1. I ricorsi sono complessivamente infondati.
2. Il primo motivo non è consentito, nella parte in cui sollecita un nuovo apprezzamento circa la rilevanza e concludenza dei dati probatori, ed è, comunque, infondato, in punto di diritto, per quel che concerne la lamentata carenza di motivazione rafforzata e la asserita impossibilità di configurare il delitto di estorsione.
2.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di misure cautelari personali, avuto particolare riguardo alla gravità indiziaria, il ricorso per cassazione è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628-01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884-01; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, Berlingeri, Rv. 266939-01; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400-01). Il controllo di logicità, dunque, «deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate» (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460-01; in senso conforme, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976-01).
In ogni caso, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni captate, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337-01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389-01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164-01).
2.2. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata – compiutamente analizzati e logicamente apprezzati tutti gli elementi indiziari, ricondotti ad unità, attesa la loro piena concordanza – con motivazione priva di passaggi illogici o contraddittori, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dei ricorrenti, in relazione ad ambedue i reati loro contestati, ivi compresi i profili circostanziali.
In particolare, l’ampia ricostruzione delle emergenze investigative, complessivamente considerate, evidenzia congruamente l’effettiva portata dimostrativa delle reiterate richieste di aiuti economici avanzate dagli indagati (per telefono e mediante sistemi di messaggistica) nei confronti di S. e P.. Nonostante entrambe le persone offese avessero riferito di essere state infastidite, ma di non essersi sentite minacciate, il Tribunale – a prescindere dall’esistenza di volontari elementi esplicativi della chiara percezione della valenza intimidatoria di tali richieste – superando motivatamente tali cautele espositive (non prive esse stesse di efficacia inferenziale, adeguatamente contestualizzate), ha valorizzato, al contrario, il contenuto inespresso ma chiaro delle assillanti pretese di denaro (non apparendo sufficiente agli imputati il semplice invio di generi alimentari, pure loro proposto), le modalità di comunicazione (anche mediante telefonate dall’interno di un carcere, in palese e assai sintomatica violazione dei regolamenti penitenziari) e le dichiarazioni di congiunti e conoscenti delle vittime, che hanno confermato la loro condizione di turbamento e soggezione, alla luce del costante e trasparente richiamo, anche mediante risaputi stilemi lessicali, all’organizzazione mafiosa a suo tempo diretta dal padre della ricorrente («(OMISSIS)», e altri di con simile tenore).
In tal modo, il Tribunale non delinea affatto una sorta di inammissibile tipo d’autore derivato unicamente da legami di parentela/affinità, ma, al contrario, valorizza ragionevolmente solidi elementi, rivelatori di una condotta dalle palesi connotazioni estorsive (a partire dalle richieste di denaro avanzate direttamente da un soggetto in stato di detenzione, che stridono logicamente con ogni ricostruzione in termini di semplici rapporti di amicizia ed evidenziano invece un decisivo rafforzamento delle pressioni esercitate dall’indagata).
D’altronde, l’affermazione difensiva per cui (OMISSIS) dovrebbe considerarsi, ad oggi, non più operativa non può essere assunta, purtroppo e con ogni evidenza, come notoria massima di esperienza a contenuto generale, bensì, al più, come mera illazione, peraltro priva di una pur minima plausibilità.
2.3. Al netto delle ampie censure schiettamente fattuali svolte dai ricorrenti, la configurabilità della fattispecie provvisoriamente contestata emerge nitidamente dal corretto percorso giustificativo dell’ordinanza impugnata.
In punto di diritto, può ribadirsi come la tradizionale esegesi di questa Corte ammetta che la minaccia costitutiva del reato, oltre che palese, esplicita e determinata, possa manifestarsi in modi e forme differenti, e quindi anche in maniera implicita, larvata, indiretta e indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa versa (cfr., ex pluribus, Sez. 2, n. 14380 del 06/02/2025, Monetta, non mass; Sez. 2, n. 107 del 18/12/2024, dep. 2025, Donati, non mass.; Sez. 2, n. 27649 del 09/03/2021, Salvia, Rv. 281467-01).
D’altronde, una richiesta estorestorsiva, pur formalmente priva di espressioni di eclatante minaccia, come nel caso di specie, ben può ugualmente contenere un’energica carica intimidatrice, chiaramente percepita come tale dalla vittima stessa, anche alla sola luce dell’evocazione di un chiaro contesto mafioso (cfr. Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, Rizzo, Rv. 285669-01, secondo cui è configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”. In termini, Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, Di Caprio, Rv. 277182-01; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, Pizzimenti, Rv. 272884-01; Sez. 2, n. 20187 del 03/02/2015, Pizzimenti, Rv. 263570-01). L’aggravante del metodo mafioso, pertanto, nella pienezza della giurisdizione di merito, è stata ritenuta sussistente non sulla base di claudicanti congetture psicologiche, ma sul concreto presupposto che, in considerazione del modus operandi sopra descritto (sottili allusioni tali da richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo l’incombere retroscenico del sodalizio criminale siciliano), la minaccia avesse assunto la veste – ben più penetrante, energica ed efficace – propria dell’agire mafioso (cfr., Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, Bisogni, Rv. 285018-02; Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, Bruzzese, Rv. 277033-01; Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, Spada, Rv. 273025-01; Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, Vicidomini, Rv. 271103-01; Sez. 2, n. 16053 del 25/03/2015, Campanella, Rv. 263525-01).
2.4. L’apparato giustificativo, lungi dal risolversi in una mera contrapposizione valutativa, si è così confrontato puntualmente con le divergenti valutazioni del primo giudice e le ha superate, evidenziandone congruamente i profili di illogicità e di contraddittorietà rispetto al complessivo quadro indiziario, all’esito di un serrato confronto critico, connotato da maggiore persuasività e credibilità razionale e coerente con la consolidata interpretazione giurisprudenziale in tema di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Rappresentano elementi indiziari di pregnante e insuperabile rilevanza, in tal senso, secondo il Tribunale fiorentino, il rifiuto di assistenza meramente alimentare da parte degli indagati e la loro ossessiva pretesa di avere somme di denaro, pur non consistenti; la provenienza di alcune delle telefonate addirittura dall’interno di un istituto di reclusione; il ricorso ad avvertimenti “obliqui” dal chiaro contenuto minatorio, tipici dell’agire mafioso sotto le vesti dell’apparente cordialità (tanto che, dopo l’ennesima formula di cortesia, S. vide bene di recarsi immediatamente a (OMISSIS) per consegnare euro 1.000 in contanti, senza farne cenno ai Carabinieri, con cui pure era già in contatto); il chiaro riferimento ai permanenti legami con la consorteria criminale già diretta dal padre/suocero; la reticenza delle persone offese ad ammettere il proprio stato di timore, viceversa chiarissimo, e le loro informali richieste di aiuto alle Forze dell’Ordine, evitando però la formale presentazione di una denuncia.
Il provvedimento impugnato è, dunque, sorretto da un percorso giustificativo tale da ottemperare appieno agli oneri motivazionali imposti dal ribaltamento contra reum della pronuncia di rigetto delle richieste cautelari.
3. Alla luce delle riflessioni che precedono, il secondo motivo risulta insuperabilmente generico, in quanto non si misura con il concreto apparato argomentativo, e manifestamente infondato, in punto di operatività dell’aggravante speciale.
Quanto al periculum libertatis, infatti, i giudici di merito hanno chiarito, prima ancora di richiamare la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., la sussistenza delle esigenze cautelari in tema di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato e l’adeguatezza della misura, con argomentazioni tutt’altro che illogiche o contraddittorie. Sono stati, in tal senso, stigmatizzati
– la mole di interlocuzioni, pressanti e solo apparentemente garbate, nei confronti di due distinte persone offese, protratte sino a tempi recenti (C.A. era riuscito addirittura a procurarsi un telefono con cui chiamare dall’interno del carcere);
– i contatti di R.M.C. con un pregiudicato ben inserito nella malavita romana;
– la palese inefficacia deterrente delle precedenti condanne.
Per il Tribunale, il contenimento carcerario è, dunque, reso necessario dalla assoluta necessità di isolare completamente gli indagati da ogni interazione con l’esterno.
Il solo decorso del tempo, al contrario di quanto prospettato dal ricorrente (anche a prescindere dalla mancata allegazione di puntuali coordinate temporali a sostegno della deduzione), non risulta sufficiente, avuto riguardo all’aggravante “mafiosa” contestata e ritenuta, a superare la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., per quanto attiene ai requisiti dell’attualità e della concretezza del pericolo (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Ferri, Rv. 282766-02; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, Poggiali, Rv. 282004-01).
Il motivo di ricorso per cassazione che deduca assenza delle esigenze cautelari è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando – come nel caso di specie, in cui ci si limita di fatto a rimarcare la rilevanza del lasso cronologico intercorso dai fatti e la sufficienza della misura autocustodiale – propone censure che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628-01).
Le censure sul punto, in conclusione, risultano generiche e non consentite, nei termini sopra illustrati, e, comunque, manifestamente infondate.
4. I ricorsi, in conclusione, devono essere rigettati e i ricorrenti condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 28, reg. esec. cod. proc. pen.
Cass. pen., II, ud. dep. 23.10.2025, n. 34676