Reato – Commerciale – Società, cessione di quote familiari e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte

Reato – Commerciale – Società, cessione di quote familiari e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte

4. il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Come è noto, l’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’alt. 29, comma 4, d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, sanziona, alternativamente, la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte (sui redditi o sul valore aggiunte o di interessi o sanzioni relativi a tali imposte), aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Attraverso l’incriminazione della condotta prevista, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’erario (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077, secondo cui l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori). Parimenti la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere la natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in esame (cfr. da ultimo, Sez, 3, n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648, che ha affermato che il delitto in questione è reato di pericolo, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare – secondo un giudizio “ex ante” – l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Passi, Rv. 266771, con richiami ai numerosi precedenti conformi).

Quanto alla condotta del reato, accanto all’alienazione simulata, il legislatore ha individuato l’ulteriore condotta del compimento di «altri atti fraudolenti», diversi dalla alienazione simulata, la cui idoneità a sottrarre i beni al pagamento del debito tributario è stata valutata dal legislatore in via generale e astratta, la cui natura fraudolenta diretta a sottrarre il bene al pagamento delle imposte deve caratterizzare l’atto. Non v’è dubbio che nel novero degli «altri atti fraudolenti» debbano essere ricompresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni (sparizione materiale di un bene senza alienazione), ma anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a sottrarre beni al pagamento delle imposte.

Sulla nozione di atto fraudolento sono intervenute le S.U. n. 12213/2018 che hanno testualmente affermato che «Con riguardo alla nozione di “atto fraudolento” contenuta nella disposizione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, laddove, con terminologia mutuata dall’ art. 388 cod. pen., si sanziona la condotta di chi, «al fine di sottrarsi ai pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto […] aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva», questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale «ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798)».

Con particolare riferimento all’alienazione di beni, questa Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che, in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, Auci, Rv. 273493-01). Sempre in tema, si è chiarito che la nozione di “atti fraudolenti”, rilevante ai fini del presente giudizio, secondo un ormai consolidato indirizzo ermeneutico (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Rv. 252996), comprende tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione, rilevando, tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell’eventuale compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato.

6. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha descritto l’intera operazione a partire dalla costituzione della società, nel 2017, nella quale è stato conferito l’unico cespite dell’imputato il quale, l’anno successivo, il 6 agosto 2018 aveva ricevuto gli avvisi di pagamento per mancato pagamento di imposte relative agli anni 2013- 2014 e successivamente, nel maggio 2019 aveva ceduto il 29% delle quote al figlio, rimanendo amministratore della società e socio al 1%.

Sulla scorta del dato di fatto accertato e non messo in discussione nella sua dimensione storica, i giudici territoriali con logica motivazione hanno argomentato che la cessione da parte dell’imputato al figlio, quasi per intero, della propria quota di partecipazione nella società immobiliare della famiglia, nella quale due anni prima lo stesso imputato aveva conferito l’immobile di sua proprietà, unitamente al mantenimento dell’amministrazione della stessa e di una quota pari all’1% costituiva atto fraudolento idoneo a rendere difficoltosa impedire la procedura di riscossione coattiva del debito ormai prevedibile a seguito dell’accertamento dell’erario notificatogli nel 2018. Contrariamente all’assunto difensivo, risulta adeguatamente illustrato il requisito della natura fraudolenta dell’operazione di cessione delle quote secondo i principi espressi dalla giurisprudenza anche nella sua massima espressione.

7. Il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato, così come manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso da cui occorre muovere.

La difesa, nel terzo motivo di ricorso, censura la decisione impugnata nella parte relativa alla determinazione del profitto del reato di sottrazione fraudolenta.

Costituisce orientamento consolidato quello secondo cui in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma (Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015 Chiarolanza Rv. 262754 – 01 e successive conformi).

8. Quanto al caso in esame, i giudici territoriali hanno correttamente determinato l’ammontare del profitto nel 29% del valore del cespite conferito nella società.

La quota sociale esprime la misura della partecipazione del socio nella società di persone, a cui appartiene la società semplice, e il valore di questa è determinato dai conferimenti, sicché correttamente i giudici territoriali hanno quantificato il profitto del reato, che si identifica nel valore del bene che funge a garanzia patrimoniale, nel 29% del valore del bene conferito dall’imputato nella società. In presenza di alienazione fraudolenta della quota pari al 29% del capitale sociale, il profitto del reato si identifica nel 29% del valore dell’immobile conferito nella società.

La prospettazione difensiva secondo cui il profitto dovrebbe essere determinato nel 29% del capitale sociale non trova fondamento nella disciplina civilistica e non tiene conto del disposto di cui all’art. 2289 comma 2 cod. civ. che esclude la possibilità di determinare il valore della quota con riferimento al valore nominale.

9. Da cui anche la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.

La corte territoriale ha escluso la tenuità dell’offesa in ragione dell’ammontare, non certamente esiguo, del profitto del reato come sopra quantificato.

La valutazione della corte territoriale sulla non minima offensività della condotta in ragione dell’ammontare dell’imposta evasa non di minima offensività, non può dirsi manifestamente illogica, atteso che la non particolare tenuità dell’offesa deriva da una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza, e, pertanto, non è censurabile in questa sede.

10. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue l’obbligo del pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

Cass. pen., III, ud. dep. 29.08.2025, n. 29443

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