Il ricorso è fondato.
1. Giova alla migliore comprensione dei motivi del ricorso una sintetica ricostruzione degli essenziali snodi procedimentali.
Con ordinanza del 9 dicembre 2024 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania applicava a G. la misura degli arresti domiciliari.
1.1. Il procedimento a suo carico era nato in forza della denuncia presentata il 15 novembre 2024 dalla parte offesa, G. M. che, spaventata e piena di lividi (in tal senso le fotografie scattate in quella sede dal personale di Polizia Giudiziaria che, peraltro, direttamente constatava lo stato di prostrazione della ragazza oltre che la contestuale ricezione, da parte della stessa, di numerose telefonate da parte dell’indagato). Rappresentava in quella sede la parte offesa che l’ira del fidanzato il giorno prima era stata suscitata dall’averlo, ella, chiamato con il nome del precedente suo compagno; ne erano conseguite le violente percosse, con ripetuti schiaffi sul corpo e in viso, quindi con una tracolla rotta, usata, dapprima, per colpirla a mo’ di frusta sulle braccia e sulle gambe, poi, avvolta la cinta intorno al collo, per tentare di soffocarla; l’aveva poi portata in bagno ed aiutata a lavarsi dal sangue che la ricopriva, continuando a ripeterle che non era successo nulla e doveva stare tranquilla; le aveva poi procurato una crema ed un unguento per coprire i segni delle percosse.
Precisava, in sede di sommarie informazioni rese nella stessa giornata, l’inanellarsi di una serie di episodi violenti caratterizzanti la relazione: nello stesso dicembre, quando, a causa della sua scelta di usare come sfondo del cellulare la foto di un cantante rap, l’uomo l’aveva colpita con uno schiaffo e l’aveva minacciata gravemente; durante il precedente ottobre, quando, in due occasioni, l’aveva accusata di essersi incontrata col precedente fidanzato e minacciata di morte (il che già era avvenuto durante la precedente estate) e aveva aggredito un proprio amico sol perchè la aveva salutata; rappresentava la gelosia ossessiva del fidanzato; diceva, anche, di due episodi di rapporti sessuali consumati senza consenso.
Sentita, nuovamente, il 22 novembre, dichiarava di non voler più sporgere querela, e aggiungeva che G. da lei medio tempore incontrato, aveva mutato atteggiamento (teneva lo sguardo basso, era rimasto in disparte, come se fosse stato dispiaciuto dell’accaduto).
Le dichiarazioni della madre della G.M. confermavano l’assunto della condotta complessivamente controllante, aggressiva e connotata da malsana gelosia dell’indagato nei confronti della figlia. Confermava l’episodio ultimo, del (OMISSIS), per averle inoltrato la figlia una videochiamata sicché aveva potuto vedere i lividi sul corpo di lei.
1.2. Le allegazioni difensive (videochiamate e screenshot di chat (OMISSIS) intercorse tra le parti, anche in costanza di misura cautelare), e, in particolare, la condotta della denunciante che dalle stesse emerge, sicuramente inquietante, insieme con gli accertamenti della polizia giudiziaria attestanti come proprio la ragazza si era recata, ancora nel dicembre 2024, presso l’abitazione dell’indagato che, tuttavia, non la aveva fatta entrare nella abitazione, hanno determinato il Tribunale della Libertà ad una ricostruzione degli accadimenti differente da quella offerta in denuncia e nelle prime s.i.t. della parte offesa, inteso come soggetto non sopraffatto dal comportamento autoritario dell’indagato, ma, essa stessa, in atteggiamento di ‘sfida’ nei di lui confronti (il riferimento è alla minaccia di morte con il video ove compare un canarino poi dalla stessa ucciso con modalità macabre e per la cui compiuta descrizione si rinvia all’ordinanza impugnata).
Tanto, unitamente alla sommariamente descritta progressione dichiarativa della parte offesa (per la compiuta disamina delle dichiarazioni della G.M. si rinvia all’ordinanza impugnata), con ‘alleggerimento’ delle denunciate responsabilità dell’indagato, alla volontà di non sporgere querela, alla continuità di approcci proprio dalla stessa parte offesa cercati con l’indagato, è stato ritenuto dal Tribunale efficiente ad escludere un giudizio di credibilità della denunciante e, dunque, a ritenere la carenza di gravi indizi in relazione al reato di cui al capo a), di atti persecutori, pur procedibile ex art. 612-bis cod.pen., essendo stata la remissione di querela non processuale.
Le lesioni, pur comprovate, sono state ritenute improcedibili in difetto di querela (la procedibilità di ufficio conseguendo, a norma di legge, alla loro commissione con uso di arma il cui utilizzo è vietato, mentre, nella specie, l’ ‘arma’ utilizzata, impropria, la cinghia della tracolla, non è stata ritenuta tale da rinetrare nel catalogo di legge al fine qui rilevante).
La violenza sessuale è stata ritenuta, del pari, in difetto di querela, improcedibile.
2. Giova, ancora in via di premessa, precisare che il controllo di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti in materia “de libertate” non è diverso da quello consentito in generale dall’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. (così, esplicitamente, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391 – 01), secondo cui i limiti della cognizione della Corte di Cassazione, anche in relazione ai provvedimenti riguardanti l’applicazione di misure cautelari, sono individuabili nell’ambito della specifica previsione normativa contenuta nell’art. 606 cod. proc. pen..
Ne consegue che, qualora venga denunciato il vizio di motivazione di un’ordinanza, tale vizio, per poter essere rilevato, deve assumere i connotati indicati nell’art. 606 lett. e) -, e cioè riferirsi alla mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicità; Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998 Martorana, Rv. 210019 – 01, secondo cui in sede di giudizio di legittimità sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione.
Il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti “de libertate”, a una diversa valutazione dello spessore degli indizi e delle esigenze cautelari; nello stesso senso, più recentemente, Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244 – 01
Ne consegue che non sono consentite valutazioni alternative (e, in astratto, persino maggiormente persuasive) dei medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, poiché ciò non prova la natura manifesta della illogicità della motivazione adottata in sede di merito.
È, infatti, necessario ribadire il costante insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale: a) l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); b) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).) La remissione di querela del 22 novembre 2024.
Costituisce declinazione di questi principi quello autorevolmente affermato da Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 (e ribadito da successive pronunce tra le quali, da ultimo, Sez. 6, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460) secondo cui in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, la Corte ha precisato che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza Non sono dunque consentite incursioni nel materiale istruttorio tantomeno al fine di utilizzarlo quale metro di giudizio della tenuta logica della motivazione.
3. Ciò premesso rileva il Collegio che l’ordinanza impugnata, pur all’esito dell’oggettivo completo censimento delle molteplici risultanze investigative, è, comunque, ellittica quanto alla disamina e valutazione della credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto reso dalla parte offesa, e monca quanto alla valutazione, anche comparativa, dell’intera piattaforma indiziaria, non rendendo ragione, alfine, dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata in termini di inattendibilità della parte offesa, pur riscontrato il suo racconto da diversi argomenti estrinseci, oggettivamente constatati, così traducendosi in una omissione motivazionale, integrante violazione di legge, passibile di censura anche in questa sede.
Dalla compiuta valutazione ed estrinsecazione del percorso logico giuridico sotteso alla sua attestazione o meno, per cui si rinvia al giudice di merito, deriverà, ovviamente, la validazione eventuale anche delle ulteriori contestazioni cautelari, di cui il Tribunale ha omesso di occuparsi essendosi arrestato al vaglio della ritenuta improcedibilità.
4. Proprio a tale ultimo proposito si osserva, tuttavia, che fondata in diritto è la censura di inosservanza e erronea applicazione della legge penale in relazione al regime di procedibilità del delitto di lesioni.
4.1. Non è revocabile in dubbio che il delitto di che trattasi sia perseguibile a querela di parte, salvo che -tra altre condizioni nella specie non conferenti- non ricorra taluna delle circostanze aggravanti «previste negli articoli 583, 583 quater, secondo comma, primo periodo, e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1), e nel secondo comma dell’articolo 577».
4.2. La contestazione cautelare mossa è svolta con riferimento agli artt. 582, 585, in relazione agli artt. 576, n. 5.1. (essendo contestata l’azione come posta in essere dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis nei confronti della stessa persona offesa) e 577, comma 2, cod.pen. (essendo contestata l’azione come posta in essere contro […] la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate), comunque mercè l’uso di una cinta da considerarsi oggetto atto ad offendere usato come arma (art. 585, comma 2, cod.pen., contestato in fatto).
4.3. Ciò premesso devono svolgersi, con riferimento al regime di procedibilità del delitto di che trattasi, due differenti ordini di considerazioni.
4.3.1. Sotto un primo profilo l’affermazione dell’utilizzo dell’arma, sia pure impropria, ne comporta il regime di procedibilità ufficiosa.
Per arma impropria deve intendersi, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, che sia in concreto utilizzato per procurare lesioni personali, giacché il porto dell’oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione per essere utilizzato come arma.
La presenza dell’arma impropria – provata nel caso che ne occupa dalle dichiarazioni della persona offesa – rende, pertanto, le lesioni procedibili d’ufficio. Lo si è affermato (Sez. 5, n. 54148 del 06/06/2016 Ud. (dep. 20/12/2016) Rv. 268750 – 01) con riferimento all’utilizzo di un manico di scopa, trattandosi di arma impropria, ai sensi dell’art. 4, comma secondo, legge n. 110 del 1975, per il quale rientra in questa categoria qualsiasi strumento, che, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui sia portato, sia potenzialmente utilizzabile per l’offesa della persona, onde affermare la procedibilità di ufficio del reato; a qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, per giustificarne tale caratteristica in capo a un pezzo di legno, se usato in un contesto aggressivo (nella specie, scagliato contro la persona offesa) (Sez. 5, n. 8640 del 20/01/2016 Ud. (dep. 02/03/2016) Rv. 267713 – 01); con riferimento all’uso di una stampella da deambulazione, ritenuto che devono considerarsi armi improprie tutti gli strumenti, ancorché non da punta o da taglio, che, in particolari circostanze di tempo o di luogo, possono essere utilizzati per l’offesa alla persona (Sez. 5, n. 41284 del 24/04/2015 Ud. (dep. 14/10/2015) Rv. 265090 – 01); con riferimento a un tubo di gomma, considerato che devono considerarsi armi improprie tutti gli strumenti, ancorché non da punta o da taglio, che in particolari circostanze di tempo e di luogo possono essere utilizzati per l’offesa alla persona argomentando che non rileva agli stessi fini che si tratti di un uso momentaneo od occasionale dello strumento atto ad offendere, poiché per la configurabilità della stessa aggravante non si richiede che concorra la contravvenzione di cui all’art. 4 della legge n. 110 del 1975 (Sez. 5, n. 44864 del 07/10/2014 Ud. (dep. 27/10/2014) Rv. 261315 – 01); ancora con riferimento a oggetto appuntito non compiutamente identificato perché tenuto nascosto dall’aggressore con il quale quest’ultimo ha causato alla persona offesa una ferita (Sez. 5, n. 49582 del 26/09/2014 Ud. (dep. 27/11/2014) Rv. 261342 – 01); con riferimento ad un guinzaglio, e in altre, molteplici, decisioni, sempre ribadendo che ciò che rileva è che il porto dell’oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione ‘ordinaria’ per essere utilizzato come arma.
Si tratta di orientamento che il Collegio condivide e fa proprio.
Ne consegue che, dovendosi ritenere anche la cinta nell’occorso adoperata per offendere dovendosi ritenere anche la cinta nell’occorso adoperata per offendere arma impropria, ai sensi del comma secondo dell’art. 585 cod.pen., già per tale motivo il delitto doveva ritenersi procedibile di ufficio.
4.3.2. Conclusione cui si perviene anche per altra via.
Sotto altro profilo il reato di lesioni è, infatti, del pari procedibile di ufficio, in considerazione dell’essere stata contestata anche l’aggravante di cui all’art. 576, comma 1, n. 5.1. cod. pen., sicché tale contestazione ne comporta, ex art.582, comma 2, cod.pen. la procedibilità ufficiosa in quanto le lesioni risultano poste in essere dall’autore del delitto di atti persecutori nei confronti della medesima persona offesa (l’editto accusatorio contesta addirittura essere stato posto in essere in occasione del reato di cui all’art. 612-bis cod.pen.).
Procedibilità di ufficio che, se è pianamente affermabile ove si verta in ipotesi di acclarata gravità indiziaria in ordine al reato di cui all’art. 612-bis cod.pen., nella specie dal Tribunale della Libertà contestata con l’ordinanza che -in virtù della già dedotta violazione di legge per omessa motivazione si annulla, e che potrebbe anche essere rivista a seguito di integrale esame delle risultanze indiziarie da parte dei giudici di merito-, si ritiene debba essere già affermata, allo stato, anche a fronte della qui attestata assente gravità indiziaria in ordine al delitto di atti persecutori.
Ritiene, infatti, il Collegio di aderire, condividendone gli assunti, al decisum di Sez. 5, n. 38690 del 12/04/2013 Ud. (dep. 19/09/2013) Rv. 257091 – 01, secondo cui «[I]n tema di lesioni personali, l’aggravante di cui all’art. 576, comma primo, n. 5.1) cod. pen. – e cioè l’aver commesso il fatto da parte di chi sia l’autore del delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen. nei confronti della medesima persona offesa – è configurabile anche se sia stata rimessa la querela per il delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen.».
Si rileva che l’art. 582 c.p., comma 2, nel rendere perseguibile d’ufficio il reato di lesione personale quando concorrano alcune delle circostanze aggravanti di cui agli artt. 583 e 585, con le previste eccezioni, non opera alcuna distinzione tra le circostanze aggravanti cui fa rinvio, perseguendo l’evidente finalità di sottrarre al potere dispositivo della persona offesa la procedibilità penale in relazione a reati di particolare gravità, come appunto appare quello di lesione personale commessa in danno della stessa persona vittima del reato di cui all’art. 612-bis c.p.. Se, dunque, si assume la prospettiva dell’interesse avuto di mira dal legislatore, che è, in definitiva, quello di assicurare una protezione più intensa del bene giuridico tutelato dall’art. 582 c.p., quando esso sia aggredito con modalità particolarmente gravi ed odiose, appare evidente che l’intervenuta remissione di querela renderà senza dubbio non perseguibile il delitto di atti persecutori, ma non può incidere in nessun modo sulla perseguibilità di un reato, che, in quanto aggravato secondo una delle modalità richiamate dall’art. 585 c.p., comma 1, il legislatore ha voluto venisse sottratta al potere dispositivo della persona offesa.
Ne consegue che il giudice di primo grado, pur in presenza della remissione della querela da parte della G.M. avrebbe dovuto comunque procedere all’accertamento della gravità indiziaria per il delitto contestato nel capo b).
5. La connessione del delitto di atti persecutori con quello di cui al capo c), di violenza sessuale, comporta, per espressa disposizione dell’art. 609-septies, comma 2, n. 4), la procedibilità di ufficio anche in relazione al capo c), rispetto al quale, ancora una volta, il Tribunale della Libertà avrebbe dovuto indagare in concreto la gravità indiziaria.
6. L’ordinanza impugnata debba essere dunque annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catania, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, cod.proc.pen..
Cass. pen., III, ud. dep. 24.09.2025, n. 31853