I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
1. I primi due motivi sono tra loro strettamente connessi.
a) Il primo motivo contesta “omesso esame circa la valutazione di prove documentali e circa i fatti da esse provati decisivi nel giudizio, che sono stati oggetto di discussione delle parti, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.”: nel liquidare gli onorari spettanti al ricorrente la Corte d’appello ha correttamente applicato il parametro medio, ma ha erroneamente qualificato come indeterminabile il valore della lite, invece di considerare la somma richiesta da D.S. e G.S. sia nel giudizio d’appello che in quello di primo grado, come emerge dagli atti di tali giudizi, a partire dagli atti introduttivi sino alla sentenza d’appello.
b) Il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 2 del d.m. 55/2014”, riproponendo la medesima contestazione relativa alla individuazione del valore della lite sotto il diverso profilo della violazione e falsa applicazione della disposizione richiamata.
I motivi non possono essere accolti. Anzitutto non sussiste il denunciato vizio di omesso esame di un fatto decisivo. La Corte d’appello ha infatti osservato come l’art. 5 del d.m. 55/2014 faccia riferimento al “valore corrispondente all’entità della domanda”, ma occorre, in base alla medesima disposizione, avere riguardo “al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti” e ha ritenuto, proprio sulla base degli atti del processo presupposto (cfr. le pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata), che nel caso in esame il valore effettivo della controversia vada parametrato allo “scaglione indeterminabile”, ritenendo la causa “di particolare importanza” e che vada quindi considerato lo scaglione sino ad euro 520.000. Così argomentando, la Corte d’appello non ha violato o falsamente applicato l’art. 5, comma 2, del d.m. 55/2014. Come ha precisato questa Corte, nel caso della liquidazione degli onorari a carico del cliente, l’indagine, che di volta in volta il giudice di merito deve compiere, è quella di verificare l’attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia (così, da ultimo, Cass. n. 17090/2022).
2. Il terzo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, del d.m. 55/2014”: la Corte d’appello ha erroneamente applicato il richiamato comma 2 dell’art. 4, in quanto doveva liquidare due compensi separati, dato che la prestazione professionale nei confronti delle due parti ha comportato l’esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto.
Il motivo non può essere accolto. Come ha chiarito questa Corte con la pronuncia n. 10367/2024, in relazione alla questione del compenso dell’avvocato che assiste più parti vanno considerati i seguenti princìpi: a) per “parti aventi la stessa posizione processuale” devono intendersi coloro che siano accomunati dalla posizione di attore, di convenuto o di interventore, tanto si desume dall’art. 4, comma 4, d.m. 55/14, il quale contempla l’ipotesi dell’avvocato che assista più parti le quali abbiano sì la medesima posizione processuale, ma la cui difesa comporti l’esame di identiche questioni, così che non può condividersi quanto affermato da una parte della dottrina, secondo cui “identità di posizione processuale” vorrebbe dire identità di petitum e di causa petendi; b) l’avvocato che assiste più parti aventi la medesima posizione processuale ha diritto ad un solo compenso, ma maggiorato ex art. 4, comma 2, d.m. 55/14, anche quando le pretese dei suoi assistiti siano esattamente coincidenti; la difesa di più parti, infatti, anche nel caso di identità di pretese comporta pur sempre l’onere di raccogliere plurime procure, fornire plurime informazioni, compilare plurime anagrafiche, ecc.; c) la suddetta maggiorazione è obbligatoria per le prestazioni professionali concluse dopo il 23 ottobre 2023, facoltativa per quelle concluse prima; d) quel che cambia tra l’ipotesi in cui vi sia identità, e quella in cui vi sia differenza tra le pretese dei vari assistiti, è la misura del compenso standard su cui applicare la maggiorazioni previste dall’art. 4, comma 2, d.m. 55/14; e) se le pretese dei vari assistiti sono diverse, a base del calcolo va posto il compenso che si sarebbe dovuto comunque liquidare per una sola parte, maggiorato del 30% per i primi dieci clienti, e del 10% dall’undicesimo al trentesimo; e) se le pretese dei vari assistiti sono identiche in fatto ed in diritto, a base del calcolo va posto il compenso che si sarebbe dovuto comunque liquidare per una sola parte, ridotto del 30%, e quindi maggiorato come indicato sopra, sub (d).
Nel caso in esame la Corte d’appello ha quindi correttamente disposto un unico compenso e tale compenso ha aumentato del 30%, così che non sussiste il vizio denunciato dal ricorrente, il quale sostiene che dovevano appunto essere liquidati due compensi separati.
3. Il quarto motivo contesta “omesso esame circa la valutazione di prove documentali e circa i fatti da esse provate decisivi nel giudizio che sono stati oggetto di discussione delle parti, ex art. 360, n. 5 c.p.c.”: la Corte d’appello illegittimamente non ha applicato la maggiorazione del 30% richiesta e dovuta per la seconda controparte appellata.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha ritenuto che “non vi è ragione di procedere agli aumenti relativi alla presenza di due controparti, atteso che la terza chiamata, in fase di gravame, non ha di fatto spiegato alcuna autonoma difesa, tanto che gli onorari liquidati al difensore sono stati ridotti del 50% rispetto al parametro medio”. Tale giudizio, di mancata autonomia “di fatto” della difesa della seconda appellata nel giudizio presupposto, il ricorrente non condivide, essendosi trattato di una difesa autonoma, ma si tratta appunto di valutazione di atti processuali e non di omesso esame di fatti storici, così che la prospettazione del motivo è inammissibile. In ogni caso, va rilevato che nella fattispecie in esame trova applicazione – trattandosi di liquidazione successiva al 27 aprile 2018, ma precedente al 23 ottobre 2023 – la formulazione del comma 2 dell’art. 4 del d.m. 55/2014, secondo la quale nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti il compenso “può di regola essere aumentato .. nella misura del 30 per cento” in base alle circostanze del caso, con l’obbligo per il giudice – certamente assolto nell’ipotesi in esame – di motivare al riguardo.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Cass. civ., II, ord., 05.09.2025, n. 24592