1. L’oggetto del presente giudizio è costituito:
– dalla deliberazione del Consiglio comunale di Bari n. 2024/00028, adottata nella seduta del 25 marzo 2024, concernente “P.N.C. – Piano nazionale degli interventi complementari al PNRR Progetto di fattibilità tecnica ed economica Bari Bari Costasud, Parco costiero della cultura, del turismo e dell’ambiente, Lotto 1. Approvazione progetto di fattibilità tecnica ed economica comportante variante ai soli fini urbanistici e apposizione del vincolo preordinato all’esproprio (art. 12 co. 3 della l.r. n. 3/2005 e s.m.i.”
– dall’avviso di avvio del procedimento di approvazione del suddetto progetto, pubblicato sul quotidiano nazionale “Corriere della Sera” in data 8 giugno 2023, sul quotidiano locale “Corriere del Mezzogiorno” in data 8 giugno 2023, sul sito istituzionale del Comune di Bari in data 12 giugno 2023 e sull’albo pretorio comunale in data 14 giugno 2023;
– dalla determina dirigenziale della Ripartizione Urbanistica ed edilizia privata, registro generale DD 14162/2022, adottata il 19 ottobre 2022 e da tutti i pareri alla stessa allegati e dalla stessa approvati e recepiti;
– dalla determinazione dirigenziale n. 2018/130/00097 del 22 giugno 2018, con la quale il direttore della Ripartizione Urbanistica ed edilizia privata del Comune di Bari ha approvato il bando ed indetto il Concorso internazionale di idee per la riqualificazione dell’area costiera e periferica a Sud Est della Città;
– dalla deliberazione del Consiglio comunale di Bari n. 2024/00063, adottata nella seduta dell’8 luglio 2024, di approvazione definitiva del progetto di fattibilità tecnica ed economica del Parco;
– da tutti gli atti antecedenti, conseguenti o comunque connessi del procedimento.
2. Tali provvedimenti sono stati impugnati con ricorso e motivi aggiunti dinanzi al T.a.r. per la Puglia dalla ISTVAN di Buttiglione & C. s.a.s., sulla base dei seguenti motivi: violazione dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 2, del d.P.R. n. 327/2001 e dell’art. 12, comma 3, della l.r. Puglia n. 3/2005, eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità manifesta, errore sui presupposti, sviamento.
3. Con la sentenza n. 318 del 10 marzo 2025 il T.a.r. per la Puglia ha respinto sia il ricorso che i motivi aggiunti, condannando la ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
4. La originaria ricorrente ha chiesto al Consiglio di Stato di riformare la suddetta decisione, affidando il proprio appello a due motivi così rubricati:
I – erroneità della motivazione, errore sui presupposti di fatto e di diritto in relazione ai vizi di violazione dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, violazione e falsa applicazione dell’art. 19 comma 2 del d.P.R. n. 327/2001 e dell’art. 12 comma 3 della l.r. Puglia n. 3/2005, eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità manifeste, errore sui presupposti, sviamento;
II – erroneità della sentenza per omessa pronuncia sull’istanza istruttoria formulata da ISTVAN in primo grado.
5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della cultura e il Comune di Bari, eccependo l’inammissibilità e, in ogni caso, l’infondatezza nel merito dell’appello.
6. Con memoria del 7 giugno 2025 e repliche del 12 giugno 2025 le parti hanno ulteriormente sviluppato le loro argomentazioni, insistendo nelle rispettive conclusioni.
7. All’udienza pubblica del 26 giugno 2025 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.
8. Con il ricorso ed i motivi aggiunti di primo grado, la società ISTVAN, assumendo di essere proprietaria della quota di 60,18 millesimi dei fondi situati sul territorio del Comune di Bari, in località Punta Perotti, impugnava dinanzi al T.a.r. per la Puglia le delibere del Comune n. 28/2024 e n. 63/2024 di prima approvazione e di approvazione definitiva del progetto di fattibilità tecnica ed economica denominato “Bari Costa Sud”, concernente la creazione, sui luoghi un tempo occupati dal noto complesso immobiliare poi abbattuto, in quanto considerato abusivo, del “Parco costiero della cultura, del turismo e dell’ambiente” e gli atti connessi.
9. A sostegno del suo gravame la originaria ricorrente assumeva che con tali provvedimenti il Comune di Bari avesse avviato e portato avanti un procedimento espropriativo ex post, su terreni già da tempo occupati e trasformati sine titulo, così aggirando la procedura di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001 che, “oltre a prevedere l’acquisizione non retroattiva delle aree utilizzate senza titolo, attribuisce al privato illegittimamente espropriato il diritto ad un indennizzo diverso e più consistente rispetto a quello dovuto in caso di regolare procedura espropriativa”.
10. Il T.a.r., nella sua decisione, ha ritenuto non provato l’anomalo procedimento espropriativo prospettato dalla società ricorrente, reputando del tutto legittime le delibere impugnate e sottolineando come con esse il Comune avesse inteso semplicemente far uso del suo potere di pianificazione, prevedendo la futura realizzazione del Parco.
11. Con il primo motivo la società appellante, ha lamentato, in via preliminare, l’erroneità della sentenza impugnata, nella quale il T.a.r. non avrebbe adeguatamente considerato che l’esistenza sui luoghi di causa, a seguito della demolizione del noto complesso immobilitare, di un parco pubblico, realizzato dal Comune di Bari, costituisse, in verità, un fatto notorio, comprovato, tra l’altro, da molteplici articoli di stampa. Il T.a.r. stesso, secondo l’originaria ricorrente, sarebbe, altresì, incorso in due gravi errori, ritenendo “che il Comune (avesse)…posto in essere interventi di sistemazione e di manutenzione straordinaria senza con ciò trasformare irreversibilmente l’area” e valorizzando eccessivamente “il fatto che, al momento dell’attuazione degli interventi asseritamente <<conservativi>>, il Comune (avesse)…agito quale legittimo proprietario in forza della confisca disposta ai sensi dell’art. 44 del d.P.R. n. 380/2001”.
12. Al riguardo, la ISTVAN ha sostenuto, da un lato, che i lavori attuati dal Comune sui terreni in questione – consistenti nella realizzazione del manto erboso, con impianto di arbusti, della pista ciclabile e del sistema di irrigazione – rappresentassero, come anticipato, la creazione di un “parco per la cittadinanza” e, dunque, di un’opera pubblica che le aveva sottratto la disponibilità delle aree stesse, “senza un valido decreto di esproprio”, dall’altro, che il T.a.r. fosse caduto in contraddizione, ritenendo che il Comune avesse legittimamente compiuto gli interventi de quibus in qualità di proprietario dei terreni e, al contempo, che essa, a causa della retroattività della revoca della confisca e della nullità della permuta, non avesse mai perso la proprietà dei fondi.
13. Per dare esecuzione alla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’illegittimità della confisca, l’Amministrazione avrebbe dovuto, infatti, secondo la ricostruzione dell’originaria ricorrente, o “restituire i beni illegittimamente occupati, previa rimessione in pristino e corresponsione del risarcimento” o “provvedere ad acquistarli seguendo la procedura di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001. Tertium non datur”, e, a seguito della irreversibile trasformazione dei luoghi, non avrebbe potuto dare alla sua istanza, volta a promuovere l’acquisizione dei fondi ex art. 42-bis, una risposta negativa, senza dubbio “illegittima per violazione delle disposizioni di legge nonché inficiata da eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità manifesta, errore sui presupposti e sviamento”.
14. Con il secondo motivo la società appellante ha, poi, dedotto l’omessa pronuncia da parte del T.a.r. sulla sua richiesta istruttoria di accertamento tramite verificazione o CTU della avvenuta irreversibile trasformazione dell’area e del suo concreto utilizzo come parco pubblico, riproponendo anche dinanzi a questo Consiglio di Stato la relativa istanza.
15. A prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità dell’appello per violazione del principio di specificità dei motivi ex art. 101 comma 1 c.p.a. e per carenza di un interesse attuale e concreto a ricorrere per l’omessa impugnazione della determinazione n. 12307 del 29 settembre 2021, nonché della delibera C.C. n. 27 del 25 marzo 2024, le suddette censure non sono fondate e devono essere respinte nel merito per le ragioni di seguito illustrate.
16. Dagli elementi di causa e, in particolare, dal contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 21398/2013 che ha statuito che “essendo stata la confisca revocata ed essendo stato il terreno oggetto del contratto di permuta restituito a Sudfondi, non vi sono più ostacoli all’adozione delle pronunce conseguenti alla inefficacia (in senso lato) del contratto di permuta. In altri termini, poiché il contratto di permuta, in ragione della sua nullità, è improduttivo di effetti per un vizio strutturale e genetico, i terreni ceduti in permuta da ISTVAN a Sudfondi con il rogito del 2 novembre 1993 sono tutt’ora in comproprietà di Istvan, dal cui patrimonio non sono mai usciti, e Sudfondi è tenuta a restituirli alla cedente”, le aree in questione risultano, in verità, ancora nella disponibilità della Sudfondi s.r.l. in c.p. e, in ogni caso, assolutamente libere da opere pubbliche, essendo state solo sottoposte ad un intervento di sistemazione e di manutenzione dopo la demolizione dell’edificio preesistente.
17. I lavori svolti su di esse – essenzialmente di livellamento del terreno, creazione del manto erboso, manutenzione dell’intera zona e creazione della pista ciclabile e del sistema di irrigazione – risultano, inoltre, essere stati legittimamente eseguiti nel periodo in cui, per effetto della confisca, i terreni erano entrati ex lege nel patrimonio del Comune di Bari.
Pertanto, una volta venuta meno ex tunc l’attribuzione in suo favore, il Comune era semplicemente tenuto a restituirli nello stato di fatto in cui si trovavano, in ragione della dovuta demolizione.
18. Sul punto il Comune di Bari ha precisato di aver dapprima provveduto, nel periodo della titolarità da parte sua dei fondi, alla “sistemazione altimetrica dell’intera area…con posa in opera del terreno agronomico anche sulle aree non interessate dall’impronta dei fabbricati demoliti, (alla) realizzazione di un prato mediante l’utilizzo di adeguate essenze arboree e (di) una pista ciclabile e una rete irrigua” e, successivamente, dopo la revoca della confisca, nell’inerzia dei proprietari nell’assumere la cura dei propri suoli, lasciati privi di recinzione e aperti all’accesso indiscriminato, di essersi limitato, per finalità di interesse generale, ad eseguire interventi di manutenzione dell’area in via conservativa “onde evitare che un eventuale stato di abbandono (potesse)… causare nocumento alla salubrità e alla sicurezza del contesto alla cui tutela e salvaguardia (esso) è tenuto in ragione delle sue funzioni” (cfr. delibera G.M. n. 67 del 12 febbraio 2015).
19. Alla luce di tali considerazioni, non meritevoli di condivisione sono, dunque, le doglianze dell’appellante svolte in relazione alla pretesa natura di fatto notorio della irreversibile trasformazione dei suoli e della loro definitiva utilizzazione a parco, per scopi di interesse pubblico. Come, infatti, affermato dalla Corte di cassazione, “Nelle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza di cui all’art. 115, comma 2, c.p.c. sono escluse quelle valutazioni che, per essere formulate, necessitino di un apprezzamento tecnico, da acquisirsi mediante c.t.u. o mezzi cognitivi peritali analoghi per le quali, quindi, non possa parlarsi di fatti o regole di esperienza pacificamente acquisite al patrimonio conoscitivo dell’uomo medio o della collettività con un grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile” (cfr. ex multis, Cass. Civile, Sez. lav., 4 giugno 2019, n.15159).
20. Al contrario l’intervento in questione – i cui effetti sono stati descritti in modo assai differente da ciascuna delle due parti in causa – è stato oggetto di attento esame e di valutazione da parte del T.a.r. che, sulla base delle fotografie dei luoghi e di tutti i documenti in atti è giunto in modo ragionevole e congruo ad escludere la sussistenza di un’alterazione irreversibile dei suoli, così come di una loro attuale definitiva sottrazione alla disponibilità dell’appellante per il fatto di essere, allo stato, semplicemente fruibili dalla cittadinanza, in seguito all’opera di sistemazione e cura da parte del Comune.
21. A ciò può aggiungersi che la pronuncia del T.a.r. non appare neppure inficiata da alcuna contraddizione, avendo il giudice di primo grado correttamente ricostruito nelle sue varie fasi l’evoluzione dell’intera vicenda, che ha visto il Comune, come detto, dapprima sistemare i terreni in qualità di proprietario, e, poi, effettuarne la manutenzione nell’inerzia dei titolari, per la salvaguardia del contesto ambientale.
22. Sulla base delle argomentazioni che precedono, deve essere, quindi, esclusa la ricorrenza dei presupposti tali da rendere “doverosa”, nei termini affermati dall’appellante, la procedura di cui all’art. 42-bis del T.U. Espr., rappresentati dall’utilizzo del bene immobile per scopi di interesse pubblico, dalla impossibilità/non volontà di restituzione del fondo, previa rimessione in pristino e soprattutto dalla sua avvenuta modificazione in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio.
23. L’effettivo contenuto dei provvedimenti impugnati, di manifestazione da parte del Comune di Bari del suo potere di pianificazione del territorio, in questo caso proprio in vista della (futura) realizzazione dell’opera pubblica, lungi dal rendere illegittima l’attività amministrativa compiuta, non fa che confermare le suddette conclusioni, già raggiunte dal T.a.r. nella sentenza appellata.
24. A prescindere dalle eccezioni di tardività, anche il secondo motivo di appello è infondato e deve essere respinto, poiché gli incombenti istruttori richiesti dalla originaria ricorrente, peraltro non accompagnati da alcun concreto elemento indiziario nella direzione auspicata dall’appellante (essendo state le fotografie prodotte dall’appellante contestate dal Comune come attinenti a fondi diversi da quelli di causa) risultano meramente esplorativi, nonché finalizzati a dimostrare circostanze già compiutamente smentite nel corso del presente giudizio in violazione, dei principi in materia probatoria.
25. In definitiva, l’appello deve, dunque, essere integralmente respinto.
26. Le spese del presente grado di giudizio tra l’appellante ed il Comune di Bari seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, mentre quelle nei confronti del Ministero della cultura, costituitosi con memoria meramente formale, possono essere compensate, sussistendone giusti motivi.
CONSIGLIO DI STATO, IV – sentenza 23.10.2025 n. 8220