*Professioni – Sanzioni disciplinari, impugnazione e inammissibilità dell’esame dei motivi nuovi dopo la proposizione del ricorso

*Professioni – Sanzioni disciplinari, impugnazione e inammissibilità dell’esame dei motivi nuovi dopo la proposizione del ricorso

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli art. 58 e 59 L. 247/2012, dovendosi ritenere la decisione assunta con una motivazione apparente, contraddittoria ed illogica in riferimento ad un addebito che difetta di specificità, con conseguente violazione del principio di correlazione tra incolpazione e decisione (art. 522 c.p.p.), e in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. per violazione del diritto di difesa e del giusto processo”. La censura del ricorrente investe la decisione del C.N.F. di ritenere inammissibile l’esame dei “motivi di impugnazione dedotti nella memoria di costituzione di nuovo difensore, ulteriori e diversi rispetto ai motivi contenuti nel ricorso”. L’avv. A.A. sostiene che non si tratti “di motivi nuovi, bensì di eccezione di nullità della decisione di primo grado, per difetto di correlazione tra incolpazione e decisione, eccepibile in qualunque stato e grado di merito”, giacché la violazione dell’art. 522 c.p.p., verificatasi in primo grado, configura una nullità della sentenza a regime intermedio, che “può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo”, come affermato dalla giurisprudenza penale di legittimità ” (Cass. pen., sez. IV, 29 marzo 2017, n. 19043; Cass. pen., sez. VI, 12 luglio 2012, n. 31436)”. Ciò posto, il ricorrente – nel rammentare che ai sensi dell’art. 21 del Regolamento CNF 2/2014 la citazione notificata all’incolpato deve contenere “l’enunciazione in forma chiara e precisa degli addebiti” – assume che il capo 1 di incolpazione risulterebbe “deltutto privo del requisito di specificità, così come la conseguente motivazione, non comprendendosi quali siano le azioni giudiziarie in concreto omesse”. WOLTERS KLUWER ONE LEGALE ? Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 30 Settembre 2025 pag. 3 Del pari ” incerto e privo di specificità” sarebbe anche il capo 6 di incolpazione, avendo esso incolpato, in base alla disciplina recata dall’art. 1193 c.c. – secondo la quale, in presenza di una pluralità di rapporti obbligatori, “se il debitore non si avvale della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare la scelta spetterà al creditore” – ” imputato il pagamento alle prestazioni oggettodella fattura n. 17 del 2019, non contestata dalla cliente in quanto la prestazione è stata effettivamente svolta, il pagamento è stato correttamente chiesto, ma mai effettuato”. Inoltre, il ricorrente afferma essere sussistente la violazione dell’art. 522 c.p.p. poiché ” il capo di incolpazione relativo alla prosecuzione dei giudizi era del tutto generico, non indicando di quali giudizi si trattasse”, né vi erano “elementi agli atti da cui desumere che l’incolpato si sia potuto difendere su tutti i singoli atti di citazione, in quanto imprecisati”. E su tali aspetti – conclude l’avv. A.A. – “le motivazioni dei giudici di merito sono del tutto assenti”. 1.1. – Il motivo è infondato. 1.1.1. – Va, anzitutto, precisato che, nonostante il ricorrente evochi la violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza (ex art. 521 c.p.p.), richiamando la sanzione della nullità di cui all’art. 522 c.p.p., la doglianza – come emerge dalla sostanza delle ragioni poste a sostegno del motivo di impugnazione e innanzi sintetizzate – attiene, piuttosto, al difetto di specificità della contestazione, di cui al (pur richiamato) art. 59 della legge n. 247/2012, che al comma 2, lett. d) n. 2, richiede che la citazione a giudizio disciplinare deve contenere (per quanto interessa in questa sede) “l’enunciazione in forma chiara e precisa degli addebiti, con le indicazioni delle norme violate”. Del resto, è in siffatti termini – coerentemente con la sostanza delle veicolate censure – la decisione del C.N.F. impugnata in questa sede, che, come già evidenziato, ha escluso di poter pronunciare sui “due motivi nuovi e relativi alla nullità degli addebiti di cui ai capi 1 e 6 per difetto di specificità dei fatti contestati” (p. 6 sentenza C.N.F.). Nondimeno, anche quanto rappresentato dall’avv. A.A. a p. 8 del ricorso si presta ad una inequivoca lettura in questo stesso senso, avendo egli evidenziato che “(i)l 13 gennaio 2025, perveniva memoria di costituzione di nuovo difensore, con la quale si insisteva per l’accoglimento del ricorso e, a parere del Consiglio Nazionale Forense, venivano proposti due motivi nuovi e relativi alla nullità dell’addebito disciplinare sub 1) e sub 6) per difetto di specificità, essendovi assoluta incertezza sui fatti oggetto di contestazione, tale da impedire ogni facoltà difensiva”. Non è, pertanto, scrutinabile il motivo come volto a denunciare la violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza, mutuato dal rito penalistico, alle cui norme rinvia il citato art. 59, comma 2, lett. n), nei limiti della compatibilità, che, a tal riguardo, è senz’altro configurabile. Questa Corte ha, infatti, affermato, in più di un’occasione (tra le altre, Cass., S.U., n. 412/2020), che nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati trovano applicazione, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, dal codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale vi faccia espresso rinvio, ovvero allorché sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale. 1.1.2. – La giurisprudenza penale di legittimità ha precisato che ai fini della contestazione dell’accusa ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non già l’indicazionedegli articoli di legge che si assumono violati (analogamente queste stesse Sezioni Unite civili in tema di disciplinare avvocati: tra le altre, Cass., S.U., n. 13456/2017), altresì puntualizzando che il requisito della “enunciazione del fatto”, imposto a pena di nullità dall’art. 555, comma 1, lett. c), e comma secondo, c.p.p., per il decreto di citazione a giudizio, “ha la funzione di informare l’imputato circa il tenore delle accuse che gli vengono mosse al fine di consentirgli l’esercizio del diritto di difesa. Esso, pertanto, può dirsi soddisfatto quando il fatto addebitato sia enunciato in modo tale che l’interessatone abbia immediata e compiuta WOLTERS KLUWER ONE LEGALE ? Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 30 Settembre 2025 pag. 4 conoscenza” (così Cass., S.U. pen., n. 18/2000; successivamente, tra le molte, Cass. pen. n. 30141/2019; cfr. anche Corte EDU, Drassich c. Italia, 22 febbraio 2018, n. 65173/09). Quanto, invece, al principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (art. 521 c.p.p.) ciò che ne determina la violazione è la diversità del fatto accertato rispetto a quello contestato (tra le molte, Cass. pen. n. 43336/2016; cfr. anche Corte EDU, Drassich c. Italia, 12 novembre 2007, n. 25575/2004). Sicché, ciò che viene in rilievo a tal fine non è la contestazione di un fatto in maniera generica e tale da non rendere edotto l’imputato del tenore delle accuse rivoltegli,bensì, sulla scorta di un fatto contestato in modo specifico (o, comunque, tale da non comportare il citato vulnus informativo, incidente sul diritto di difesa), l’addebito di un fatto diverso rispetto a quello oggetto della contestazione. In altri termini, la genericità colpisce l’atto di accusa (richiesta di rinvio a giudizio, decreto che dispone il giudizio, citazione diretta), per carenza di “chiarezza e precisione” nella descrizione del fatto (tempo, luogo, modalità, circostanze e norme violate). È un vizio dell’atto che pregiudica la conoscenza dell’accusa e si traduce in nullità a regime intermedio (artt. 417, 429, 552 c.p.p., in relazione all’art. 178, lett. c), c.p.p.) da far valere tempestivamente (art. 181, co. 3, c.p.p., in limine iudicii per il decreto che dispone il giudizio; entro il primo grado per la citazione diretta). La correlazione attiene, invece, al rapporto tra accusa cristallizzata e decisione: essa è violata se la sentenza condanna per un fatto diverso (o per aggravante/reato concorrente) non formalmente contestato secondo gli artt. 516-518 c.p.p., salvo mera riqualificazione in iure che non leda la difesa (art. 521 c.p.p.). Diverso è, dunque, nei casi menzionati il regime delle nullità. La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio (artt. 180 e 522 c.p.p.) che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo o, comunque, rilevata d’ufficio dal giudice d’appello ogni qual volta è investito, con l’atto di impugnazione, della richiesta di verificare la sussistenza dell’addebito, ma non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità (Cass. pen. n. 43336/2016; Cass. pen. n. 19043/2017). La generica enunciazione del fatto integra, invece, una ipotesi di nullità relativa dell’atto di vocatio (decreto che dispone il giudizio o citazione), da dichiararsi se tempestivamente dedotta (art. 181, comma 3, c.p.p.), altrimenti restando sanata (Cass. pen. n. 28512/2014). Va, peraltro, osservato, in relazione al capo di imputazione generico, che nel corso del giudizio l’oggetto dell’accusa può essere specificato fisiologicamente (ad es. per chiarimenti istruttori). Se ciò avviene senza trasformare il nucleo storico del fatto, non si pone un problema di violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza: si tratta di specificazione lecita, con controllo in concreto sul pregiudizio difensivo. Se, invece, la sentenza introduce per la prima volta circostanze essenziali (modi dell’azione, regole cautelari, tempi/luoghi decisivi) che modificano gli elementi identificativi del fatto e sorprendono la difesa, allora si configura mutamento del fatto e violazione del principio di correlazione (artt. 521-522 c.p.p.; Cass., S.U. pen., n. 36551/2010). Il vaglio, quindi, resta concreto: occorre verificare se l’imputato abbia avuto concrete possibilità di difendersi su tali profili nel corso del processo (Cass., S.U. pen., n. 36551/2010; cfr. anche Corte EDU, Pélissier e Sassi c. Francia, 25 marzo 1999). 1.1.3. – Ciò posto, nella specie, il regime applicabile è quello della nullità relativa per denuncia di genericità della contestazione mossa con la citazione a giudizio, ex art. 59, comma 2, lett. d), n. 2, della legge n. 247/2012, che, dunque, rinviene la propria disciplina dell’art. 181, comma 3, c.p.p. WOLTERS KLUWER ONE LEGALE ? Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 30 Settembre 2025 pag. 5 Pertanto, l’avv. A.A. avrebbe dovuto eccepire detta nullità dinanzi al C.D.D. di Roma o, comunque, farne oggetto di tempestivo motivo di impugnazione della decisione resa dal C.D.D. dinanzi al C.N.F., ove si è instaurata la fase giurisdizionale del procedimento disciplinare, non potendo lo stesso C.N.F. rilevare d’ufficio l’anzidetta nullità relativa. È, quindi, corretta la decisione del C.N.F. di non esaminare i motivi di nullità della contestazione per difetto di specificità veicolati dall’incolpato soltanto con la memoria del 13 gennaio 2025, successiva alla proposizione del ricorso. Va, infatti, ribadito il principio per cui, in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, la prima fase avanti al consiglio distrettuale di disciplina ha carattere amministrativo, mentre il successivo ricorso al Consiglio nazionale forense assume natura e funzione propriamente giurisdizionali e l’atto deve contenere la specifica indicazione dei motivi sui quali si fonda, con la conseguenza che non possono proporsi motivi nuovi di impugnazione con atti successivi al ricorso e che i medesimi, se proposti, devono essere dichiarati inammissibili anche d’ufficio (Cass., S.U., n. 9949/2024). 1.1.4. – Il Collegio ritiene, in ogni caso, di evidenziare che il fondo delle doglianze proposte dal ricorrente è privo di consistenza. Va, infatti, rammentato che, in tema di giudizio disciplinare nei confronti di professionista, la formale incolpazione non richiede una minuta, completa e particolareggiata esposizione delle modalità dei fatti che integrano l’illecito e l’indagine volta ad accertarela correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non va fatta alla stregua di un confronto meramente formale, dovendosi piuttosto dare rilievo all’iterdel procedimento e alla possibilità che l’incolpato abbia avuto di avere conoscenza dell’addebito e di discolparsi, potendo essere valorizzati anche elementi non desumibili direttamente dal testo della formale incolpazione, sebbene di essi è necessaria una adeguata ricognizione e una valutazione della loro idoneità ad esplicitare ed integrare il capo di incolpazione (Cass., S.U., n. 17827/2007; Cass., S.U., n. 13456/2017). Sicché, ai fini della palese infondatezza delle doglianze di genericità della contestazione degli illeciti disciplinari, è sufficiente rilevare: a) quanto al capo 1) di incolpazione, che gli atti di citazione non iscritti a ruolo erano allegati all’esposto della B.B. e l’avv. A.A. aveva espressamente acconsentito alla relativa acquisizione in giudizio (p. 8 della sentenza del C.N.F.); b) quanto al capo 6) di incolpazione, il rilievi difensivi che fanno leva sulla disciplina dell’imputazione di pagamento (art. 1193 c.c.) sono in diritto e non attengono al profilo fattuale della contestazione, che nel suo confezionamento risulta affetto specifica, recando l’indicazione del numero e dell’importo degli assegni oggetto dell’atto di precetto. 2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 36 L. 247/2012, dovendosi ritenere la decisione assunta con una motivazione apparente, contraddittoria ed illogica, in violazione degli artt. 24 e 111 Cost. avendo ritenuto il CNF, con omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, che “l’accettazione espressa dell’eredità venne trascritta in Conservatoria, in favore della cliente, l’11 ottobre 2018, come risulta dal certificato di denuncia di successione depositato dallo stesso incolpato”, quando, in realtà, si legge nel medesimo atto che la dichiarazione di successione sostitutiva era stata registrata all’Ufficio Registro Successioni di Roma 3 – Settebagni in data 11 novembre 2019 al n. 344741 vol. 88888, trascritta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma 2 il 3 dicembre 2019, ai n. 59522/41632. Eccesso di potere per travisamento dei fatti”. Il ricorrente sostiene che la decisione del C.N.F. in riferimento all’addebito disciplinare di cui al capo 1 di incolpazione si fonderebbe su “un dato radicalmente travisato, avendo preso, quale parametro della credibilità dell’incolpato, la iniziale denunciadi successione ((effettivamente, trascritta l’11 ottobre WOLTERS KLUWER ONE LEGALE ? Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 30 Settembre 2025 pag. 6 2018)) e non quella rettificata (in data 3 dicembre 2019) dalla stessa esponente”; rettifica che, pertanto, rendeva ” inutile la attivazione dei giudizi per i quali era stato conferito il relativo mandato”e, quindi, costituiva anche prova dell’accordo in tal senso intervenuto tra esso legale e la cliente. 2.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile. È infondato quanto alla censura di motivazione “apparente”, giacché la decisione del C.N.F. è sorretta da un apparato argomentativo – riportato al par. 2.2. dei “fatti di causa”, cui si rinvia (cfr. anche pp. 8 e 9 sentenza C.N.F.) – ben al di sopra del c.d. “minimo costituzionale” e che si appalesa privo di intrinseche aporie, non potendo la dedotta censura fondarsi sul richiamo di elementi estrinsechi alla motivazione della sentenza (Cass., S.U., n. 8053/2014). Per il resto, sono veicolate doglianze inammissibili, che non danno evidenza ad alcun travisamento probatorio (che ricorre solo in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoriaal fatto probatorio: Cass., S.U., n. 5792/2024), bensì sono rivolte a criticare la valutazione del complessivo compendio documentale operata dal C.N.F., avendo il giudice disciplinare dato rilievo all’accettazione originaria di eredità, successiva al mandato per la proposizione dei giudizi, e non alla rettifica della denuncia di successione, di cui il ricorrente, in violazione del principio di specificità dei motivi di impugnazione (art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c.), non rende noto (neppure in sintesi) il contenuto. 3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 36 L. 247/2012, dovendosi ritenere la decisione assunta con una motivazione apparente, contraddittoria ed illogica, in violazione degli artt. 24 e 111 Cost. avendo ritenuto il CNF che l’incolpato non avesse emesso fattura per gli importidal medesimo ricevuti, nonostante avesse depositato le parcelle n. 73, 74, e 75 del 2018. Eccesso di potere per travisamento dei fatti”. Il ricorrente sostiene, anzitutto, che il dato dirimente è quello della ” intervenutaemissione delle parcelle, a prescindere dalla irregolarità contestate, in quanto la sommatoria degli importi corrisponde alle somme effettivamente percepite dal ricorrente “e le parcelle risultano effettivamente inviate alla propria ex cliente, “tanto è che la medesima, pur dubitando della natura delle stesse, le deposita quali allegati dell’esposto”. In ogni caso, l’avv. A.A. assume che, pur se irregolari, “le fatture risultano emesse, mentre la contestazione ne predica l’omissione, ragione per la quale, oltre ad esservi il vizio di motivazione risultante dalla stessa sentenza impugnata, sussiste, altresì, il difetto di correlazione tra la contestazione e la decisione gravata”. 3.1. – Il motivo è (manifestamente) infondato. Giova, anzitutto, ribadire che, come affermato da Cass., S.U., n. 16252/2023, che il “l’avvocato ha l’obbligo, previsto dagli artt. 16 e 29, terzo comma, del codice deontologico, di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione di ogni pagamento ricevuto, anche quando l’attribuzione patrimoniale effettuata in favore del medesimo costituisca adempimento del “palmario” convenuto in sede di conferimento del mandato difensivo. L’inosservanza di questo precetto ha rilevanza disciplinare. L’obbligo di fatturazione costituisce, infatti, espressione dei doveri di solidarietà e correttezza fiscale, cui l’avvocato è tenuto, non soltanto – in funzione della giusta redistribuzione degli oneri, ma anche a tutela della propria immagine e, più in generale, della credibilità della classe forense. Il dovere di lealtà e correttezza fiscale nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività”. Tanto premesso, non è affatto apprezzabile un vizio di motivazione irrispettosa del c.d. “minimo costituzionale” avendo il C.N.F. dato adeguata e logica contezza delle ragioni per le quali l’incolpato WOLTERS KLUWER ONE LEGALE ? Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 30 Settembre 2025 pag. 7 non ha fornito prova di aver emesso regolari fatture in relazione ai compensi ricevuti per l’attività professionale (cfr. par. 2.2. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia; si veda anche pp. 9 e 10 sentenza C.N.F.). Per contro, il ricorrente argomenta confondendo l’emissione delle parcelle, con le quali si chiede al cliente l’onorario per la prestazione, con le fatture quali documenti fiscali da emettere in ragione del corrispettivo ricevuto per la prestazione resa, neppure contestando, altresì, che le fatture fossero irregolari e, dunque, inidonee allo scopo per le quali dovevano essere emesse come documento fiscale. 4. – Il ricorso va, dunque, rigettato. Resta assorbita l’istanza di sospensiva cautelare proposta con il medesimo ricorso. 5. – Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità non avendo l’intimato Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma svolto attività difensiva in questa sede.

Cass. civ., Unite, ord., 26.09.2025, n. 26232

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