1.Il ricorso è inammissibile.
2.Il primo motivo è reiterativo di doglianze già prospettate in appello ed ivi superate con corrette argomentazioni logico- giuridiche, oltre che manifestamente infondato.
I giudici di merito hanno qualificato la condotta dell’imputato, pacificamente consistita nello sfilare il portafoglio dalla tasca dei pantaloni di un passeggero che viaggiava su un autobus di linea e nell’opporre resistenza alla presa degli operanti per darsi alla fuga, come rapina impropria consumata e non tentata.
Ed invero, ai fini dell’esatto discrimine tra la fattispecie consumata e quella tentata della rapina impropria va richiamato il seguente principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite: «è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità», (Sez. U, Sentenza n. 34952 del19/04/2012, Reina, Rv. 253153).
Hanno spiegato le Sezioni Unite che data la successione “invertita” delle due condotte di aggressione al patrimonio e alla persona che caratterizza la rapina impropria, il legislatore, al fine di mantenere equiparate le due fattispecie criminose del primo e del secondo comma dell’art. 628 cod. pen., non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell’agente, ritenendo sufficiente per la consumazione della rapina impropria la sola sottrazione, così lasciando spazio per il tentativo ai soli atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa altrui (in tal senso da ultimo Sez. 2, n. 35134 del 25/03/2022, Rv. 283847).
La Corte di appello ha aderito a questo insegnamento dando rilievo decisivo ai fini della qualificazione giuridica del fatto in termini di rapina impropria consumata (e non tentata) alla intervenuta sottrazione del bene ed alla violenza esercitata dall’imputato nei confronti degli operanti considerando irrilevante che l’azione di asportazione si fosse realizzata sotto gli occhi degli operanti “trattandosi di circostanza rilevante nel furto, non invece nella rapina impropria”.
E difatti ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che l’agente, dopo aver compiuto la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della “res”, o garantirsi l’impunità mentre non è necessario che ne consegua l’impossessamento, non costituendo quest’ultimo l’evento del reato ma un elemento che appartiene al dolo specifico (Sez. 2, n. 11135 del 22/02/2017, Rv 269858: fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto immune da censure la condanna per rapina impropria consumata con riferimento alla condotta dell’imputato che insieme ad altri correi, dopo aver tagliato la cassaforte, riponendone il contenuto in una borsa, sorpreso dalla polizia mentre si trovava ancora all’interno dell’appartamento, opponeva violenza per procurarsi l’impunità).
La giurisprudenza di questa sezione è costante nel ritenere la possibilità di configurare il tentativo di rapina impropria nella condotta di colui che, dopo aver compiuto atti idonei all’impossessamento della cosa altrui non realizzati per cause indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità ciò anche quando la violenza o la minaccia per assicurarsi l’impunità siano esercitate nel corso degli atti esecutivi e senza che si sia realizzata la sottrazione della cosa per l’intervento di fattori esterni interruttivi dell’azione criminosa. Una lettura logico-sistematica e non meramente letterale dell’art. 628 c.p., comma 2, che descrive la condotta tipica della rapina impropria, permette infatti di individuare la condotta che configura la forma tentata del reato in questione ogni qual volta l’azione tipica non si compia o l’evento non si verifichi, fattispecie che ricorre specificamente nell’ipotesi di colui che adopera violenza o minaccia per procurarsi l’impunità immediatamente dopo aver compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa mobile altrui, senza essere riuscito nell’intento a causa di fattori sopravvenuti estranei al suo volere. Il delitto di rapina, infatti, sia nella forma propria che in quella impropria, costituisce un tipico delitto di evento, suscettibile come tale di arrestarsi allo stadio del tentativo, qualora la sottrazione non si verifichi.
Tuttavia, perché la sottrazione di una cosa possa dirsi avvenuta è necessario che l’avente diritto abbia perduto il proprio controllo su di essa, non essendo più in grado autonomamente di recuperarla.
Nel caso di specie, l’imputato ha portato a termine l’azione criminosa (la sottrazione della res era stata completata tanto che l’imputato, vistosi scoperto lasciava cadere a terra il portafoglio coprendolo con il piede per occultarlo), pertanto correttamente nella condotta dell’imputato – come ricostruita dai giudici di merito – è stata ravvisata la sottrazione del bene che, unita alla condotta di minaccia successivamente tenuta, configura la rapina impropria consumata.
3. Del pari inammissibili sono i restanti motivi in quanto la Corte di merito con motivazione aderente ai dati processuali ed in conformità con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, ha escluso la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., dando rilievo al valore economico del bene sottratto (pari a cento euro) di per sé non irrisorio, parametro che esclude in radice l’applicabilità dell’invocata attenuante (Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Rv. 287095).
4.Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Cass. pen., II, ud. dep. 20.10.2025, n. 34225