1.- Con il primo motivo si prospetta difetto di motivazione nonché travisamento della prova.
La ratio decidendi, sotto questo aspetto, e relativamente alla posizione del locatore, è nel senso che costui avrebbe potuto, in ipotesi, rispondere ex art. 2043 c.c. delle immissioni causate dal conduttore, ove avesse potuto prevedere, al momento del contratto, di locazione, che, per l’appunto, il conduttore le avrebbe provocate. Ma non vi era alcuna prova di tale prevedibilità.
La tesi dei ricorrenti è che invece la prova era emersa: risultava dalla CTU e soprattutto dal verbale ARPA, secondo cui le strutture dell’immobile non erano adeguate a contenere il rumore provocato dai clienti del ristorante. Ed inoltre il venditore, che poi era la stessa società locatrice dell’immobile al ristoratore, aveva garantito che quest’ultimo avrebbe fatto un’attività diversa nel locale, e meno rumorosa.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Per due ragioni.
La prima è che pretende un diverso esame dei fatti, ed una diversa valutazione delle prove in ordine all’elemento qui controverso.
La seconda è che la decisione impugnata ha altresì una ratio decidendi, sul punto, che non è invece contestata, e che da sola può sorreggere la decisione, ossia che il proprietario aveva locato in vista di un determinato uso (pizzeria ed altri alimenti da asporto) ed invece il conduttore, violando l’autorizzazione ricevuta, ne ha svolta un’altra e più rumorosa (p. 10 della sentenza).
Dunque, al di là della idoneità della struttura, l’incolpevolezza del locatore è desunta da tale dato, qui non smentito.
2.- Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 2043 e 2051 c.c.
Secondo i ricorrenti il locatore, in quanto custode della cosa locata, ha la responsabilità delle immissioni causate dal conduttore, che si concretizza, in questo caso, nel fatto di non avere modificato le strutture, onde impedire le immissioni, e di non avere assunto iniziative verso il conduttore onde impedirgli di produrre immissioni.
2.1. Il motivo è infondato.
Sta e cade con il precedente.
Va premesso che è principio di diritto, correttamente richiamato dalla sentenza impugnata che “in materia di immissioni intollerabili, allorchè le stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilità ex art. 2043 c.c., per i danni da esse derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi” (Cass. civ. 11125/2015)”.
Dunque, il locatore deve concorrere e non basta che ometta di diffidare il conduttore, e questo suo concorso può anche consistere nel fatto di locare ben sapendo che il conduttore produrrà immissioni (Cass. 4908/2018).
Ma ciò presuppone, per l’appunto, la prova che il locatore poteva prevedere, usando l’ordinaria diligenza, che il conduttore avrebbe prodotto immissioni nocive: prova che però, come si è detto, in precedenza, è del tutto mancata, secondo l’apprezzamento incensurabile dei giudici di merito.
Né conta il rapporto di custodia, che rispetto alle immissioni non rileva: il custode risponde dei danni causati dalla cosa, che si ripartisce tra locatore e conduttore a seconda delle parti – strutture o accessori – da cui deriva il danno, ossia a seconda delle parti dell’immobile che si hanno rispettivamente in custodia (Cass. 21788/2015; Cass. 10983/2023).
Ma non si può ipotizzare una custodia dell’attività illecita altrui (le immissioni fatte dal conduttore): rispetto a quest’ultima si può solo predicare un concorso da parte del locatore, nei termini in cui lo configura la giurisprudenza di questa Corte, prima citata.
3.- Il terzo motivo prospetta anche esso violazione degli articoli 2051 e 2043 c.c.
E’ riferito questa volta alla condotta del condominio.
Secondo i ricorrenti, i giudici di appello non hanno sufficientemente tenuto in conto la circostanza che il ristoratore, conduttore di un immobile posto nel condominio, aveva violato i regolamenti condominiali (oltre alle altre regole) e che tale violazione era presupposto delle immissioni o, meglio, le consentiva.
Il condominio doveva ritenersi responsabile di non avere dunque impedito che il conduttore producesse immissioni.
3.1. Il motivo è inammissibile.
A tacer d’altro, non coglie la ratio decidendi, che è un’altra.
Sostengono i giudici di merito che “curare l’osservanza del Regolamento di Condominio è compito precipuo affidato dall’art. 1130 c.c. all’amministratore, il quale pertanto è senz’altro abilitato ad agire e resistere nei pertinenti giudizi, senza che occorra apposita autorizzazione assembleare (Cass. civ. 21841/2010); è l’amministratore ad essere eventualmente “responsabile nei confronti dei condomini per i danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei poteri e, in genere, da qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari” (Cass. civ. 35315/2021)” (p. 12 della sentenza) e che “dall’omesso adempimento dell’obbligo dell’amministratore di curare l’osservanza del regolamento di condominio ex articolo 1130 c.c., comma 1, n. 1, non ridonda, invero, alcuna automatica responsabilità ricadente nella sfera giuridica dell’intero condominio” (Cass. civ. 35315/2021)”.
Questa ratio decidendi non è impugnata. I ricorrenti ribadiscono soltanto che il condominio in quanto tale avrebbe dovuto vigilare sull’osservanza del regolamento ed impedire che venisse violato producendo immissioni intollerabili.
Ma non discutono la ratio, che da sola giustifica il rigetto della domanda nei confronti del condominio, secondo cui non è quest’ultimo il soggetto tenuto ad intervenire, bensì l’amministratore.
4. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Cass. civ., III, ord., 26.08.2025, n. 23881