1. Il ricorso è fondato.
La sentenza va, pertanto, annullata senza rinvio disponendo la restituzione delle somme all’avente diritto.
2. Il Giudice del merito ha disposto la confisca ai sensi degli artt. 240 e 240 – bis cod. pen. del danaro rivenuto nella disponibilità dell’imputato nei confronti del quale veniva applicata la pena concordata in relazione a condotte di detenzione ai fini di cessione di sostanza stupefacente ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 cit.
2.1. L’art. 240 cod. pen. prevede la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, ovvero del vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione del reato (cfr. Sez. Un. n 9149 del 03/07/1996, Chabni, Rv. 205707).
Pertanto, è certamente ammessa la confisca del danaro che costituisca provento del reato di vendita di sostanze stupefacenti.
2.2. Nondimeno, nel caso in esame, all’imputato è stata contestata solo la condotta di mera detenzione a fini di spaccio e non anche la condotta di cessione a terzi e a titolo oneroso di sostanze stupefacenti.
L’imputazione di vendita di sostanza stupefacente, cui sarebbe correlabile il possesso della somma sequestrata all’imputato, è dunque del tutto estranea alla regiudicanda. Il danaro confiscato non costituisce, allora, il profitto del reato in contestazione, potendo al più essere l’introito del corrispettivo di diverse e pregresse condotte illecite di cessione di droga, che sono tuttavia fuori dal fuoco della contestazione.
Mancando il nesso tra il reato ascritto all’imputato e la somma di danaro rinvenuta nella sua disponibilità, la confisca disposta ai sensi dell’art. 240 cod. pen. è illegittima, potendo costituire oggetto della statuizione ablatoria esclusivamente il provento del reato per il quale l’imputato è stato condannato e non di altre condotte illecite, estranee alla declaratoria di responsabilità.
2.3. Quanto alla confisca allargata, l’art. 240 – bis cod. pen. (già art. 12 – sexies, d.l. 8 giugno 1992) prevede una misura di sicurezza patrimoniale per un catalogo di reati “spia”, tra cui rientra anche l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 cit. ai sensi dell’art. 85 – bis nella versione successiva alla novella del 13 novembre 2023, n. 129, ratione temporis applicabile, essendo i fatti – reato in contestazione successivi alla riforma.
Detta misura presuppone che il condannato non sia in grado di giustificare la provenienza dei beni di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o di cui risulta avere – a qualsiasi titolo – la disponibilità in valore sproporzionato al reddito dichiarato ai fini delle imposte o alla propria attività economica. E’ giustificata dalla particolare gravità dei delitti ed è caratterizzata da un forte affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa in quanto fondata su tre elementi: a) la qualità di condannato per determinati reati; b) la sproporzione del patrimonio di cui il condannato dispone, anche indirettamente, rispetto al suo reddito o alla sua attività economica; c) la presunzione che il patrimonio stesso derivi da altre attività criminose non accertate. Dunque, in presenza di dette condizioni, si presume che il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla condanna, ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni di cui egli dispone (Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226491 – 01). Pur non realizzando un’inversione dell’onere della prova, è comunque onere del soggetto interessato l’allegazione di fatti di segno contrario (Sez. U, n. 8052 del 26/10/2023, dep. 2024, Rizzi, Rv. 285852 – 01) e, anche nel caso di patteggiamento, spetta al giudice la verifica dei presupposti con onere di congrua motivazione lì dove provveda alla ablazione di beni o danaro.
Va, infatti, al tal riguardo richiamata la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348 – 02) secondo cui «se la sentenza dispone una misura di sicurezza sulla quale non è intervenuto accordo tra le parti, la statuizione relativa -che richiede accertamenti circa i previsti presupposti giustificativi e una pertinente motivazione […]- è impugnabile […] con ricorso per cassazione anche per vizio della motivazione, ex art. 606, comma 1, cod. proc. pen.».
2.4. Ebbene, nel caso in esame, il Giudice di prime cure non ha assolto all’onere motivazionale su di lui incombente, avendo disposto la confisca allargata della somma di danaro, caduta in sequestro, senza la disamina dei presupposti giustificativi e senza null’altro specificare in punto di sproporzione tra il reddito posseduto e il danaro rinvenuto nella disponibilità del P.S.G..
3. La sentenza impugnata, pertanto, va annullata senza rinvio con restituzione delle somme di danaro in favore dell’avente diritto.
Cass. pen., VI, ud. dep. 30.09.2025, n. 32283