Reato -Circostanze – Contestabilità dell’aggravante anche quando la crudeltà sia stata impiegata verso un’altra persona

Reato -Circostanze – Contestabilità dell’aggravante anche quando la crudeltà sia stata impiegata verso un’altra persona

1. Il ricorso è infondato. 2. Con il primo motivo, viene dunque contestata la ritenuta sussistenza dell’aggravante della crudeltà, deducendosi – sul punto – violazione di legge e vizio della motivazione, per 3 Corte di Cassazione – copia non ufficialecontraddittorietà della stessa e travisamento del fatto. 2.1. La Corte territoriale, stando alla prospettazione difensiva, una volta esclusa la riconducibilità dell’azione delittuosa alla massiccia assunzione di coca etilene, come invece stabilito dalla sentenza di primo grado e dalla consulenza tossicologica in atti, avrebbe mancato di chiarire quali siano gli elementi posti a fondamento della contestata aggravante, limitandosi alla mera descrizione dell’iter violento dei fatti. Il patimento ulteriore sarebbe consistito, quindi, nel fatto che la vittima poteva temere che l’imputato si scagliasse anche contro i figli; tale assunto – secondo la tesi propugnata nell’impugnazione – non sarebbe supportato da alcun atto processuale e sarebbe, anzi, smentito dalla natura fulminea e repentina del gesto. I colpi inflitti dal ricorrente – prosegue la difesa – sono stati inoltre vibrati da distanza ravvicinata ed “alla cieca”, oltre che in uno spazio particolarmente angusto. La dinamica – in ipotesi difensiva – non sarebbe stata quindi dettata da una libera, lucida e consapevole scelta dell’imputato, ma sarebbe stata la conseguenza di una forte intossicazione organica del soggetto e di un suo estemporaneo raptus parossistico. 2.2. Ritiene invece il Collegio che la Corte territoriale – ad onta delle critiche difensive ha fatto buon governo delle regole ermeneutiche elaborate, sulla specifica tematica, dalla giurisprudenza di legittimità. È noto come il criterio guida, ai fini dell’individuazione della sussistenza dell’aggravante dell’aver agito con crudeltà, sia costituito dal concetto della eccedenza, rispetto al canone della “normalità causale”, quale tratto distintivo della condotta, oggetto di un accertamento da compiere secondo parametri concreti, rappresentati dalle modalità attuative della condotta e dalle circostanze del caso concreto; da questo punto di vista, è sufficiente richiamare il dictum di Sez. U, n. 40516 del 23/06/2016, Del Vecchio, Rv. 267629 – 01, a mente della quale: ‹‹La circostanza aggravante dell’avere agito con crudeltà, di cui all’art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen., è di natura soggettiva ed è caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole››. 2.2.1. La Corte distrettuale, facendo buon governo di tale principio di diritto, ha valorizzato la particolare furia dimostrata dall’imputato, nell’avventarsi contro la donna e la pervicacia dallo stesso dimostrata, nel reiterare una pluralità di gesti dotati di specifica attitudine lesiva. Parte preponderante della connotazione crudele della condotta posta in essere, poi, è dimostrata – secondo i Giudici di merito – dall’indifferenza e insensibilità manifestate dal prevenuto, restato del tutto sordo ai pianti e alle urla dei bambini, uno dei quali si è addirittura frapposto fra i genitori, nel vano tentativo di far desistere il padre dall’azione aggressiva; una esplosione di collera brutale, quindi, manifestata in modo plateale e insistito e che – nella sentenza impugnata – viene reputata in grado di infliggere una dose di sofferenza aggiuntiva alla vittima (una persona evidentemente ridotta, ormai, all’impotenza e comprensibilmente terrorizzata, dalla prospettiva che tale ira potesse poi essere dirottata verso i bambini). 2.2.2. La struttura motivazionale adottata dalla Corte territoriale, sul punto, è ampia e lineare, oltre che priva del pur minimo spunto di contraddittorietà, logica o infratestuale; tale impostazione, inoltre, è pienamente aderente ai principi di diritto ripetutamente tracciati da questa Corte, secondo la quale: ‹‹Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante comune consistente nell’avere agito con crudeltà verso le persone, non è necessario che l’azione del colpevole sia diretta contro la vittima, essendo sufficiente che essa sia indirizzata verso una o più persone, anche diverse dalla vittima, purché si concreti in un “quid pluris” rispetto all’esplicazione ordinaria dell’attività necessaria per la consumazione del reato, in Corte di Cassazione – copia non ufficiale 4quanto proprio la gratuità dei patimenti cagionati rende particolarmente riprovevole la condotta del reo, rivelandone l’indole malvagia e l’insensibilità a ogni richiamo umanitario›› (Sez. 1, n. 20185 del 20/12/2017, Q., Rv. 272828 – 01; così anche Sez. 1, n. 35187 del 10/07/2002, Botticelli, Rv. 222520 – 01). La correttezza logica e giuridica della avversata decisione, dunque, si desume dalla sicura consapevolezza – in capo all’autore del fatto – di porre in essere comportamenti atti a uccidere, al cospetto dei figli in tenera età, obbligati a subire la percezione d’una sequenza delittuosa che si dipanava in danno della madre (quest’ultima, a sua volta, costretta a temere anche per l’incolumità dei bambini). L’aggravante dell’avere agito con crudeltà verso le persone – secondo il condiviso orientamento di questa Corte – non postula che l’azione del soggetto agente sia indirizzata esclusivamente in danno della vittima, rilevando anche l’effetto indiretto e mediato, che la violenza stessa può esplicare, nei confronti di chi si trovi ad assistervi. La particolare riprovevolezza della condotta, infatti, trova scaturigine proprio dalla gratuità delle sofferenze inferte, che disvelano una personalità spietata e impermeabile a ogni spinta interiore di carattere umanitario. 2.3. Distonico, rispetto al thema decidendum, è infine il ripetuto riferimento alla natura fulminea e improvvisa dell’azione, che la difesa descrive come sorretta da un dolo d’impeto. Ma la già citata sentenza delle Sezioni Unite Del Vecchio si è occupata anche della specifica problematica, risolvendola nel senso che ‹‹Il dolo d’impeto, designando un dato meramente cronologico consistente nella repentina esecuzione di un proposito criminoso improvvisamente insorto, non è incompatibile con la circostanza aggravante della crudeltà di cui all’art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen.›› 3. Con il secondo motivo, viene contestata la sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi. 3.1. Secondo la difesa, la ricostruzione della vicenda e dei suoi antefatti sarebbe rimasta parziale e frammentaria e – in assenza di un movente chiaramente esplicitato dall’imputato – si sarebbe cercato di ricostruire la causale del gesto attraverso la ricongiunzione dei pochi dettagli emersi. Impropriamente trascurata, inoltre, sarebbe stata l’incidenza della condizione di profonda alterazione in cui versava il ricorrente. 3.2. In diritto, giova allora ricordare che tale forma di manifestazione del reato sussiste allorquando la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato poi commesso, da apparire – in base ai canoni ordinariamente accettati, rispondenti al comune modo di sentire assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, dovendosi così propriamente considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto, utile a dar sfogo ad un impulso violento. In altri termini, il motivo è giuridicamente futile laddove la spinta a delinquere risulti carente di quel minimo di consistenza, che la coscienza collettiva postula, perché sia possibile operare un collegamento logico accettabile, rispetto all’azione commessa (al fine non certo di giustificarla, bensì di comprenderla). La futilità, intesa secondo tale accettazione, appartiene dunque alla sfera morale, in quanto offende una regola etica comune, che assegna particolare disvalore all’azione criminosa che sia – quanto al versante psicologico – indotta da una causale irrisoria, ovvero da un movente macroscopicamente inadeguato e carente di contenuti (Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103; Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, D’Aggiano, Rv. 273119; Sez. 5, n. 52747 del 28/09/2017, Sorroche, Rv. 271589; Sez. 5, n. 38377 del 01/02/2017, Plazio, Rv. 271115; Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, Barnaba, Rv. 260360; Sez. 1, n. 59 del 01/10/2013, dep. 2014, Femia, Rv. 258598; Sez. 1, n. 30291 del 22/06/2011, Okaya, Rv. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 5250882; Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, Mele, Rv. 248832; Sez. 1, n. 4819 del 17/12/1998, dep. 1999, Casile, Rv. 213378). 3.3. Tanto ricordato – ai fini dell’inquadramento dogmatico della dedotta questione ritiene il Collegio che, contrariamente ai rilievi mossi dalla difesa, tanto la sentenza impugnata, quanto la decisione di primo grado, chiariscano in maniera ampia e priva di illogicità in cosa, concretamente, sia consistita la futilità della ragione che mosse l’imputato al delitto: la persona offesa non voleva che egli assumesse sostanza stupefacente all’interno dell’abitazione nella quale al momento si trovavano, in quanto voleva evitare che a tale scena potessero assistere i figli minori. La critica sussunta nell’impugnazione – anche sul punto specifico – si rivela meramente confutativa e fattuale, in quanto invita questa Corte a un diretto confronto con gli elementi probatori e, dunque, alla rivisitazione della decisione assunta dai Giudici di merito, ossia al compimento di una operazione valutativa estranea al giudizio di legittimità. Giova aggiungere, peraltro, come la ragione posta a fondamento dell’agire dell’imputato– oltre che, certamente, futile secondo l’ottica sopra delineata – presenta anche una connotazione abietta, in quanto turpe e ignobile, oltre che evocativa di un livello di perversità atto a destare ripugnanza, in ogni persona di media moralità; ciò in quanto la violenta reazione dell’uomo fece seguito all’invito a non drogarsi in presenza dei figli minori, per cui il motivo coincide – secondo una elementare logica deduttiva – con la volontà del soggetto di ignorare tale invito e continuare imperterrito ad assumere cocaina, sprezzante della presenza di minori. 4. Il terzo, il quarto e il quinto motivo rampollano da una matrice comune e, pertanto, ben si prestano a una agevole trattazione unitaria; con tali doglianze vengono avversate, rispettivamente, la ritenuta sussistenza della recidiva, la congruità della pena inflitta e il mancato riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche. 4.1. Quanto al tema della recidiva, la difesa lamenta di aver evidenziato la necessità di un collegamento psicologico con il reato, che nel caso di specie sarebbe inesistente, a causa dello stato di massiccia alterazione psichica in cui si trovava il soggetto. Giova allora precisare, sul punto, come l’apprezzamento di tale circostanza – nella sua portata di amplificazione sanzionatoria – vada operato in concreto, alla stregua dei criteri espressi da Sez. U. n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv 247838 (cfr. Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023 Antignano, Rv. 284425 – 01 e Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Del Chicca, Rv. 270419 – 01). La giurisprudenza di legittimità – quanto allo specifico tema – ha evidenziato come gravi sul giudice il dovere di verificare, in concreto, se la reiterazione dell’illecito sia da ritenersi sintomo effettivo di accentuata riprovevolezza della condotta, oltre che di maggior pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante, significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali. Tale indagine risulta compiuta – durante il giudizio di merito – in maniera esaustiva e puntuale, atteso che la Corte territoriale si è premurata di sottolineare come l’imputato annoveri plurime condanne, per reati dolosi anche di natura omogenea rispetto a quello per il quale si procede. Tale dato oggettivo, combaciando alla perfezione con la natura degli accadimenti fenomenici ora sottoposti a giudizio, manifesta – secondo il giudizio espresso dalla Corte di appello – una radicata forma di indifferenza del soggetto verso il precetto Corte di Cassazione – copia non ufficiale 6penale. Sulla base di tale valutazione è stata ritenuta provata, pertanto, la sussistenza di una accresciuta pericolosità sociale dell’imputato, il quale ha mostrato una ingravescente propensione verso la specifica tipologia delittuosa. La struttura argomentativa della avversata decisione, quindi, è logica e priva del pur minimo profilo di incoerenza; essa non risulta in alcun modo scalfita, poi, dalle argomentazioni difensive, che sono di tenore meramente confutativo. Decentrata rispetto al contenuto specifico della sentenza impugnata, infine, è la porzione di censura che – anche sotto questo profilo – evidenzia lo stato di alterazione psicofisica dell’imputato, che sarebbe stato asseritamente tale da escludere una maggiore proclività criminale dello stesso. 4.2. Vengono in rilievo, poi, il motivo che introduce il tema delle circostanze attenuanti generiche e quello che si incentra sulla adeguatezza del trattamento sanzionatorio. Secondo la prospettazione difensiva, dunque, non sarebbe stata chiarita la ragione della mancata valorizzazione sia dello stato dell’imputato, sia della condotta da questi serbata successivamente al fatto; sarebbe stato omesso, poi, ogni riferimento alla sentenza di assoluzione del ricorrente, relativa ad altri fatti, commessi in passato in danno della persona offesa. Né si sarebbe preso in considerazione l’esito del processo in danno di altra donna, laddove il ricorrente è stato assolto dall’imputazione di violenza sessuale, ottenendo anche la derubricazione della contestazione di tentato omicidio in lesioni semplici. Si è in presenza di censure dal marcato tenore aspecifico e reiterativo, in quanto il giudice di merito non ha affatto omesso di motivare sul punto, avendo valorizzato – anche ai fini indicati dall’art. 133 cod. pen. – le caratteristiche del fatto e la personalità del soggetto. Dal complesso della motivazione, in ogni caso, emergono tutti gli elementi forza dei quali la Corte distrettuale ha esercitato i propri poteri, in sede di quantificazione della pena. Va sottolineato, quanto alle circostanze attenuanti generiche, come il ricorso non riesca a indicare alcun elemento positivo asseritamente trascurato, nella motivazione della pronuncia impugnata. L’attenuazione della pena scaturente da tale riconoscimento, però, deve essere ancorata a precisi profili ambientali e comportamentali della vicenda, considerata nel suo complesso ed incastonata in un peculiare ambito cronologico, spaziale e storico, o anche ad aspetti della personalità del reo, che lo rendano concretamente meritevole di attenuazione del rigore sanzionatorio; lungi dal divenire mera applicazione consuetudinaria, tale riconoscimento deve ricevere adeguato sostegno, attraverso aspetti concreti emergenti dagli avvenimenti, che militino in senso favorevole al reo. La concessione delle circostanze attenuanti generiche, inoltre, non dovrà mai divenire una pura e semplice concessione di stile, quasi che essa si atteggiasse alla stregua di un diritto, invece inesistente, in capo al colpevole. Noto è, poi, come le circostanze attenuanti generiche non debbano tradursi nell’inesistenza di elementi negativi, bensì compendiarsi nella esistenza di motivi positivi, atti a giustificare la decurtazione sanzionatoria. La richiesta di generiche, quindi, deve distinguersi per l’indicazione di elementi di carattere specifico, con i quali è poi doveroso instaurare un confronto e fornire risposta esaustiva (tale regola ermeneutica, unanimemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità, si trova, fra tante, in Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590 – 01, che ha così statuito: ‹‹L’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse››; nello stesso senso, si veda Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stelitano, Rv. 195339 – 01). 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; Corte di Cassazione – copia non ufficiale 7segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. L’imputato dovrà rifondere le spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile Comune di XXXXXXX, in persona dell’Assessore ai servizi sociali pro-tempore, quale tutore provvisorio dei minori XXXXXXXXXX, XXXXXXXXXXXXX e XXXXXXXXXXXXXXX, parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, con pagamento in favore dello Stato. Ricorrendone le condizioni, infine, deve essere disposta l’annotazione di cui all’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2003, n. 196, recante il “codice in materia di protezione dei dati personali”.

Cass. pen., I, ud. dep. 01.08.2025, n. 28329

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