7. Entrambi i ricorsi – dei quali vanno scrutinati, ormai, i solo i motivi diversi da quelli relativi al supposto difetto di giurisdizione del giudice ordinario – sono da rigettare, anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta, ex art. 384, comma 4, cod. proc. civ. 8. Va esaminato, innanzitutto, il ricorso della Regione Puglia. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 11 8.1. Il primo motivo – come da eccezione sollevata dal controricorrente – è inammissibile. 8.1.1. Esso denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione sia all’art. 2051 cod. civ., che ad altre norme di diritto, senza neppure riprodurre le parti della sentenza impugnata che avrebbero trasgredito all’uno come alle altre. Deve, pertanto, darsi seguito al principio secondo cui il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., “giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2024, n. 20870, Rv. 671836-01; in senso analogo anche Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01). 8.1.2. In ogni caso, il presente motivo, come meglio si dirà nello scrutinare quello successivo (e il primo motivo del ricorso incidentale), è anche infondato, sebbene, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta. Invero, la responsabilità della Regione, e quella del Comune, è stata affermata ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sul presupposto che essa – o meglio, essi – resti(no) nella titolarità del “potere di fatto” sul tratto di mare territoriale che ha formato oggetto di concessione in favore dei due stabilimenti balneari che, in ragione Corte di Cassazione – copia non ufficiale 12 dell’immersione in mare di una barriera di sacchi di juta riempiti di sabbia, risultano aver alterato il sistema delle correnti marine ed il riciclo naturale del materiale sabbioso, così provocando il fenomeno dell’erosione delle coste marine. Nel vagliare la correttezza, o meno, dell’inquadramento della responsabilità dei due Enti nella fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ., reputa questo Collegio che non possa prescindersi da quanto affermato – nella sua massima sede nomofilattica – da questa Corte con riferimento alla condizione dei titolari di concessioni per stabilimenti balneari. È stato affermato, infatti, che “la disciplina dettata dalla legge per i beni demaniali si estende, in quanto compatibile, anche al mare territoriale, quantunque quest’ultimo non rientri fra tali beni, ma costituisca, al contrario, una res communis omnium”; estensione imposta dal rilievo per cui, “anche rispetto ad un tratto di mare territoriale è configurabile un diritto soggettivo di uso speciale, il quale ricorre allorché, pur non restando precluso l’uso comune del bene demaniale a tutti i componenti della collettività uti cives, un determinato soggetto risulti abilitato a trarre dal detto bene uti singulus utilità maggiori ed eventualmente in tutto o in parte diverse” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 2 febbraio 2017, n. 2735, Rv. 642419-02, che ha riconosciuto la possibilità per il concessionario di uno stabilimento balneare di far valere – a norma dell’art. 1145 cod. civ. – la tutela possessoria dello specchio di mare antistante lo stesso, proprio in relazione ad interventi di terzi che avevano alterato il flusso delle correnti marine). Stando così le cose, e dunque configurandosi un possesso dello specchio marino antistante ad uno stabilimento balneare in capo al relativo concessionario, non può certo sostenersi che la Regione – e il Comune – conservi(no) il “potere di fatto”, e con esso la responsabilità da custodia ex art. 2051 cod. civ., di quegli specchi d’acqua dei quali, mercè apposita concessione, sia stata Corte di Cassazione – copia non ufficiale 13 attribuita al titolare di uno stabilimento balneare la possibilità di trarre “maggiori utilità” (e con essa, evidentemente, simmetriche responsabilità, in applicazione del classico brocardo “ubi commoda, eius et incommoda”). La responsabilità di Regione e Comune va, piuttosto, affermata alla stregua dei compiti ad essi attribuiti – come correttamente sottolineato da Francesco Negro nel proprio controricorso – in particolare dagli artt. 70, comma 1, lett. a), e 89, comma 1, lett. h), d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, oltre che dagli artt. 5 e 6 dalla legge regionale della Regione Puglia 23 giugno 2006, n. 17 (norme, non a caso, tutte richiamate nel “preambolo” dei provvedimenti di autorizzazione al ripascimento dei lidi marini rilasciati, ma poi disattesi nelle loro prescrizioni, dagli stabilimenti balneari che hanno dato causa con il loro comportamento alla erosione della fascia costiera). Invero, così come l’art. 70, comma 1, lett. a), del d.lgs. 112 del 1998 attribuisce alle Regioni e gli altri enti locali “compiti di protezione ed osservazione delle zone costiere”, l’art. 89, comma 1, lett. h), stabilisce che le une come gli altri provvedano “alla programmazione, pianificazione e gestione integrata degli interventi di difesa delle coste e degli abitati costieri”. Parimenti, l’art. 5 della legge regionale pugliese n. 17 del 2006 assegna alla Regione funzioni di “programmazione, indirizzo e coordinamento generale” (lett. a), oltre che di “monitoraggio e verifica dell’attività dei Comuni costieri” (lett. c), attribuendole pure “poteri sostitutivi” (lett. e); l’art. 6 della stessa legge regionale, per parte propria, attribuisce ai “Comuni costieri l’esercizio di tutte le funzioni amministrative relative alla materia del demanio marittimo, fatte salve quelle espressamente individuate all’articolo 5”. Dunque, la responsabilità di Regione – e Comune – va affermata, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per omessa vigilanza Corte di Cassazione – copia non ufficiale 14 sulla condotta dei concessionari degli stabilimenti balneari, in particolare in relazione al mancato rispetto delle condizioni imposte dai provvedimenti autorizzatori ad essi rilasciati. Né, d’altra parte, osta ad un tale esito la configurazione di un (ipotetico) concorso ex art. 2055 cod. civ. nella produzione dell’evento dannoso tra i suddetti concessionari, ex art. 2051 cod. civ., e gli Enti territoriali, ex art. 2043 cod. civ. Questa Corte, infatti, ha già riconosciuto come “configurabile una ipotesi di concorso causale nell’evento da parte del custode, per il titolo di cui all’art. 2051 cod. civ., e di altro soggetto, per il normale titolo di responsabilità generica ai sensi dell’art. 2043, atteso che all’addebito concorsuale dei distinti titoli di responsabilità non osta il non avere dato il custode la prova liberatoria della ricorrenza del caso fortuito, poiché tanto comporta soltanto che egli non possa sottrarsi alla responsabilità per il titolo di sua pertinenza, ma non che l’evento dannoso non possa essere stato concausato anche dal fatto di un terzo”; e ciò perché la “incompatibilità fra l’affermazione di una responsabilità del custode per mancata prova liberatoria e l’affermazione del concorso di una responsabilità ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. è, infatti, concepibile solo allorquando il fatto del terzo responsabile ai sensi di questa norma assuma efficienza causale esclusiva nella produzione dell’evento, sì da rendere irrilevante il contributo causale derivante dalla cosa oggetto della custodia e da assumere, rispetto ad esso, le caratteristiche del fortuito” (Cass. Sez. 3, sent. 14 novembre 2006, n. 24211, Rv. 593550-01). 8.2. Le considerazioni da ultimo svolte conducano a ritenere non fondato il secondo motivo del ricorso principale, con il quale è stata censurata la riconduzione della presente fattispecie alla responsabilità per beni in custodia, giacché – assume la ricorrente Regione – dalla “stessa ricostruzione della vicenda di controparte Corte di Cassazione – copia non ufficiale 15 nell’atto introduttivo e dalle risultanze del processo il danno era invece conseguito dal fatto illecito del terzo”. Come detto, la concorrente responsabilità – peraltro non fatta valere da alcuno nel presente giudizio, non avendo Regione e Comune provveduto ad effettuare la c.d. “laudatio auctoris”, ovvero la chiamata in giudizio del terzo (cor)responsabile – dei concessionari degli stabilimenti balneari non vale ed escludere quella delle pubbliche amministrazioni evocate in giudizio. 9. Anche il ricorso incidentale è da rigettare. 9.1. Nuovamente, la constatazione che la disciplina delle concessioni risulta applicabile pure agli specchi d’acqua antistanti gli stabilimenti balneari conduce a ritenere non fondato il primo motivo del ricorso del Comune, consentendo di superare il rilievo secondo cui “il mare antistante il territorio di un Comune” neppure può formare oggetto di custodia, stante il suo carattere di bene sconfinato. Si è visto, infatti, come la responsabilità del Comune (cfr. § 8.1.2.) vada affermata in ragione dell’omessa vigilanza di quanto i concessionari degli stabilimenti balneari – in relazione agli specchi d’acqua oggetto del loro possesso – avevano realizzato in difformità dai titoli abilitativi ad essi rilasciati. Peraltro, nello scrutinare il primo motivo del ricorso incidentale deve, comunque, rilevarsi l’inammissibilità di quella censura con cui il Comune lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), l’omesso esame di tale “questione”. Infatti, il vizio di cui al suddetto art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. è ipotizzabile solo quando l’omissione investa un “fatto vero e proprio” (non una “questione” o un “punto” della sentenza) e, quindi, “un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario Corte di Cassazione – copia non ufficiale 16 (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 64630801), vale a dire “un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico” (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), “un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto” (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 629647-01), e “come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni” (Cass. Sez, 6-1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01). 9.2. Il secondo motivo di ricorso incidentale – proposto per l’ipotesi in cui questa Corte dovesse reputare che il tratto di mare ove sono stati realizzati gli interventi rientri nel demanio marittimo – è inammissibile. Invero, la constatazione che – per stessa ammissione del ricorrente incidentale – gli interventi addebitati ai concessionari degli stabilimenti balneari siano stati realizzati anche solo, “in minima parte, in maniera diversa rispetto alle autorizzazioni rilasciate”, rende priva di rilievo (e quindi inammissibile) la censura secondo cui il potere di vigilanza – e di repressione – del Comune non sarebbe esercitabile per interventi posti in essere “in assenza” di titoli abilitativi. 9.3. Infine, il terzo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, per una duplice – alternativa – ragione. Difatti, la circostanza che l’erosione del lido del mare, quale conseguenza dell’operare delle correnti marine prima (e a prescindere) dagli interventi operati dai concessionari degli Corte di Cassazione – copia non ufficiale 17 stabilimenti balneari, fu oggetto di uno specifico motivo di gravame, del quale il Comune lamenta l’omessa pronuncia, comporta che tale censura non avrebbe dovuto essere prospettata ipotizzando la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. Infatti, “l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti” (come prospettato con il presente motivo), “in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile” (così, tra le altre, Cass. Sez. 6-3, ord. 16 marzo 2017, n. 6835, Rv. 643679-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 6-1, ord. 12 ottobre 2017, n. 23930, Rv. 646046-01). In ogni caso, anche ad intendere il presente motivo come diretto a censurare l’omessa considerazione di quel “fatto naturalistico” (ovvero, la preesistenza dell’alterazione delle correnti marine agli interventi realizzati dai concessionari degli stabilimenti balneari), tale doglianza sarebbe preclusa dall’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. Al riguardo, infatti, va, innanzitutto, segnalato che – avendo l’odierno ricorrente incidentale appellato una sentenza resa in prime cure in data 7 maggio 2015 – il suo atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012. Orbene, siffatta circostanza determina l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 18 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso di cd. “doppia conforme di merito”, qual è quello presente, in relazione alla affermata responsabilità del Comune (già riconosciuta in primo grado), la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere – ciò che nella specie non risulta avvenuto – “di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01; Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023, n. 5947, Rv. 667202-01). Indicazione, peraltro, che deve evidenziare l’esistenza di differenze sostanziali, dato che l’ipotesi di “doppia conforme” ricorre “non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice” (Cass. Sez. 6-2, ord. 9 marzo 2022, n. 7724, Rv. 664193-01). Né, d’altra parte, l’applicazione di tale norma è preclusa dalla sua abrogazione, ad opera del già citato art. 3, comma 26, lett. e), del d.lgs. n. 149 del 2022, avendo essa effetto dal 28 febbraio 2023 e con applicazione ai soli procedimenti già pendenti a tale data (tale non è il caso del giudizio in esame, atteso che il presente ricorso risulta essere notificato il 2 febbraio 2021), secondo la previsione generale di cui al comma 1 dell’art. 35 del medesimo d.lgs. n. 149 del 2022. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 19 10. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra tutte le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. Nella specie, infatti, la norma da ultimo citata trova applicazione, “ratione temporis”, nel testo modificato dall’art. 58, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (il quale si limitava a prevedere che la compensazione potesse essere disposta in presenza di “eccezionali ragioni”, purché esplicitate in motivazione), e ciò essendo stato il primo grado della presente controversia instaurato con citazione dell’8 febbraio 2013. Invero, tali “eccezionali ragioni” vanno identificate, nel caso che occupa, nell’assenza di precedenti giurisprudenziali specifici in merito alla questione oggetto dei ricorsi esaminati. 11. A carico della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, stante il rigetto delle rispettive impugnazioni, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
CORTE DI CASSAZIONE, III CIVILE – sentenza 24.10.2025 n. 28278