Reato – Stalking _ Prendere di mira una famiglia vicina integra il reato di stalking

Reato – Stalking _ Prendere di mira una famiglia vicina integra il reato di stalking

1. Il ricorso è infondato e, per alcuni profili, inammissibile.

2. È vero, infatti, che, ai fini della sussistenza del concorso di persone nel reato di atti persecutori, può avere rilievo il comune movente, che, pur essendo estraneo alla nozione di dolo, lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti atti persecutori e la sua dimensione plurisoggettiva, intesa come volontà comune di concorrere nel reato (così Sez. 5, n. 2675 del 18/10/2021, dep. 2022, Rv. 282772-01, in un caso molto simile al presente, in cui il contributo di ciascuno degli imputati, componenti del medesimo nucleo familiare, alla realizzazione delle condotte criminose è stato ritenuto fosse originato proprio dal comune risentimento nutrito nei confronti delle persone offese per le infamanti accuse mosse contro uno di essi; sul rilievo del movente comune ai fini del dolo di concorso, si veda anche Sez. 2, n. 29968 del 19/7/2024, non massimata).

Tuttavia, è vero pure che tale dato abbia, evidentemente, indubbio valore laddove alcuni dei correi e componenti il nucleo familiare abbiano posto in essere solo uno o, comunque, pochi atti tipici: essendovi, in tal caso, il ragionevole dubbio, circa il loro contributo alla vessazione della vittima.

Laddove, per contro, sia accertato che gli accusati abbiano posto in essere, ciascuno di essi, una molteplicità di atti tipici, non è, evidentemente, strettamente necessario accertare anche il movente delle singole condotte, integrando ognuna di esse il delitto ed essendo, comunque, in tal caso desumibile dalla loro direzione verso un unico obiettivo la volontà di concorrere ad esso. Ciò tanto più, poi, se tali condotte siano poste in essere nell’ambito del medesimo nucleo familiare, all’interno del quale è chiaro, in siffatte ipotesi, debba presumersi che i singoli componenti siano a conoscenza anche di quanto posto in essere dai congiunti.

Nella specie, la sentenza d’appello ha dato atto vi sia stata “la commissione di una serie di condotte minacciose, insultanti e provocatorie poste in atto sistematicamente e con cadenza sostanzialmente quotidiana dagli imputati”.

La sentenza di primo grado – conforme a quella d’appello, sicché le stesse si saldano tra loro in un unicum motivazionale da valutare nel suo complesso (Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Rv. 197250-01) – ha richiamato, al riguardo, le parole della persona offesa che hanno attestato le aggressioni da parte di tutti gli imputati, nonché quella di una loro vicina di casa. In particolare, si evidenzia che T. C. aveva «affermato di avere sentito gli imputati insultare la persona offesa ripetutamente ((OMISSIS) — cfr verbale Stenotipico pag. 39); rivolgerle minacce di morte (OMISSIS); gettare oggetti ed escrementi di cane dal balcone, nel giardino della persona offesa ((OMISSIS) – pag. 40-41)» (p. 9 sentenza di primo grado).

Dunque, i giudici di merito hanno spiegato, in modo congruo, le ragioni per cui hanno ritenuto tutti gli imputati concorrere nel delitto contestato: anche S. A., avendo essi ritenuto evidentemente irrilevante, in tale situazione, che costei abitasse separatamente dagli altri imputati: conclusione del tutto logica, tanto più considerato che, comunque, la stessa occupava un’abitazione vicina a quella in cui i fatti si sono svolti, essendo posta di fronte a quella dei suoi genitori.

Non v’è dubbio, allora, che, con accertamento di merito in questa sede non altrimenti sindacabile e conforme ai menzionati principi di diritto, è stato accertato che gli imputati abbiano posto in essere, singolarmente, più atti persecutori, in un ambito familiare e di vicinato che li vedeva protagonisti – evidentemente non casualmente – contro la medesima persona: ciò da cui è stata correttamente desunta, inoltre, la comune finalità a cui le singole condotte miravano, indipendentemente dai motivi sottesi ad esse.

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

La materia trattata, inerente dati sensibili o comunque meritevoli di particolare riservatezza, impone di disporre che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, ex art. 52 d.lgs.196/2003, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Cass. pen., V, ud. dep. 25.07.2025, n. 27495

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