4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1126 c.c., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale escluso l’applicabilità del criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare e delle porzioni di copertura, limitando la condanna ai soli proprietari sovrastanti (T. e (OMISSIS) Immobiliare) senza porre a carico della (OMISSIS)s.r.l., utilizzatrice dei locali sottostanti, alcuna quota di contribuzione.
Sostengono che la Corte d’appello abbia errato nel ritenere che la (OMISSIS) fosse terza rispetto al rapporto di condominio e, quindi, non tenuta al concorso delle spese, nonostante fosse proprietaria esclusiva dei locali sottostanti e fruitrice diretta della copertura. Ad avviso dei ricorrenti, la corretta applicazione dell’art. 1126 c.c. avrebbe imposto di ripartire le spese di riparazione in misura proporzionale tra i proprietari delle unità immobiliari sovrastanti e il titolare di quella sottostante, nella misura di un terzo a carico di quest’ultimo, trattandosi di parti che svolgevano anche funzione di copertura del bene dell’attrice.
4.1.1. Il motivo è fondato.
In via assolutamente preliminare, deve notarsi che la peculiarità della fattispecie sta nel fatto che non risulta pendente più alcuna domanda nei confronti del Condominio, in dipendenza dello sviluppo del processo nei gradi precedenti e dell’ambito concreto dell’impugnazione avanti questa Corte: diventa, così, definitivo il rigetto delle originarie pretese attoree nei confronti di quello; mentre si discute della corresponsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. della stessa danneggiata e originaria attrice.
Occorre premettere che la questione concernente la ripartizione delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di uso esclusivo, nonché la correlata responsabilità per i danni da esso cagionati, è stata oggetto di ampio dibattito giurisprudenziale.
L’articolo 1126 del Codice Civile disciplina la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione dei lastrici solari di uso esclusivo, stabilendo un criterio inderogabile in assenza di diverso accordo contrattuale. La norma pone un terzo della spesa a carico del condomino che ha l’uso esclusivo del lastrico, mentre i restanti due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve da copertura. La giurisprudenza è unanime nel ribadire che, data la fondamentale funzione di copertura del fabbricato, l’obbligo di manutenzione grava su tutti i soggetti interessati secondo le proporzioni indicate dalla legge (cfr. Cass. 6 marzo 2012, n. 3465; Cass. 15 aprile 2010, n. 9084). Tale obbligo di contribuzione sussiste sempre che il danno o la necessità di intervento non derivino da un fatto imputabile esclusivamente al condomino che ha l’uso esclusivo (cfr. Cass. n. 3465 del 2012, cit.).
Elemento dirimente ai fini della decisione è rappresentato dall’individuazione dei condomini tenuti a contribuire per la quota dei due terzi delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di uso esclusivo, in applicazione del criterio dettato dall’art. 1126 c.c.
La giurisprudenza di questa Corte ha consolidato il cosiddetto criterio della “proiezione verticale”. Secondo tale orientamento l’obbligo di contribuire alle spese non grava su tutti i condomini del fabbricato, ma esclusivamente sui proprietari delle unità immobiliari comprese nella proiezione verticale del lastrico stesso, poiché solo a tali unità esso funge da copertura (cfr. Cass., ord. 28 agosto 2020, n. 18045; Cass., ord. 18 maggio 2017, n. 12578; Cass., ord. 10 maggio 2017, n. 11484; Cass. 4 giugno 2001, n. 7472). Questa Corte ha chiarito che sono tenuti a contribuire «i soli condomini che siano anche proprietari individuali delle singole unità immobiliari comprese nella proiezione verticale di detto lastrico ed alle quali esso funge da copertura, mentre restano esclusi gli altri condomini alle cui porzioni individuali il lastrico stesso non sia sovrapposto, indipendentemente dall’esistenza, nella colonna d’aria ad esso sottostante, di parti comuni» (cfr. Cass., ord. 10 maggio 2017, n. 11484). Di conseguenza, sono esclusi dalla contribuzione i proprietari dei locali (siano essi appartamenti, negozi o autorimesse) che, pur facendo parte dello stesso condominio, non si trovano fisicamente sotto la porzione di lastrico oggetto di intervento (cfr. Cass., ord. 28 agosto 2020, n. 18045; Cass. 4 giugno 2001, n. 7472).
È principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità che l’obbligo di contribuzione alle spese di manutenzione e ricostruzione delle parti comuni, ivi compresi i lastrici solari, abbia natura di obbligazione propter rem (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23291), in quanto strettamente connesso alla titolarità del diritto reale sull’unità immobiliare e, pertanto, gravante su chi ne sia proprietario o titolare di altro diritto reale di godimento.
Le stesse Sezioni Unite della Corte di cassazione, pur intervenendo sulla qualificazione della responsabilità per danni, hanno confermato che la fonte dell’obbligo di contribuzione alle spese risiede nella «titolarità del diritto reale» (cfr. Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449). Ne consegue che il soggetto tenuto a partecipare alla spesa non è il mero utilizzatore o conduttore (inquilino) dell’unità immobiliare sottostante, bensì il suo proprietario.
Con la sentenza n. 9449 del 2016, le Sezioni Unite hanno risolto un contrasto giurisprudenziale, inquadrando la responsabilità per danni da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare non più come obbligazione propter rem, ma nell’ambito della responsabilità extracontrattuale per danni da cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 c.c. (cfr. Cass., ord. 3 ottobre 2023, n. 27846; Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449; Cass. 7 febbraio 2017, n. 3239; Cass. 22 marzo 2012, n. 4596). La Corte ha stabilito una responsabilità concorrente: da un lato, quella del proprietario o usuario esclusivo, quale custode della superficie del lastrico; dall’altro, quella del condominio, per l’omesso controllo sulla funzione strutturale di copertura. Per la ripartizione dell’onere risarcitorio tra i responsabili, le Sezioni Unite hanno ritenuto di applicare, quale parametro di liquidazione, proprio il criterio previsto dall’art. 1126 c.c., ponendo quindi un terzo del danno a carico del proprietario/usuario esclusivo e due terzi a carico del condominio (o, per esso, dei soli proprietari delle unità sottostanti: dovendo, quindi, oggi intendersi per tali quei condòmini i cui immobili beneficino, siccome a quello sottostanti, in via esclusiva della copertura) (cfr. Cass., ord. 3 ottobre 2023, n. 27846; Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9449; Cass. 22 luglio 2014, n. 16693). Nei confronti del terzo danneggiato, i due soggetti (proprietario esclusivo e condominio) rispondono in solido ai sensi dell’art. 2055 c.c., potendo il danneggiato agire per l’intero risarcimento nei confronti di uno solo dei responsabili, salvo il diritto di regresso interno (cfr. Cass., ord. 14 giugno 2021, n. 16741). Occorre, altresì, considerare che, a seguito del definitivo approdo nomofilattico sulla natura sostanzialmente oggettiva della responsabilità per danni da cose in custodia (per tutte, Cass., Sez. U., ord. 30 giugno 2022, n. 20943), questa incombe al custode condominio in ragione della mera situazione di signoria di fatto sulla cosa da cui si è originato il danno.
Non rileva, nella presente sede, che il criterio di riparto stabilito dall’art. 1126 c.c. non sia assoluto e incontri due principali deroghe (la riconduzione del danno a «difetti originari di progettazione o di esecuzione dell’opera», secondo quanto precisato da Cass. 30 aprile 2013, n. 10195; Cass. 15 aprile 2010, n. 9084; Cass. 18 giugno 1998, n. 6060; la deroga convenzionale da titolo univoco, secondo Cass. 12 giugno 2017, n. 14586; Cass. 23 marzo 2016, n. 5814; Cass. 10 ottobre 2007, n. 21300), queste non essendo state prospettate nella specie.
Il criterio legale per la ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare, sopra ricostruito e identico a quello di ripartizione dei danni cagionati dalle cose comuni, pone i due terzi della spesa a carico dei soli proprietari delle unità immobiliari a cui il lastrico funge da copertura, secondo un rigoroso criterio di proiezione verticale. L’obbligazione ha natura propter rem, legata alla proprietà, e pertanto non può essere posta a carico del conduttore (la società utilizzatrice), ma deve gravare sul proprietario di detti locali. La Corte territoriale avrebbe quindi dovuto porre i due terzi della spesa a carico del proprietario (o dei proprietari, se più di uno) dei locali sottostanti (che della copertura dei lastrici o terrazzi beneficiano) e non escluderlo dalla contribuzione.
Né rileva in contrario che un tale proprietario sia il danneggiato, salvo il caso – che, però, qui non è idoneamente prospettato ricorra – in cui sia esclusiva la responsabilità, diversa od ulteriore rispetto a quella del custode e quindi per fatto doloso o colposo specifico ai sensi dell’art. 2043 c.c., del proprietario dell’immobile sovrastante (da intendersi, allora, idonea a recidere il nesso causale tra cosa custodita e danno).
Infatti, il condomino che subisca, nella propria unità immobiliare, un danno derivante dall’omessa manutenzione delle parti comuni di un edificio, ai sensi degli artt. 1123,1124,1125 e 1126 c.c., assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento nei confronti del condominio, senza tuttavia essere esonerato dall’obbligo – che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile – di contribuire, a propria volta e pro quota, alle spese necessarie per la riparazione delle parti comuni, nonché alla rifusione dei danni cagionati (Cass., ord. 24 giugno 2021, n. 18187; Cass. 21 luglio 2025, n. 20546).
Il principio deve trovare necessariamente applicazione, con gli opportuni adattamenti, anche alle ipotesi, quale la presente, in cui a concorrere alle spese e ai danni di cose comuni siano, da un lato, il proprietario esclusivo della terrazza o lastrico e, dall’altro, il proprietario o i proprietari esclusivi delle unità immobiliari che ne ricevono copertura.
E tanto in applicazione del seguente principio di diritto: «il condomino che subisca, alla propria unità immobiliare, un danno derivante da un sovrastante lastrico solare o terrazza a livello in uso o proprietà esclusivi, assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento, senza tuttavia essere esonerato dall’obbligo – che trova la sua fonte nella comproprietà o nella utilità di quelle e non nella specifica condotta illecita ad esso attribuibile – di contribuire, a propria volta, alle spese necessarie per la riparazione di quel peculiare bene comune, nonché alla rifusione dei danni cagionati, in ragione dei due terzi per la preminente funzione di copertura del proprio immobile, svolta dal lastrico o terrazza a livello».
4.2. Il secondo motivo, identificato da una unitaria rubrica, si articola in tre distinte censure.
Con una di queste i ricorrenti deducono vizio di motivazione per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in relazione alle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo e della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel giudizio di merito.
Lamentano che la Corte territoriale abbia trascurato di considerare che il CTU aveva individuato la causa delle infiltrazioni non solo nelle terrazze di proprietà dei ricorrenti e della (OMISSIS) Immobiliare, ma anche in elementi riconducibili alle parti comuni condominiali, quali il pozzo luce, le facciate e i giunti tecnici di connessione tra i fabbricati.
La Corte d’appello avrebbe, dunque, fornito una motivazione insufficiente e apodittica nel limitare la responsabilità ai soli proprietari delle terrazze, omettendo di chiarire per quali ragioni non avesse attribuito alcuna incidenza causale alle carenze di impermeabilizzazione delle parti comuni, pure riconosciute dagli accertamenti tecnici e oggetto di specifiche deduzioni da parte degli appellanti.
Nella parte in cui la doglianza involge la mancata considerazione della responsabilità dei proprietari o usuari esclusivi degli immobili sovrastanti, si risolve nel motivo precedente, tendendo a conseguire, nella sostanza, la riduzione del quantum direttamente risarcibile al danneggiato (in virtù della prospettata sua immediata corresponsabilità) ed è assorbita dal relativo accoglimento.
Nella parte in cui la doglianza involge la mancata considerazione della corresponsabilità di altri soggetti diversi dallo stesso danneggiato, invece, essa è assorbita dall’accoglimento del primo motivo e da quello, in esso, pure della prima doglianza del presente secondo motivo: fermo restando che il corresponsabile non ha, di norma, interesse a dolersi della mancata o imperfetta considerazione della quota di corresponsabilità di altri, nei cui confronti non abbia dispiegato domanda di rivalsa (per ogni riferimento, vedasi Cass. Sez. U., sent. 20 giugno 2017, n. 15279, non massimata sul punto, ripresa, da ultimo, da Cass. ord. 23 marzo 2024, n. 7910).
4.3. Con altra delle censure del secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e per vizio di contraddittorietà della motivazione, assumendo che la Corte d’appello abbia affermato la loro responsabilità pur avendo riconosciuto che parte dei fenomeni infiltrativi era ascrivibile a difetti strutturali dell’edificio e a carenze manutentive delle facciate e dei giunti di dilatazione.
In tal modo, la decisione sarebbe affetta da incoerenza logica, poiché, da un lato, riconosce la pluralità delle cause del danno e, dall’altro, circoscrive la condanna alle sole opere di ripristino relative alle terrazze di proprietà esclusiva, senza una chiara giustificazione tecnica della delimitazione del perimetro di responsabilità.
Anche tale doglianza è assorbita dal motivo precedente: ciò che consente di tralasciare che, di norma, non si ravvisa un interesse a dolersi della mancata estensione di una condanna a proprio danno e riconducendosi la concreta articolazione di questa a solo alcuni interventi e non ad altri ad apprezzamenti di merito, in quanto tali qui non censurabili.
4.4. Con l’ultima censura del secondo motivo, i ricorrenti paiono dedurre anche violazione del principio del divieto di reformatio in peius ed erronea statuizione sulle spese di lite, per avere la Corte d’appello aggravato la loro posizione rispetto alla sentenza di primo grado, benché essi fossero gli unici ad aver proposto impugnazione.
Sostengono che, mentre il Tribunale aveva disposto la compensazione integrale delle spese tra le parti, la Corte territoriale ha condannato i medesimi al pagamento di due terzi delle spese di entrambi i gradi di giudizio, senza adeguata motivazione e in assenza di reciproca soccombenza, così violando i principi di causalità e di proporzionalità nella regolazione delle spese processuali.
La doglianza, in dipendenza dell’accoglimento del primo motivo e della conseguente necessità di una rivisitazione del regime delle spese in relazione all’esito complessivo della lite (se non altro, nei rapporti direttamente coinvolti dalle difese degli odierni ricorrenti, come residuanti in esito all’odierna pronuncia), resta assorbita.
5. In definitiva, accolto il primo motivo di ricorso, va assorbito il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla stessa corte territoriale che ha pronunciato la qui cassata sentenza, in diversa composizione personale.
Cass. civ., III, ord., 28.10.2025, n. 28528