1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “Violazione degli artt. 40 e 41 c.p. e 2043 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)”.
Lamentano che la corte d’appello ha erroneamente applicato il principio del cd. “più probabile che non”, dato che: a) non ha attribuito preponderanza, quali concause del decesso a enunciati scientifici che hanno ricevuto conferma probatoria sulla base delle prove disponibili; b) ha escluso l’efficacia concausale di una patologia documentalmente indicata come causa iniziale ed intermedia del decesso; c) ha escluso l’efficacia concausale del carcinoma epatico sulla base di proprie valutazioni, smentite dalla documentazione medica in atti (pag. 6 e ss.; artt. 40 e 41 c.p. e 2043 c.c. – art. 360 n. 3 c.p.c.).
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “Violazione degli artt. 61, co. 1, 62,191, co. 1 e 193 c.p.c. (art. 360, n. 4 c.p.c.)”.
Lamentano che la corte di merito ha erroneamente esercitato i suoi poteri quale peritus peritorum, dal momento che, al fine di discostarsi dalle conclusioni della c.t.u., ha svolto una valutazione fondata su elementi dedotti dalla propria scienza privata, sull’esame di documenti medici agli atti effettuato secondo i propri e personali criteri di giudizio ed ha finito per surrogarsi in un giudizio tecnico estraneo ai propri poteri.
3. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per l’evidente connessione, sono fondati.
3.1 Al riguardo, giova ricordare che questa Suprema Corte ha già avuto più volte modo di affermare che nel nostro ordinamento vige in astratto il principio judex peritus peritorum, in virtu’ del quale e’ consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e cio’ sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche. In entrambi i casi, l’unico onere incontrato dal giudice e’ quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (v. Cass., 07/08/2014, n. 17757; Cass., 11/01/2021, n. 200; Cass., 16/12/2022, n. 37027).
In altre parole, le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice, il quale, tuttavia, può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una coerente e convincente valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, mediante l’indicazione degli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (da ultimo cfr. Cass. n. 200/2021).
Là dove intenda discostarsi dalle conclusioni peritali, il giudice di merito è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, in quanto deve illustrare accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che sia ancorato alle risultanze processuali ed evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico- scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto (così Cass., n. 34027/2022, che richiama Cass., n. 21530/2021).
3.2 Tanto premesso, dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta: a) che la corte di merito ha dapprima riportato le risultanze della c.t.u. espletata in primo grado, secondo cui la contrazione dell’infezione, ed il conseguente carcinoma epatico, è da ritenersi concausa della morte, in quanto ” la prognosi dell’epatocarcinoma cellulare è invariabilmente infausta … la prognosi comunque nel breve termine sarebbe stata negativa”;
b) che successivamente la corte è tuttavia così pervenuta a motivare: “Tornando al caso di specie, si reputa che tra le varie
patologie di cui il signor F. era affetto “è più probabile che non” che la causa della sua morte sia da ascriversi non al linfoma di Hodgkin, che risultava dalle cartelle cliniche in remissione sin dal 1992, e non al carcinoma epatico che era stato trattato con chemioembolizzazione, ma, piuttosto, alle plurime patologie (diabetemellito tipo 2, insufficienza renale) concomitanti con quella cardiaca – mai risolta nonostante l’intervento di sostituzione valvolare mitralica ed aortica, avvenuto nel 2005 -, patologia quest’ultima ( originata dalla terapia radiante e chemioterapia, in conseguenza del Linfoma di Hodgkin) che, nell’aprile 2007, due mesi prima del decesso, aveva determinato un ricovero presso gli Spedali Civili di Brescia con diagnosi principale alla dimissione di “scompenso cardiaco congestizio” e che nel giugno 2007 fu individuata quale causa finale della morte (cfr. certificato di morte: “causa intermedia: valvolopatia severa post attinica”; causa finale: insufficienza cardiorespiratoria in ( incomprensibile) insufficienza renale”)”.
Orbene, le argomentazioni svolte dalla corte bresciana risultano meramente descrittive.
Vengono infatti svolte, come condivisibilmente denunciano gli odierni ricorrenti, sul rilievo della mera esistenza di “condizioni” cliniche del paziente e della loro mera sequenza o cronologia temporale, mediante affermazioni generiche ed assertive, al punto da risultare non intellegibili ed inferiori al cd. “minimo costituzionale” della motivazione (si veda il riferimento al “carcinoma epatico che era stato trattato con chemioembolizzazione”, della quale non vengono illustrati gli esiti, se risolutivi o meno).
La corte territoriale perviene quindi ad una motivazione solo apparente, dato che non tiene nella dovuta attenzione la circostanza che la c.t.u., in processi come quello in esame, e’ di tipo percipiente e dunque non puo’ essere disattesa in modo generico ed assertivo, bensì sostituendo alla valutazione tecnica non condivisa l’altra e diversa valutazione tecnica, sulla quale si è fondato il convincimento del giudice.
Risulta pertanto del tutto inadeguato il passaggio motivazionale con cui la Corte di merito esclude rilevanza, quale concausa dell’exitus, al carcinoma epatico conseguente alla trasfusione di sangue infetto.
Se non può dubitarsi che al giudice sia consentito discostarsi dalle valutazioni del c.t.u., sostituendovi proprie diverse argomentazioni, il giudice medesimo ha l’onere di risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione; la riscontrata carenza sotto tale profilo si traduce in un vizio della motivazione della sentenza (Cass., 13/05/2024, n. 13038).
3.3. Aggiungasi, in riferimento al vizio denunciato nel primo motivo, che nel discostarsi dalle risultanze peritali con lo svolgimento di argomentazioni puramente descrittive ed assertive, la corte di merito è anche incorsa nella non corretta applicazione del principio di causalità.
Giova rammentare, anzitutto, che (alla stregua di orientamento ormai stabile di questa Corte: Cass., S.U., 11/01/2008, n. 576 e, tra le altre, Cass., 27/09/2018, n. 23197, nonché Cass., 27/07/2021, n. 21530), in tema di responsabilità civile, la verifica del nesso causale tra condotta (commissiva e/o omissiva) e fatto dannoso – regolato strutturalmente dalle norme di cui agli artt. 40 e 41 c.p. (e, dunque, per via interpretativa, in forza dell’applicazione della teoria condizionalistica, temperata dalla teoria della c.d. regolarità o adeguatezza causale) – deve compiersi sulla scorta del criterio (o regola di funzione o, altrimenti detta, regola probatoria) del “più probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana).
Il principio è stato, quindi, puntualizzato (v., tra le altre, Cass., 21 luglio 2011, n. 15991; Cass., 20 febbraio 2015, n. 3390) nel senso della necessità di una analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo, della singola vicenda di danno, della singola condotta causalmente efficiente alla produzione dell’evento, tutte a loro volta permeate di una non ripetibile unicità.
L’ineludibile esigenza di ancorare l’accertamento del nesso causale alla concretezza della vicenda storica comporta una traslazione della regola sostanziale in quella processuale ed impone di calare il giudizio sull’accertamento del nesso causale all’interno del processo, così da verificare, secondo il prudente apprezzamento rimesso al giudice del merito (art. 116 cod. proc. civ.), la complessiva evidenza probatoria del caso concreto e addivenire, all’esito di tale giudizio comparativo, alla più corretta delle soluzioni possibili.
Di qui, la vitalità del criterio della c.d. evidenza del probabile nell’ambito del singolo processo e della singolare vicenda processuale, che, dunque, non si risolve nella preponderanza dell’evidenza legata al criterio del “50% + 1” (tipico della cultura giuridica anglosassone), ma potrà giungere all’affermazione di sussistenza del nesso di causalità materiale anche in situazioni di probabilità minori (senza per ciò dar luogo ad ipotesi di “perdita di chance”), tenuto conto delle acquisizioni probatorie, sia in positivo, che in negativo, ossia come assenza di fattori alternativi plausibili.
In tale ottica, conferma e conforto di una siffatta impostazione provengono dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, ed in particolare sentenza del 21 giugno 2017 (C-621/15), in tema di interpretazione dell’art. 4 della direttiva 85/374 in materia di responsabilità da prodotto difettoso, in controversia riguardante un’azione risarcitoria contro il produttore di un vaccino per il danno derivante da un asserito difetto di quest’ultimo, in cui la Corte europea ha ritenuto che la prova del nesso causale possa anche derivare da quella indiziaria, fornita dall’attore, pur in assenza di “certezze” scientifiche (in termini positivi o negativi), ma potendosi fondare “su un complesso di indizi la cui gravità, precisione e concordanza … consentono” al giudice “di ritenere, con un grado sufficientemente elevato di probabilità, che una simile conclusione” – ossia la sussistenza dell’anzidetta connessione – “corrisponda alla realtà”.
Analogamente, seppure in relazione ad una fattispecie di reato, la Corte Edu, nella sentenza 27 marzo 2025, Laterza e D’Errico c. Italia, ha affermato che viola l’art. 2 Cedu, sotto il profilo della tutela procedurale del diritto alla vita, la decisione del giudice per le indagini preliminari di archiviazione di un procedimento penale relativo alla morte, per tumore polmonare, di un lavoratore addetto a impianti industriali esposti a sostanze nocive, motivata sulla impossibilità di ricostruzione del nesso causale nonché sulla impossibilità di identificazione dei soggetti responsabili succedutisi nel tempo, in quanto la predetta norma convenzionale pone l’obbligo in capo allo Stato di proteggere il diritto alla vita non soltanto mediante obblighi positivi di natura sostanziale, ma anche per il tramite di obblighi positivi di natura procedurale, volti a garantire l’esistenza di un sistema giudiziario efficace e indipendente per i casi di morte; obblighi, questi, che avrebbero dovuto condurre il giudice a spiegare le ragioni scientifiche e/o fattuali dell’asserita impossibilità di determinare il momento iniziale del processo causale ovvero, in alternativa, a proseguire le indagini al fine di raccogliere ulteriori elementi di prova per stabilire, in applicazione della teoria scientifica prescelta, il periodo di tempo corrispondente all’esposizione alla sostanza nociva che presentava un nesso di causalità con la patologia contestata, e individuare i responsabili delle misure di sicurezza in quel periodo.
4. In conclusione, il ricorso va integralmente accolto.
5. L’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia, in altra sezione e comunque in diversa composizione, per nuovo esame alla luce dei summenzionati principi, che possono essere così sintetizzati: “In tema di accertamento della responsabilità e del nesso causale tra emotrasfusioni di sangue infetto e decesso, qualora il giudice intenda discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è tenuto a fornire una motivazione adeguata e non meramente apparente che spieghi in modo esauriente le ragioni del mancato recepimento. In particolare, nel caso di concause del decesso, il semplice riferimento alla presenza di una patologia concomitante, quale possibile causa alternativa, non è idoneo a giustificare l’esclusione del nesso eziologico con l’infezione contratta, dovendo invece il giudice motivare specificamente sulla preponderanza dell’una o dell’altra causa secondo il criterio del “più probabile che non”. La motivazione della sentenza deve consentire di individuare il percorso logico-giuridico seguito dal giudice per discostarsi dalle conclusioni peritali, non potendo limitarsi a mere affermazioni apodittiche o generiche che non permettano di comprendere le ragioni del convincimento. Il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute non esclude di per sé il rapporto di causalità tra l’evento lesivo principale e il decesso, dovendo essere valutata la loro effettiva incidenza causale attraverso un’analisi specifica e motivata
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Cass. civ., III, ord., 04.08.2025, n. 22388