Con atto di citazione notificato in data 25.1.2023, le germane G.S., L.S. e M.S., premettendo di essere eredi di A.C., deceduta in data 13.2.2005 presso il Nosocomio di Matera a seguito di contagio da legionella durante la degenza ospedaliera, allegavano di aver proposto, col patrocinio dell’odierna convenuta, una domanda giudiziale risarcitoria nei confronti della ASM – Azienda Sanitaria Materana, per la somma di € 311.244,66 ciascuna iure hereditatis, oltre ad ulteriori € 411.600 in favore di ognuna, a titolo di danno da perdita parentale, ed alla somma di € 57.860,00 per danno biologico proprio in favore della sola M.S.. Deducevano, quindi, che nel corso del giudizio n. 2301/2012 R.G. così instaurato presso il Tribunale di Matera la convenuta ASM aveva chiamato in causa la Gestione Liquidatoria della soppressa ASL n. 4 di Matera, poi costituitasi nel processo e che, all’esito della disposta consulenza tecnica d’ufficio e della formulazione da parte del giudice di una proposta conciliativa per l’importo di € 200.000,00 in favore di ciascuna delle attrici (proposta rifiutata dalla Gestione Liquidatoria), la causa veniva decisa con sentenza n. 187/2019 di rigetto della domanda “per intervenuta prescrizione decennale nei confronti della Gestione Liquidatoria della soppressa ASL N. 4 di Matera”. Sentenza, quest’ultima, confermata dalla Corte d’Appello di Potenza con la pronuncia n. 265/2022 del 15.4.2022, passata in giudicato.
A sostegno della domanda risarcitoria avanzata nella presente sede, quindi, le germane SOLIMINE allegavano la negligenza ed imperizia dell’avv. M.P. per non aver inoltrato, nel corso del giudizio di primo grado ed entro il termine di prescrizione decennale, un atto di costituzione in mora, valido ai fini interruttivi, anche nei confronti della citata Gestione Liquidatoria, richiamando a tal fine taluni stralci della sentenza d’appello e deducevano un irrimediabile pregiudizio alla “ragionevole probabilità di un diverso e più favorevole esito del giudizio”, alla stregua di una valutazione prognostica formulata sulla scorta delle conclusioni rassegnate nella relazione di consulenza tecnica d’ufficio e della proposta ex art. 185-bis c.p.c. avanzata dal giudice istruttore (per complessivi € 600.000,00), su cui parametravano la richiesta di condanna avanzata nella presente sede.
Nel costituirsi in giudizio, la convenuta deduceva che la carenza di legittimazione passiva dell’ASM era stata eccepita da quest’ultima soltanto nella prima memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c., depositata in data 2.1.2014, alla stregua di quella che, secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente sino alla pronuncia n. 2951/2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, resa a seguito dell’ordinanza di rimessione n. 2977/2015 del 13.2.2015 depositata, quindi, esattamente nel giorno di maturazione della prescrizione decennale del diritto azionato dalle attrici, doveva considerarsi una eccezione processuale tardiva. Allegava, inoltre, che “nonostante la tardività dell’eccezione formulata dalle ASM, si era provveduto alla formale richiesta di chiamata in causa della Gestione Liquidatoria nella prima difesa utile ovvero nelle memorie ex art. 183 VI comma n.2 e ribadite altresì alla prima udienza utile celebratasi, su cui il Tribunale non ha ritenuto di provvedere, avendo riservato la causa in decisione sulle questioni di legittimazione passiva asserendo con la sentenza n. 785/2015 del 10 settembre 2015 la legittimazione passiva della convenuta ASM nel giudizio n. 2301/2012 Tribunale di Matera”.
Deduceva, inoltre, che, pur a tanto da lei ripetutamente sollecitate, le parti sue assistite non si erano determinate alla proposizione del ricorso per Cassazione, nonostante l’applicabilità alla fattispecie dell’istituto del “prospective overulling, essendo le parti incorse in decadenze e in preclusioni, con ragguardevole danno, per cambio di giurisprudenza (questione non scrutinata dalla Corte d’Appello, non assorbita dalla pronuncia, e motivo di ricorso per Cassazione), che avrebbe consentito la disapplicazione del nuovo principio in favore del vecchio”.
Declinava, quindi, la convenuta gli addebiti di negligenza ed imperizia argomentando sulla incertezza e natura ondivaga degli approdi giurisprudenziali formatisi sulla questione dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva e sulla interpretazione della legislazione relativa alla ripartizione di competenze tra l’Azienda sanitaria locale e la Gestione Liquidatoria delle aziende soppresse, tale da giustificare la compensazione delle spese processuali in entrambi i gradi del giudizio, anche mediante il richiamo della sentenza parziale n. 785/2015 resa dal Tribunale di Matera in seno al medesimo giudizio n. 2301/2012, che aveva dichiarato la legittimazione passiva della convenuta A.S.M.
Formulava, infine, domanda riconvenzionale per la liquidazione del compenso maturato per l’attività difensiva prestata in favore delle germane SOLIMINE nei due gradi di giudizio e mai percepito, quantificandolo, alla stregua delle voci dettagliate alle pp. da 12 a 15 della comparsa di costituzione, in complessivi € 207.626,94 per il giudizio di primo grado, € 182.637,46 per il giudizio n. 615/2015 R.G. dinanzi alla Corte d’Appello di Potenza (incardinato dall’A.S.M. avverso la sentenza parziale n. 785/2015) ed in € 182.637, 46 per l’ulteriore procedimento riunito in appello n. 478/2019) e chiedeva altresì la condanna delle odierne attrici al risarcimento dei danni da lite temeraria ex art. 96, co. 1 c.p.c., nella misura di € 300.000,00.
Chiamava, quindi, in causa la compagnia UNIPOL SAI s.p.a., con cui l’avv. M.P. aveva contratto polizza assicurativa professionale, la quale, costituitasi in giudizio in data 28.9.2023, aderiva alle argomentazioni difensive della convenuta assicurata ed eccepiva ulteriormente, da un lato, l’inapplicabilità della legge regionale n. 12/2008 al debito di valore connesso ai danni lamentati dalle S. ed azionati nei confronti di A.S.M., e, dall’altro lato, che “ ammesso e non concesso che nel caso di specie possa ravvisarsi una qualsivoglia ipotesi di responsabilità professionale alla convenuta Avv. M.P., senza dimenticare o trascurare che l’avvocato non è tenuto a far conseguire al cliente un risultato, essendo la sua un’obbligazione di mezzi, così stando le cose, la pretesa risarcitoria, sì come ragguagliata all’importo che il Giudice aveva ritenuto congruo in sede di proposta conciliativa ex art. 185-bis c.p.c., non ha fondamento giuridico, dovendo non solo rapportarsi alle concrete chance di sopravvivenza della de cuius in difetto della contratta legionella in ossequio al principio del “più probabile che non”, ma anche parametrarsi alla sola, diversa e maggiore sofferenza fisico-morale derivatane. Sicché è indispensabile accertare che, avvenuta l’azione in tesi doverosa omessa dall’Avv. M.P., (id. est: interruzione dei termini di prescrizione) ed esclusa l’interferenza di altri fattori concausali alternativi, il danno lamentato dalle istanti – con ogni probabilità sul piano logico e giuridico – non si sarebbe prodotto ovvero avrebbe avuto minore o diversa intensità lesiva sul piano economico-patrimoniale”.
Infine, in sede di precisazione della domanda anche alla luce di quanto dedotto e richiesto dalla convenuta, nella memoria del 17.11.2023 le attrici eccepivano l’inadempimento dell’avv. M.P., alla luce dei divisati profili di negligenza ed imperizia, tali da giustificare, ai sensi dell’art. 1460 c.c., la non debenza di alcun compenso professionale ed avanzavano a loro volta domanda di condanna della convenuta ai sensi dell’art. 96, co. 3 ovvero, in subordine, co. 1 c.p.c. al pagamento di una somma equitativamente determinata, con ulteriore richiesta ex art. 89, co. 2 c.p.c. in relazione alle espressioni sconvenienti ed offensive ravvisate negli atti di controparte.
Così sintetizzate le rispettive posizioni delle parti, va premesso, in via di principio ed in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, che quest’ultimo “è tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata, di cui al combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c., e della buona fede oggettiva o correttezza la quale, oltre che regola di comportamento e di interpretazione del contratto, è criterio di determinazione della prestazione contrattuale, imponendo il compimento di quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio” (cfr. Cass., III, n. 8494/2020).
Ed, ancora, con precipuo riferimento al canone della diligenza qualificata, come parametrato alla particolare natura della prestazione ed alla qualità del professionista, è stato precisato dalla giurisprudenza di legittimità che “la responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, cod. civ., da commisurare alla natura dell’attività esercitata. Inoltre, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici” (cfr. Cass., II, n. 6967/2006).
Nell’alveo di tale paradigma valutativo della responsabilità dell’avvocato verso il proprio cliente, peraltro, si è da ultimo chiarito come sia configurabile l’imperizia del professionista tutte le volte in cui egli ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margini di opinabilità, laddove, invece, la scelta di una strategia processuale può valere a fondare siffatta responsabilità purché la sua inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata con un giudizio ex ante e non ex post (sulla base quindi dell’esito del giudizio), restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità – in astratto o con riferimento al caso concreto -tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente (Cass, III, n. 7462/2025).
Proprio sulla scorta di siffatti principii, pertanto, deve inferirsi, al di là di quanto evidenziato nella motivazione della sentenza resa dalla Corte d’Appello di Potenza, pronunciata, peraltro, a distanza di quasi dieci anni dalla data di introduzione del giudizio di primo grado e, conseguentemente, in un contesto giurisprudenziale ben differente da quello nel quale si inscrivevano le valutazioni e strategie difensive sottese al promovimento della domanda risarcitoria delle germane SOLIMINE, che la condotta professionale dell’avv. M.P. non si sia connotata in termini di negligenza ed imperizia, alla stregua del canone valutativo sin qui illustrato. Ed, invero, non è revocabile in dubbio che, all’epoca dell’introduzione del giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Matera e nel corso dello stesso, almeno sino alla pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte n. 2951/2016 richiamata dalla convenuta, in tema di qualificazione in termini di questione di merito della legittimazione attiva o passiva rispetto al diritto azionato in giudizio, da un lato non vi fosse univocità di orientamenti giurisprudenziali in materia, come attestato, per l’appunto, dall’intervento risolutore di precedenti contrasti (tra i quali, a titolo esemplificativo, può menzionarsi Cass., III, n. 2091/2012) da parte del Supremo consesso nella formazione più autorevole e, dall’altro lato, che altrettanta incertezza fosse registrata nella interpretazione della legislazione regionale della Basilicata proprio in materia di responsabilità medica.
Tanto è invero attestato in entrambe le sentenze rese nei due gradi di giudizio, nelle quali la compensazione integrale delle spese processuali viene giustificata proprio mediante il riferimento rispettivamente al “mutamento giurisprudenziale in materia” (sentenza n. 187/2019 resa nel giudizio n. 2301/2012 R.G.) e così testualmente nella sentenza della Corte d’Appello di Potenza dell’8.4.2022: “la tardiva formulazione, da parte delle sigg.re L.S., G.S. e M.S., della domanda di risarcimento dei danni nei confronti della Gestione Liquidatoria dell’Azienda Sanitaria USL n.4 di Matera, pur ascrivendosi ad un difetto di cautela e di attenzione verso un quadro normativo e giurisprudenziale in evoluzione, sia stata comunque favorita dall’esistenza di un indirizzo consolidato della giurisprudenza del Tribunale di Matera nel senso del riconoscimento della legittimazione passiva in capo all’ASM di recente costituzione, indirizzo consolidato che solo a partire dall’anno 2016 è stato radicalmente superato dalla Corte di Appello di Potenza. […] Proprio in ragione dell’esposto inaspettato mutamento dell’orientamento della giurisprudenza di merito in materia di legittimazione passiva le sigg.re L.S., G.S. e M.S. hanno avuto la necessità di impugnare la sentenza non definitiva n.187/19 emessa dal Tribunale di Matera il 25.2.2019 onde far valere le circostanze a loro avviso rilevanti in chiave di determinazione del dies a quo di decorrenza del termine decennale di prescrizione del loro diritto al risarcimento dei danni come azionato nei confronti della Gestione Liquidatoria dell’Azienda Sanitaria USL n.4 di Matera. In definitiva, può ragionevolmente ritenersi che anche nel rapporto processuale tra le sigg.re L.S., G.S. e M.S., da un lato, e la Gestione Liquidatoria dell’Azienda Sanitaria USL n.4 di Matera, dall’altro, sia configurabile quel “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti” a cui l’art.92 co.2 c.p.c. subordina l’esercizio, da parte del giudice, del potere di compensare le spese processuali tra le parti, parzialmente o per intero”.
A fronte, pertanto, di tale obiettiva non univocità delle opzioni ermeneutiche, alimentata peraltro dalla stessa sentenza parziale n. 785/2015 resa in seno al giudizio n. 2301/2012 per affermare la legittimazione passiva della Azienda Sanitaria Materana, non è sufficiente né dirimente far discendere la responsabilità della professionista convenuta dalla mera violazione, e per il semplice fatto della stessa, di una regola prudenziale di far pervenire comunque un tempestivo atto di messa in mora, perciò interruttivo della prescrizione, anche nei confronti della Gestione Liquidatoria, risultando la diversa strategia processuale adottata dalla convenuta (consistente nel far valere la tardività dell’avversa eccezione di difetto di legittimazione passiva sul presupposto della natura processuale della stessa, benché sollecitando ad ogni modo anche l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Gestione Liquidatoria) comunque fondata su un indirizzo interpretativo validamente sostenibile all’epoca di quel giudizio e non frutto di una opzione difensiva arbitraria, in quanto avulsa dai principii affermati dalla coeva giurisprudenza nella specifica materia.
Peraltro, non essendo emersa dalla documentazione versata in atti la circostanza dell’avvenuto rilascio da parte delle odierne attrici di una procura speciale per il ricorso per Cassazione in favore dell’avv. M.P. e non risultando, anzi, neppure contestato che tale mandato specifico non sia stato conferito, non può affatto escludersi, alla luce di un ragionevole giudizio prognostico, che l’impugnazione della sentenza d’appello avrebbe sortito un esito favorevole alle germane SOLIMINE in base ad una valutazione in termini di apprezzabili e concrete probabilità, come autorizzata dall’ordinanza n. 25650/2023 resa dalla Terza sezione della Suprema Corte, più volte menzionata dalla terza chiamata e dalla stessa convenuta, che ha ritenuto l’idoneità all’interruzione della prescrizione anche nei confronti del commissario liquidatore della Gestione separata dell’atto di messa in mora indirizzato alla soppressa Azienda sanitaria locale.
Se, allora, non merita accoglimento la domanda principale delle odierne attrici, deve invece inferirsi, nel difetto di un inadempimento alle obbligazioni professionali da parte dell’avvocato odierna convenuta, per tutte le ragioni sin qui illustrate, il diritto di quest’ultima a ricevere il pagamento del corrispettivo per l’opera professionale prestata nei due gradi di giudizio, non avendo, ex adverso, le germane SOLIMINE non soltanto dimostrato di aver adempiuto a tale obbligazione, ma, al contrario, avendo le stesse espressamente eccepito di nulla dovere all’avv. M.P. ai sensi dell’art. 1460 c.c.
In assenza di un contratto atto a documentare in forma scritta le pattuizioni sul relativo compenso, deve quindi a tal fine farsi riferimento ai parametri di cui al decreto ministeriale n. 55/2014 (cfr. ex plurimis Cass., II, n. 693/2024) nella previgente formulazione ratione temporis, relativamente allo scaglione per valore riferibile, in ragione del rigetto della domanda risarcitoria e del tenore dell’attività difensiva complessivamente prestata rispetto agli interessi effettivi delle parti, in conformità al disposto dell’art. 5, co. 2 D.m. cit., alla somma di € 600.000,00 oggetto della proposta conciliativa. Alla stregua di quanto recentemente chiarito da Cass., II, n. 28885/2023, infatti, ” in tema di liquidazione degli onorari dell’avvocato a carico del cliente, ai fini della determinazione del valore della controversia, il giudice è tenuto ad accertarne quello effettivo e, qualora esso risulti dalla liquidazione in una misura sensibilmente diversa da quella oggetto della domanda, deve adeguarne l’ammontare al concreto importo oggetto della decisione”; ed ancora, secondo Cass., II, n. 18507/2018, “nei rapporti tra avvocato e cliente sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito. Pertanto, il giudice deve verificare, di volta in volta, l’attività difensiva che il legale ha svolto, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata”. Vanno, in definitiva, liquidati, sulla scorta dei parametri di poco inferiori ai medi di riferimento, in considerazione della qualità dell’obbligazione di mezzi prestata dall’avv. M.P. in favore delle odierne attrici, non connotata, per tutte le ragioni anzidette, in termini di negligenza ed imperizia ma neppure di un pregio tale da giustificare la richiesta di applicazioni dei massimi, i seguenti importi:
per il giudizio di primo grado n. 2301/2012 RG., € 4.000,00 per la fase di studio; € 2.800,00 per quella introduttiva; € 12.000,00 per la fase istruttoria ed € 7.000,00 per quella decisionale, per un totale di € 25.800,00, aumentati del 60% ai sensi dell’art. 4, co. 2 D.M. cit., ad € 41.280,00, oltre al rimborso forfettario per spese generali, iva e cpa come per legge;
per ciascuno dei giudizi di appello riuniti (nn. 615/2015 R.G. e 478/2019 R.G.), € 5.000,00 per la fase di studio; € 3.000,00 per quella introduttiva; € 7.000,00 per la fase di trattazione ed € 8.000,00 per quella decisionale, per un totale di € 23.000,00, aumentati del 60% ai sensi dell’art. 4, co. 2 D.M. cit., ad € 36.800,00, oltre al rimborso forfettario per spese generali, iva e cpa come per legge.
Non possono, invece, trovare accoglimento le reciproche domande di condanna ex art. 96 c.p.c. per la decisiva considerazione che, a fronte di elevati margini di opinabilità nelle questioni giuridiche sottese alla domanda risarcitoria avanzata dalle odierne attrici nei confronti della Azienda sanitaria materana ed in ragione del pari rango delle rispettive pretese nella sede del presente giudizio, non è ravvisabile alcun manifesto abuso del processo ovvero alcuna ipotesi di proposizione di azioni giudiziarie del tutto avulse dal diritto vivente o fondate su tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate (cfr. Cass., I, n. 34429/2024).
Parimenti da rigettare è l’ulteriore domanda ex art. 89 c.p.c. avanzata dalle attrici, non risultando le espressioni censurate dalle istanti alla p. 7 della prima memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c. connotate in termini di concreta e gratuita offensività e dovendosi, invece, por mente al principio secondo cui “in tema di espressioni offensive o sconvenienti contenute negli scritti difensivi, non può essere disposta, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., la cancellazione delle parole che non risultino dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, essendo ben possibile che nell’esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla reciproca condotta possa investire anche il profilo della moralità, senza tuttavia eccedere le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della controparte. Ne consegue che non possono essere qualificate offensive dell’altrui reputazione le parole […] che, rientrando seppure in modo piuttosto graffiante nell’esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità umana e professionale dell’avversario” (Cass., L, n. 21031/2016).
Ragioni di reciproca soccombenza, oltre alla circostanza che la convenuta si sia difesa personalmente ai sensi dell’art. 86 c.p.c. ed alla divisata non omogeneità dell’interpretazione giurisprudenziale delle questioni giuridiche sottese al giudizio risarcitorio intentato dalle germane SOLIMINE nei confronti dell’Azienda Sanitaria materana, a loro volte costituenti il presupposto della domanda da loro avanzata nella presente sede, giustificano, infine, la compensazione delle spese processuali ai sensi dell’art. 92, co. 2 c.p.c.
Trib. Matera, civile, sent., 09.04.2025