Reato – Sanzione- Rapina aggravata e denegata applicazione della detenzione domiciliare

Reato – Sanzione- Rapina aggravata e denegata applicazione della detenzione domiciliare

1. Il ricorso è ammissibile e fondato.

1.1. La condizione ostativa alla sostituzione delle pene detentive, stabilita dall’art. 59, comma 1, lett. d) della legge 689/1981, è collegata al reato indicato in imputazione ed è relativa ad “uno dei reati di cui all’art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354“, tra cui è compreso il delitto di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, comma terzo, n. 1, cod. pen. (art. 4 bis, comma 1 ter, l. 354/1975).

Tale assunto ha recentemente ricevuto l’autorevole avallo del Giudice delle leggi, che con sentenza n. 139, depositata il 29 luglio 2025 (in G.U. del 30/07/2025), ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 59 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), come sostituito dall’art. 71, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), sollevate, complessivamente in riferimento agli artt. 3,27, terzo comma, e 76 della Costituzione.

La Corte ha argomentato la ravvisata infondatezza delle questioni sollevate dai giudici comuni toscani valorizzando la discrezionalità del legislatore nella scelta di non consentire l’applicazione di pene sostitutive alla detenzione ai condannati per i reati indicati nell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario (cosiddetti “reati ostativi”), pur ricordando che il legislatore e l’amministrazione penitenziaria hanno il “preciso dovere” di assicurare a tutti i condannati a pene detentive “condizioni rispettose della dignità della persona e del principio di umanità della pena”. La Corte -posto che la riforma Cartabia non ha violato i principi e i criteri direttivi stabiliti dalla legge delega, che aveva impegnato il Governo ad assicurare il coordinamento tra l’accesso alle nuove pene sostitutive e le preclusioni stabilite dall’ordinamento penitenziario– ha escluso che la disciplina censurata violasse il principio di eguaglianza, in quanto il legislatore ha certamente la facoltà di stabilire, entro i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, a quali categorie di reati le nuove pene sostitutive possono trovare applicazione. In ogni caso, non può ritenersi preclusa la facoltà di escludere dalle pene alternative la “complessità” dei reati ostativi, che sono in via generale di significativa gravità e di particolare allarme sociale; né impedire l’accesso alle pene sostitutive ai condannati per gli specifici reati contestati nei procedimenti principali, in cui non veniva neppure in considerazione la circostanza attenuante della minore gravità del fatto. Infine, la Corte ha escluso la violazione del principio della finalità rieducativa della pena, in quanto tale principio costituzionale non esclude che la pena sia funzionale anche ad altre finalità, di valore costituzionale altrettale, come la tutela della società contro la residua pericolosità del condannato e la prevenzione generale dei reati. La Corte ha peraltro sottolineato come “l’ampliamento del novero delle pene sostitutive e il deciso allargamento delle possibilità di accedervi realizzato con la riforma del 2022 costituisca un passo significativo nella direzione dell’inveramento, da parte dello stesso legislatore, dell’insieme dei principi costituzionali in materia di pena”. Infatti, le pene sostitutive sono “tendenzialmente più funzionali ad assicurare l’obiettivo della rieducazione del condannato: evitando gli effetti desocializzanti del carcere e, assieme, accompagnandolo in un percorso che valorizza lavoro, educazione, rafforzamento dei legami familiari e sociali, occasioni di ripensamento critico del proprio passato, ed eventualmente di riconciliazione con la vittima del reato”. Un simile percorso legislativo non può però “che procedere gradualmente, anche attraverso sperimentazioni successive”, coinvolgendo “anzitutto i reati meno gravi [e] lasciando al margine quelli che il legislatore – con valutazione non arbitraria né discriminatoria – reputi maggiormente offensivi”. Resta ferma in ogni caso – ha concluso la Corte – la necessità che anche per i condannati per questi reati “la pena detentiva sia eseguita in condizioni e con modalità tali da incentivare o rendere comunque praticabile il percorso rieducativo”. Condizioni non sempre assicurate, oggi, nelle carceri italiane, dove la situazione di sovraffollamento “rende particolarmente arduo il perseguimento della finalità rieducativa, oltre che lo stesso mantenimento di standard minimi di umanità della pena”.

1.2. Pertanto, non può che ritenersi vigente e costituzionalmente compatibile l’ostacolo posto dal legislatore all’accesso alle pene sostitutive da parte di soggetti riconosciuti responsabili di uno dei delitti indicati nel catalogo contenuto nell’articolato della legge di ordinamento penitenziario.

2. Ciò posto, occorre tuttavia pur sempre valutare preliminarmente l’ammissibilità del ricorso del Procuratore generale di Brescia.

2.1. Esso è innanzi tutto tempestivo, ad onta di quanto ritenuto dal difensore di parte resistente, giacché si applica al ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello quanto previsto dall’art. 585, comma 1, lett. d) del codice di rito. Ancorché, infatti, la sentenza sia stata redatta con motivazione contestuale il 16 gennaio 2025, letta in udienza alle parti presenti, il dies a quo per l’impugnazione del Procuratore generale decorre dalla data di comunicazione al suo ufficio dell’avviso di deposito, salva l’ipotesi di provvedimenti emessi dalla Corte di appello, non già dalla data della lettura della sentenza in udienza. Nella fattispecie, l’avviso di deposito della sentenza impugnata è stato comunicato al P.g. il 21 febbraio 2025 e il ricorso risulta tempestivamente depositato il 28 successivo, nei 15 giorni previsti dalla disposizione processuale prevista a pena di inammissibilità dell’impugnazione.

2.2. Con esso il P.g. espone un vizio deducibile (la pena illegale), avendo ritenuto tale un tipo di sanzione applicata dal giudice e non ammessa dall’ordinamento (in assoluto) per determinati tipi di delitti.

Il che, ad avviso del Collegio, appare seguire le indicazioni poste dal diritto vivente (da ultimo, Sez. U. n. 877, del 14/07/2022, del 2023, Sacchettino, Rv. 283886-01) per identificare la pena illegale.

In continuità con il proprio consolidato orientamento, che si pone in armonia con il principio di legalità della pena come costituzionalizzato e come altresì riconosciuto dalle fonti sovranazionali, le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti ribadito, ancora una volta, che “pena legale” è quella:

– del genere e della specie predeterminati dal legislatore entro limiti ragionevoli;

– comminata da una norma (sostanzialmente) penale, vigente al momento della commissione del fatto-reato, o, se sopravvenuta rispetto ad esso, più favorevole di quella anteriormente prevista;

– determinata dal giudice, nel rispetto della cornice edittale, all’esito di un procedimento di individualizzazione che tenga conto del concreto disvalore del fatto e delle necessità di rieducazione del reo.

Pena “illegale” è, conseguentemente, quella che si colloca al di fuori delle previsioni del sistema sanzionatorio, perché diversa per genere, per specie o per quantità da quella positivamente prevista.

Orbene, l’individuazione delle ipotesi di pene illegali per genere (pene detentive o pecuniarie) o per specie (ergastolo, reclusione o arresto; multa o ammenda) non pone problemi, fungendo da criteri-guida quelli indicati agli artt. 17 – anche coordinato con l’art. 39 – e 18 cod. pen., del pari deve ritenersi per quelle che, ricorrendo determinate condizioni, possono sostituirle.

Dunque, una pena diversa da quella prevista dal sistema sanzionatorio, perché espressamente esclusa per quella fattispecie, è del pari illegale, proprio perché si pone fuori dalle previsioni sanzionatorie previste dalla norma positiva, in quanto supera la cornice entro la quale è consentita la sostituzione della pena detentiva (tra le più recenti, Sez. 6, n. 3454 del 08/01/2025, Barzezi, non massimata; Sez. 6, n. 45903, del 25/10/2023, Nadi, Rv. 285451; Sez. 2, 16045 del 15/03/2024, Caso).

3. Superato il vaglio di ammissibilità, il ricorso appare altresì fondato in diritto.

3.1. Ai fini della fattispecie processuale all’esame, la pena concordata dalle parti, giacché relativa all’imputazione di rapina aggravata (ancorché l’effetto concretamente ingravescente sia rimasto frustrato dal bilanciamento effettuato: Sez. 1, n. 36318 del 19/09/2012, Chilelli, Rv. 253784; Sez. 1, n. 20796 del 12/04/2019, Bozzaotre, Rv. 276312, in quanto il giudizio di comparazione rileva solo quoad poenam e non incide sugli elementi circostanziali, tipizzanti la condotta.), incontrava il limite rappresentato dalla formulazione oggettiva dell’imputazione, ostativa alla sostituzione della pena detentiva che ha formato oggetto dell’accordo.

3.2. L’illegalità della sanzione applicata per effetto dell’accordo tra le parti, che ha coperto anche la sostituzione della pena detentiva, travolge dunque l’intera statuizione e non solo la sostituzione “illegale”, giacché deve ritenersi che l’accordo sia intervenuto sulla base del consenso prestato dalle parti a tutte le statuizioni pattuite. Il Collegio ritiene pertanto di dover dare continuità al principio già più volte enunciato, per cui in tema di patteggiamento, la richiesta dell’imputato di applicazione di una sanzione sostitutiva deve ritenersi congiunta e non alternativa a quella di applicazione della pena, sicché grava sul giudice l’obbligo di controllarne l’ammissibilità e di rigettare la richiesta stessa nel caso in cui la sostituzione non sia applicabile, senza possibilità di scindere i termini del patto intervenuto tra le parti, che ha natura unitaria in vista della applicazione della pena concordata (Sez. 2, n. 31488 del 12/07/2023, Terlizzi, Rv. 284961 – 01).

4. La sentenza impugnata, con la quale è stata applicata una pena da considerarsi illegale, deve conseguentemente essere complessivamente annullata senza rinvio, con la pedissequa trasmissione degli atti al Tribunale di Mantova, per l’ulteriore corso.

Cass. pen., II, ud. dep. 22.10.2025, n. 34380

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