1. Il ricorso va accolto nei termini di seguito indicati.
2. All’imputato sono stati contestati i reati di cui all’art. 337 cod. pen. (capi 1 e 2) e agli artt. 582, 585, 576, comma primo n. 1, 61 n. 10, cod. pen. (capo 3).
Secondo la ricostruzione effettuata in modo conforme da entrambi i Giudici del merito, l’imputato, dopo essere stato multato per divieto di sosta, aveva insistentemente preteso che l’operatrice strappasse la multa e aveva afferrato il bollettario, lanciandoglielo in direzione del viso. Poco dopo, presso il Comando di Polizia municipale di Modica, l’imputato aveva rinnovato le sue illegittime pretese e, a fronte di un nuovo rifiuto, aveva dapprima scagliato del denaro all’indirizzo di G.P. e, successivamente, aveva spinto il medesimo contro la porta d’ingresso, cagionandogli lesioni descritte al capo 3) dell’imputazione.
Il Tribunale di Modica ha assolto l’imputato dal reato di cui al capo 1), perché il fatto non sussiste, e dal reato di capo 2), perché il fatto non costituisce reato; ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo 3), esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 576, comma primo n. 1, cod. pen., per difetto di querela.
Il Giudice di primo grado, quanto ai reati di cui ai capi 1) e 2), ha ritenuto che la condotta dell’Imputato, commessa quando era stata già effettuata la contravvenzione, non era idonea ad opporsi ad alcun atto d’ufficio.
La Corte di appello, investita dal gravame del Pubblico ministero, ha riqualificato ai sensi dell’art. 341-bis cod. pen. i fatti di cui ai capi 1) e 2), originariamente contestati ex art. 337 cod. pen., avendo ritenuto che le condotte in disamina avessero una indubbia valenza lesiva dell’onore e del prestigio dei Pubblici ufficiali nei cui confronti erano avvenute. Ha assolto dal reato di cui al capo 1), perché il fatto non sussiste, e ha condannato l’imputato per i reati di cui ai capi 2) e 3).
3. Alla luce di quanto precede va ricordato che, in tema di oltraggio, l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità di persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai “civili”), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente” (Sez. 6, n. 6604 del 18/01/2022, Pagliari, Rv. 282999 – 01).
Nel reintrodurre la fattispecie dell’oltraggio a pubblico ufficiale (con legge 15 luglio 2009, n. 94, dopo l’abrogazione operata con legge 25 giugno 1999, n. 205), il legislatore ha modificato la condotta tipica del delitto e, pur mantenendo inalterata la necessaria correlazione fra l’offesa e lo svolgimento delle funzioni pubbliche, ha richiesto che la frase ingiuriosa offenda congiuntamente «l’onore ed il prestigio del pubblico ufficiale» e che sussista il requisito della “pubblicità”, cioè che l’azione si svolga «in luogo pubblico o aperto al pubblico» e «in presenza di più persone».
La riformulazione della fattispecie ha comportato la trasformazione della circostanza aggravante delle più persone, contemplata dal previgente art. 341, comma quarto, cod. pen. in un vero e proprio elemento costitutivo della fattispecie. La condotta, infatti, deve essere commessa “in presenza di più persone” che, potenzialmente, possano aver udito le frasi oltraggiose (Sez. 6, n. 3079 del 04/12/2024, dep. 2025, Bertuccioli, Rv. 287505 – 01). Solo in tal caso, si realizza l’offesa congiunta all’onore e al prestigio del pubblico ufficiale, ossia alla dignità personale del pubblico ufficiale correlata alla qualifica e alla stima e alla considerazione che il funzionario pubblico abbia nel contesto sociale.
Ai fini della integrazione del delitto è, dunque, necessario che l’offesa attinga l’apprezzamento di sé del pubblico ufficiale nella dimensione sia personale che funzionale e sociale, potendosi giustificare la tutela assicurata ai pubblici ufficiali dalla fattispecie di cui all’art. 341-bis cod. pen., rafforzata rispetto a quella dei comuni cittadini, soltanto allorché sia minata, più che la reputazione del singolo esponente, quella dell’intera Pubblica Amministrazione.
Per tale ragione, è indispensabile che la frase oltraggiosa raggiunga persone estranee non soltanto ai pubblici ufficiali che siano direttamente investiti dalle offese, ma anche alle pubbliche funzioni in corso di svolgimento, atteso che solo in tali condizioni può crearsi il pericolo alla considerazione sociale ed all’autorevolezza della Pubblica Amministrazione.
Siffatta conclusione, oltre a discendere dall’esegesi testuale e logica dell’enunciato normativo, trova un solido aggancio nella giurisprudenza relativa alla circostanza aggravante prevista dall’ultimo comma del previgente art. 341 cod. pen. (Sez. 1, n. 157 del 25/01/1978, Chelli, Rv. 138040 – 01; Sez. 1, n. 2891 del 11/12/1970 – dep. 1971, Cappellai, Rv. 117666 – 01).
3.1. Di tali coordinate ermeneutiche non ha fatto buon governo la Corte territoriale nel caso in esame.
Riguardo all’elemento integrativo del reato di oltraggio, costituito dalla presenza di almeno due persone, la Corte di appello si è limitata a dire che il teste G. P. aveva «riferito in ordine alla presenza di più persone (l’addetto alla centrale radio e il Vicecomandante)», senza specificare, però, se quelle persone avessero assistito ai fatti e non stessero compiendo lo stesso atto di ufficio, a cui era intento il menzionato teste.
Tale affermazione, in quanto del tutto generica, non può ritenersi idonea a dare conto di una offesa avvenuta alla presenza di almeno due persone, come richiesto dall’art. 341-bis cod. pen.
D’altronde, nella stessa imputazione, originariamente sussunta nell’ambito dell’art. 337 cod. pen., non si fa riferimento alla presenza di più persone ed è significativo rilevare che nell’atto di gravame il Pubblico ministero, nel censurare la sentenza assolutoria di primo grado e chiedere la qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 341-bis cod. pen., aveva chiesto di rinnovare l’istruttoria al fine di accertare la sussistenza o meno di tale elemento costitutivo. L’appello, infatti, era incentrato sulla valenza offensiva della condotta dell’imputato, trascurata dal Tribunale, e non indicava alcun elemento probatorio da cui poter trarre che la condotta si fosse verificata alla presenza di almeno due persone.
In tale contesto può anche rilevarsi che, come dedotto dal ricorrente, dalla trascrizione della deposizione di G. P., riportata nel ricorso per cassazione proposto e menzionata genericamente dalla Corte territoriale, non emerge che, oltre al predetto teste, fossero presenti almeno due persone, non intente a compiere lo stesso atto d’ufficio in relazione al quale la condotta dell’imputato era stata posta in essere. Il teste, infatti, ha riferito di non essere nemmeno sicuro che dietro di lui ci fosse l’addetto alla centrale radio.
Ne discende che non può ritenersi integrato il reato di cui all’art. 341-bis cod. pen..
Siffatta conclusione esime dal delibare le ulteriori censure formulate dal ricorrente in ordine all’affermazione della sua responsabilità per il reato di cui al capo 2) e conduce all’annullamento della sentenza impugnata in relazione a tale reato, perché il fatto non sussiste.
4. Quanto al delitto di lesioni personali ex artt. 582, 585, 576, comma primo n. 1, 61 n. 10, cod. pen., va rilevato che, per effetto del suddetto epilogo decisorio, deve essere esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 576, comma primo n. 1, cod. pen.. Il reato di cui al capo 3) diviene, quindi, procedibile a querela e, in difetto di tale condizione di procedibilità, deve pronunciarsi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con la formula di cui al dispositivo.
Cass. pen., VI, ud. dep. 29.10.2025, n. 35233