1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Si premette che il caso in disamina concerne una delle poche e residuali ipotesi di responsabilità penale ex art. 659, comma 1 cod. pen. Tale contravvenzione, infatti, a seguito del susseguirsi ed intrecciarsi della normativa in tema di inquinamento acustico, ritaglia il proprio ambito di operatività quasi esclusivamente nell’ambito dei rapporti di vicinato e nell’ambito condominiale. La norma punisce il “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”, ovvero qualunque condotta, di tipo commissivo od omissivo, idonea a determinare il disturbo delle occupazioni o del riposo, elemento materiale della contravvenzione di cui di cui all’art. 659 cod. pen., primo comma, indifferentemente posta, con condotta attiva o omissiva, con dolo o con colpa. Nel caso di condotta omissiva, penalmente responsabile è colui che esercita un potere di vigilanza derivante dalla legge o da un contratto su soggetti (bambini) o cose (animali, macchinari, strumenti di lavoro) fonte di rumore. La responsabilità omissiva va quindi collegata ad una posizione di garanzia derivante dalla legge o da un contratto, o da un ordine dell’autorità pubblica.
1.2. Va chiarito inoltre che, ai fini della punibilità del soggetto agente, è necessario che la stessa sia astrattamente idonea a determinare un disturbo diffuso e generalizzato delle occupazioni e/o del riposo di una moltitudine di persone, quantunque sia anche una sola persona a lamentarsene. Trattandosi di reato posto a tutela del bene superindividuale della quiete pubblica e dell’ordine pubblico, è pacifico che la contravvenzione possa configurarsi anche in assenza di offesa a soggetti determinati, purché sia posta in essere una condotta idonea ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone. La natura di reato di pericolo presunto posto a tutela della quiete pubblica e dell’ordine pubblico impone però che i rumori abbiano l’attitudine a disturbare una cerchia indeterminata di persone, poiché è solo in simile evenienza che si verifica una lesione o messa in pericolo della pubblica tranquillità che è il bene giuridico protetto.
Dunque, perché possa ritenersi integrata la fattispecie disciplinata dall’art. 659 cod. pen. occorre la prova della diffusività e percettibilità delle emissioni stesse da parte di un numero illimitato di persone (tutti gli occupanti il condominio o una parte di esso, parte del vicinato, etc.) a prescindere dal fatto che in concreto tali persone siano state effettivamente disturbate. Relativamente ad attività che si svolgono in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio (Sez.3, n.18521 del 02/05/2018, ud. 11 gennaio 2018, n. 18521), pur non essendo necessario che in concreto si siano lamentate più persone, atteso che è sufficiente che i rumori abbiano determinato una situazione tale, dal punto di vista oggettivo, da poter recare disturbo ad una pluralità di soggetti.
Pertanto, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, è del tutto indifferente che solo una o più persone abbiano effettivamente avvertito il disturbo, avendosi comunque una lesione del bene giuridico tutelato dalla norma e cioè dell’ordine pubblico inteso come tranquillità pubblica. Per converso, quando la predetta situazione di fatto non ricorra, le lamentele dì una o più persone non sono sufficienti ad integrare la materialità del reato in argomento (Sez. 1, n. 3823/1994 ed in conformità Sez. 1, n. 4820/1999).
1.3. Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto sufficientemente provata la responsabilità dell’occupante dell’abitazione avvalendosi, come fonte di prova, della prova testimoniale di due vicini di casa che hanno riferito di non riuscire a dormire nelle ore notturne a causa dei rumori cagionati dagli inquilini del piano superiore, non ritenendo opportuno tuttavia disporre perizia e ha affermato la penale responsabilità in assenza di una consulenza tecnica. In particolare, il giudice a quo ha riferito che i militari erano intervenuti sui luoghi ed avevano effettuato un primo accesso e un successivo intorno le ore 3,00 su richiesta del V. Gli operanti, entrando all’interno dell’abitazione del V., avevano constatato la presenza di rumori oggettivamente in grado di incidere sulla quiete pubblica (“forti rumori e musica ad alto volume” “oggetti che cadevano, o cani che abbaiavano”), provenienti dal piano sovrastante l’abitazione del V.. Si recavano pertanto all’appartamento del piano superiore, ove notavano un cane che si trovava nelle scale comuni del condominio, oltre alla musica ad alto volume. Dopo aver bussato, una volta aperta la porta da parte del G.M.E., notavano dei cani che si muovevano per l’abitazione. Il giudice a quo ha quindi ritenuto accertate le immissioni sonore ad alto volume di musica e di altri rumori, tali da impedire la quiete pubblica, ancorché detti rumori abbiano disturbato o siano stati avvertiti, nella situazione concreta, solo dagli inquilini del piano sottostante, avendo costoro chiesto, per ben due volte, l’intervento delle forze dell’ordine nel corso della notte.
2. In ordine alla lagnanza relativa al mancato raggiungimento di uno standard probatorio apprezzabile in punto di superamento della soglia della “normale tollerabilità”, non essendo stata disposta alcuna rilevazione sonora ed in assenza di qualunque accertamento tecnico, occorre precisare che la questione attiene alla metodologia di accertamento del grado di pericolosità e di diffusività della condotta pericolosa, in quanto solo un superamento della soglia della normale tollerabilità è tale da impedire il risposo e le occupazioni di un numero indeterminato e potenziale di persone. Al riguardo, si richiama quanto affermato da Sez. 3, n.1501 del 26/04/2018, secondo cui la verifica del superamento della soglia della normale tollerabilità non deve essere necessariamente effettuata mediante perizia o consulenza tecnica, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento in ordine alla sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, occorrendo accertare la diffusa capacità offensiva del rumore in relazione al caso concreto (Sez. 1, n. 20954 del 18/01/2011 – dep. 25/05/2011, Toma, Rv. 250417).
Ne segue che l’accertamento del superamento della soglia della normale tollerabilità non costituisce valutazione di natura tecnica che richiede l’espletamento di un accertamento tecnico mediante perizia fonometrica, ma un giudizio fattuale rimesso al prudente apprezzamento del giudice, il quale ben può fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori, che dimostrino la sussistenza di immissioni tali da arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete.
Nel caso in disamina, il giudice a quo ha desunto la prova del superamento della soglia della normale tollerabilità delle fonti sonore dalle deposizioni testimoniali dei vicini di casa e degli operanti accorsi sul luogo che hanno constatato la musica ad alto volume nel pieno della notte e la presenza di cani sia nell’abitazione che nelle parti comuni del condominio.
3. Consegue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
Quanto alla richiesta di condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, si ribadisce che nel giudizio di legittimità, in caso di ricorso dell’imputato rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali, qualora non sia intervenuta nella discussione pubblica, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (Sez.4, n. 9179 del 31/01/2024 Ud. (dep. 04/03/2024) Rv. 285911).
Nel caso in disamina, la parte civile, non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, si è limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria, con allegazione di nota spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione, sì da non fornire alcun contributo alla decisione.
Ritiene il Collegio, dunque, che non debbano essere liquidate le spese a favore della costituita parte civile.
Cass. pen., III, ud. dep. 26.09.2025, n. 32043