3. Il ricorso è fondato.
Il presente procedimento ha tratto origine dalla denuncia di due ragazze inglesi per violenze sessuali di gruppo e lesioni, subìte nella notte tra il 6 e il 7 settembre 2020, nel corso di una festa. La prima ragazza si era allontanata con Ma.Mi. verso il retro della villa, ma, durante il tragitto, si era accorta che era seguita dagli amici del ragazzo, per cui aveva cercato di tornare indietro, non riuscendovi perché trattenuta con la forza. Poi era stata spinta contro la parte posteriore di un’auto parcheggiata dietro gli alberi ed era stata abusata da vari ragazzi, separatamente processati, con rapporti vaginali e orali, nonché picchiata. Nelle more, era sopraggiunto il ricorrente che l’aveva costretta a subire un rapporto orale (punto non sufficientemente chiarito, come si dirà in prosieguo) e che aveva assistito alle violenze perpetrate dagli amici. La ragazza era riuscita a mordere il membro di uno degli aggressori ed era scappata, raggiungendo la connazionale che si era appartata in quella stessa zona insieme ad Lo.An., il quale l’aveva violentata con almeno altri tre ragazzi, costringendola a rapporti orali e anali, mentre un altro si masturbava e l’imputato guardava. Quindi, erano scappate ed erano tornate alla festa chiedendo aiuto ai familiari. Entrambe erano state portate in ospedale, dove erano state riscontrate numerose ecchimosi ed escoriazioni nelle varie parti del corpo, compatibili con le descritte violenze. I tamponi avevano dato esito positivo per la presenza del DNA degli aggressori ma non del ricorrente. La prima ragazza presentava poi sulle gambe e sul tallone segni di vernice verde presente sul luogo della violenza. Ad ulteriori esami, era risultato che le due vittime avevano assunto alcol e cocaina e, dal punto di vista psicologico, mostravano un’amnesia dissociativa con incapacità di ricordare i particolari. Il racconto della prima ragazza era stato puntualmente riscontrato dal sopralluogo dove gli inquirenti avevano trovato il suo assorbente, l’auto abbandonata, la vernice verde nell’erba. Segni di vernice erano anche sulle scarpe di alcuni degli aggressori. Le ragazze avevano concordemente dichiarato che l’imputato aveva assistito alle violenze sessuali di gruppo ai danni di entrambe.
Il ricorrente ha negato di aver commesso le violenze e le lesioni. Ha riferito di essere andato a bere con il suo amico Li.Ro. e di aver incontrato il cugino di questi e un suo amico con cui avevano deciso di andare alla festa in villa, che era a libero accesso. Dai filmati della videosorveglianza era emerso che non aveva socializzato con nessuno. A un certo punto, poiché il suo rientro a casa dipendeva dagli amici, non guidando e non disponendo dell’auto, aveva tentato di contattarli per rientrare, ma inutilmente, e quindi si era incamminato con Li.Ro. per cercarli. Nel breve, aveva perso l’amico che lo aveva anticipato nel percorso, si era fatto male nella zona buia e non era proprio arrivato nell’area in cui erano state perpetrate le violenze. Ha insistito sui plurimi riscontri in suo favore: le immagini delle videocamere che ne avevano registrato gli spostamenti, la consulenza informatica sui tentativi di chiamata agli amici, le dichiarazioni dei coimputati che l’avevano scagionato, la consulenza genetica che aveva escluso la presenza del suo DNA, la consulenza chimica che aveva escluso che si fosse imbrattato con la vernice verde, l’inattendibilità del riconoscimento.
4. Ritiene il Collegio, prima di entrare nel merito delle censure relative al travisamento delle prove, di analizzare il ricorso a partire dal sesto motivo che offre la possibilità di tracciare le coordinate ermeneutiche della violenza sessuale di gruppo.
Il reato dell’art. 609-octies cod. pen. è una fattispecie autonoma di reato, a carattere necessariamente plurisoggettivo proprio, e richiede, per la sua integrazione, l’accordo delle volontà dei compartecipi al delitto, non necessariamente preventivo, bastando la consapevole adesione, anche estemporanea, all’altrui progetto criminoso (Sez. 3, n. 29406 del 04/04/2019, G., Rv. 276548 – 02), e la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito, in un rapporto causale inequivocabile, senza che, peraltro, ciò comporti anche la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un’attività tipica di violenza sessuale (Sez. 3, n. 11541 del 03/06/1999, Bombaci, Rv. 215148 – 01).
Non è necessario, dunque, che l’atto sessuale sia compiuto contemporaneamente da tutti i partecipanti essendo sufficiente la mera presenza di tutti, anche se l’atto viene posto in essere a turno da ciascuno dei partecipanti (Sez. 3, n. 40121 del 23/05/2012, A., Rv. 253674 – 01; Sez. 3, n. 42111 del 12/10/2007, Salvin, Rv. 238149 – 01), né è necessario che il singolo realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale dell’altro o degli altri correi, potendo realizzare anche solo una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti (Sez. 3, n. 32928 del 16/04/2013, V., Rv. 257275 – 01; Sez. 3, n. 15089 del 11/03/2010, Rossi, Rv. 246614 – 01; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Pacca, Rv. 227495-01); inoltre, risponde se ha partecipato anche se non ha assistito (Sez. 3, n. 6464 del 05/04/2000, Giannuzzi, Rv. 216978 – 01). Infatti, nella violenza sessuale di gruppo ciò che conta è la forza intimidatoria che la presenza del gruppo esercita sulla vittima dell’abuso sessuale (Sez. 3, n. 17843 del 23/03/2005, la Fata, Rv. 231524 – 01), per cui basta la presenza come rafforzamento dell’altrui proposito criminoso (Sez. 3, n. 16037 del 20/02/2018, C., Rv. 272699 – 01; Sez. 3, n. 11560 del 11/03/2010, M., Rv. 246448 – 01). La presenza, va chiarito, però, deve essere effettiva, non da mero “spettatore”, sia pure compiacente, e deve apportare un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva (Sez. 3, n. 44408 del 18/10/2011, B., Rv. 251610 – 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, nonostante abbia confermato la condanna dell’imputato anche per la violenza sessuale nei confronti della seconda ragazza, non ha svolto alcuna considerazione sulla partecipazione morale alla violenza sessuale di gruppo da questa subita. La vittima ha dichiarato che l’imputato aveva solo assistito alla violenza, ma la Corte territoriale non ha spiegato se la presenza fosse stata “passiva” o “attiva”, implicitamente desumendo dall'”attività” nella violenza sessuale di gruppo ai danni della prima ragazza, e quindi apoditticamente estendendo il relativo giudizio, la partecipazione alla violenza sessuale di gruppo ai danni della seconda. Analoghe considerazioni valgono per la prima ragazza, se si accertasse che l’imputato non l’aveva costretta al sesso orale, ma che aveva solo assistito alle violenze sessuali perpetrate dagli altri. Fondata è dunque la sesta censura in termini di violazione di legge, per insussistenza dei requisiti del reato, oltre che di vizio di motivazione, perché, si registra un’omessa risposta per la seconda ragazza e un’insufficiente risposta per la prima.
5. Venendo agli altri motivi di ricorso che si focalizzano sulla violenza sessuale di gruppo ai danni della prima ragazza, il Collegio ravvisa ulteriori fattori di criticità nell’apprezzamento delle prove che giustificano l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Il G.u.p. ha affermato che l’imputato e il Li.Ro. si erano diretti nella zona ove si trovavano gli amici alle ore 00.43.36 ed erano tornati indietro tutti insieme, compatti, alle ore 00.54. L’imputato, invece, ha precisato che dalla videocamera n. 4 risultava che nella frazione temporale dalle ore 00.43.53 alle ore 00.45.06 si vedeva con chiarezza che era entrato da solo nel vialetto con il telefono spento e poi era uscito. Mai si era inoltrato nella zona buia delle violenze sessuali. Tale circostanza, coerente con la tesi difensiva secondo cui era andato a cercare gli amici per tornare a casa, è stata tralasciata dalla Corte di appello, che ha recepito le dichiarazioni accusatorie della prima ragazza senza sottoporle a rigorosa verifica e conciliarle, se possibile, con le risultanze delle telecamere. L’imputato ha dichiarato di essersi incamminato verso la zona ove riteneva si trovassero gli amici, ma di non esservi arrivato e di essere ritornato indietro. Nonostante lo specifico motivo di appello, la Corte territoriale si è limitata a confermare le conclusioni del G.u.p., secondo cui era uscito dai filmati per undici minuti, tempo compatibile con le violenze, e ha omesso di descriverne con accuratezza gli spostamenti e di rispondere alla specifica richiesta della difesa di esaminare il filmato della videocamera n. 4 che avrebbe ripreso il suo ritorno alla villa già dopo due minuti dall’ingresso nella zona buia.
La prima ragazza risulta che, nell’incidente probatorio, a pag. 106 del verbale, a specifica domanda del G.i.p., “E quindi, mentre succedevano queste cose, Falotico che faceva?, ha risposto, secondo la traduzione simultanea dell’interprete, “Io non ricordo bene dove lui fosse andato, so che lui guardava gli altri che facevano sesso con me ed è tutto questo quello che ricordo. Ma lui era sicuramente lì”. Nella sentenza di primo grado, a pag. 13, il G.u.p. ha affermato che, dopo le frasi riportate nella traduzione in italiano, la ragazza aveva dichiarato “I couldn’t see where he went but I know that he did make me perform oral sex”, espressione che, stando a quel che si legge in sentenza, non aveva formato oggetto di traduzione in tempo reale da parte dell’interprete né di trascrizione da parte degli addetti alla fonoregistrazione, ma che portava inequivocamente a ritenere che l’imputato, prima, l’avesse costretta a subire sesso orale e, poi, si fosse limitato a osservare i suoi amici nel corso dei vari ulteriori rapporti sessuali. Il G.u.p. non ha spiegato però da dove ha tratto tale espressione, sebbene nel verbale di incidente probatorio, sempre a pag. 106, in apertura, il G.i.p. aveva chiesto di descrivere la condotta dell’imputato e la vittima aveva risposto “Mi ha costretto a fare del sesso orale. Non so se lui si è messo dietro di me, ma so che lui era lì a guardare”. Però, la perizia genetica relativa alla ricerca del DNA dell’imputato ha dato esito negativo, il che indurrebbe a pensare all’assenza di un rapporto orale, ma la Corte territoriale che, invece, ha acriticamente aderito all’interpretazione del primo Giudice, ha inteso il racconto della minore nel senso che vi era stata, prima, la consumazione del rapporto orale e, poi, la partecipazione “passiva” alle restanti violenze. Per giustificare il risultato negativo del DNA, ha replicato dunque che ben era possibile che tra i due ci fosse stato un limitato coinvolgimento dei corpi e che non ci fosse stata l’eiaculazione. Si tratta di una motivazione congetturale, disancorata dalle risultanze processuali, con travisamento della prova perché sono state introdotte delle informazioni rilevanti, sull’entità del contatto e sull’eiaculazione, che non risultano dal processo (tra le più recenti, Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155 – 01 e Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567 – 01). Il tema di indagine è decisivo perché la condanna è stata determinata, in primo luogo, dall’accertamento del rapporto orale e, in secondo luogo, dall’accertamento della presenza dell’imputato nei luoghi della violenza, circostanza questa di per sé, come detto, non sufficiente ai fini della motivazione se non ne è provata l’incidenza causale rispetto alle altrui determinazioni violente.
È pacifico che sul luogo della violenza ai danni della prima ragazza vi fosse della vernice verde. La vittima era macchiata in vari punti, anche sul corpo, mentre l’imputato non si era macchiato né sul corpo né sugli abiti né sulle scarpe. Alcuni degli aggressori presentavano queste macchie, altri no. I Giudici di merito hanno spiegato l’esito negativo della consulenza chimica sulla vernice, ritenendo che l’imputato non si fosse sporcato per pura casualità oppure perché la ragazza si era spostata nei frangenti del rapporto orale. Tale motivazione, pur plausibile, presuppone, ma non giustifica, la colpevolezza dell’imputato, perché non fuga i dubbi sollevati sulla sua effettiva presenza nei luoghi della violenza.
Ritiene il Collegio, poi, che le sentenze di merito abbiano travisato il contenuto dell’intercettazione ambientale dell’11 settembre 2020. I Giudici di merito hanno interpretato il discorso tra Giuseppe Gargano e Li.Ro. nel senso che, sorprendentemente, l’imputato non era stato coinvolto dalle indagini, nonostante la sua piena responsabilità. Dalla lettura della trascrizione Rit. 98/2000 si desume l’esatto contrario. I due avevano convenuto che c’era bisogno di qualcuno che testimoniasse a loro favore dicendo che erano state le ragazze a prendere l’iniziativa e che i rapporti erano stati consensuali. E quel qualcuno doveva essere l’odierno ricorrente perché non era indagato, e quindi poteva essere creduto, ma soprattutto era estraneo ai fatti. L’imputato aveva sollecitato un riesame del punto, ma la Corte territoriale, ancora una volta, si è limitata ad aderire acriticamente all’interpretazione del G.u.p.
Il ricorrente ha dubitato infine dell’attendibilità della vittima, per l’impossibilità di vedere gli aggressori, stante la condizione soggettiva di annebbiamento dovuta all’assunzione di alcol e stupefacenti nonché la condizione oggettiva di buio. Ha poi rilevato che non aveva descritto il dettaglio del triangolo della maglietta rosa mentre anche Lo.An. indossava una maglietta dello stesso colore. Ha stigmatizzato le modalità del riconoscimento, perché la ragazza non aveva fatto il suo nome con la denuncia ma solo durante l’incidente probatorio allorché aveva riferito di averlo riconosciuto sulla base dei filmati che le erano stati mostrati in Questura due giorni prima. La Corte territoriale ha omesso la risposta sulla genuinità del riconoscimento, nonostante lo specifico motivo di appello e nonostante avesse acquisito in udienza la certificazione del dirigente della squadra mobile sul mancato espletamento di tale attività.
In definitiva, accertato che le minori hanno subìto le violenze sessuali di gruppo e le lesioni, ciò che non risulta effettivamente contestato, siccome il quinto motivo esprime delle considerazioni sui comportamenti delle ragazze generiche, congetturali e disancorate dalle risultanze processuali, la motivazione rimane perplessa in ordine alla presenza dell’imputato sui luoghi e al ruolo, attivo o passivo, che ha rivestito. Alla luce delle considerazioni svolte, s’impone l’annullamento della sentenza impugnata, in accoglimento dei motivi dal primo al quarto e del sesto motivo. Il quinto motivo, come detto, è inconsistente. Del pari generico e fattuale è l’ottavo motivo perché le lesioni sono state riscontrate come pure è certa l’assunzione di stupefacenti e di alcol. Il settimo motivo sulle generiche deve, invece, ritenersi assorbito. Il Giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente grado.
Cass. pen., III, ud. dep. 04.08.2025, n. 28479