Pubblico Impiego – Docenti – Maltrattamenti a scuola, si al risarcimento dei danni anche per gli alunni che hanno assistito

Pubblico Impiego – Docenti – Maltrattamenti a scuola, si al risarcimento dei danni anche per gli alunni che hanno assistito

1. I ricorsi degli imputati D.P.G. e di L.M.L. – che, essendo per massima parte coincidenti, possono essere esaminati in modo congiunto – sono infondati e vanno dunque rigettati.

1.1. Il primo motivo di entrambi i ricorsi opera una strumentale parcellizzazione del materiale probatorio, invece apprezzato in modo unitario dai Giudici di merito, con motivazione ampia, completa e tutt’altro che manifestamente illogica.

Sul punto, in replica alle deduzioni difensive, va preliminarmente ricordato che l’obbligo di motivazione del giudice dell’impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto d’impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841).

E che a tale insegnamento si è conformata la Corte d’appello di Napoli.

Essa, infatti, ha innanzitutto precisato come il procedimento in oggetto avesse preso l’avvio dalla denuncia di due madri, le quali avevano riportato i contenuti della chat (OMISSIS), da cui emergevano le condotte maltrattanti.

Ha aggiunto che tale ipotesi trovò conferma nelle riprese delle videocamere istallate le quali, nell’arco dì due mesi, documentarono episodi: numerosi, ripetuti vuoi anche nell’arco della stessa giornata, condensati in un contenuto lasso di tempo – dal che l’indiscutibile abitualità, requisito costitutivo dell’art. 572 cod. pen. -, realizzati addirittura quando gli imputati erano già a conoscenza delle indagini in atto (incidentalmente, la buona fede che si pretende di farne discendere nulla toglie all’elemento soggettivo del reato, che si atteggia in chiave di dolo generico e, quindi, di mera coscienza e volontà della condotta).

Ha poi riportato in modo analitico – elencandoli uno per uno – tali episodi, evidenziando come essi consistettero in atteggiamenti gratuitamente violenti verso gli alunni i quali, tra le altre cose, erano tirati per le braccia e trascinati con forza nei vari spostamenti, anche a costo di farli rovinare a terra, venivano presi per il grembiule e colpiti sulla testa, subivano calci nel sedere, spintoni o schiaffi, venivano variamente minacciati ed incitati a picchiarsi l’un l’altro.

Ciò ha fatto al dichiarato scopo di dimostrare come la difesa non avesse negato la realizzazione dei comportamenti condotte, ma si fosse limitata a dare un apprezzamento diverso da quello motivatamente espresso in primo grado.

Quanto alle censure relative alla modalità dell’incidente probatorio, la circostanza che la piattaforma probatoria fosse rappresentata in prevalenza da intercettazioni ambientali avrebbe potuto essere considerata, già di per sé, sufficiente ai fini dell’affermazione della responsabilità penale, escludendo la decisività di quanto dichiarato dai bambini – di età prescolare – e così negando, in radice, rilievo alle deduzioni difensive.

Ma la Corte d’appello ha comunque rivendicato la correttezza dei loro racconti e, a tal fine, ha precisato – con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità – che i minorenni furono lasciati liberi di esprimersi con parole proprie, che vennero rispettati i tempi delle risposte e che la spontaneità di queste ultime non venne compromessa, essendosi evitate domande suggestive.

Per poi aggiungere come non tutti i genitori dei minori maltrattati si fossero costituiti parte civile – a riprova del fatto che non ci fu accanimento verso gli insegnanti – e, soprattutto, che il pericolo di contagio dichiarativo fu scongiurato, dal momento che le dichiarazioni vennero state acquisite prontamente e con tutte le garanzie, nell’immediatezza dei fatti.

Mentre, quanto alle modalità di assunzione della perizia, dopo averne rilevato la correttezza, in ordine all’opportunità di tenere distinti i ruoli del perito e dell’ausiliario, la Corte d’appello ha citato Sez. 5, n. 17951 del 07/02/2020, Zilio, Rv. 279175, secondo cui sussiste l’incompatibilità con l’ufficio di testimone solo per l’ausiliario in senso tecnico, che appartiene al personale della segreteria o della cancelleria dell’ufficio giudiziario, e non invece in relazione ad un esperto, estraneo all’amministrazione giudiziaria, che abbia svolto occasionalmente funzioni di ausiliario della polizia giudiziaria in fase di indagini preliminari. Per inciso, si tratta di massima di diritto che i ricorrenti reputano non pertinente ma che invece svela, a fortiori, l’equivoco terminologico in cui essi sono incorsi, dovendosi assumere – in assenza di deduzioni contrarie – che l’ausiliario della cui opera il Tribunale si era avvalso, fosse proprio un tecnico esterno.

I Giudici di secondo grado hanno anche replicato alle critiche sull’omesso approfondimento in ordine alle modalità di prima rivelazione delle notizie, escludendo l’ipotesi di c.d. “contagio dichiarativo” e ricordando come l’indagine si fosse sì avviata a partire da un allarme diffuso nella Chat dei genitori, ma che, come già evidenziato, venne presto disposta l’attivazione del servizio di videosorveglianza – che innegabilmente fornì la prova principale del processo – per poi anche precisare come, dei minori sentiti, ben cinque si soffermarono sui comportamenti di D.P.G. e quattro su quelli di L.M.L., la perizia avendo confermato l’attendibilità astratta delle loro dichiarazioni.

Per converso, e in conclusione, le deduzioni dei ricorrenti appaiono poco perspicue, per lo più meramente ipotetiche e congetturali, comunque sprovviste di quella forza logica che invece sprigiona un compendio probatorio essenzialmente formato, come più volte sottolineato, da videoriprese.

1.2. Anche il secondo motivo dei due ricorsi è infondato.

In ordine alla riqualificazione della condotta in abuso dei mezzi di correzione (art. 571 cod. pen.), la Corte d’appello, per un verso, correttamente ha ravvisato la configurabilità degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti in famiglia di cui, nel caso di specie, ricorrono sia l’abitualità delle condotte, sia l’induzione di uno stato di sofferenza e di umiliazione come effetto della instaurazione di un generale clima vessatorio: conclusione vieppiù evidente, se si considera che, nel caso di specie, persone offese erano bambini in età prescolare, come tali vulnerabili e particolarmente esposti al rischio di danni psicologici.

Peraltro verso, altrettanto correttamente ha escluso la configurabilità dell’art. 571 cod. pen., sulla base dell’ormai pacifica giurisprudenza di legittimità, secondo cui esula dal perimetro applicativo di tale fattispecie qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da animus corrigendi, atteso che, secondo la linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l’esercizio lecito del potere correttivo ed educativo – che mai deve deprimere l’armonico sviluppo della personalità del minore – lì dove l’abuso ex art. 571 cod. pen. presuppone l’eccesso nell’uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti (Sez. 6, n. 13145 del 03/03/2022, M., Rv. 283110).

In altre parole, assunto l’arcaico termine “correzione” di cui all’art. 571 cod. pen. nel senso di “educazione”, il presupposto applicativo della fattispecie di cui all’art. 571 cod. pen. è un uso immoderato (appunto, ab-uso) di mezzi educativi che, però, per loro natura, devono essere pur sempre leciti, il ricorso alla violenza non essendo mai consentito per fini correttivi o educativi.

Laddove, per contro, molte delle condotte qui sinteticamente descritte furono, appunto, anche fisicamente, violente.

2. Fondato è, invece, il ricorso della parte civile G., che lamenta un vizio di motivazione sub specie di travisamento della prova per omissione.

La Corte di appello ha ineccepibilmente attribuito valore sia ai maltrattamenti “diretti” nei confronti di alcuni minori, sia ai maltrattamenti “assistiti”, rivestisti di rilievo legislativo penale dall’art. 9, comma 2, lett. c) legge 19 luglio 2019, n. 69 (il quale ha esplicitato che il minorenne che assiste ai maltrattamenti è persona offesa del reato), che però ha recepito il pacifico orientamento di questa Corte, sicché, già prima della novella, il reato era configurabile anche nei confronti dei minori presenti alle violenze fisiche e psicologiche realizzate a danni diretti di terzi (exmultis, Sez. 6, n. 16583 del 28/03/2019, A., Rv. 275725).

Tuttavia, pur escludendo che sussista la prova che la minore G. fosse anche solo presente ai maltrattamenti, i Giudici nulla hanno replicato alle deduzioni – specifiche e supportate da allegati – della suddetta parte civile.

Essendo la valutazione degli atti su cui si fondano le censure difensive preclusa a questa Corte, si impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile dell’appello competente per valore sul punto relativo al rigetto dell’appello proposto dalla parte civile G.

Cass. pen., VI, ud. dep. 02.09.2025, n. 30123

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