1.1. L’appellante è titolare della ditta individuale “-OMISSIS-” dedita prevalentemente al commercio di armi comuni da sparo sin dall’anno 1997; detta attività viene esercitata in ragione di una licenza concessa, e rinnovata, ai sensi dell’art. 31 TULPS.
Nella imminenza della scadenza della licenza (07.05.2019), in data 11.03.2019, l’appellante ha inoltrato l’istanza volta ad ottenere l’ulteriore rinnovo presso la Tenenza dei Carabinieri di -OMISSIS-, che l’ha poi trasmessa alla Questura di Sassari competente al rilascio del titolo.
In data 11.04.2019, a seguito di espressa richiesta della Questura di Sassari, l’appellante ha anche inoltrato eguale richiesta su modulo concernente i nuovi rilasci presso l’Ufficio Licenze della Divisione PA.S.I. e, successivamente, nei giorni 23.05.2019 e 18.07.2019, la Squadra di Polizia Amministrativa e l’Ufficio Armi della Questura di Sassari effettuavano dei sopralluoghi presso i locali ove è esercitata l’attività.
All’esito di detti sopralluoghi, la Questura di Sassari, dando atto di una “complessità dell’istruttoria”, con nota del 16.07.2019 comunicava la sospensione per giorni 30 dei termini del procedimento amministrativo poi sfociato nella comunicazione del 06.09.2019 contenente i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di rinnovo.
L’appellante in data 16.09.2019, produceva analitiche ma vane deduzioni sottolineando la totale insussistenza delle contestazioni poste a base dei motivi ostativi al rinnovo.
Stimolata la conclusione del procedimento con nota del 06.11.2019, con Decreto prot. 6 D/ P.a.s.i., /2020/n. 1 del 04.01.2020 e, quindi, 308 giorni dopo l’inoltro dell’istanza del 11.03.2019, il Questore per la Provincia di Sassari rigettava la domanda di rinnovo per l’esercizio del commercio di armi comuni.
1.2. I motivi del diniego opposto dall’amministrazione sono stati esplicitati, a seguito dei sopralluoghi effettuati in corso di istruttoria a cura del personale della Polizia Amministrativa e dell’Ufficio Armi, fin dal preavviso di diniego del 6 settembre 2019. Nel corso di tali operazioni venivano riscontrate diverse irregolarità amministrative, mancanze e violazioni, e segnatamente:
1. Operazioni di compravendita di armi compiute in violazione degli obblighi previsti dall’art. 35 TULPS in materia di tenuta del registro delle operazioni giornaliere ed identificazione delle persone con cui le operazioni stesse sono compiute. In particolare venivano riscontrate registrazioni effettuate a nome di persone decedute alla data dell’operazione, mentre ulteriori operazioni venivano registrate con dati incompleti, rendendo difficoltose le attività di controllo degli operatori di P.S. ;
2. Operazioni di carico armi da fuoco registrate in epoca successiva alla scadenza della precedente licenza (7 maggio 2019);
3. Rinvenimento di un fucile semiautomatico avente la canna alterata, con evidenti segni di taglio sul vivo di volata;
4. Detenzione di un numero di armi superiore al limite massimo consentito in licenza;
5. Talune situazioni di criticità circa le condizioni di sicurezza all’interno dell’armeria.
Con riferimento a talune delle anzidette violazioni, la ricorrente veniva deferita alla A.G. (procedimento iscritto nel R.G.N.R. della Procura della Repubblica di tempio Pausania mod. 21 nr. 1790/19).
1.3. Con ricorso proposto dinnanzi al Tar per la Sardegna l’odierna appellante ha impugnato il suddetto provvedimento per i seguenti motivi:
1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, per insufficienza ed incongruità della motivazione, per evidente contraddittorietà ed illogicità, per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, per travisamento dei fatti – per iniquità, per sviamento di potere: in quanto non sarebbero adeguatamente argomentate e motivate le ragioni poste a fondamento del provvedimento di diniego, con particolare riferimento al principio di proporzionalità dell’azione amministrativa. In particolare i fatti contestati non sarebbero idonei a fondare il conclusivo giudizio di inaffidabilità adottato nei suoi confronti.
2) Violazione del giusto procedimento amministrativo – Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241 – Violazione e/o falsa applicazione dell’allegato al d.p.c.m. 21 marzo 2013, n. 58 (Regolamento di attuazione dell’articolo 2, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, riguardante i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza del ministero dell’interno di durata superiore a novanta giorni) ex art. 31 t.u.l.p.s.: in quanto non sarebbero stati rispettati i termini di durata del procedimento. Inoltre non sarebbe stata effettuata la prescritta comunicazione di avvio del procedimento in violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990.
1.4. Contestualmente alla domanda caducatoria la sig.ra -OMISSIS-chiedeva il risarcimento del danno da ritardo, nonché dei danni di carattere patrimoniale conseguenti alla forzata chiusura dell’attività commerciale a decorrere dal 7 maggio 2019.
1.5. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che, con difese scritte, ne ha chiesto il rigetto, vinte le spese.
1.6. Il Tar rigettava l’istanza cautelare con ordinanza n. 184/2020 che veniva appellata dalla ricorrente.
1.7. Con decreto cautelare monocratico n. 3726 del 24.06.2020 il Presidente di questa Sezione del Consiglio di Stato sospendeva l’esecutività dell’atto impugnato con la seguente motivazione: “Considerato che, dalla succinta motivazione della appellata ordinanza, non emerge – salvo il richiamo alla attività istruttoria svolta dalla Questura resistente – il percorso argomentativo attraverso il quale sono stati superati alcuni significativi rilievi qui riproposti in appello, ed in particolare:
– la durata complessiva, quasi annuale, della istruttoria condotta sulla istanza di rinnovo, e ciò sia sotto il profilo sostanziale che sotto il profilo formale, della asserita tardività degli atti prima interlocutori poi conclusivi rispetto ai termini di legge;
– la apparente esistenza di una costante interlocuzione tra l’appellante e la locale Tenenza dei Carabinieri di -OMISSIS-, che ha adottato note interpretabili in senso non negativo per l’appellante, ancorché dette attività dei Carabinieri sembrino nei fatti e ripetutamente, ancorché non esplicitamente confutate, praticamente contraddette dagli atti della Questura;
– le risultanze di atti di competenza dell’A.G. penale, con speciale riguardo alla pronuncia del Tribunale del Riesame di -OMISSIS-e successivamente la Procura presso il medesimo Tribunale circa l’asserita alterazione di un fucile;
Ritenuto che, anche in considerazione della risalenza al 1997 dell’attività, immutata, dell’appellante, detti elementi, solo per sottolinearne i più rilevanti, avrebbero potuto e dovuto già nella sede cautelare essere approfonditi, fermo restando ovviamente l’esito degli accertamenti stessi, cui, se lo riterrà già nella sede cautelare collegiale, lo stesso Consiglio potrà procedere, qualora non ritenga che sia il primo giudice a dover stabilire in tempi rapidi l’udienza di merito”
1.8. Il suddetto decreto veniva confermato in sede collegiale con ordinanza di questa sezione n. 4315 del 17 luglio.
1.9. Il Questore di Sassari, con provvedimento del 30 settembre 2020, in esecuzione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, sospendeva gli effetti del decreto di diniego all’esercizio di armi comuni emesso in data 4 gennaio 2020 nei confronti della sig.ra -OMISSIS-e, per l’effetto, l’autorizzava provvisoriamente – per un anno, salvo rinnovo – all’esercizio del commercio di armi comuni, ex art. 31 T.U.L.P.S. di cui al R.D. 773/31; successivamente, in data 6 ottobre 2020, disponeva la restituzione di alcune delle armi sequestrate con nulla osta al trasporto.
1.10. Infine con sentenza n. 12 del 18 gennaio 2023 il Tar per la Sardegna rigettava il ricorso compensando tra le pari le spese di giudizio.
2.1. Con atto notificato il 18 luglio 2023 la signora -OMISSIS-ha proposto appello avverso la suddetta sentenza articolando quattro distinti motivi di appello.
L’appellante ha rappresentato di avere cessato definitivamente l’attività commerciale nel mese di giugno 2023 a cagione dell’illegittimo diniego di rinnovo della licenza adottato dalla Questura di Sassari ed ha pertanto chiesto pronunciarsi la declaratoria di illegittimità del provvedimento impugnato ai fini risarcitori, chiedendo “il ristoro compensativo del danno patrimoniale nella misura pari ad almeno il mancato utile netto pari al 50% del calo del fatturato rispetto alla media del triennio precedente (€ 139.142,75), cui andrà aggiunta, come ulteriore non quantificabile voce, il danno connesso alla definitiva chiusura dell’attività commerciale, il tutto rimesso alla più accorta valutazione dell’Ecc.mo Collegio.”
2.2. Il Ministero dell’Interno e la Questura di Sassari si sono costituiti in giudizio con atto di mero stile.
2.3. Alla pubblica udienza del 5 giugno 2025 l’appello è stato trattenuto in decisione.
3. L’appello è fondato dovendosi rilevare che i rilievi mossi da questa Sezione in sede cautelare (con il decreto monocratico e poi l’ordinanza cautelare) non risultano essere stati oggetto di puntuale delibazione da parte del Tar, come risulta dall’esame della motivazione della sentenza con la quale il giudice di prime cure ha rigettato il ricorso.
E ciò sia sotto il profilo formale della durata complessiva, quasi annuale, della istruttoria condotta sulla istanza di rinnovo; sia sotto il profilo sostanziale essendo stata trascurata la pur documentata esistenza di una costante interlocuzione tra l’appellante e la locale Tenenza dei Carabinieri di -OMISSIS-, che ha adottato note interpretabili in senso non negativo per l’appellante, ancorché dette attività dei Carabinieri sembrino nei fatti e ripetutamente, ancorché non esplicitamente confutate, praticamente contraddette dagli atti della Questura. E nemmeno risultano considerate, in sentenza, le risultanze di atti di competenza dell’A.G. penale, con speciale riguardo alla pronuncia del Tribunale del Riesame di -OMISSIS- e successivamente della Procura presso il medesimo Tribunale circa l’asserita alterazione di un fucile.
4. Procedendo con ordine deve intanto rilevarsi che è fondato il primo motivo di appello con il quale l’appellante deduce la violazione dei termini per la conclusione del procedimento.
Il DPCM 21.03.2013, n. 58, quale regolamento di attuazione dell’articolo 2, comma 4, L. 07.08.1990, n. 241 relativo ai procedimenti amministrativi di competenza del Ministero dell’interno di durata superiore a novanta giorni, nella correlata tabella esplicativa prevede un termine massimo di 120 giorni per la conclusione dell’iter relativo al rilascio/rinnovo della licenza.
Nel caso in esame nella imminenza della scadenza della licenza (07.05.2019), in data 11.03.2019 l’appellante ha inoltrato la richiesta di rinnovo (anche allegando tutta la prescritta documentazione) per il tramite della Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- – come del resto aveva fatto in occasione dei precedenti rinnovi – sicché il termine per la conclusione del procedimento scadeva il 09/07/2019 mentre la comunicazione di sospensione del procedimento per integrazione documentale risulta notificata soltanto il 18/07/2019 e quindi a termini perenti.
Sul punto il Tar ha invece ritenuto che “La domanda di rinnovo ex art. 31 del T.U.L.P.S. è stata presentata presso l’ufficio competente (la Questura di Sassari) in data 11 aprile 2019 (la domanda precedente alla quale fa riferimento la ricorrente non può considerarsi idonea a determinare il dies a quo del procedimento perché irrituale (in quanto non conforme al modello ministeriale previsto), incompleta (in quanto mancante di dati essenziali e delle autocertificazioni necessarie all’avvio del procedimento) e inoltrata ad amministrazione incompetente (Carabinieri di -OMISSIS- e non alla Questura di Sassari quale Autorità provinciale di Pubblica Sicurezza).
Orbene, in disparte la circostanza che la Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- aveva comunque trasmesso la domanda di rinnovo presentata dall’appellante alla Questura di Sassari – con ciò dovendosi considerare la domanda presentata idonea a far decorrere il dies a quo – va rilevato che anche tenendosi conto come data inziale quella del 19/04/2019 – come sostenuto dall’Amministrazione ed anche dal giudice di prime cure – nonché della sospensione del termine pari a 30 giorni dovuto alla richiesta di integrazione documentale del 18/07/2019, il termine di conclusione del procedimento risulta ampiamente sforato atteso che a seguito della presentazione delle osservazioni ex art.10 bis o alla scadenza del termine di dieci giorni per produrle i termini processuali non cominciano a decorrere ex novo – come sostenuto dall’Amministrazione – bensì dal punto in cui si trovavano quando ne è stata disposta la sospensione.
Orbene poiché l’impugnato decreto di diniego stato a dottato dalla Questura soltanto il 04.01.2020, risulta conclusivamente che pur tenendo conto delle predette sospensioni, sono trascorsi 308 giorni rispetto alla data dell’11.03.2019, ovvero 277 giorni considerando come data di inoltro della domanda di rinnovo quella dell’11.04.2019. Con il che deve ritenersi ampiamente superato il termine massimo di 120 giorni per concludere il procedimento.
5. Con il secondo motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata lamentando che il giudice di prime cure avrebbe motivato il rigetto del ricorso recependo acriticamente gli elementi ostesi nel provvedimento impugnato, pur essendo stata data dimostrazione dall’appellante della grossolanità e della carenza dell’istruttoria condotta dalla Questura e nonostante l’ordinanza cautelare d’appello avesse fornito precise indicazioni al riguardo.
5.1. Sotto un primo profilo l’appellante lamenta che il giudice di prime cure abbia così statuito: “13. Solo per completezza si passa all’esame di un ulteriore profilo di criticità evidenziato dall’amministrazione, e cioè il rinvenimento nei locali dell’armeria di un fucile avente la canna alterata. 14. La difesa della ricorrente si fonda essenzialmente sulla pronuncia del Tribunale di Sassari in sede di riesame del sequestro operato in data 18 luglio 2019 e sulla richiesta di archiviazione del 6 novembre 2019 – formulata al G.I.P. – da parte della Procura della Repubblica di -OMISSIS- per l’insussistenza del reato contestato. 15. L’argomento non è tuttavia decisivo in quanto, anzi, conferma l’irregolarità constatata dalla polizia amministrativa seppur escludendo la rilevanza penale della stessa per le ragioni in tali atti contenute”.
Va al riguardo rilevato che la Procura della Repubblica di -OMISSIS- ha ritenuto irrilevante il taglio della canna (“non sono state variate le sue caratteriste funzionali di arma lunga e il fucile non deve essere presentato nuovamente al Banco Nazionale di Prova per stabilire la qualità e la classe di appartenenza”), ha rilevato che il taglio della canna ha reso meno potente l’arma, ed inoltre “che non è scontato a chi attribuire” la condotta del taglio.
Pur tenendo conto dell’autonomia e delle diverse finalità delle valutazioni che competono alla Procura e alla Questura, il giudice di prime cure – a fortiori non essendo riconducibile il fatto all’appellante – non ha operato alcuna valutazione sulla denunciata carenza di istruttoria del provvedimento di diniego, in quanto non ha nemmeno considerato che l’arma era inutilizzabile (mancava infatti del gruppo otturatore essenziale al funzionamento), non era in vendita, ed era regolarmente custodita nell’armeria in un armadio blindato e all’interno di un locale blindato a ciò preposto (e anche la relativa operazione è stata regolarmente registrata al n. 2078 del 30.09.2011).
Ne consegue l’abnormità del provvedimento per detto profilo, anche in considerazione della risalenza al 1997 dell’attività esercitata dell’appellante.
6. Con il terzo motivo di appello l’appellante censura la sentenza nella parte in cui avrebbe acriticamente avallato le contestazioni contenute al punto 3 del provvedimento gravato (“Operazioni di compravendita di armi compiute in violazione degli obblighi previsti dall’art. 35 TULPS in materia di tenuta del registro delle operazioni giornaliere ed identificazione delle persone con cui le operazioni stesse sono compiute. In particolare venivano riscontrate registrazioni effettuate a nome di persone decedute alla data dell’operazione, mentre ulteriori operazioni venivano registrate con dati incompleti, rendendo difficoltose le attività di controllo degli operatori di P.S.; – Operazioni di carico armi da fuoco registrate in epoca successiva alla scadenza della precedente licenza (7 maggio 2019)”).
In particolare il TAR ha così motivato sul punto: “10. In relazione alla gestione di detti registri le criticità rilevate sono due: a) in primo luogo la trasmissione del registro all’organo di vigilanza non risulta avvenuta mensilmente come richiesto dall’art. 35 TULPS ma solo il 30 maggio 2019, dopo il sopralluogo della polizia amministrativa compiuto in fase istruttoria il 23 maggio 2019; b) in secondo luogo non sarebbero state comunicate talune operazioni di compravendita effettuate nei mesi di marzo e aprile 2019. 11. Come detto ognuno di questi inadempimenti è autosufficiente a giustificare il provvedimento negativo impugnato, e sul punto a) – anche a voler superare il punto b) in forza delle argomentazioni di cui alle pagine 7 e 8 del ricorso – le difese della ricorrente non incidono sulle documentate argomentazioni della Questura di Sassari”.
Rileva il Collegio come tale ultimo passaggio motivazionale si traduca in una motivazione soltanto apparente circa l’avvenuto esame delle argomentazioni contenute in ricorso, risultando invece rilevanti i seguenti elementi documentati dalla ricorrente che avrebbero dovuto essere oggetto di approfondita ed espressa delibazione:
– in primo luogo l’annotazione inserita proprio dalla Questura nel corpo del registro carico in data 23.05.2019 (“Si verificava il presente registro senza riscontrare gravi anomalie a parte aver trascritto in ordine cronologico lo scarico e non corrispondente al carico”).
– inoltre la certificazione della tenenza dei Carabinieri di -OMISSIS- (“Agli atti dell’ufficio figura che i modelli 38 e l’estratto del registro delle operazioni giornaliere dell’armeria in oggetto siano stati regolarmente qui consegnati alle scadenze previste”).
L’appellante inoltre premette che la Questura di Sassari ha contestato la presunta omessa comunicazione, alla Tenenza dei Carabinieri, di 25 operazioni di compravendita relative ai mesi di marzo e aprile 2019 (nel corpo del provvedimento, nella nota di pag. 7 e 8, si indicano analiticamente le armi oggetto di contestazione); e che tuttavia in sede di controdeduzioni l’appellante aveva evidenziato come si trattasse di “operazioni di carico armi pervenute sì dopo la scadenza, ma ordinate e commissionate ampiamente nei termini di validità della stessa” e, in ogni caso, ancora in vigenza della licenza.
Lamenta l’appellante che sebbene il TAR avesse avuto contezza che dette operazioni si riferissero ad armi acquistate direttamente dalla casa produttrice e per le quali, quindi, non occorre la prescritta comunicazione, (effettuata a monte dalla casa madre e dal venditore) avrebbe pedissequamente aderito al rilievo della Questura senza nemmeno esaminare in concreto la doglianza. Senza nemmeno tenere in considerazione che alcune delle suddette armi (indicate puntualmente dall’appellante) sono armi di libera vendita non assoggettate ad alcun obbligo di comunicazione e per le quali la normativa di riferimento è il Regolamento sull’utilizzo delle armi ad aria compressa o gas compressi (decreto 9 agosto 2001, n.362), che evidenzia la differenza normativa delle armi ad aria compressa o a gas compressi, sia lunghe che corte, i cui proiettili erogano un’energia cinetica non superiore a 7,5 joule.
Ritiene il Collegio che il motivo sia documentalmente fondato in assenza peraltro di espressa contestazione da parte dell’amministrazione.
7. Con il quarto motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza in ordine ai restanti punti di contestazione (punto 4, 5 e 6 del diniego).
Deduce che le operazioni asseritamente effettuate in nome di “persone decedute” (-OMISSIS-) – come documentato in atti – in realtà sono state concertate con la locale Tenenza dei Carabinieri sempre garantendo la precisa tracciabilità di ogni movimentazione. In sostanza è avvenuto che a seguito del decesso degli intestatari delle armi (nel caso della signora Fois ben 6 armi), gli eredi – sprovvisti di porto d’armi e totalmente disinteressati all’intestazione delle medesime – su indicazione della locale Tenenza dei Carabinieri, hanno fatto intervenire l’armeria al fine di prendere in custodia le armi che, diversamente, sarebbero rimaste incustodite nella dimora della defunta (la circostanza risulta documentata in atti).
Quanto, poi, alla presunta effettuazione di operazioni di carico di armi da fuoco in assenza di licenza (punto 5 del provvedimento impugnato) l’appellante rinvia a quanto già dedotto al terzo motivo di appello sicché nessuna operazione è stata effettuata dopo il 03.06.2019 giorno in cui l’unica l’operazione effettuata non riguardava alcuna arma da fuoco ma soltanto una pistola ad aria compressa di libera vendita.
Quanto ancore alla presunta detenzione di un numero di armi superiore al limite massimo consentito in licenza (punto 6 del provvedimento impugnato) l’appellante ha documentato che una parte delle armi eccedenti il numero di sessanta era destinato alla rottamazione per precisi accordi con la Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- che, nella impossibilità di provvedere tempestivamente alla distruzione, aveva incaricato l’armeria di trattenerle in deposito fino al disbrigo delle pratiche (produce in tal senso una dichiarazione rilasciata dalla Tenenza dei Carabinieri di -OMISSIS-).
8. Conclusivamente, per tutti i surriferiti motivi, l’esame dei documenti depositati agli atti del giudizio evidenzia come il provvedimento impugnato sia affetto dal denunciato vizio di difetto di istruttoria e pertanto in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado ai soli fini della declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato, come espressamente richiesto da parte appellante.
9. Va esaminata la domanda risarcitoria.
L’appellante chiede il risarcimento del danno a decorrere dal 7 maggio 2019 data di scadenza della licenza di cui all’art. 31 TULPS fino alla cessazione dell’attività avvenuta nel mese di giugno 2023.
Sostiene al riguardo che “Il comportamento serbato dall’Amministrazione anche e soprattutto successivamente alla fase cautelare, ha determinato un sostanziale ristagno dell’attività commerciale i cui precedenti 23 anni di immacolato esercizio depongono nitidamente nel senso del danno ristorabile a fronte dell’intervenuta (ab externo “imposta”) chiusura”.
Ai fini della quantificazione l’appellante prende in considerazione il fatturato conseguito nel triennio antecedente le contestazioni della questura (2016-2018) e il fatturato conseguito negli anni 2019-2020-2021-2022.
Deduce poi che il calo del fatturato patito nel periodo successivo al provvedimento di diniego parametrato alla media reddituale del triennio precedente, ammonta ad € 278.285,51, sicché utilizzando un criterio prudenziale, il pregiudizio economico subito sarebbe pari al mancato utile netto, quantificato in misura prossima al 50% di detto mancato fatturato e, pertanto, nella somma di circa € 139.142,75, cui andrebbe aggiunto, come ulteriore voce non quantificabile, il danno connesso alla definitiva chiusura dell’attività commerciale, il tutto rimesso alla più accorta valutazione del giudice di appello anche ai fini di una liquidazione equitativa del danno.
9.1. Il Collegio premette che per pacifica e condivisa giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione: “Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell’agire illegittimo della pubblica amministrazione, ed infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso al domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico” (Cons. Stato, n. 10205 del 2024; id. n. 7105 del 2024).
9.2. Ciò premesso la domanda risarcitoria non può essere accolta per le seguenti ragioni.
9.2.1. Sotto un primo profilo si rileva che difetta la prova dell’elemento soggettivo: sebbene l’appellante ritiene in appello che l’attività istruttoria condotta dalla Questura sia stata connotata da un evidente pregiudizio nei propri confronti (nelle note di passaggio in decisione parla di “condotta persecutoria attuata in danno della armeria”).
Come è noto, la presunzione di colpa dell’Amministrazione può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale tale da palesarne la negligenza e l’imperizia, cioè l’avere agito intenzionalmente e in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell’assunzione del provvedimento viziato, mentre deve essere negata la responsabilità quando l’indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la particolare situazione di fatto (ex multis Cons. Stato, n. 1815 del 2019).
Ai fini della sussistenza della colpa, quale elemento soggettivo dell’illecito, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è costante nel ritenere che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo solo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato (Cons. Stato, n. 3217 del 2019; Cons. Stato n. 5935 del 2013).
Nella specie, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, sebbene l’istruttoria all’esito del secondo grado di giudizio sia risultata carente, non si può ritenere che vi sia stata imperizia o negligenza, o addirittura spregio alle regole di correttezza e buona fede.
9.2.1. Sotto altro profilo difetta la prova circa la sussistenza del nesso causale tra il provvedimento impugnato. il calo di fatturato, e soprattutto la cessazione dell’attività commerciale.
Valgano le seguenti considerazioni:
– il provvedimento di diniego del rinnovo della licenza è stato adottato il 18/01/2020 e costituisce fatto notorio che quasi contestualmente, nel febbraio 2020, a seguito della diffusione dell’epidemia Covid-19 è stata dichiarata l’emergenza sanitaria a livello nazionale con conseguente imposizione del lockdown ( a partire dal 9 marzo 2020) per cui tutte le attività commerciali a livello nazionale sono state dapprima completamente fermate – evidentemente compresa quella della ricorrente- e successivamente, con progressivo allentamento delle misure contenitive, sono state consentite sia pure in un contesto di restrizioni comuni a tutti gli esercenti e ai cittadini, non potendosi dimostrare per questo periodo che il calo del fatturato sia conseguenza immediata e diretta del mancato rinnovo della licenza;
– già il 24/6/2020 è intervenuto il decreto monocratico di sospensiva del Presidente di questa Sezione, poi confermato con l’ordinanza cautelare del 19/07/2020; e il 24.09.2020 la Prefettura dava concreta esecuzione alla sospensiva e sospendeva il provvedimento Prefettizio del 16.01.2020 con il quale era stato disposto “il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti nei confronti della signora -OMISSIS-” e disponeva che “per l’effetto, la stessa viene provvisoriamente autorizzata all’esercizio del commercio di armi comuni, ex art.31 T.U.L.P.S. di cui al R.D. 773/31”.
Sicché il mancato esercizio dell’attività commerciale di vendita di armi conseguente al mancato rinnovo della licenza è durata soltanto lo spazio di pochi mesi, e l’appellante ha così potuto riprendere (oltre all’attività di vendita di articoli per lo sport e la caccia) anche l’attività di rivendita delle armi fino alla definizione del giudizio di primo grado che è intervenuta con sentenza di rigetto pubblicata il 18/01/2023.
Sul punto appare infondata la doglianza con la quale l’appellante deduce che la Questura avrebbe ottemperato soltanto apparentemente al dictum cautelare del giudice di appello, sostenendo che per potervi dare concreta esecuzione avrebbe dovuto anche disporre in favore del marito signor -OMISSIS- -OMISSIS-(che era l’armiere esperto) la riattivazione del porto d’armi a uso sportivo e a uso caccia, nonché la riattivazione della licenza di riparazione; e ciò perché senza l’apporto fondamentale del signor -OMISSIS- l’ordinanza cautelare non potrebbe dirsi completamente ottemperata e l’attività commerciale sarebbe stata soltanto formalmente autorizzata, ma fortemente penalizzata in concreto.
Rileva il Collegio – come si evince dagli atti del primo grado di giudizio – che il signor -OMISSIS- era stato attinto da un separato provvedimento di carattere personale da lui mai impugnato; sicché gli effetti della sospensiva del provvedimento di diniego di rinnovo della licenza non potevano estendersi fino a ricomprendere i provvedimenti che avevano attinto il predetto, del tutto estranei all’impugnativa di cui al presente giudizio.
Tanto ciò è vero che in sede di esecuzione dell’ordinanza cautelare questa Sezione, con ordinanza n.3843/2024 ha Ritenuto che le questioni sollevate esulino dalla portata dispositiva e conformativa del decisum cautelare, oltre che impingere su questioni (licenza uso sportivo e uso caccia) che, a differenza di quelle in precedenza decise (relative invece allo svolgimento dell’attività lavorativa dalla quale l’appellante trae sostentamento) non presentano apprezzabili profili di periculum in mora.
Ne deriva che il lamentato calo del fatturato conseguito a partire dal settembre 2020, e poi negli anni 2021-2022 e 2023 fino alla sentenza di primo grado, non appare in alcun modo riconducibile agli effetti del provvedimento impugnato, potendo in detto arco temporale, l’appellante, esercitare la propria attività in virtù del provvedimento cautelare di questa Sezione.
Da quanto precede discende, a fortiori, l’impossibilità di ricollegare la intervenuta cessazione dell’attività dell’armeria al provvedimento impugnato.
10. Conclusivamente, l’appello è fondato e va in parte accolto quanto alla declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato; è invece in parte infondato, e va respinto, con riferimento alla domanda risarcitoria proposta dall’appellante.
11. Sussistono giustificate ragioni, in considerazione del complessivo esito dell’appello, per compensare tra le parti le spese di giudizio.
CONSIGLIO DI STATO, III – sentenza 29.09.2025 n. 7581