Con il primo motivo di ricorso si denunzia la nullità dell’ordinanza, in quanto, nonostante la natura decisoria ex artt. 132, co.1 n. 5 e 161 c.p.c., era stata sottoscritta esclusivamente dal Presidente e non anche dal giudice relatore.
Con il secondo motivo di ricorso si ravvisa la violazione e/o la falsa applicazione ex art. 360, co.1 n. 3 c.p.c., dell’art. 14D.lgs. n. 150/2011. Sostiene il ricorrente che, nel caso in esame, anche i compensi per l’attività stragiudiziale potevano essere richiesti con ricorso ex art. 14 D.lgs. 150/2011. Invero, le diverse attività attuate dal legale, se pur articolate in varie fasi, tra cui quella stragiudiziale, venivano esercitate al fine di ottenere la reintegrazione della quota di legittima lesa dell’ingegner B.M.E.E., che fu poi oggetto di domanda giudiziale dinanzi al Tribunale di Milano (r.g. n. 51775/2012). In questo senso, le attività stragiudiziali rese tra il 2009 e il 2012, in cui si operava la ricostruzione dell’intero asse ereditario, risultavano strettamente connesse alla successiva fase giudiziale e di mediazione. Pertanto, la decisione del Tribunale risulterebbe in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità sul tema.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e dell’art. 4D.M. n. 127/2004, per avere il Tribunale di Milano illegittimamente omesso la liquidazione dei “diritti” stabiliti per le prestazioni del difensore. Afferma il ricorrente che la scrittura del 25.05.2012 – con cui si precisava che soltanto gli onorari sarebbero stati applicati nella misura massima prevista dal D.M. n. 127/2004 – costituiva una mera specificazione dell’originario accordo del 30.11.2009, che valeva a definire l’esatta misura degli onorari e non ad escludere i diritti, i quali sarebbero comunque dovuti essendo gli stessi fissi e inderogabili ai sensi dell’art. 4 del D.M. n. 127/2004.
Infine, con il quarto ed ultimo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o la falsa applicazione ex art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 5, co. 4, D.M. n. 127/2004: il Tribunale di Milano ha illegittimamente respinto la domanda di aumento dell’onorario, che si giustificava in considerazione della pluralità delle parti contrapposte, ciascuna delle quali aveva assunto una propria autonoma difesa.
Il primo motivo è infondato.
I provvedimenti per i quali la legge prevede la forma dell’ordinanza, quando sono emessi dal giudice collegiale, sono sottoscritti dal solo presidente, ex art. 134, comma 1, c.p.c. e non sussiste la violazione di legge denunciata.
Il secondo motivo è parimenti infondato.
La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo «nel giudizio per il conseguimento di compensi per prestazioni professionali rese in ambito stragiudiziale e in procedimenti civili e penali, introdotto con ordinario procedimento monitorio, l’opposizione a decreto ingiuntivo deve essere proposta con atto di citazione ai sensi dell’art. 645 c.p.c. e non con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., non rientrando la controversia nell’ambito previsionale dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, che contempla, in virtù del richiamo all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, il procedimento sommario di cognizione per i soli giudizi concernenti la liquidazione di compensi per prestazioni giudiziali rese in materia civile (Cass. n. 4330/2023), nonché per quelle stragiudiziali strettamente correlate alle prime (Cass. n. 4665/2022; Cass. n. 7652/2004). In altre parole, è esclusa l’applicazione dell’art. 14 D.lgs. n. 150/2011 alla controversia nella quale l’attività stragiudiziale allegata a fondamento della pretesa corresponsione del compenso di avvocato esibisce carattere di autonomia rispetto all’attività giudiziale, spettando naturalmente al giudice del merito l’accertamento della connessione o della complementarità, o, viceversa, dell’autonomia, delle prestazioni in parola rispetto alle attività propriamente processuali (Cass. n. 40828/2021). Tale accertamento è stato compiutamente svolto dal Tribunale di Milano e non è perciò censurabile in questa sede rivalutandone gli esiti fattuali, come auspica il ricorrente.
Il terzo motivo è fondato.
In tema di interpretazione del contratto, qualora la medesima vicenda negoziale ed i relativi effetti abbiano formato oggetto di due o più atti scritti, il giudice è tenuto, giusta il disposto dell’art. 1363 c.c., ad esaminare tutte le convenzioni intercorse tra le parti sì come risultanti dai documenti all’uopo formati, stabilendo, altresì, il rapporto tra clausole e documenti, se di chiarimento, di integrazione, di modificazione, di trasformazione o di annullamento delle precedenti pattuizioni (Cass. n. 20817/2010; Cass. n. 10298/2002).
Il Tribunale, in contrasto con tale principio, ha riconosciuto che il professionista non aveva altro diritto all’infuori del solo compenso per gli onorari sulla base della scrittura del 25 maggio 2012, mentre, dal momento che il rapporto giuridico aveva formato oggetto di più due scritti, avrebbe dovuto esaminarli tutti.
Anche il quarto motivo è fondato.
In tema di liquidazione degli onorari di avvocato, la disposizione dell’art. 5, comma 4, della tariffa professionale approvata con d.m. 8 aprile 2004, n. 127, che consente al giudice, nell’ipotesi di assistenza e difesa di una parte avverso più controparti di liquidare un compenso unico maggiorato per ciascuna parte del 20% e sempre che la prestazione comporti l’esame di particolari situazioni di fatto o di diritto – come nel caso speculare, previsto dallo stesso comma, in cui più parti con identica posizione processuale siano state assistite e difese dallo stesso avvocato – prevede una mera facoltà rientrante nel potere discrezionale del giudice, il cui mancato esercizio non è denunciabile in sede di legittimità, se motivato (Cass. n. 16040/2011).
Tutto ciò è vero, ma il Tribunale di Milano ha escluso la maggiorazione valutando la richiesta con riferimento ai legatari chiamati nel giudizio, senza considerare che la controversia, già dall’origine, era stata instaurata nei confronti di più parti.
Pertanto, la sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata per nuovo esame al Tribunale di Milano, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Cass. civ., II, ord., 16.10.2025, n. 27704