunque l’attitudine a orientare la valutazione equitativa di tale specifica voce di pregiudizio. “Al fine di liquidare il danno non patrimoniale spettante ai congiunti del soggetto macroleso, il giudice (…) dovrà fare riferimento a tabelle che prevedano specificamente idonee modalità di quantificazione del danno, come le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma che fin dal 2019 contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni c.d. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni, a differenza delle tabelle del Tribunale di Milano, che – pur essendosi adeguate, nella loro più recente versione, alle indicazioni della Suprema Corte, prevedendo una liquidazione “a punti” in riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale – non altrettanto hanno fatto, allo stato, in riferimento alla liquidazione del danno dei congiunti del macroleso” (Cass. n. 13540 del 17 maggio 2023).

In proposito è opportuno brevemente evidenziare che, in accordo all’orientamento nel tempo maturato dalla Suprema Corte (Cass. S.U. n. n. 9556/2002Cass. n. 8546/2008Cass. 13540/2023), le tabelle romane mirano alla valorizzazione tanto della sofferenza interiore del familiare (danno morale sub specie di dolore, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione, ansia e incertezza in ordine al futuro del congiunto), tanto dell’aspetto dinamico relazionale, riconosciuto solo ai familiari titolari dell’obbligo di provvedere all’assistenza del danneggiato, coincidente con una modifica peggiorativa delle relazioni di vita esterne del soggetto. A ciascuno di tali profili è assegnato un importo, pari a un massimo di euro 3.474,00 per la componente interiore del danno e a un importo compreso tra euro 3.474,00 ed euro 2.450,00 alla componente dinamico-relazionale, in funzione della presenza o meno di riconoscimento all’assistenza del congiunto o attraverso sussidi pubblici o a seguito del riconoscimento allo stesso del risarcimento per la fruizione di una assistenza per il futuro (pag. 15 delle Tabelle del Tribunale di Roma per l’anno 2023).

Il valore punto massimo, risultante dalla sommatoria delle due componenti, pari a euro 6.848,00 (valore aggiornato a novembre 2023) deve poi essere:

– moltiplicato per un numero variabile di punti assegnati in funzione della natura della relazione parentale, del numero dei familiari, dell’età tanto del danneggiato tanto del parente da risarcire;

– demoltiplicato per la percentuale del danno biologico riconosciuto al danneggiato.

Orbene, sviluppati i calcoli in applicazione di tali parametri -non senza sottolineare che essi non potevano essere conosciuti dal primo Giudice in quanto le Tabelle sono state messe a punto dal Tribunale di Roma solo nell’anno 2019-, si perviene a un risultato (per (omissis): 26,4 punti da moltiplicare per il punto base massimo di euro 6.8948,00 e demoltiplicare per 0,51; per (omissis), di dieci anni più giovane del marito: 27,2 punti da moltiplicare per il punto base massimo di euro 6.8948,00 e demoltiplicare per 0,51;) non dissimile e solo di poco inferiore all’importo in concreto liquidato dal Tribunale di Marsala (con statuizione che è incontestato sia stata eseguita dall’A.D.T., da (omissis) s.p.a. e da (omissis)), del quale gli attori riassunzione hanno chiesto la conferma.

Conclusivamente, dunque, l’appello proposto da (omissis) avverso la sentenza del Tribunale di Marsala deve essere respinto. Consegue a ciò la conferma delle statuizioni di condanna ivi contenute in favore di (omissis) e (omissis), ivi comprese quelle afferenti alle spese di lite del giudizio di primo grado.

La regolamentazione delle spese di lite si accorda al canone della soccombenza così che,

I) nei rapporti tra (omissis) e (omissis) s.p.a.., il primo deve essere condannato alla refusione in favore della compagnia di assicurazione delle spese sia del giudizio di legittimità, liquidate in euro 9.500,00, sia del presente giudizio di rinvio, liquidate in euro 8.500,00, maggiorati entrambi gli importi di c.p.a. e iva come per legge e spese forfettarie ex D.M. n. 55 del 2014;

II) nei rapporti tra gli attori in riassunzione e le altre parti processuali, tenuto conto del valore della causa identificato in ragione dell’importo complessivamente reclamato (euro 100.000,00): – (omissis), (omissis), (omissis), Azienda (omissis), (omissis) s.p.a. devono essere condannati a rifondere a (omissis) e (omissis), per il giudizio di appello, l’importo di euro 9.400,00 (di cui euro 2.800,00 per la fase di studio, euro 1.800,00 per la fase introduttiva ed euro 4.800,00 per la fase decisionale), oltre c.p.a. e iva come per legge e spese forfettarie ex D.M. n. 55 del 2014, e, per il giudizio di cassazione, l’importo di euro 7.100,00 (di cui euro 3.200,00 per la fase di studio, euro 2.300,00 per la fase introduttiva ed euro 1.600,00 per la fase decisionale), oltre esborsi, iva e c.p.a. nella misura di legge e spese forfettarie ex D.M. n. 55 del 2014; quanto al presente giudizio di riassunzione, tenuto conto delle linee difensive in concreto espresse dalle parti, segnatamente dall’Azienda (omissis) e da (omissis) i quali, dopo aver eseguito la sentenza di primo grado, in alcun modo hanno contrastato le pretese degli attori in questo grado di giudizio, (omissis), (omissis) e (omissis) s.p.a. devono essere condannati a rifondere agli attori in riassunzione l’importo di euro 9.800,00 (di cui euro 2.900,00 per la fase di studio, euro 1.900,00 per la fase introduttiva ed euro 5.000,00 per la fase decisionale, oltre esborsi, iva e c.p.a. nella misura di legge e spese forfettarie ex D.M. n. 55 del 2014. Di tutte tali spese deve essere disposta la distrazione in favore dell’avvocato Erino Baldassare Lombardo, dichiaratosi antistatario.

Si ravvisano i presupposti per compensare integralmente le spese di lite tra tutte le altre parti del giudizio.

App. Palermo, sent., 20.08.2025, n. 1228

Scrivici una domanda su questo Articolo

Le domande saranno affrontate nel prossimo incontro live